Concept-album per persecutori

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di Ade Zeno

Diciannove narratori italiani, alcuni affermati altri esordienti, intrecciati in un unico orizzonte: quello dei desideri e delle rivalità umane.

L’antologia segna il ritorno alla narrativa della casa editrice Transeuropa, sigla editoriale già capofila del genere letterario con le raccolte Under 25 curate da Pier Vittorio Tondelli.

Esistono, nelle città in cui viviamo, scrittori che ci perseguitano. Sostenere che siano persone malvagie o mediocri o anche soltanto affogate in tinte sgradevoli e fosche sarebbe inesatto. Diremmo piuttosto che si rivelano come esseri inquieti, certo impigriti da conflitti esistenziali di peso, e a loro modo lacerati da propositi poetici di tutto rispetto. Sfuggire alle loro attenzioni non è affatto semplice, poiché dispongono di occhi vigili, orecchie raffinate, e frequentano squadre di informatori straordinariamente attivi sparsi più o meno ovunque. Questi scrittori, malgrado i gusti vestiari bizzarri e gli afflati dandy con cui amano disegnare ogni gesto, questi parolieri perseguitanti riescono comunque, chissà perché, a risultarci simpatici. Ci braccano a lungo, instancabili, corrono a perdifiato percorrendo traiettorie inverosimili col solo scopo di proporci un ennesimo libro da passare in rassegna. È più o meno in questo modo che dalle nostre parti, entriamo in contatto con le novità editoriali fornite da spacciatori di parole nascosti dietro ogni angolo. Il libro che elargiscono negli ultimi tempi si intitola I persecutori e si presenta imbrigliato in una veste grafica confortevole ed elegante. Prima di iniziare la lettura buttiamo l’occhio sulla copertina – in primo piano due corpi di batrace, uno sul fronte l’altro sul retro, presi in prestito da uno splendido disegno di Jacques De Gheyn – e ci si palesa con minor vaghezza la natura degli scriventi che hanno partecipato al progetto, diciannove in tutto: alcuni li conosciamo bene, di altri abbiamo soltanto sentito parlare, un paio ci sono completamente ignoti; gli appartenenti alla prima categoria – quelli che conosciamo bene – ci fanno subito pensare a un miscuglio improbabile, al solito, sconfortante accostamento di anime estranee impastato così, tanto per fare. Che c’entrano, ci interroghiamo, Biondillo con Evangelisti, Janeczek con Ottonieri, Raimo con Krauspenhaar? Possibile che l’editoria italiana non abbia ancora smesso di arrendersi a ricette conglomeranti capaci di accoppiare voci tanto distanti per assecondare criteri di coralità con il solo scopo di strizzare l’occhio a un mercato comunque già saturo di raccolte, rassegne e cataloghi? Poi cominciamo a leggere, affrontiamo l’introduzione dei curatori cercando tra le loro frasi una giustificazione plausibile, in una parola l’idea di fondo che ha giocato il ruolo principale in questa piccola impresa. E, sorpresa, sorprendentemente scopriamo qualcosa di allettante, di diverso, intuiamo un respiro nuovo. «Raccontare il mondo sulla traccia consapevole delle dinamiche descritte da Girard» chiedono Giulio Milani e Marco Rovelli, che – oltre a due testi inseriti nel corpus narrativo – firmano gli atti di paternità (fratellanza?) del parto antologico; e lo domandano a una squadra di scrittori chiamati a rispondere confrontandosi con il tema – girarardiano, appunto – del sacrificio inteso come veicolo attraverso cui una società (la nostra, ma non solo) prova e in parte riesce a risolvere le proprie intime guerre attraverso la costante, irresoluta ricerca della vittima, del capro espiatorio, trasformandolo in nemico nemico, nell’Altro, un corpo alieno sul quale investire tutte le ansie e i terrori di un universo in continuo conflitto, laddove il conflitto, lo scontro più o meno feroce, diventa indispensabile spinta verso la vita che reclama vita, anche passando per le strade del dolore, del sangue, della morte. E le trincee di battaglia in cui hanno provato a destreggiarsi i nostri narratori riescono qui – proprio grazie alle diverse matrici che li distinguono – a dividersi su fronti plurimi, spesso lontanissimi, eppure così mirabilmente vicini nel respiro con cui sanno abbracciarsi instaurando un legame forte, risoluto, un filo conduttore talmente amalgamato da trasformare un’antologia nel “concept-album” (romanzo collettivo?) che in effetti si rivela essere. Con ogni probabilità frutto di un editing (severo, attento) orchestrato dall’alto, il risultato finale diventa quasi un blocco unico, una storia nella storia, con personaggi che ritornano e situazioni che, da punti prospettici antitetici, giocano a costruire e costruirsi una strada unificante seguendo percorsi ancorati a corde emotive, vene ramificate, tessuti nervosi che alimentano un corpo. E forse non ha molto senso, qui, fornire mappe dettagliate dei racconti andando a scarnificare ogni singolo contributo. Così come non avrebbe senso leggere I persecutori attingendo a caso, spulciando ogni singolo pezzo come una cosa a sé, un capitoletto isolato. Perché è un libro che ha un inizio e una fine, un testo che dispone di polmoni per respirare e di una congerie di voci da ascoltare (amanti, reduci, adolescenti feroci, giornalisti assassinati, madri, prigionieri, kamikaze, ancora amanti), un libro che insomma va succhiato partendo dalla testa, per poi attraversare gola e stomaco, sangue e viscere, puntando dritti verso il teschio del cuore.

