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Caro Roberto…

… sono da qualche ora nelle nostre terre e noto con estremo dispiacere – senza distacco – che le famose mosche di Céline da te citate si sono armate di spilli e vorrebbero accecare l’unico occhio letterario per cui valga la pena vedere la letteratura, ovvero la sua capacità visionaria e ribelle. E così mezze tacche di critici da Premio…, Bacoli – ti eri inventato questo Premio per un bel racconto pubblicato sulla nostra rivista Sud – si ergono a maestrini della nuova sinistra, letteratura, per non parlare di sedicenti scrittori, mediocrità venduta al chilo insieme ai loro atelier di scrittura. Ma in mezzo a tanta M…..(direbbe Louis Ferdinand) ci sono scrittori a cui siamo legati,(a seguito della pubblicazione del Post e di un mio intervento sul sito letteratitudine il rapporto che mi legava allo scrittore Andrea Di Consoli si è dimessamente dismesso,ndp), da anni di amicizia, frequentazione. Mi hanno mandato due articoli, pubblicati sul Mattino , in cui sollevano le vesti di quel cumulo di non detti, invidia. gelosia, animosità, per tentare una riflessione sull’oggetto letterario. Mi piacerebbe che dicessi la tua, a questo punto.
tuo
Francesco

Il Male che bagna Napoli
di
Antonio Pascale

La città di Napoli (e il suo hinterland) ha ormai invaso il nostro immaginario narrativo. Da una decina d’anni a questa parte, scrittori, artisti, intellettuali, registi, sceneggiatori e pure qualche poeta parlano e raccontano Napoli. Si può dire a tutt’oggi che nessuna città italiana ha subito lastre radiografiche così invasive e così continue come Napoli. Certo alcuni hanno preferito racconti superficiali, altri hanno raccontato la città con dolore e con amarezza, altri ancora con troppo dolore e troppa morbosità.

Andare avanti dopo Saviano
di
Andrea Di Consoli

Le dure parole di Sergio De Santis, scrittore che è unanimemente riconosciuto equilibrato e mai demagogico, sulle colonne di questo giornale, in data 16 giugno, mi hanno dato l’impressione di un clima che sta cambiando. Ma cosa sta cambiando esattamente a Napoli? A mio avviso sta scricchiolando la dittatura del realismo e del reportage, quella che è stata giustamente definita, su questo giornale, la “retorica dell’apocalisse”.

Il Male che bagna Napoli
di
Antonio Pascale

La città di Napoli (e il suo hinterland) ha ormai invaso il nostro immaginario narrativo. Da una decina d’anni a questa parte, scrittori, artisti, intellettuali, registi, sceneggiatori e pure qualche poeta parlano e raccontano Napoli. Si può dire a tutt’oggi che nessuna città italiana ha subito lastre radiografiche così invasive e così continue come Napoli. Certo alcuni hanno preferito racconti superficiali, altri hanno raccontato la città con dolore e con amarezza, altri ancora con troppo dolore e troppa morbosità. Comunque sia, sfumature a parte, ne abbiamo elencato i difetti, le brutture, modi di vivere, le antropologie sociali, gli scempi urbanistici, spesso in presa diretta. Tanto che si può dire senza paura di esagerare che della città sappiamo ormai tutto, vita, morte e miracoli, per citare l’ultimo bel reportage televisivo, andato in onda giorni fa su L7. La domanda a questo punto è lecita: se sappiamo come ormai funziona il sistema camorristico, se la complicità tra politica e malaffare è sulla bocca di tutti che quasi accompagna le nostre discussioni al bar, se la vox populi dice cose molto sensate, se, ancora, abbiamo capito che la struttura economica che fonda e fa girare Napoli è seriamente a rischio crepe e di sicuro l’edificio nel futuro immediato si incrinerà seriamente, se sappiamo tutto questo, come mai a Napoli non cambia niente? Come mai non si prende atto dello stato di macerie e si comincia a ricostruire? Molti narratori, giovani e non, si sono convinti, in questi anni che l’espressione artistica deve per forza tenere conto di tutto quello che si muove sotto i nostri piedi. Qualunque tipo di torre l’artista costruisca, sia d’avorio o altrimenti corazzata, questa (la torre) poggia comunque le fondamenta nel sottosuolo. Non possiamo abbandonare la realtà sismologica e l’impegno che questa comporta. L’arte realistica è, in questo senso, un potente sismografo. Serve in primo luogo a proteggerci, proprio perché ci fa riconoscere l’onda sismica e in secondo luogo, serve, a costruire strutture antisismiche. Il narratore realista crede, in buona o mala fede, con ottimi e cattivi risultati, che questo sia il suo compito, indagare e costruire. Un compito che grava su di noi come una necessità primordiale, da svolgere a tutti i costi, arrivando fino ad invadere il lettore, come sostiene Saviano, prenderlo a pugni, svegliarlo dal torpore. Ebbene, sto sempre più nutrendo il sospetto che questo tipo di rappresentazioni rischia sì di indagare senza però smuovere nulla. E’ un indagine ripetitiva, per così dire. Consolante come tutte le ripetizioni. Quasi come se a risultato ottenuto, a narrazione finita, dopo aver militarmente invaso l’altro, al lettore, davanti a tale apocalisse, non resti che alzare le mani, dichiarare la resa. L’arte, dicono i teorici, deve conservare la tensione, sia quella verso il bene sia quella verso il male, altrimenti risulta mutila. Le rappresentazione che spesso hanno oggetto Napoli indirizzano la tensione verso il male. Anzi, spesso lo riproducono. Voglio dire, qualche volta, c’è nello stile che si adotta una seria complicità con il potere che si vuole contestare. E’ forse questo è un punto problematico per noi che scriviamo di Napoli, troppo spesso le narrazioni su, dentro e fuori Napoli, sono stilisticamente colluse. Oppure contribuiscono a creare una specie di retorica dell’apocalisse che blocca ogni tipo di pensiero vitale. Per molti di noi, Napoli è una città che sta diventando capro espiatorio. Con la narrazione rappresentiamo sì il male ma solo per allontanarlo e per sentirci migliori. Forse è per questo che non cambia nulla. Napoli non ci riguarda, fa troppo schifo, ne siamo fuori. E invece, forse, noi narratori dovremmo a questo punto cambiare tattica. Basta con l’epica della criminalità, perché la narrazione ripetuta con gli stessi stilemi e lo stesso ritmo, crea una sorta di assuefazioni e anche, a volte,la possibilità che si idolatri il criminale. Si pensa,e lo pensano i giovanissimi: quando la vita quotidiana è banale, meglio la forza del male. E invece, al contrario, bisognerebbe adottare un punto di vista meno morboso, meno osceno. Oppure dovremmo, di tanto in tanto, andare nelle scuole, nelle piazze a parlare ai ragazzi di scienza e scienziati, di ricerca medica, genetica, di botanica (perché l’ambiente è importante), di tecniche di costruzioni, dovremmo trovare, cioè, il modo, un modo non pretesco, senza prediche, di raccontare alle nuove generazioni che è meglio denudarsi, dai vestiti di marca, dalle droghe, dalle moto e di tutto quando fa spettacolo, vetrina, siparietto, a Napoli e riuscire insieme ad appassionarsi alla città. La passione verso la conoscenza nasce da qui, da un corpo nudo che vuole umilmente provare nuovi abiti mentali. Forse tocca a noi provare la giusta tessitura narrativa.

pubblicato su Il Mattino il 13 giugno 2007

Andare avanti dopo Saviano
di
Andrea Di Consoli

Le dure parole di Sergio De Santis, scrittore che è unanimemente riconosciuto equilibrato e mai demagogico, sulle colonne di questo giornale, in data 16 giugno, mi hanno dato l’impressione di un clima che sta cambiando. Ma cosa sta cambiando esattamente a Napoli? A mio avviso sta scricchiolando la dittatura del realismo e del reportage, quella che è stata giustamente definita, su questo giornale, la “retorica dell’apocalisse”.
Che Napoli sia un Far-West lo sanno tutti, lo sa tutto il mondo. Ma raccontare la realtà criminale non significa raccontare tutta l’anima di questa città, né i suoi sentimenti segreti, né il suo dolore. La vera letteratura, si sa, è parola che dura, è un affondo sentimentale di inaudita verticalità. Il realismo, invece, specialmente quello spettacolare, ha un grande impatto emotivo, ma lascia le cose, e le persone, così com’erano in partenza. Il giochetto è semplice: basta puntare vitalisticamente il taccuino, gli occhi e le telecamere sugli zombi della camorra, e l’effetto “pulp” è garantito.

Ma il convitato di pietra di queste discussioni è Roberto Saviano, inutile nasconderlo. Non finiremo mai di parlare bene del suo libro, né di vivere con apprensione la sua condizione di scrittore minacciato dalla camorra. Saviano è, per molti di noi, un amico, un giovane reporter di talento, ma per andare avanti, per non soccombere di fronte alla dittatura del realismo e alla “retorica dell’apocalisse”, di cui lui è il principale “colpevole”, l’unica soluzione, per consentire la rifioritura del racconto di Napoli, della sua anima, della sua anima plurale, è dimenticare Saviano.

Perché diciamoci la verità: tutti gli scrittori napoletani, oggi, vivono il complesso dell’anima bella. Qualsiasi cosa letteraria provenga da Napoli, da un anno a questa parte, sembra esercizio letterario, disimpegno filisteo rispetto alle emergenze napoletane (comunque immondizia, pistole, lavoro nero, contraffazione, sangue, droga e clan ci sono da prima che nascesse Saviano, questo va detto). Invece sappiamo qualcosa di Napoli grazie a tutti, anche grazie agli scrittori che hanno parlato d’altro: di sentimenti, di sogni, di storia, di amore, di utopie, di cose non “invischiate” con la cronaca nera.

Napoli è stata sempre una città “unica”, una città orgogliosa dei propri codici “sballati”, ma adesso è diventata una città-zoo, che i cronisti di tutto il mondo vengono a visitare con la stessa curiosità che si ha quando si vanno a fotografare le scimmie con il sedere rosso. Mi domando: perché i napoletani non sono offesi? Perché non si ribellano a quest’abnorme caricatura a cui certa letteratura e il circo dei media li ha ridotti? Perché insistono a voler vivere con rassegnazione in una città dove tutto è alla rovescia, dove i peggiori elementi di Napoli, i mariuoli, i killer, i camorristi presidiano come talebani il territorio? I politici, purtroppo, saranno poco determinanti in questa battaglia, se mai ci sarà, perché i politici fanno, com’è risaputo, solo ciò che la maggioranza vuole fare. I napoletani devono cambiare con le loro mani, e secondo me questo potrà accadere soltanto se proveranno il sentimento della vergogna e dell’umiliazione. Quanti napoletani, però, conoscono la vergogna e l’umiliazione? E mi domando: Saviano li ha davvero umiliati, tutti i mariuoli di Napoli?

