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Milano da morire

mdm.jpg di Gianni Biondillo

Luigi Offeddu – Ferruccio Sansa, Milano da morire, bur, 2007, 556 pag.

Per chi come me ha scritto e scrive di Milano e della sua assenza nell’immaginario collettivo nazionale, un libro quale Milano da morire, di Luigi Offeddu e Ferruccio Sansa, colma quel vuoto incomprensibile che si è andato colpevolmente formando negli anni. La Milano post tangentopoli pare non abbia avuto più nessuno (se si escludono i romanzieri, spesso noir) pronto a descriverla col suo vero volto di città in ginocchio, disfatta, piegata dal peso dei suoi stessi miti della moda o del design.
Milano è una città dove da almeno tre lustri spicca l’assordante assenza di una classe politica degna di questo nome. Che sia di destra o di sinistra, né chi l’amministra né chi fa opposizione dagli scranni comunali ha saputo esprimere un segno forte, un sogno, anzi, capace di restituire il meritato orgoglio di appartenenza al territorio urbano nei suoi abitanti.
Milano da morire non è un libro che indugia sui fatti di cronaca nera, non batte il tamburo sulla criminalità o sulla nuova immigrazione, temi spesso sventolati come specchietti per le allodole, nelle pagine della cronaca meneghina. A Milano non si muore di una criminalità border line, extralegale. Ed è questo il vero punto tragico del saggio, è qui che si sgomenta al limite dell’impotenza il lettore disorientato. A Milano si muore della gestione politica della cosa pubblica, gestione oculata, sempre sul confine della legalità, e sempre piegata all’interesse privato di peculiari lobby economiche.
A Milano un problema che attanaglia tutte le metropoli europee, il traffico, non viene affrontato con il cipiglio del politico di razza che prende scientemente decisioni impopolari, potenziando cioè il trasporto pubblico e riducendo visibilmente il traffico privato, ma diventa un’occasione per traforare come un gruviera il sottosuolo pubblico per la costruzione di invasivi parcheggi privati indifferenti al contesto, con casi paradossali di rampe d’uscita che sbucano di fronte alle vie di fuga di una scuola pubblica; parcheggi non pertinenziali, ben inteso, quindi per ogni ingegnere del traffico che si rispetti, puri attrattori di traffico. Ma la spartizione della grande torta degli appalti, spartizione che accontenta tutti, sia cooperative edili in odore di sinistra sia imprese orbitanti alla destra estrema, passando per la lobby che più ha definito lo spirito milanese di questi anni, Comunione Liberazione, la spartizione della torta, dicevo, è di tale portata (e qui gli autori con metodo tassonomico non si risparmiano in cifre e riscontri) che il disagio dell’intera cittadinanza che ha visto crescere e non diminuire la tenaglia del traffico, è un sacrificio assolutamente accettabile. Cittadini come carne da macello.
Che poi proprio il traffico, date anche le particolari condizioni orogeografiche della città, sia la principale causa dell’aria irrespirabile, colma di polveri sottili le quali, a detta di oncologi e scienziati, tolgono ad ogni milanese in media due anni di vita, pare di nullo interesse agli amministratori, così indifferenti alle associazioni nate dal basso della cittadinanza e al loro urlo di protesta, ma sempre così solerti ad accontentare la associazione dei commercianti che vedono come fumo negli occhi la chiusura del centro, anche se per cause sanitarie, dato l’evidente perdita degli introiti da shopping. È così che si muove la politica milanese: forte con i deboli, debole con i forti. Ma con cipiglio da imprenditore, ben inteso. Come dimostrano le consulenze esterne richieste dalla Moratti. Vedi l’esempio della dirigente responsabile della Direzione Centrale Famiglia (217.130 euro di retribuzione annua) Carmela Madaffari. Il neosindaco non trovando nessun dirigente nell’organico meneghino coll’adeguato curriculum ha preferito affidare tale delicato incarico all’ex direttore generale dell’ASL n. 6 di Lametia Terme. Che fu a suo tempo sciolta dall’incarico dall’assessore alla Sanità della regione Calabria per indebitamento e grave inefficienza. Ottime referenze, direi.

[pubblicato su Diario della settimana del 8.06.2007]

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47 Commenti

  1. sembra il profilo della Sicilia…anzi ci sono alcune frasi che le potrei appiccicare sopra la mia città, precise precise.

  2. sarà mica l’istant book – post-decreto bersani – che apre la strada del nuovo genere delle Gomorre da banco???
    aridatece scerbanenco!!!!!!