Aa.vv.
“I persecutori”
a cura di Giulio Milani e Marco Rovelli
Transeuropa
pp. 280, euro 12,90

(Pubblicato su Liberazione- Queer – il 10.06.2007)

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14 Commenti

  1. Di questo pezzo non si è capito proprio un’acca, tranne che dovrebbe essere confortevole ed elegante. Un libro confortevole? O___o

    Bene, se il libro è come questa recensione, poco ma sicuro che non vale la spesa.

    Questo passo che significa: “Questi scrittori, malgrado i gusti vestiari bizzarri e gli afflati dandy con cui amano disegnare ogni gesto, questi parolieri perseguitanti riescono comunque, chissà perché, a risultarci simpatici.”

    E quest’altro: “Con ogni probabilità frutto di un editing (severo, attento) orchestrato dall’alto, il risultato finale diventa quasi un blocco unico, una storia nella storia, con personaggi che ritornano e situazioni che, da punti prospettici antitetici, giocano a costruire e costruirsi una strada unificante seguendo percorsi ancorati a corde emotive, vene ramificate, tessuti nervosi che alimentano un corpo.”

    Oddio, che contorsioni inutili. Dovrei quotare tutto il pezzo.

    Non si capisce niente di niente. Ci rinuncio. Amen.

  2. Zeno mi perseguitò per avere in visione il libro. Persecutore tra i persecutori, gli voglio bene perchè quando canta si accascia sul microfono come Chet Baker sul suo pubblico.
    besos
    effeffe

  3. Esimio Iannozzi,

    altrove leggo che è buon recensore. Sarà pur vero che il testo è contorto (male non fa, a meno che non ci vogliamo arrendere a una minimale linearità), ma un merito c’è, quello dei “capofila”. Da buon recensore, poteva usare una parola buona. Se non per il libro, o per gli autori, almeno per l’editore.

    Cordialità

  4. O.C. sia chiaro, con l’Editore non ho assolutamente niente, niente in contrario s’intenda. E volentieri l’userei una buona parola, ma non perché mi viene fatto notare. La recensione, per me, non è buona. Non sono neanche certo che tale la si possa definire, giacché è una esposizione di pensieri contorti, avvitati su sé stessi e null’altro. Del libro non mi ha spiegato niente, tranne che dovrebbe essere confortevole. E ti giuro che mi sto a lambiccare per capire che cosa sia un libro confortevole.
    Su che basi dovrei usare una parola buona per l’editore?

    Ho comunque letto qui:

    http://www.transeuropalibri.it/?Page=cat_i_persecutori.htm

    dall’editore, pdf dell’introduzione inclusa.
    E ho capito qualche cosa di più.

    Non mi interessa. L’introduzione non mi ha convinto.
    La selezione degli autori, eccetto due o tre nomi, è sempre la solita: sinceramente sono ampiamente stufo di trovare gli stessi autori come il prezzemolo in ogni antologia.