Lo so che dire “dimenticare Saviano” fa male, è doloroso. Ma Napoli è tante altre cose, tanti altri mari, tanti altri linguaggi, tanti altri sentimenti. La camorra si umilia anche così: con la buona letteratura, con la gentilezza, con le belle parole, con il mare, con i sogni, con la cultura che si espande nonostante tutto. Non sono anime belle gli scrittori e le scrittrici che continuano a raccontare “un’altra Napoli”. Hanno pari forza e dignità di chi mette le mani nella bocca del leone. Ma la migliore Napoli, la Napoli della cultura, dell’intelligenza, della gentilezza e della legalità deve fare muro. Ovviamente contro la camorra quotidiana e contro i mariuoli, sia in cravatta che in jeans, ma purtroppo anche contro Saviano che, senza volerlo, ha dettato un canone ingombrante e tirannico. Mi perdoni Saviano, l’amico in pericolo in vita, il grande reporter, l’intelligentissimo scrittore (il Re degli scrittori di camorra), ma Napoli deve andare avanti, riscoprire la sua pluralità, riequilibrare i suoi tanti canoni letterari, i suoi infiniti paesaggi interiori.

pubblicato su Il Mattino il 18 giugno 2007

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112 Commenti

  1. “l’unico occhio letterario per cui valga la pena vedere la letteratura, ovvero la sua capacità visionaria e ribelle”

    Forlani, ma se questo è L’UNICO occhio, tu butti a mare fior di scrittori.
    La letteratura di occhi ne ha mille, e quando sono acuti sono tutti buoni, possibile che si debba usarne uno soltanto?
    Faccio i primi nomi italiani che mi vengono in mente, saltanto i giovani e i soliti noti: Savinio, Delfini, Meneghello, Sciascia, per non parlare di Levi, che Saviano, se non ricordo male, ha citato tra i suoi punti di riferimento.
    Quando si comincia a parlare di UNICO io sento una costrizione che fa forse bene alla polemica, ma non bene alla letteratura che ha sempre avuto molti occhi e molte voci.

  2. “per tentare una riflessione sull’oggetto letterario” tu dici?
    mmmm veramente a me i due articoli non hanno dato per niente questa impressione azi … I due articoli che hai postato forse potrebbero essere i più decenti, se non fosse che essendo i due più intelligenti risultano, per me, addirittura i peggiori in questa polemica. I peggiori limitatamente a questa polemica naturalmente, per il resto io sono, ad esempio, lettrice di di consoli e lo stimo, e spesso ne ho parlato nel blog, ma forse proprio per questo mi è dispiaciuto molto leggere questo suo articolo, anche se gli riconosco almeno il merito (solo quello) di aver avuto il coraggio di fare il nome di saviano. Gli altri neppure quello :-(.
    Ad ogni modo stamattina ne avevo gia parlato nel mio blog, chi volesse leggere può andare QUI
    geo
    P.S
    Sul mattino di oggi c’è una leggera inversione di tendenza. Marco Salvia pubblica un articolo: Ma io sto con Saviano, pp. 29, 40

  3. Un vero scrittore napoletano non può che chiedere asilo politico alla Regina d’Inghilterra. Come giordano Bruno. A chi dovrebbe comunicare la millenaria sapienza partenopea in questo paese? Alle mondine?

    L’inchiesta giornalistica poi, più che denuncia, è legittimazione.

  4. “per tentare una riflessione sull’oggetto letterario” tu dici?

    mmmmm a me, sinceramente, non ha dato questa impressione anzi.
    Anzi vorrei dire che i due articoli che hai postato, essendo, a differenza degli altri, abbastanza intelligenti, sono anche i peggiori.
    Riconosco a Di Consoli, che leggo e stimo, almeno il merito di aver fatto il nome del “convitato di pietra” Saviano, cosa che gli altri, pavidi, non hanno neppure avuto il coraggio di fare (pascale compreso).
    Proprio perchè stimavo di consoli devo dire che mi è dispiaciuto moltissimo aver letto il suo articolo e se fossi Saviano io non risponderei neppure, perchè sembra quasi una trappola per farlo intervenire in prima persona ;-).
    Ad ogni modo io ne avevo parlato, di questi articoli, dopo che Bruno Esposito me li aveva segnalati. Ne avevo parlato, e MALE, stamattina. A chi interessasse può leggere QUI.
    Ma lo avevo già segnalato in Bacheca.
    Per il fatto che ci sia (anzi NON ci sia) un unico occhio sono perfettamente d’accordo con alcor.
    geo
    P.S.
    Segnalo che sul Mattino di oggi si avverte una leggera inversione di tendenza e Marco Salvia scrive Ma io sto con Saviano pp. 29, 40

  5. è passato allora riprovo

    “per tentare una riflessione sull’oggetto letterario” tu dici?

    mmmmm a me, sinceramente, non ha dato questa impressione anzi.
    Anzi vorrei dire che i due articoli che hai postato, essendo, a differenza degli altri, abbastanza intelligenti, sono anche i peggiori.
    Riconosco a Di Consoli, che leggo e stimo, almeno il merito di aver fatto il nome del “convitato di pietra” Saviano, cosa che gli altri, pavidi, non hanno neppure avuto il coraggio di fare (pascale compreso).
    Proprio perchè stimavo di consoli devo dire che mi è dispiaciuto moltissimo aver letto il suo articolo e se fossi Saviano io non risponderei neppure, perchè sembra quasi una trappola per farlo intervenire in prima persona ;-).
    Ad ogni modo io ne avevo parlato, di questi articoli, dopo che Bruno Esposito me li aveva segnalati. Ne avevo parlato, e MALE, stamattina. A chi interessasse può leggere QUI.
    Ma lo avevo già segnalato in Bacheca.
    Per il fatto che ci sia (anzi NON ci sia) un unico occhio sono perfettamente d’accordo con alcor.
    geo
    P.S.
    Segnalo che sul Mattino di oggi si avverte una leggera inversione di tendenza e Marco Salvia scrive Ma io sto con Saviano pp. 29, 40

  6. “per tentare una riflessione sull’oggetto letterario” tu dici?

    mmmmm a me, sinceramente, non ha dato questa impressione anzi.
    Anzi vorrei dire che i due articoli che hai postato, essendo, a differenza degli altri, abbastanza intelligenti, sono anche i peggiori.
    Riconosco a Di Consoli, che leggo e stimo, almeno il merito di aver fatto il nome del “convitato di pietra” Saviano, cosa che gli altri, pavidi, non hanno neppure avuto il coraggio di fare (pascale compreso).
    Proprio perchè stimavo di consoli devo dire che mi è dispiaciuto moltissimo aver letto il suo articolo e se fossi Saviano io non risponderei neppure, perchè sembra quasi una trappola per farlo intervenire in prima persona ;-).
    Ad ogni modo io ne avevo parlato, di questi articoli, dopo che Bruno Esposito me li aveva segnalati. Ne avevo parlato, e MALE, stamattina. A chi interessasse può leggere nel mio blog e poi lo avevo già segnalato in Bacheca.
    Per il fatto che ci sia (anzi NON ci sia) un unico occhio sono perfettamente d’accordo con alcor.
    geo
    P.S.
    Segnalo che sul Mattino di oggi si avverte una leggera inversione di tendenza e Marco Salvia scrive Ma io sto con Saviano pp. 29, 40

  7. Riporto qui il mio intervento postato sul blog di Georgia, alla quale va ancora il mio ringraziamento e i miei complimenti per ciò che è riuscita a mettere su in meno di 24 ore.

    La violenta e inaspettata polemica che si è scatenata sulle pagine del maggior quotidiano del sud è semplicemente vergognosa. Vergognosa per le firme coinvolte, per la sciatteria della prosa ( parliamo di scrittori anche affermati ) degli articoli pubblicati, per i contenuti imbevuti di disonestà intellettuale. Alcuni di questi pezzi, pubblicati dal Mattino nella scorsa settimana, sono al limite della diffamazione. Come la subdola insinuazione di Antonella Cilento circa la mancanza di prove sull’involontarietà di un presunto fiancheggiamento alla camorra. Sì, perché, sostiene la Cilento, parlare di camorra come ha fatto Saviano ( mai citato, peraltro ) significa tesserne le lodi, non condannare l’aspetto brutale di questa nuova razza padrona di capitalismo sanguinario. In altre parole, quello che accade a Napoli e al Sud non è colpa delle mafie o della società civile collusa, ma di chi ne racconta e, a loro dire, ne trae immenso profitto. E da notare che nelle stesse pagine in cui erano presenti questi articoli campeggiavano titoli sulla ripresa della faida di Scampia che ha fatto già 61 morti ammazzati in meno di sei mesi. Ma chi se ne fotte, questa è “oleografia dell’apocalisse”, meglio scrivere, come sostiene Di Consoli, delle bellezze partenopee, che ancora ci sono, meglio scrivere solo di ciò di cui si è testimoni diretti, come sostiene Perrella. E con questo l’inchiesta giornalistica, l’opinione sui fatti, la disamina degli avvenimenti, può andare a farsi fottere. Pascale, Perrella, Di Consoli, Cilento, De Santis e perfino La Capria, vorrebbero che si parlasse d’altro. Ma di che ? E perché mai ? L’unica risorsa rimasta intatta a Napoli è la capacità, unica in Italia, di riuscire a non nascondere la polvere sotto al tappeto. Napoli è una città che si mostra per quello che è e si lascia interpretare. E’ veramente l’unica libertà che si respira ancora. Questo illustre consesso di intelligenze vorrebbe tornare all’oleografia da cartolina, raccontare ciò che “sul mare luccica” o limitarsi al resoconto dell’esperienza per valorizzare la letteratura partenopea. Bene ha scritto Marco Salvia stamattina : “ se i libri sull’altra Napoli sono andati male vuol dire che non erano buoni libri”.
    Ma questo non va giù alle mediocri e rancorose firme del Mattino. Saviano ha avuto un successo planetario organizzando in racconto i fatti di cronaca. Cose che erano sotto gli occhi quasi di tutti ma che nessuno aveva mai avuto il coraggio o la necessaria capacità per condensarli in un racconto completo, veritiero ( non verosimile ), appassionante e appassionato, coinvolgente. Lo straordinario talento di questo ragazzino semisconosciuto, un pischello di 28 anni, ha messo in ginocchio le convinzioni di un piccolo esercito di palloni gonfiati, autori tronfi e saccenti, dai “versi senza forza”, buoni solo a pavoneggiarsi nelle presentazioni delle librerie che contano, a esibirsi in patetici esercizi di stile nei raccontini estivi pubblicati dall’unico giornale importante che se li fila. Hanno proposto di “andare avanti dopo Saviano”. Ebbene, non si sono accorti che avanti si sta andando, con o senza di loro. Per fortuna.
    E il discorso non riguarda solo Saviano. Riguarda quello sparuto manipolo di autori, tra cui si infila caparbiamente anche il sottoscritto, che scrivono di camorra come meglio credono, che rischiano in proprio e ci rimettono di tasca propria, altro che vendere “il prodotto Napoli”. Molti di noi non hanno mai venduto nulla, non lo sanno fare. Dovremmo imparare da loro, capire come si fa a far pubblicare da grandi case editrici roba illeggibile, come si fa a stare sui giornali un giorno sì e l’altro pure a sparare cazzate profumate di cultura o come riuscire a farsi mettere a libro paga dell’ufficio stampa del clan dei casalesi.