  3. Milano da sniffare.

    E’ come se il potente cuore del toro lombardo fosse fiaccato da troppe sostanze alcaloidi e i suoi occhi rossi fossero incapaci di vedere rosso al di fuori di sè. Di puntare a qualcosa di grosso, di incazzarsi e reagire. Milano è un corpo morto su cui si posano dalle mosche ai condor, per fare rifornimento e via.

    Milano è una città-riflesso: i riferimenti a moda e design sono ottimi per capire come sia fragile questa città, legata ad un tratto di penna o matita. Ci si può specchiare in questa città, rischiando ogni volta di distruggere lo specchio con un’occhiata troppo tagliente.

    Milano è una città-simbolo: Qui tangentopoli ha aperto una nuova stagione, della repubblica di Arcore (1993-2007), quattordici anni di declino affatto simili a quelli della repubblica di Weimar (1919-1933). I conati di giustizialismo )con Pamparana e Brosio davanti al palazzo di giustizia) aprivano la via alla guerra civile politica, dei poli che si fronteggiavano a colpi di clava. Ed ora il grande blob democratico è partito. E non torna più indietro.

    Non tutto parte da Milano e non tutto finisce a Milano.
    Ma a Milano tutto si consuma, nelle sue narici che a forza di tirare sostanze stupefacenti hanno reso ottusi e incapaci di emozioni i suoi abitanti. A Milano tutto si concerta, tirando sul prezzo delle azioni nei morbidi consigli d’amministrazione o sul prezzo delle prestazioni sui viali della città. Vorrei dire no a ciò che c’è scritto sopra, ma non posso. Chino la testa: so che morirò di questo male-Milano.

  4. Mi sa di ritornello da tarantella questo post. Frequento Milano molto meno di prima (quando consumavo tempo e denari dentro e fuori dalle sale biliardo, nelle bische che nessuno conosce ma che tutti frequentavano, in giro per locali a tutte le ore), ma le poche volte che mi capita di tornarci mi pare uguale alla Milano di sempre.
    Non vedo tutto questo catastrofismo anche se concordo sul traffico infernale e sulla mediocrità della classe dirigente degli ultimi quindici anni.

    Ma non è che prima andasse molto meglio. E’ dall’inizio degli anni ’80, consumata la spinta del boom economico nel tritacarne del decennio precedente, che Milano è così: senza depuratori con tutta la merda scaricata nei fiumi, invivibile per il traffico, l’aria pesante di caldaie e marmitte catalitiche, le puttane sui viali la sera, le code nei locali alla moda, strisce bianche dappertutto, i ghisa perennemente imboscati e gli ausiliari del traffico che possono multare, a percentuale, solo sulle strisce blu.

    Qualcuno dovrebbe pensarci a cambiarle di colore quelle strisce. E poi si è perso anche il Leoncavallo: ora anche loro organizzano degustazioni di vini pregiati, corsi per aspiranti sommellier e i loro graffiti sono diventati arte. Li ha promossi Sgarbi in persona e li vende Telemarket.

    Blackjack.

  5. Franz,
    sul vomito giustizialista siamo perfettamente d’accordo. Ma la repubblica di Weimar? Aggiungo che se Napoli e Milano sono unite nella lotta in fondo è un gran bene, in giorni di fremito antigaribaldino. Ma è il traffico che rende una città europea?

  6. a me piace il “che non si è ancora arresa”. milano è tonda e non la vedi mai tutta intera. ha una forma democratica, è molto più democratica di quanto possa sembrare.
    comunque.

  7. Ci vivo dal 62′ a Milano, questa città ha perso il treno su svariati fronti rispetto alle giunte di Aniasi e Tonioli, non parliamo poi di una cultura affossata e seppellita, c’è rimasto qualche salotto spelacchiato e con pochi posti a sedere. Ha ragione Franz, Milano ha perso smalto, va bene solo per quei quattro disperati che frequentano corso Como.

  8. Concordo con gianni, franz k.e marco saya. Io ci vivo solo dal 2003, a milano, ma le cose di cui si parla nel libro le ritrovo ogni giorno in ogni angolo di milano. Aridatece scerbanenco, per carità, ma teniamoci pure sansa e offreddu. Chissà, poi, cosa scriverebbe scerbanenco della Milano di oggi!?