    Spezzo una lancia per Ivan Carozzi, autore de “I figli delle stelle”, che invito a leggere, essendo un gran bel libro.

    Cordialmente

  5. recenzione intelligente
    da/su
    Cochi e Renato

    iata tta ta…iata tta ta…

    mi piacerebbe postar
    na recenzione intelligente
    che segna un filo logico…..importante
    e che sia piena di bei ragionamenti
    insomma recenzione….intelligente
    che spieghi un po’ di tutto, e un po’ di niente

    questa è recenzione intelligente,
    che farà cantar tutta la gente
    questa è recenzione intelligente
    che farà cantar, che farà ballar,
    che farà ballar……lo sciocco in blu..

    iatta ta ta…iatta ta ta………

    cosa ci vuole chissà
    per far successo con la gente
    si prende un filo logico…..importante
    la casa editricece adiacente
    veste lo scriba come un deficiente
    lo lancia sul mercato ….sottostante….

    questa è recenzione intelligente…….

  6. Miii come mi fanno ridere Cochi & Renato, quasi meglio degli Squallor. Dei Mitiii. E non scherzo affatto: per la canzone demenziale attuale sono i migliori. Come porti i capelli bella bionda, Il reduce e Lo sputtanamento… canzoni che arrivano dritte al cuore. ^___^ Che si capiscono dalla A alla Zeta.

  7. Ma no, effeffe, quali re fusi ci sarebbero in giro?
    Chi ha presi i miei soldatini di piombo, chi, per diooo… io sono il re pazzo ma non ancora sfuso. :-)))
    Ridatemi i miei soldatiniii, cattiviii… :-)))

  8. è bravo iannozzi che non la considera una recensione, o meglio, una recensione come quelle che si imparano a scrivere nelle scuole di scrittura di tutto il mondo tutte uguali e tutte giuste.
    qualcuno invece esercita una scrittura guasta. iannozzi non capisce? perfetto, come diceva deleuze, ogni scrittore deve essere straniero nella propria lingua.
    senza polemica, ma i commenti da maestri bacchettoni (con la bacchetta), sono quasi sempre abbastanza dimidianti verso qualunque lavoro serio.
    buon proseguimento

  9. Premesso che i gelatai ci danno pure da mangiare (ma poi ognuno il gelato lo usi come vuole, eh)ed i bacchettoni no, a me sembra una recensione intelligente. Prima di tutto perché usa il titolo I persecutori, che nella raccolta presumo alluda ai protagonisti dei racconti, e lo rivolge agli scrittori stessi, quasi spie bizzarre nelle vite degli altri.
    Poi essendo, come dice l’autore della rece, gli scrittori l’uno molto diverso dall’altro, non avrebbe senso parlare di ogni singolo racconto, fare i riassuntini, Ne ha molto invece concentrarsi sul tema unificante, il mito antichissimo del capro espiatorio e le teorie di René Girard, un antropologo francese, piuttosto noto direi, che ha scritto del sacrificio, e della violenza da cui questo scaturisce, come collante di una data società. Partendo da questo dato comune ogni scrittore ha perseguito il suo particolare bersaglio… ha sviluppato la sua particolare idea di persecutore. Mi pare che la recensione vada proprio nella direzione dell’ambiguità insita nell’idea di persecuzione: chi è che perseguita? l’assassino, l’adolescente che sopraffà il compagno più indifeso, etc etc o la società che identificando in questi suoi figli il male si ripulisce la coscienza? Ci perseguitano infine gli scrittori per gettarci addosso, tramite l’arte, un po’ di rabbia e magari qualche verità?

    Mi pareva abbastanza chiaro.
    Ah, non ho letto il libro. So solo chi era e cosa scriveva Girard. E mi piace il gelato.

  10. Allora se Ophelia dice che è una bella recensione… Tolgo il titolo “i persecutori”, lo sostituisco con quello di una qualsiasi altra antologia, e ancora, sostituisco quei due o tre nomi citati, ed ecco che ho bella e pronta una recensione validissima per qualsiasi antologia uscita e in uscita. In fondo è una recensione confortevole.

    Ho perso sin troppo tempo dietro ‘sta roba. Amen.

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