  8. Suggerisco a Forlani, visto che ci siamo, di postare anche l’articolo di Antonella Cilento, il peggiore di tutti. Non può, non deve passare inosservato. Si assuma le responsabilità delle cose gravissime che ha scritto e/o lasciato intendere nel suo pezzo inserito in questo filone di polemica di basso profilo.

  9. Ho sempre pensato – e glielo ho anche detto, durante una discussione molto accesa di qualche anno fa – che Pascale foss uno degli scrittori più retorici, vuoti e moralistici (nel senso peggiore del temine) che ci siano. E questo pezzo lo dimostra. Complicità dello stile? Perché Saviano si è inventato una lingua non paludata, uno stile rabbioso che non fa il verso a nessuno, sarebbe complice? perché chiama le cose con il loro nome? o, forse, sottotraccia c’è la solita, atroce, accusa, che alcune ipocriti gli muovono, di aver reso popolare la camorra (come non lo fosse già stata da tempo, di suo, come dice anche De André in Don Raffaè). Se è così, che almeno lo dicesse senza girarci attorno. E che vuol dire poi che è inutile? Non cambia niente, qundi non scriviamone? Questo vuol dire?
    Quanto a Di Consoli, che dire? Il fatto che parli di “sindrome delle anime belle” dice già tutto. Che tornino, allora, come il personaggio di un vecchio romanzo di (un ancora giovane? impegnato? insofferente? non conciliato?) La Capria, a perdere le loro giornate al Circolo Nautico, a discettare di sole, mare, belle donne e anima partenopea.

  10. carissima Alcor
    tocchi, come sempre mi verrebbe da dire, il punto cruciale della querelle Saviano. Al di là dell’opera, che aveva come tu sai, costretto gli uni e gli altri a schieramenti, quello che ha dato più fastidio è stato l’articolo su Repubblica, dove Roberto annunciava una posizione “differente”. Il suo essere differente era già nel porsi al di fuori del clima “consensuale” in cui si fa letteratura in italia. Una letteratura della premura. popolata da geometri e ragionieri, che un giorno si e un altro si sono lì a dirti che c’è posto per tutti, che la torta è grande, e le briciole milioni. Per centinaia di migliaia di scrittori in erba, arbusti di sottobosco che popolano le fiere dei libri con lo zainetto invicta pieno di opere prime. Se allora io ti dico che un’opera deve essere visionaria e ribelle, o non lo è non voglio mica dire che bisogna bruciare gli altri libri! per carità! A condizione che si chiamino libri, ma non opere, scritture, non letteratura. Perchè devo nel nome del poetically correct considerare melissa P e Melville come una sequenza alfabetica da mettere sullo stesso scaffale senza poter dire questo mi appartiene quest’altro no? Lo stato pietoso in cui versa la critica letteraria, l’editoria, il giornalismo culturale, in italia non lo inventa chi “denuncia” lo stato delle cose. Lo inventano loro, mezzi talenti e mezze tacche che attraversano i cimiteri letterari per dirci cosa è o cosa non è letteratura. Se permetti trovo più scandalose le top five stilate da Silvio Perrela (vd il suo articolo linkato insieme a tutti gli altri sul sito di Georgia) alla luce dei poteri che rappresenta e che non servono “le nuove cause del popolo”. Trovo aberrante l’articolo di Antonella Cilento- ma detto da me non è una novità- e mi fa pena il paesaggio editoriale in cui ci troviamo.
    La polemica letteraria che appare sui giornali è solo la punta di un iceberg ormai senza più corpo, incapace di affondare alcunchè, e destinato a fondere, divenuto esso stesso Titanic con a bordo solo scialuppe per i vigliacchi.
    effeffe

  11. Così non va, o andrà come con Giacomino: la crociata finisce in sagra (del ridicolo).
    A non moderare i toni, si resta senza voce.

  12. Personalmente trovo ipocrita (gara dura, selezionarne uno tra i tanti) soprattutto Andrea Di Consoli, con la sua retorica del “ma le vere questioni sono altre” e il suo neanche tanto velato appello al pentimento a quanti hanno fatto una (legittima, dal loro punto di vista) bandiera dell’avversione alla cosiddetta “dittatura del realismo” – e che però hanno speso e si sono spesi, come tanti altri “realisti”, per Saviano. Come dire: “avete visto dove si finisce, a sponsorizzare taccuini vitalistici ed effetti pulp: alla retorica dell’apocalisse: e dunque…”
    Ieri, almeno, per finire sugli Annali bisognava dar fuoco ai templi. Sparare (metaforicamente) su Saviano, se ti accontenti di pagina 39 del “Mattino” o di una voce su Wikipedia, è più facile.

  13. @georgia
    come ho scritto sul tuo sito poco fa hai fatto uno splendido lavoro di “raccolta”. Ho postato i due articoli che mi hanno mandato Antonio e Andrea e mi limiterò a questo. Se Antonella Cilento mi mandasse il suo – e sono sicuro muore dalla voglia di farlo- non lo metterei, per nessuna ragione al mondo. Non sono colluso, ne è una, e non sono pirla.
    Ho sentito Franco De Core quest’oggi per avere lumi su tutta la sequenza e quando mi dice che suo intento non era fare della sterile polemica io gli credo,così come credo che la nostra conversazione pubblicata qualche tempo fa su lipperatura era un intervento valido. carissima Georgia qui dei quattro, me, andrea di consoli,antonio pascale, franco de core, nessuno ha teso trappole. al massimo una gamba, io, come continuerò a fare fino a che la morte dell’anima non mi colga (ma per questo dovranno aspettare tutti un bel po’)
    effeffe
    ps
    ho sentito roberto, è in viaggio come me. A me ha risposto. Spero proprio lo faccia anche agli altri

  14. carlo chi deve moderare i toni il mattino o noi qui nel colonnino?
    Ma è una domanda retorica perchè, lo so, tu risponderai sicuramente il mattino, visto che la crociata per la terra santa della letteratura incontaminata l’hanno fatto loro ;-)
    geo

  15. Georgia
    vedere i tuoi commenti campionati mi fanno un effetto esilarante!!!
    effeffe
    ps
    spero che gli autori intervengano, a questo punto

  16. “maestrini della nuova sinistra, letteratura, per non parlare di sedicenti scrittori, mediocrità venduta al chilo insieme ai loro atelier di scrittura”

    “La violenta e inaspettata polemica che si è scatenata sulle pagine del maggior quotidiano del sud è semplicemente vergognosa. (…) Alcuni di questi pezzi, pubblicati dal Mattino nella scorsa settimana, sono al limite della diffamazione” (…). “Antonella Cilento (…) si assuma le responsabilità delle cose gravissime che ha scritto”.

    “la solita, atroce, accusa, che alcune ipocriti gli muovono…”

    “Per centinaia di migliaia di scrittori in erba, arbusti di sottobosco che popolano le fiere dei libri con lo zainetto invicta pieno di opere prime” (questo è davvero irriguardoso verso il silenzioso e dimenticato lavoro della scrittura popolare, ndr)

    “Sparare (metaforicamente) su Saviano…” (e meno male la parentesi, ndr)

    “La crociata per la terra santa della letteratura incontaminata…”

    Proprio sicuri di non voler alzare i toni?

  17. (questo è davvero irriguardoso verso il silenzioso e dimenticato lavoro della scrittura popolare, ndr)
    scrive lui
    -ma forse abbiamo un’idea differente del “popolare”- feci io.
    best regards
    effeffe

  18. Per quanto mi attiene non vedo perchè non debba usare gli stessi toni usati, per dirne una, dalla Cilento. Non avete letto l’articolo e quindi capisco le perplessità. A parte l’affetto che mi lega a Saviano, mi sono sentito colpito in ciò che mi è caro e in cui credo. Lottare contro la camorra, a modo proprio, amici, non è proprio come fare un torneo di calcetto. Non so se mi spiego. Qui siamo in un clima da dittatura, mettersi contro significa rischiare parecchio. E il sottoscritto ha rischiato, sapendo in partenza che non ci sarebbe stato nulla da guadagnare, se non il rispetto per sè stesso. Perchè un modo per rialzare la testa è gridare la propria rabbia, come ha fatto Roberto con il suo “maledetti bastardi, sono ancora vivo” o come il sottoscritto, che ha deriso i boss e il loro mondo solo per il gusto di ridergli in faccia. Poi viene la Cilento e parla di spazzatura di strascico a Gomorra. So bene che non si riferisce a me, che sono un signor nessuno, pubblico con un editore minuscolo al limite dell’invisibilità, ma faccio le mie piccole cose con passione e onestà. Lei, che usa un incendio a una biblioteca per far parlare del suo ultimo libro ( fra trecento bruciati ) può dire lo stesso ?

  19. no, i toni si alzano eccome, lo vedo anch’io ;-)
    Ma tu parlavi di crociata che finisce in sagra e allora… obbiettivamente la crociata non è venuta da chi ora alza i toni.
    Il mio “La crociata per la terra santa della letteratura incontaminata” non era un tono alto, era chiaramente un tono basso, ironico e scherzoso in risposta al tuo tirar fuori niente po po di meno che le crociate :-).
    Del resto per me la letteratua non può essere mai incontaminata (e tantomeno santa) sarebbe una contraddizione in termini.
    O.C, Mi accorgo ora di averti attribuito il commento di carlo, me ne scuso … a meno che tu non sia anche carlo

  20. Caro effeffe,
    vorrei riuscire a fare un commento pacato, facendo un po’ di distinguo e senza giudicare nessuno.
    Quando si parla di Saviano si intrecciano sempre parecchie cose.
    E forse sarebbe utile separarle.
    Delle invidie e gelosie io non so nulla direttamente, ma ho letto parecchie delle polemiche che ci sono state in rete, vorrei lasciarle stare, per un momento. Anche se sono intrinseche al senso del tuo post.
    Saviano ha scritto un libro efficacissimo, io l’ho letto appena è uscito e ricordo con chiarezza la notevole forza dell’attacco, tanto che ne ho subito regalate alcune copie in giro.
    Poi, procedendo nella lettura, ho visto anche quelli che a me paiono difetti, il che non toglie nulla alla forza del libro e soprattutto alla forza con cui ha colpito i lettori.
    Spero di poterlo dire, questo, senza attirarmi gli insulti di nessuno, spero che si possa liberamente e pacatamente dire anche questo.
    Perché se si parla del libro di Saviano come di letteratura SI DEVE poter esprimere con sincerità e libertà sia l’elogio totale e adesivo, sia il giudizio molto critico, sia il giudizio articolato che metta in rilievo pregi e difetti.
    Se di Neve, di Pahmuk, dico che alla fine mi ha annoiato (come è stato) nessuno mi aggredirà, tutt’al più mi si dirà, non sono d’accordo, a me è piaciuto tutto e moltissimo.
    Questo nel caso di Saviano è oggettivamente impossibile. E vuol dire che è un libro che travalica la discussione letteraria e riguarda invece molte altre cose che hanno a che fare non solo con la camorra, ma con ambienti napoletani, con ambienti e schieramenti editoriali principalmente napoletani, con prese di posizioni e sentimenti extra-letterari.
    Io non so qual’è il clima”consensuale” con cui si fa letteratura in Italia, davvero, mi sfugge totalmente. Celati, fa parte del clima “consensuale”, per esempio? Non credo tu intendessi lui, chi allora?
    Perché se parliamo di operine fragili, di scritture fragili, ne postate tantissime anche qui, e legittimamente.
    Quindi, o si fa la guerra a OGNI scrittura modesta, o invece, più saggiamente, si accetta che esistano tanti “zainetti invicta pieni di opere prime” come li chiami e tanti “mezzi talenti” che sono sempre esistiti e dai quali, ogni tanto, esce un autore di vaglia.
    I mezzi talenti, tanto disprezzati, e pochissimo amati da me che son vecchia e vorrei passare il mio tempo a leggere capolavori, sono anche il brodo dal quale escono a volte anche alcuni ottimi pezzi di bollito.
    Questo se la discussione fosse NORMALE.
    Ma non lo è, qui c’è altro.
    Allora, AUT si fa una discussione sulla letteratura e il realismo in letteratura, AUT si fa una discussione sulle polemiche, le reazioni, le amicizie e inimicizie, i maneggi e i contromaneggi intorno a Saviano Aut (c’è un irrituale terzo AUT) si parla di società e delle malefatte della politica..
    Se si parla di letteratura, resto, se si parla del solo libro di Saviano con pacatezza, resto, se si parla delle malefatte della politica resto, se è una guerra intestina, non conoco le parti in causa e penso che non contribuisca a rendere l’aria respirabile.
    Detto questo, a Saviano persona va tutta la mia solidarietà, a Saviano scrittore il mio critico apprezzamento.
    A chi lo critica, tra gli scrittori citati, direi questo:se lo criticano limpidamente, lui o la sua linea di scrittura, penso che debbano poterlo fare con tranquillità, se lo fanno per ragioni ignobili, beh, in questo caso sono ignobili.

  21. @bruno

    “Non so se mi spiego”. Be’, ognuno lotta a modo suo. Nella nazione milanese, nella nazione partenopea o altrove.

    Oggi, per esempio, stavo tornando a casa in macchina. Mi accosto a uno abbronzato e tatuato (probabilmente lo defineresti un camorrista). Mi sembra che il tizio voglia fare retromarcia, glielo dico, uso un tono calmo, civile, fin troppo educato. Parlo in italiano.

    Lui e il compare mi rispondono tra i denti, in dialetto. Non capiscono; per loro la cortesia è un’offesa. Dicono ‘culattone’. Hanno sguardi cattivi e pronti a scendere dalla macchina per spaccarti il culo.

    ‘Culattone’, per loro, è l’unica definizione utile a rappresentare chi porta gli occhiali e i capelli un po’ più lunghi del normale. E’ da sempre così.

    Allora li saluto, arrivederci, tante buone cose e me ne vado.

    In Albania lo chiamano Kanun, è un codice d’onore.

  22. La questione posta da questi signori non ha alcuna base di dissenso o di critica. Certo che si può, e forse si deve, criticare Saviano. Ma non è affatto vero che a Napoli si scriva solo di camorra o rifiuti. Lanzetta, che ritengo in assoluto il precursore di questa letteratura, scriveva di Bronx e di Scampia vent’anni fa. Oggi ha pubblicato un libro, Giugno Picasso, completamente diverso dai suoi esordi e, in genere, dal suo stile. Lo stesso dicasi per De Luca, Parrella e, qui il paradosso, delle stesse firme che suggeriscono di “dimenticare Saviano”. Ma lo dimentichino loro, scrivano loro libri validi, cambino la “tendenza” col talento, se ne sono provvisti e se ne sono capaci. Napoli trabocca di narrativa ( putroppo non tutta di qualità ), ognuno scrive o legge secondo i propri gusti e le poprie scelte. Perchè questa polemica che sa di montatura se non di vero e proprio boicottaggio ? E perchè questi toni così accesi, al limite della diffamazione ? Perchè non rispettare chi scrive di camorra, prima durante e dopo Gomorra ?

  23. carissima Alcor
    non so cosa dirti. La penso come te. Ma a differenza di te mi incazzo. E se ti dico che uno come Celati è esattamente l’anticorpo al consensuale – prove ne sono la sua fortuna e grandezza letteraria ai margini e la sua vita, anti accademica- questa me la fai passare?
    Il dramma letterario italico- giuro che nella mia piccola ma pur sempre consistente esperienza internazionale non ho visto nulla di simile- ci si accapiglia sul termine “scrittore”. Ovvero, a prescindere dall’opera che si deve scrivere – perchè certe cose non te le imponi come un corso di shiatsu o di meditazione alternativa- si vuole essere scrittori.
    Fanno gli scrittori senza letteratura.
    Baricco annuncia una nuova collana di libri senza opere (ci dice che gli scrittori sono esordienti, che i manoscritti non sono editati, ma imperfetti, scritti con inchiostro nero e rilegati)
    Per il resto on est d’accord. C’est grave?
    effeffe

  24. @O.C.
    Capisco. Ma il tuo è un esempio che vedrei accostato a “Sabato” di McEwan e non a Gomorra. Lo so che la violenza dilaga. Ma il fenomeno mafioso è altra cosa. Quando la mafia vince c’è pace. In altre parole, quei due che hai incontrato sono teppisti e non camorristi. Un camorrista ti avrebbe sorriso e fatto strada con gentilezza.
    Un solo episodio, per non annoiare.
    In questi giorni ci sono per strada manifesti giganteschi che pubblicizzano la mostra pittorica di un tale Tommaso Prestieri. Ha esposto in una chiesa in pieno centro, a pochi passi dal Municipio e si apprestava a esporre alla fiera d’Oltremare, con tanto di patrocinio della Provincia di Napoli.
    Hanno scoperto, ma già tutti lo sapevano, che si trattava del capo dell’omonimo clan di Secondigliano, uscito dal carcere da qualche mese. In tutta fretta hanno proibito la mostra in spazi pubblici. Ce l’aveva quasi fatta. Molti nutrono dubbi sulla sua redenzione, altro non posso e non voglio dire.
    Questa è la camorra, ecco il mio “non so se mi spiego”.

  25. E se il problema di Saviano fossero i suoi amici?
    Cioè quelli che hanno voluto trasformarlo a tutti i costi in una bandiera e che a cominciare da qui ne fanno un sdantino intoccabile?
    Al di là delle invidie eventuali (meschine, lo sappiamo), forse c’è anche un comprensibile risentimento da parte di scrittori che sono irrimediabilmente sorpassati dall’icona – elemento extra letterario e secondo me anti letterario –
    In altre parole, secondo me ha ragione Alcor.

  26. @ OC

    usare un’espressione retorica, e aggiungerci una parentesi per rimarcare che è un modo di dire, non mi sembra “alzare i toni”.
    Cmq: vediamo se così sembra più pacato e riflessivo.
    Di Consoli ha usato due tropi. Il primo è sintetizzabile nella formula “le vere questioni sono altre”. Come tutte le espressioni verbali, il senso di una frase è determinato dal contesto e dal parlante. Quell’espressione denota, ad esempio, un’intenzione divagatoria se detta in “sindacalese” o da un dirigente diessino (formule che si imparavano alle frattocchie). Noi meridionali (sottolineo il NOI) la usiamo con un senso più marcato, che a volte sfiora l’omertosità (chiedi a un abitante di un paese impestato da mafia o camorra cosa ne pensa, e il più delle volte ti dirà che le vere questioni sono altre). Diciamo che Di Consoli, a volergli concedere la buona fede, ha usato un metro retorico infelice.
    Il realismo: in quest’anno c’è stata una formula vincente per scrivere contro Gomorra. Si parte dal presupposto (c’è bisogno di dire che è falso? Si, probabilmente c’è bisogno) che Gomorra sia un noir mal scritto e commissionato dal mercato, si scrive un pezzo buono per stroncare un noir purchessia, e lo si completa con quattro citazioni di Gomorra orecchiate in rete. Funziona talmente bene che non c’è neanche bisogno di leggere Gomorra. Diciamo, sempre per voler concedere la buona fede a Di Consoli, che questi ha usato gli stessi argomenti dei peggiori diffamatori di RS. E dà l’impressione di voler dire ad alcuni suoi estimatori: ma non vorrete continuare a stare nel campo dei realisti. Francamente poteva cercare altri argomenti.
    Ecco, diciamo che leggere articoli scritti in maniera così sventata mi irrita. E credo irriti non solo me. Da cui l’ipertensione, l’innalzamento dei toni, ecc.

  27. Scusi Binaghi, perchè questo risentimento sarebbe “comprensibile” ?
    Per il resto le dico che anche io concordo con Alcor.

  28. @effeffe

    Non è grave, no:–)
    Se avessi buona memoria citerei un articolo piuttosto curioso di Fofi, (spero che sia lui, ma mi pare proprio di sì) in toto o in parte sugli scrittori napoletani, dove alla fine diceva una frase un po’ provocatoria del tipo, il buon vero scrittore verrà dal Nord.
    [Se qualcuno trovasse l’articolo, meglio]
    Io l’ho interpretata così: è troppo facile, paradossalmente, scrivere a Napoli e di Napoli, l’incandescenza della materia inquina.
    Uno scrittore che non si trovi sul tavolo una materia così incandescente dovrà spalare vagoni prima di trovare qualcosa di buono, e allora rischia di essere ottimo.
    Detto altrimenti, ci vuole silenzio, per scrivere.
    Il rumore dei giornali non aiuta, e non aiuta il frastuono delle polemiche.

  29. OT: memento per Georgia e tutti (da “problemi e soluzioni”)

    Se vedi che i tuoi commenti non vengono pubblicati subito, potrebbero essere stati sospesi da Akismet. In questo caso non insistere a inserire sempre lo stesso commento, non cercare di “dialogare” col sistema: si tratta di un falso positivo che verrà sbloccato alla prima occasione, di solito entro 48 ore

  30. Una chiosa al mio commento sopra, che potrebbe essere criptico: lasciatelo in pace, questo ragazzo, perchè tutti lo tirano per la giacchetta e prima o poi dovrà pur scrivere un secondo libro. O volete che resti l’autore di un libro solo? Se si va avanti così è un rischio vero.

  31. OT per effeffe et al.

    Uno scrittore, che io sappia, non dice di essere scrittore, né al mondo né tanto meno a se stesso. Uno scrittore scrive, e bene, e basta. Altrimenti, che io sappia, non è uno scrittore, anche se afferma, o crede, di esserlo.

  32. Temo di aver capito, forse perché frequento poco, il decorso della malattia: parte con uno sfogo, si condensa in isterismo collettivo, e finisce con un nulla di fatto. Ad es., si parte con una crociata contro l’industria culturale, si carica carica e… si finisce con la sagra dell’editor! Oppure: ci si scaglia contro le pagine culturali, si piange sulla salma del Conte e… s’imbarca D’Intino coll’assegno del Berlusca!
    Già presento il finale: e come Lui si rigirò nella bara, Roberto si ritirerà nel basso.

  33. OT correndo rischi altrettanto seri due lustri fa un medico genovese fuoriuscito indagò a fondo il mondo meno criminale in senso stretto,ma forse persino più pericoloso,della sanità con due libri a mio dire acrobatici:”Camici e pigiami”,e viceversa.Mi piacerebbe sapere se è cambiato qualcosa da allora,ma temo di conoscere una risposta che chiunque potrebbe fornirmi

  34. sempre meglio della tua leccaculaggine Forlani, che sei capace solo di accodarti a chi qualcosa ha detto e fatto non dicendo mai nulla, ma continuando a strombazzare quel nulla e sperando di essere omaggiato della luce riflessa di chi brilla. La tua pochezza letteraria trasuda ad ogni riga che scrivi e ancora peggio è questo tuo camuffarti dietro Celine o altro scrittore per regalarci la tua indignazione – gratuita e velleitaria. Dovresti prima imparare educazione e cultura, invece d sperare nell’abbaglio di chi scambi per bellezzai questo piccolo citazionismo da contadino appena alfabetizzato!

  35. Quello di Saviano è un libro di letteratura, come lo era l’arcipelago gulag.
    Sulla Cilento è meglio tacere!

  36. Prendiamo il caso + eclatante. Il signor Pascale osa criticare Saviano per invidia ma anche per incredibile presunzione. Pascale è uno scrittore (!) mediocrissimo che solo una critica ottusa e formalistica come la nostra ha potuto trattare come un vero scrittore e perfino premiare. Lui (insieme al suo conterraneo Piccolo) ha fatto la scalata dei salotti romani. I due guaglioni si ammanicano con questo e quello (come sanno fare solo certi napoletani) con una spregiudicatezza e un rampantismo davvero unici. Alla larga da questa gente!

  37. non so se sia per invidia che pascale critichi, l’invidia è abbastanza naturale in questi casi e per nulla rara e direi neppure da prendere in considerazione, credo piùttosto che lo faccia per bisogno di visibilità :-)
    Ognuno fa quello che può, qualcuno è visibile perchè scrive un bel libro altri perchè criticano un bel libro.
    geo

  38. aggiungo che a criticare un brutto libro sono capaci tutti, a criticare un bel libro ci vuole per lo meno, competenza, intelligenza, sapienza e anche una dose di spregiudicatezza eretica e forse è proprio questa che manca ai nostri, anzi ci vedo tanti di quei luoghi comuni patrimonio di una borghesia così piccina che al confronto quella del passato appare gigantesca. Ci vedo tanta di quella banalità, a un tanto al chilo, che la cosa mi rende veramente molto triste.
    geo

  39. non so, ho già detto troppo sulla questione. Collezionando fraintendimenti.
    Pascale me lo presentò a caserta un mio amico libraio mentre era assorto a esaminare i titoli nello scaffale economici. Ci siam detti niente, ma non m’è sembrato antipatico. Né ho letto niente di suo, quindi boh. A suo danno potrebbe starci il mettersi a disposizione del Mattino, che è cacca, firmandone un articolo. Che però in se non è bruttissimo.
    “Per molti di noi, Napoli è una città che sta diventando capro espiatorio”: in sostanza, credo che questo sia vero. Almeno sento che per me lo è, intimamente.
    Però non mi piace sparare nel mucchio, #Jo Lombata.
    Piccolo, per esempio. Cosa ci azzecca in questa storia. Non che voglia difenderlo, per carità. Però…
    Piccolo scrisse un gioiellino che lessi appena uscì, mentre finivo il liceo. Storie di primogeniti e figli unici, feltrinelli. Era un libro asciutto, limpido. Alcuni racconti ancora li ricordo, quello dell’ombrello, me li porto dietro, intimamente again.
    Uno di quei libri che leggi in un paio di giorni e poi regali all’amico di banco, o alla fidanzata, perchè non sapresti fare di meglio, perchè in più aveva quella “casertanitudine” che, nel bene e nel male, condividevamo. Borghese sì, della dimensione del cognome dell’autore. Immerso in questo caldo m’è venuto in mente, il racconto del dito che indica la luna. Per me diciottenne era struggente, forse quello che succede con Moccia adesso alle ragazzine, in realtà non lo so. Comprato alla libreria Guida, mi ricordo ancora. Non ho più letto niente di Piccolo, ma penso che quelle storie facciano parte di queste parole più di tante altre cose. Sai quale era all’epoca l’appeal di questo libro, secondo me? Nessuna velleità spettacolare. Nessuna sintesi del creato. Un ottimo prodotto editoriale, a cominciare dalla copertina, sobria.
    Non riesco a coinciliare la “scalata dei salotti romani” o una “spregiudicatezza e un rampantismo davvero unici” di cui parli, #Jo Lombata, con il ricordo che ho di un prodotto di valore. Che – e ne sono realmente convinto – passerà indenne il giudizio del tempo.

  40. Quando vidi per la prima volta la copertina di Gomorra, sparata in vetrina alla Feltrinelli, ebbi un sussulto. Tutti quei coltelli rosa… Speravo fossero le memorie di una femme dominante. Invece era solo un’inchiesta giornalistica sull’omoerotismo. Tutto quello che i maschietti fanno ma non dicono. Con la benedizione delle mamme.
     
    Gomorra una funzione sociale l’ha avuto. Ho visto gente in treno darsi un tono fingendo di leggerlo, sempre buttando l’occhio sul mio Vanity Fair, aggrottando il ciglio. Spettacolo senza precedenti.
     
    Vuoi combattere la mafia? Getta colori acrilici sulle grisaglie di questi trans.

  41. @Jo Pascale e Piccolo…. Due marpioni sempre a caccia di entrature nelle case editrici, nelle radazioni di giornale, nei salotti letterari… è verissimo!

  42. I Maestri Francesco Forlani, Marcello Buonomo (lavieri) e Andrea Semerano (la camera verde) sono in pellegrinaggio presso della casa di Enrico Malatesta (trad. Testaccio), in quel di S. Maria Capua Vetere.
    Ogni contatto con la rete sarà ripreso stasera dalla storica libreria Spartaco.
    Invito comunque tutti alla automoderazione (anche chi non ha la patente).
    ff

  43. Morgillo,
    io ho visto una guardia giurata delle mie parti che leggeva Gomorra e a occhio e croce, nel suo piccolo, in cuor suo, pensava: vedi in che cazzo di mondo, in che minchia di città vivo. Qui tutti pro o contro, ma come dicevano gli antichi, in medio… ops. Troppo menscevico, eh?

  44. L’articolo di Di Consoli mi genera un certo imbarazzo.
    Pascale dice altre cose, più serie.
    Si usa molto la parola Letteratura e la parola Arte.
    Io non la userei.
    Non solo in questo contesto, mai.
    C’è una questione, legata alla comunicazione e all’intrattenimento, che riguarda l’”epica criminale” cui fa cenno Pascale, che mi interessa.
    La sensazione che ho è che il libro di Saviano, che come molti ho apprezzato e sul quale, come molti, avrei delle obiezioni (marginali?) da fare che non faccio, non ostante la carica di “denuncia” che contiene, sia in fondo intrattenimento.
    Questo perché Napoli intera è intrattenimento e non da oggi, da sempre.
    E perché, particolare non trascurabile, TUTTO E’ INTRATTENIMENTO, soprattutto ciò che appare come altro da noi, soprattutto ciò che rientra nelle categorie di Ricchezza, Povertà, Criminalità & Sesso.
    Il Grande Ripieno sociale, di cui tutti facciamo parte, ama essere intrattenuto dalla narrazione dell’altro da sé: per questo fiorisce la narrazione criminale e “gialla” e “noir”, per questo la reality fiction dell’opera di Saviano ha avuto un enorme successo, perché, inevitabilmente (ripeto “inevitabilmente” e senza togliere niente alla qualità del libro) intrattiene.
    Intrattenimento è soprattutto sommovimento emozionale, però senza coinvolgimento profondo, è salutare scossa nervosa, ma non troppo violenta né troppo prolungata, altrimenti fa male.
    Altrimenti tendiamo a rifiutarlo.

    La domanda legittima è: perché Napoli non si ribella?
    Non sono napoletano, ma una risposta ce l’avrei ed è molto banale: perché ha bisogno in ogni caso di continuare a vivere, perché oltre un certo limite ciascuno di noi chiude gli occhi, si volta dall’altra parte e continua finché può la sua vita.
    Vita che si può narrare senz’altro, a patto di narrare tutto, compreso il disagio di vivere in una città (che è solo un caso limite di una realtà ormai generalizzata all’intero Paese: Napoli è uno specchio per tutti noi) presidiata da potenti organizzazioni criminali, i cui segni in città sono ovunque. Ripeto, ovunque.
    La domanda che segue subito dopo è: cosa significa ribellarsi? Come fa una città a “ribellarsi” al crimine?
    Secondo me non significa nulla: le città non si “ribellano”, è la classe politica che esprimono che, in determinate condizioni, può lottare efficacemente e sconfiggere il crimine.
    Una città può esprimere questa classe politica oppure no, può appoggiare questa lotta oppure no.
    Lì sta la differenza.
    Napoli appoggerebbe una VERA lotta alla camorra (che comporterebbe della VERA REPRESSIONE)?
    Io non so rispondere.

  45. rammento, per inciso e perché mi è venuto in mente, che il critico Gino Visentini fu licenziato dal quotidiano Momento sera, mi pare, per aver scritto una critica positiva al film di Francesco Rosi, Le mani sulla città.
    allora tutto era più chiaro e in un certo senso più facile.
    Andreotti a proposito di Ladri di biciclette disse che i panni sporchi si lavano in casa.
    per dire.

  46. questa polemica mi sembra una timida variante di quella che provocò sciascia col suo pezzo di 20 anni fa su “i professionisti dell’antimafia” (che potremmo magari chiamare “i professionisti dell’anticamorra”), e dà voce a un’insofferenza sommessa ma molto diffusa verso la costruzione del santino laico di saviano, che imporrebbe col suo enorme successo sia dispotici canoni letterari che virtuosi modelli comportamentali cui uniformarsi.

  47. Vorrei dare un mio contributo a questa discussione.
    Quando lessi il testo che sarebbe diventato Gomorra – tra le moltissime altre cose – due mi colpirono in modo particolare.
    1) Il racconto dei fatti e misfatti, degli eroi di questa feroce epopea riportava continuamente a modelli e stereotipi proposti dai massmedia. Dalle ville hollywoodiane dei boss, all’abbigliamento accuratamente scelto per farsi arrestare davanti alle telecamere, dal modo di sparare col braccio ruotato di 90 gradi (frutto della visione dei film di Tarantino e di simli-para-cripto-Tarantini) e molte moltissime altre cose.
    (Ieri pomeriggio chiaccherando con Robero e guardando delle foto di un gruppo di mogli di camorristi, ci dicevamo che ci facevano immediatamente venire alla mente delle scene di Goodfellas.)
    Insomma, uno degli elementi fortissimi di Gomorra è questa capacità di mostrarci come la cronaca nera quotidiana interagisca con modelli e contenuti cinematografici e/o televisivi. E la cosa interessante è vedere come questo movimento sia sinuoso, articolato e prvo di un punto di arrivo finale: dal film al boss arrestato ai ragazzini che si inviano sui cellulari la foto dell’arresto e poi le leggende sull’arresto e poi ancora e ancora fino a chissà dove.
    2) Spesso sento accusare Gomorra di avere un carattere quasi “pornografico”, di veicolare un’immagine morbosamente fascinosa, pruriginosamente malata della realtà umana, socieale, economica e civile che si agita dentro e intorno a Gomorra e di non avere un registro di univoca e chiara condanna. Ora – se proprio devo essere sincero – trovo che proprio questo sia uno degli aspetti più cruciali e rilevanti del libro: mostrare la Camorra non come un’Idra schifosa e repellente, ma come un animale feroce ma capace di affascinare, letale e pericolosissimo ma in grado di conferire un alone di mito e di senso a un universo che ne è totalmente privo. Penso che questo sia formidabile, perché se – fra le altre cose – vogliamo capire il fenomeno camorra, bisogna capire DAVVERO la testa di chi ci entra, di chi ne è anche irretito, di chi ne fa un oggetto di ammirazione e di emulazione. Per capire il Male bisogna vederlo nella sua totalità, anche in quegli aspetti, magari ambigui, ma che sono effettivamente in grado di esercitare attrazione, bisogna vederlo con gli occhi di chi ci vive dentro (e magari ci entra dentro) e non solo con quelli di chi da fuori e a posteriori lo condanna e lo esorcizza.
    Questo mi ricorda la mia personale esperienza di un paio di decenni fa, quando assistevo incredulo alle campagne antieroina nelle quali il buco era rappresentato come una merda assoluta, come un schifezza metafisica e basta. E intanto tutto intorno a me vedevo ragazzi morire come mosche affascinati, irretiti, conquistati da quella cosa che con ogni evidenza ai loro occhi non rappresentava solo la merda e lo schifo assoluti. Anzi, ahimé…

    Insomma quello che vorrei sottolineare in queste righe disordinate e poco organiche è che un grandissimo pregio di Gomorra ai miei – se vogliamo, stolidi – occhi di settentrionale è stato ed è quello di mostrarci gli aspetti quasi seduttivi di questa Bestia, i modi con cui la sua leggenda si riproduce, i meccanismi grazie ai quali i suoi modesti protagonisti diventano eroi agii occghi degli innumerevoli bambini e ragazzini che assistono quotidianamente allle loro gesta.
    In tal modo ho avuto l’impressione (magari superficiale, magari sbagliata) di aver non solo visto, registrato, assorbito un fenomeno così terribile e misterioso per me che me ne vivo tranquillo nella rossa Sesto San Giovanni, ma di aver cominciato anche a CAPIRLO.
    Ancora scusate per la prolissità e la scarsa organicità di queste righe.

  48. […] allargato e poi inquinato il senso di Gomorra, ha prodotto l’onda anomala. Mi sembra che gli interventi di Pascale, di Di Consoli e di molti altri scrittori sulle pagine de “Il mattino”, fondamentalmente abbiano adottato […]

  49. Però secondo me Brugnatelli ci prende.
    Anch’io ho visto questo in Gomorra, anche secondo me mostrare il potenziale di attrazione mitica della Camorra è il suo pregio migliore.

  50. Nel mai troppo rimpianto Pcus, ogni intervento, a maggior ragione quelli contenenti un lieve dissenso, dovevano aprirsi così: “Premesso che sono d’accordo con la relazione del Segretario generale…”.
    Io, che a quelle cautele ho imparato a dare ascolto, prima di dire due cose a Nazione Indiana su questa tarantella, vorrei premettere che “stimo Saviano e ho amato il suo libro, ne invidio il successo e lo ritengo una delle voci più significative dopo Pasolini”.
    Salvatomi il culo, vorrei dire che, secondo me, vi state pigliando a capelli su cose vecchie. Intanto la camorra ha digerito Gomorra; il potere esplosivo della parola si è ammosciato. Svelare il meccanismo per indebolire il sistema? L’intento è fallito. La melassa che tutto ingloba e che da queste parti tiene tutto dentro (killer e commercialisti, spacciatori e panettieri, mariuoli e guardie, taglieggiatori e taglieggiati) ha fatto un boccone di Gomorra e lo ha trasformato da libro di denuncia in libro di osanna. La camorra alimenta il mito di se stessa; ha smantellato quelle pagine e si è glorificata della sua capacità di essere best seller. Dopo tonymontana/ alpacino di Scarface, dopo il professore di vesuviano/bengazzara del Camorrista, dopo il quotidiano popolare di nera che diventa il bollettino involontario dei clan, è arrivato Gomorra che, senza volerlo, ha moltiplicato audience e rispetto.
    Capisco che non piace sentirlo ma è successo. E gli scrittori della realtà non devono negare la realtà. Piuttosto interrogarsi. Saviano potrebbe scrivere qualcosa su questo (bel gesto pasoliniano di sparigliatura): che ne ha fatto Napoli di Gomorra?
    Qui le cose sono due: o si scrive per essere utili o si scrive per scrivere. Se si scrive per essere utili allora questa va verificata, misurata, pesata. Nel caso, sconfessata. Se si scrive per scrivere (laddove questo significa etica ed estetica) allora ognuno si muove nel suo orizzonte.
    E qui, questa penosa polemica tra scrittori maior (impegnati) e scrittori minor (fru fru) sa di vecchio. Il gruppo 63 contestava Bassani più o come con gli stessi argomenti che usa Forlani contro alcuni scrittori napoletani. Roba vecchia.
    Io penso che ciascuno scriva dal suo orizzonte, nel suo orizzonte. E in ogni orizzonte c’è un pezzo di un noi collettivo a cui non si sfugge. Io ho letto alcuni degli scrittori che hanno polemizzato (finalmente un po’ di dibattito culturali sulle pagine del Mattino! Finalmente si torna a ragionare di cultura a Napoli sul più grande quotidiano del Sud e, credo, il merito vada ascritto alla presenza silenziosa e colta di Francesco De Core); altri non li ho letti. Ma trovo in ognuno di loro (e aggiungo Valeria Parrella, che pure sfiora, con lo sguardo più intimista, i temi di camorra) una visione sulla Napoli vera. Ciascuno parte dal suo punto di vista, ovviamente, dal suo corredo di sensibilità, di punti di riferimento, di stili: ma io trovo che nessuno sia fuori quadro. Ci sono pagine di autori, qui citati con volgare durezza, sulla Napoli che pure luccica (e luccica, davvero, amici miei), che sono dolenti e amare non meno di altre che vengono impastate in altri linguaggi.
    Insomma, a me questa divisione in buoni e cattivi non mi convince. Così come non mi convince questa continua ricerca della chiave di lettura unica per Napoli. La complessità si compone di pezzi: ci vogliono tutti. Come dice un mio amico barbiere: Napoli è una e trina, latrina (anche lui ha letto Gomorra).

  51. Francamente, anche dal mio punto di vista il dibattito è rimasto in superficie. Sono peraltro d’accordo quando si adombra il sospetto che le critiche mosse a Saviano siano interessate, viziate anche, magari, dall’invidia: è possibile o meglio non può escludersi.
    Però c’è un elemento oggettivo che, dopo Gomorra, va considerato. Il primo libro di Roberto Saviano ha fatto (dal mio punto di vista per precise strategie più o meno editoriali) esplodere il fenomeno Napoli. Non chè il prodotto fosse completamente nuovo: si è sempre venduto, in realtà. Il fatto è piuttosto che mai come in questi mesi il prodotto Napoli si è venduto benissimo e le strategie di Mondadori, Espresso etc. sono state ampiamente surclassate, da un punto di vista “pubblicitario”, dal battage riconducibile a faide varie ed emergenza rifiuti. No marketing, just reality!
    Il punto della discussione, però, rimane chiaro: il racconto dell’apocalisse può rappresentare una gabbia all’interno della quale, dall’esterno e dall’interno, si tenda a chiudere chi scrive a Napoli o di Napoli?
    Poi magari la discussione è oziosa, dato che la buona letteratura è buona a prescindere, anche se misconosciuta: sarebbe un pò troppo concludere che se non hanno venduto vuol dire che erano opere mediocri…
    Detto questo, in tutta sincerità, il pomo della discordia sono le centinaia di migliaia di copie che Gomorra ha venduto e l’utilizzo che dell’opera è stato fatto. Il discorso sul realismo e sulla fuga dalla realtà ha una base sostanziosa ma condizionante: centinaia di migliaia di copie vendute che lo condizionano, il discorso, irrimediabilmente.
    A me dello scrittore, degli scrittori, francamente non interessa un fico secco, dato che l’opera, una volta concepita, va da sola per il mondo ed a volte fa brutti incontri; però la questione resta ed è un pò come vivere a Napoli: ci si può vivere facendo finta di nulla, accettando la rassegnazione (più o meno o per niente intellettualmente elaborata) o ci si deve vivere essendo ossessivamente (senza alcuna connotazione di valore al tema dell’ossessività, se possibile) presenti a sè stessi e concentrati sul male?
    Immagino che chiunque abbia un minimo di buon senso rifiuti di incasellarsi (o ecoballarsi) nelle due succitate ipotesi e viva a modo suo, semplicemente.
    Non sono uno scrittore, ma per lavoro, spesso, incontro il male raccontato da Saviano e quando ho letto Gomorra ne ho finalmente avuto un quadro unitario e coerente.
    Il problema non è andare avanti e lasciarsi dietro Saviano, ma andare avanti e lasciarsi dietro la sfasciata democrazia campana; raccontarne l’apocalisse è uno dei modi di farlo “letterariamente”, non l’unico.
    Sennò poi i dibattiti sembrano le solite chiacchiere autoreferenziali e da vicolo, tra vecchie comari, magari ospitate da un quotidiano il cui editore tanti interessi e benefici ha ricevuto in loco…E che, quindi, Saviano…Meglio “andare avanti”.

  52. Quando nacqui, il mio paese, San Prisco, era sotto il comune di Santa Maria Capua Vetere, cittadina che ricordo con tanto affetto, e che mi ha ricordato ora di nuovo ff più sopra.

    Napoli è stata capitale di un regno, lì i fenomeni malavitosi si acuiscono, fanno forse più notizia che in altri luoghi (perfino di Palermo). Però il problema riguarda tutto il Sud, di cui Napoli è la punta dell’icesberg.

    Napoli e il Sud non si salvano, perché ancora non vogliono salvarsi, e perciò ben vengano tutte le voci di denuncia, da quella di Saviano a quella di tutti gli altri. Che si continui a scuotere le coscienze.
    Mi furono consigliati due libri, che non ho ancora avuto il tempo di leggere: “Napoli criminale” di Bruno De Stefano e “La città difficile”, a cura di Massimiliano Amato e Antonella Cilento.
    Bene, i libri su Napoli e tutti i libri di denuncia del fenomeno malavitoso non dovrebbero soffrire d’invidia l’uno verso l’altro, ma congiungersi sulla base di un obbietivo comune, che è quello di aprire gli occhi della gente. Un lavoro lungo, appena cominciato, che rischia di essere indebolito da gelosie e risentimenti. Non si va lontano.

    Gli scrittori e gli intellettuali del Sud (ma non solo) dovrebbero costruire un progetto comune e lavorare tutti insieme per questo, solidariamente, senza mai indulgere a comprensione e compiacimento verso il fenomeno malavitoso. Il taglio dovrebbe essere sempre netto, trasparente, legato alla sola verità.

  53. Consiglierei ai napoletani di andare in viaggio di istruzione a Cuba.
    (veramente lo consiglierei a tutti i sostenitori del capitalismo, escludendo i supericchi perché è chiaro perché quelli non li puoi persuadere)

  54. Giacché ci siamo, festeggiamo la promozione di Cuba tra i Paesi che secondo l’ONU rispettano i diritti umani. Israele ovviamente no (10 risoluzioni in un anno).

  55. # Fausto Says:
    June 19th, 2007 at 23:42

    sempre meglio della tua leccaculaggine Forlani, che sei capace solo di accodarti a chi qualcosa ha detto e fatto non dicendo mai nulla, ma continuando a strombazzare quel nulla e sperando di essere omaggiato della luce riflessa di chi brilla. La tua pochezza letteraria trasuda ad ogni riga che scrivi e ancora peggio è questo tuo camuffarti dietro Celine o altro scrittore per regalarci la tua indignazione – gratuita e velleitaria. Dovresti prima imparare educazione e cultura, invece d sperare nell’abbaglio di chi scambi per bellezzai questo piccolo citazionismo da contadino appena alfabetizzato!

    quando si dicono queste cose le persone dovrebbero avere la classe ed eleganza di firmarsi con nome e cognome. Classe ed eleganza, magari anche contadina…

    effeffe
    ps
    non riflesso , picio,
    rifletto
    di buio

  56. per il resto rientro solo ora
    e devo dire che ci sono tantissimi spunti che varrebbe la pena approfondire.
    Insomma in una direzione che sinceramente mi auguravo e con gli strumenti che ciacuno ha potuto mettere “in gioco”
    Con l’intervento finale di de core- intanto si è aggiunto quello di francesco piccolo che potete trovare sul sito di georgia- spero proprio con de core di fare un “bilancio” di quest’avventura.
    Certamente il tentativo di uscire dallo scivoloso terreno del pro o contro gomorra è fallito, ma in compenso si sono espresse delle posizioni molto eteorgenee tra loro a discapito dell’immagine “scrittori napoletani” che tanto male fa ad ogni discorso autentico sulla letteratura.
    Il porre in primo piano il mestiere dello scrittore espone infatti le opere a molti fraintendimenti, di cui, sicuramente il più grave è quello di far passare l’opera in secondo terzo piano rispetto all’ambizione del dirsi scrittori. Come Stefano ci ricordava prima e nell’esperienza che ho fatto dei miei maestri, nessuno di loro, grande romanziere si è mai definito scrittore. Una riflessione letteraria seria è sulle opere non sugli autori. Che poi come roberto ha ben detto su repubblica, l’opera è l’espressione di una “visione del mondo”mi sembra evidente
    effeffe

  57. Di Consoli ha prima scritto parole di elogio dicendo che Gomorra è un capolavoro (L’Unità) poi è venuta giù la rabbia, il livore per il successo del suo quasi coetaneo. Troppe poche copie vendute le sue e troppe quelle di Saviano. Troppe donne intorno a Saviano e troppa fatica per lui nel cercalre. Ed ecco l’inividia che fa dire di una persona che ha sparigliato con tutti “dimentichiamolo”. Ma io già mi sono dimenticato di Di Consoli, anzi non l’ho mai ricordato. Ma come si permette questo di dire tali fesserie? Il mare, l’uccellino, la bella giornata. Ma dannazione che mediocrità. Non so Saviano come la pensa. Io lo chiamerei solo in un modo questo signorotto livoroso postcambiamento idea: “traditore” o come si dice nel mio paese: “infame”. Cordelli e La Capria sono il vecchio e Di Consoli è il loro erede. Ciao a tutti. Domenico.

  58. Cari amici di Nazione Indiana,
    è la prima volta che intervengo anche se vi seguo spesso.

    * * *

    Credo che “Gomorra” di Roberto Saviano abbia avuto meriti indiscutibili nell’indicare e stigmatizzare la cancrena del tessuto sociale ed economico di una certa Napoli. Perché non c’è dubbio che la società e l’economia napoletana abbiano piegato e continuino a piegare la schiena sotto il peso della criminalità organizzata. La camorra esiste – eccome se esiste -, così come esiste la mafia. A Saviano va tributato il merito del coraggio. Il coraggio di rischiare. Il coraggio di vedere e di dire, di scrivere e di descrivere. E il merito di averlo saputo fare con arguzia e talento.
    Ma c’è, a mio avviso, un rovescio della medaglia di cui bisogna tener conto.
    “Gomorra” si è fatto strada, prima lentamente, poi con forza inattesa fino a raggiungere livelli di fama non facilmente immaginabili. Capita però che, a volte, la fama trasbordi nella mitizzazione. E spesso la mitizzazione può essere causa di offuscamento delle prospettive, di distorsioni o addirittura – in alcuni casi – di effetti fuorvianti.
    Vi ricordate il bandito Giuliano? A un certo punto, soprattutto all’estero, per via di un certo processo mediatico, la figura dell’efferato bandito fu idealizzata al punto tale da farla coincidere con l’immagine di un Robin Hood mediterraneo. Eppure Giuliano era solo un efferato bandito.

    Ora, la camorra esiste e Saviano ha fatto bene a descriverla in maniera truculenta. Solo che a un certo punto il suo libro è… come dire… esploso.
    Certo, se “Gomorra” ha subìto un processo di mitizzazione non è colpa del suo autore, quanto piuttosto di un sistema mediatico che tende – ripeto – a enfatizzare il successo con effetti omologanti e stereotipanti. È falso e semplicistico identificare Napoli con tarantella, spaghetti e pizza. Ma è altrettanto errato identificarla con la camorra. O soltanto con la camorra. Napoli è anche una città d’arte, di cultura, di atmosfere magiche, di grandi tradizioni. E, d’altro canto, Napoli è una città che presenta grossi problemi spesso non collegati alla criminalità organizzata.

    Io non credo che gli articoli di Pascale, Cilento, Di Consoli e di altri scrittori intervenuti sulle pagine de “Il Mattino” mirassero ad attaccare Saviano e la sua opera. Il loro intento, a mio modo di vedere, era finalizzato al ristabilimento di un equilibrio perduto a causa di quel processo di mitizzazione cui facevo riferimento prima. Ma temo che alcuni passaggi di quegli articoli siano stati travisati.
    Se Saviano ha sentito il dovere – rischiando la pelle – di descrivere senza veli la Napoli della camorra ha fatto cosa giusta. Se però altri intellettuali hanno sentito la necessità di “correggere il tiro” fornendo punti di vista differenti, ritengo che abbiano fatto altrettanto bene (e che non meritino di essere insultati).
    Credo che la crescita intellettuale si basi sul confronto, a volte sulla contrapposizione, di tesi e idee. Ma confronto e contrapposizione genereranno crescita solo se mantenuti entro i margini di una dialettica civile. Le risse verbali tendenti al linciaggio non servono a nessuno. Non servono a Saviano, così come non servono a Pascale, o a Cilento, o a Di Consoli. E soprattutto non servono a Napoli.

    Cordialmente.
    Massimo Maugeri

  59. a leggere di consoli sembrerebbe che la camorra la stavano già sgominando a colpi di lacapria (e poi di diconsoli, immagino). mah…

  60. Luminamenti ha scritto: Consiglierei ai napoletani di andare in viaggio di istruzione a Cuba.

    Consiglierei ai napoletani di non andare a donne e minorenni a Cuba. La popolazione si prostituisce per due soldi. Correte il rischio di trovare ancora qualche puttana santa. Dopo pochi giorni il cibo locale potrebbe venirvi a noia. Il clima sociale è irrespirabile, sotto ai sorrisi a trentadue denti. In compenso, se dovesse venirvi un’epatite fulminate avrete un’assistenza sanitaria di tutto rispetto. Se soffrite invece d’insonnia basta accendere la tivvù. Fidel Castro parla per ore. Senza dire nulla. Una ninna nanna. Sublime. Tutta colpa dell’embargo. Un paradiso. Per occidentali. Interessante sarebbe avere il dato dei cubani che ogni anno fuggono clandestini dal Giardino dell’Eden. Traditori. Peccatori. Dannati a vita. Sarà il peccato originale? 

  61. Tutto quello che dice Alessandro su Cuba non è vero. Vedere e viverci per credere. Contano i fatti e non le palle che si raccontano in giro.

  62. L’invidia di Pascale – se non fosse perniciosa – farebbe tenerezza. L’uomo è debole. Ma il problema è che il giovane scrittore (!) casertano si è montato la testa di brutto (gliel’hanno fatta montare tutti quei critici imbecilli che hanno osannato – e premiato – i suoi libretti (impropriamente defini “romanzi”). Quindi non prendetevela con lui. Prima o poi tornerà con i piedi per terra.

  63. Leggo: “Eppure Giuliano era solo un efferato bandito”.

    Dai documenti e dai fatti non mi risulta che era “solo” un bandito.
    E molti dubbi anche sull’efferato.

    Certo lo hanno anche fatto, in tempi diversi e successivi, ora fatto diventare efferato, ora un benefattore.

    Ma dietro c’era molto di più, mentre lui era molto di meno.

  64. Francesco, ci arrabbiamo sì. Anche se questi qui sparano solo con pistole ad acqua e fa caldo.

  65. averne di saviano, averne! anche se la partita è persa (quella del giornalismo, quella della letteratura e quella con la camorra).
    effeffe, efficace la tua formula, ma io direi scriventi senza letteratura, non scrittori.

  66. Conosco la realtà cubana molto bene. Nel mio quartiere c’è un eterosessuale che ha sposato una cubana. E un omosessuale che ha aiutato il suo amante a fuggire da Cuba. Suo attuale compagno. Nonostante abbiano molto pudore nel raccontare del loro paese, queste due splendide creature mi hanno comunicato all’inizio tutta la loro disperazione. Poi sono stati vinti dal sentimeto di nostalgia.  Naturale. Signor Luminamenmti, lei conosce Cuba meglio di chi ci è nato e cresciuto? Può darsi. Il mondo è pieno di persone che muovono accuse infamanti. Laciamo che vivano nell’ombra.

    La realtà in fondo è solo una rappresentazione. In positivo. Le radiografie facciamole ai morti.

  67. Caro Alessandro, non ho detto che Cuba è il Paradiso. Chi vuole scoprire come è Cuba, vada e ci stia a lungo. Non devo persuadere nessuno. Non sono nemmeno comunista e marxista. Al primo posto Cuba, al secondo posto il Canada.

  68. Londra? sì, come no, con il portafoglio (stra)pieno e la pistola in tasca. In questo modo si è abbastanza sicuri di (sopra)vivere.
    Londra è bellissima ma la tua logica qual è?
    Ma toglimi una curiosità. Ci hai mai vissuto? Quanto pagavi di affitto diciamo a 200km dal centro di Londra? In questo modo potrei calcolarti il reddito mensile per non digiunare!

  69. niente lo ammetto…. sono un coglione. sono un pecoraro scanio. scusate, ho bevuto. mortacci miei. mi sono fatto pure na canna

  70. Vi consiglio di leggere COMPLANARE PUTTA e CRISTO NON SI CORICA di Felice Muolo, Edizioni IL FILO

  71. Andrea Di Consoli e la presa autetica della parola: «che cos’è la letteratura?»
    Vorrei tralasciare, almeno in prima istanza, il libro di Roberto Saviano e le critiche mosse da Di Consoli a “Gomorra”. ll punto è che questo dibattito, talvolta in alcuni casi profondo e meditato, come ad esempio in Sergio Garufi, Edoardo Brugnatelli, Bartolomeo di Monaco, Alcor ci sono qua e là osservazioni che si possono, persino condividere. Ma la domanda è tutti questi amanti della letteratura hanno letto i libri di Di Consoli? Sapranno almeno che si intitolano “Lago Negno”? e “Il padre degli animali”? Hanno idea che si riferiscono alla società italiana del Sud? Probabilmente no. Qualcuno, forse, può darsi di sì, come negli interventi sopracitati. Ma il resto del gregge? Che povertà intellettuale! Povertà che aleggia spesso e mette paura. Spaventa perché il tema è delicato e in genere è trattato con una rozzezza pari alle pistolettate della camorra o della mafia. Ecco dov’è la vera questione che, ad esempio Di Monaco, sfiora ma non centra nel bersaglio messo a tema. Perché se è vero che lo scrittore e gli inttellettuali dovrebbero lavorare assieme per migliorare, coi loro dibattiti, il loro impegno e il loro confronto la realrà delle cose – nel caso di Pascale e Di Consoli ciò avviene, e avviene dico lucidamente… Ecco che quindi bisognerebbe, fare con la scrittura prima di tutto una ‘cosa’, capire cosa vuole dire uno scrittore, in senso filosofico. Cosa che, peraltro, tra le righe, Andrea Di Consoli dice piuttosto bene, con il suo intervento sù Saviano, per quanto con una prosa scarna ed essenziale. E si sa che ogni scrittore spera sempre che il lettore sottointenda. Tralascio d’osservare che le incazzature e le offese, come del resto Di Consoli stesso in altro modo dice, non fanno parte della parola letteraria. Ora la letteratura nei Greci aveva maestri di verità. E la verità non era solo luce bensì era nascosta e rivelata. Ora non è che voglio scrivere il testo per una conferenza al Quenn’s Collegge ma quando si parla di cose serie, seriamente bisogna parlarne. Bisogna assumere la resoponsabilità che hanno, in ogni scrittore a modo suo. Bisogna si assume nella presa della parola un significato e un livello del ‘rispetto’ che camorristi e mafiosi ignorano. Ma tutti noi sappiamo che camorristi e mafiosi s’insinuano dapperttutto come il famoso Dottore. Ultima e definitiva premessa è che per giudicare la letteratura, perchè il linguaggio è giudizio, bisogna conoscerne la storia. La storia della letteratura serve per capire cos’è che si ripete in maniera originale ognivalvolta il fenomeno è simile, rassomigliante al precedente…. Di Consoli – forse un po’ sommariamente – dice una verità scomoda. Una verità che gli amici di Saviano non vogliono ascoltare nè sentirsi dire. Ma la letteratura è verità. Ora se l’opinione di uno scrittore, che dice la propria su un compagno di strada, è così fraintesa e si arriva a dire delle bassezze di tal fatta che si trovano in questa pozzanghera – come qualcuno l’ha definita, questi sono anche gli incovenienti del mondo mass-mediatico in cui viviamo. Si potrebbe concludere dicendo che un certo Dante diceva “non ti curar di loro/ma guarda e passa” ma non dimentichiamoci mai, come diceva un grande filosofo tedesco, che l’Angelo della Storia è un nano che vede l’al di là sulle spalle del Gigante. Concludo dicendo che si può anche confondere la letteratura con l’impegno civile, così come altri fanno con l’esostismo, esostismo che al giorno d’oggi può chiamarsi giallo o noir, ciò non giustifica la letteratura. Ma la letteratura non la si ingabbia nella griglia delle definizioni degli specialisti nè degli stronzi che vorrebbero giudicarla nelle piazze telematiche, anche se essa ora si presenta sotto false spoglie di articolo di giornale o altro.
    con poca stima e realtiva simpatia
    marco ciaurro

  72. Ciaurro ma tu a proposito di povertà intellettuale l’hai letto Ontologia del Segreto? E Diadromica? E L’energetica dei sistemi viventi di Mussat? e Phisiologia Nova di Mancini? e le catene lineari del corpo e dello spirito che custodiscono e studiano gelosamente negli archivi della Cia e del KGB?
    Beh, se non li hai letti sei intellettualmente povero come tutti noi (io però non faccio parte del noi, come è risaputo comunemente).

    Segnalare va bene, ricamarci sopra una morale sa proprio di moralismo.

  73. @Ciaurro
    Siamo proprio alla frutta,caro signore Ciaurro. Che si debba discutere l’operato dello scrittore che ha fatto della sua scrittura innovativa l’arma più accuminata dell’antifascismo militante citando gente come il democristiano Bartolomeo Di Monaco, uno che nelle sue rubriche elogia scrittori fascisti che gettano solo fango sulla storia del movimento operaio, mi pare proprio il massimo. Roberto siamo tutti con te.

  74. @Ciaurro?

    “Ma la domanda è tutti questi amanti della letteratura hanno letto i libri di Di Consoli? Sapranno almeno che si intitolano “Lago Negno”? e “Il padre degli animali”? Hanno idea che si riferiscono alla società italiana del Sud? Probabilmente no. Qualcuno, forse, può darsi di sì, come negli interventi sopracitati. Ma il resto del gregge? Che povertà intellettuale!”

    si lo confesso mi sono sentito parte del gregge.Questo qua non lo conoscevo.Invece oggi melo trovo davanti anche sull’Unità che parla di Raffaele Crovi.A proposito di scrittori – democristiano pure questo.Ho chiesto a un compagno più informato e mi ha detto che è uno che tiene in mano tutti i premi possibili. A, allora ho capito l’entusiasmo.Ma siccome sono uno che approfondisce sono andato su IBS e ho scoperto che oltre ai suddetti titoli da vero narratore che si riferisce alla società italiana del Sud, citati dal Signor Ciaurro – “Lago negro”, correggo -ce n’è un altro che s’intitola:”Una lucida passione.Il riformismo meridionale, la Basilicata, le rivolte di Scanzano” in cui il giornalista scrittore Di Consoli di origine lucana seppur nato a Zurigo, dialoga con Bubbico”.E chi è?. Meno male c’è Wikipedia dove apprendo che Bubbico è stato governatore della suddetta regione Basilicata. ma Roberto non l’ha mai fatta un intervista a Bassolino.Tanto più che questo Bubbico,sempre wikipedia dice che dal giugno del 2007 è indagato nell’inchiesta “Toghe Lucane” condotta dal PM De Magistris, che ha fatto perquisire gli uffici e l’abitazione el suddetto Bubbico.

    mi incuriosisco.L’intervista è edita da Avagliano.E digitando Di Consoli Avagliano apprendo che il suddetto Di Consoli, giornalista scrittore e vero narratore che si riferisce alla società italiana del Sud, dirige la suddetta casa editrice.dove in due anni (2005 2006) ha pubblicato ben due titoli dell’imprescindibile Raffaele Crovi, che insiema alla “lucida passione con Bubbico” la dicono lunga su come un narratore della società italiana del Sud deve lavorare.Robbé tu non hai capito niente!

  75. Marco Ciaurro, Redfederico, etc.

    Di Consoli lo conosciamo e leggiamo volentieri qui su Nazione Indiana.

    Ha pubblicato testi suoi qui:
    https://www.nazioneindiana.com/2006/03/30/a-gamba-tesa-andrea-di-consoli/

    oppure qui:
    https://www.nazioneindiana.com/2006/08/06/anteprima-sud-7andrea-di-consoli/

    è stato recensito qui:
    https://www.nazioneindiana.com/2006/01/20/lago-negro/

    oppure qui:
    https://www.nazioneindiana.com/2007/03/19/il-padre-degli-animali/

    e, anche se raramente, ha pure lasciato alcuni suoi commenti in giro.

    Quindi stemperiamo, TUTTI, i toni, please.

  76. A proposito di Di Consoli e Saviano: il primo è uno scrittore di razza, poeta di qualità (uno dei pochissimi in Italia oggi, insieme a Carlo Bordini); il secondo scrive reportage che la società letteraria si ostina a definire “romanzi”.
    Mi viene in mente Parise, che quando andava in giro per il mondo a raccontarlo non si permetteva poi di dire che aveva scritto dei romanzi.
    Anche perché i romanzi, quelli veri, lui li scriveva davvero.

    Mauro Fabi

  77. Mauro Fabi prrrrrrrrrrrrrrrrrrr mai sentito parlare di romanzo nofiction di Capote e Mailer? Povera italia..

  78. I camorristi siete voi che ostacolate il libero pensiero. Non potete permettervi…la letteratuta è altro dalle stupide offese ch fate, andate a offendere le persone nel privato perchè vi mancano gli argomenti per giudicare andrea di consoli, tra l’altro è felicemente sposato con un bel figlio…

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francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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