  9. Milano, quando mi tocca di venire…
    non cerco certo l’immutabilità menzognera delle cose allora conosciute;
    è che mi trovo di fronte una vecchia signora col belletto,
    le unghie smozzicate
    il vestito pieno di toppe oramai mangiate dai buchi…
    (e cappellini impolverati e crisantemi spetalati)
    Chi volta ‘l cul a Milàn, volta ‘l cul al pan -si diceva un tempo: era anche vero, lo è stato. Ma non si vive di solo pane, una fettina o due di prosciutto dovrebbero esserci come standard in mezzo: ma Milano se n’è scordata… -(c’)era solo da bere…
    In fondo mi pare una città in lista d’attesa per un suicidio.
    Quando mi tocca di venire…
    non vedo l’ora di ripartire.

  10. a me invece piace perché è piena di ombre, e di eccessi di luce. il cerchio che disorienta. non ha una strada dritta, angoli retti, certezze. è piena di nascondimenti, i cortili. la pietà rondanini sembra il cuore di una matrioska.
    io non l’ho vista quando aveva lo smalto, la prima volta è stata quasi trent’anni fa durante una gita alle scuole elementari a vedere il museo di storia naturale, e mi ricordo i giardini pubblici con i cigni e tutto quel verde. adesso nonostante tutto continuo a vederla fertile.
    a me piace anche perché è molto degli uomini.

  11. Quando Franz parla di Milano, tu vedi la città fisica, mentale: è bello.
    Milano attrae immaginario nero: Pinketts, Gianni Biondillo…
    Non puoi scappare, Milano ti prende di amore o di odio, comme lo dice Franz. Sogno un Milano strano, con neve nelle strade, il duomo isolato nelle nuvole, la solitudine in un bar, il silenzio in un cortile.
    Milano sogna del mare che non conosce, forse per questo è triste.

  12. Milano è triste perchè sogna quella semplicità, quello “stare bene assieme”, quelle ricchezze viste da tutte le possibili angolazioni che ora mancano totalmente.

    Milano, quando ci sbarcai era bella, nonostante la saudade mi innamorai
    di quella nebbiolina che, allora, s’incuneava tra le case di città studi.
    Sono passati più di quarant’anni, gli amori passano, anche le città cambiano, e quella nebbiolina ha scelto un altro amante…

  13. nulla di meglio del manzoni che scrisse della peste. da sempre la cosa più attuale scritta su milano.

  14. comunque poi nei giorni di vento come oggi a milano entrano dritte anche le montagne. si mettono comode fino a piazza duomo e non è una cosa da poco.
    anche questo ha a che fare con la politica, con la marmorea fissità della cultura perché in questa città poi ci sono gli squarci improvvisi.
    milano si fa usare, si fa dire.
    saviano l’ha detto che la camorra ricicla e reinveste a milano. milano per la camorra è un serbatoio d’oro.
    milano è tante cose messe insieme. a volte si corrode con le sue stesse mani, ma ha un fascino sotterraneo che è molto più forte del salotto con balconcino della moratti.
    ci vogliono le piste ciclabili, e ci vogliono le porte aperte. milano ne ha tante di porte.

  15. a naso mi è parsa una vecchia signora vestita di fretta per ricevere l’estrema unzione(ma è quel tipo di agonia capace di stupire con innumerevoli resurrezioni repentine che danno la stessa gioia di un caffè sorseggiato fumando con amici su cui contare che non vogliono dimenticare la luce provocata dalle casuali affabulazioni pomeridiane di mattinate col broncio,gravide di progetti.Tutta vita,insomma.Di abominevole resta la ieratica corruzione propria delle dittature,in linea col resto della nazione.Ma sembra che ci stiate facendo l’abitudine)

  16. un capufficio gzigano

    un capufficio gzigano
    lavorava vicino alla costa
    a Milano.
    dalla sua scrivania
    si vedeva il mare.
    forse era l’idea del
    declivio,
    di quel lento
    trasmutare
    – del resto aveva appena passato
    i quaranta –
    o forse
    la possibilità
    di scrutare, indisturbato,
    il moto immoto
    del mare.

  17. Comunque sempre meglio Milano di un sacco di altri posti belli e italiani. Che palle. Mi tengo il maltempo. Milano ha il fascino del b/n, e quando sei felice vuol dire che lo sei davvero, non t’hanno imbambolato le cartoline allucinatorie in 3D che hai davanti. Delle palme e dei fiorellini di campagna coi cuginetti me ne frego. Con tutti i suoi enormi difetti, io questa puttanona la amo, che ci volete fare. E se la criticate troppo – soprattutto se la conoscete di sguincio, e per sentito sparlare – io e altri “indigeni” possibile che c’incazziamo pure. Prendetevi ‘o sole e ‘o mare, – preferibilmente in groppa e in coppa -; qui comunque qualcosa succede. Se hai i soldi qui vivi da re, non respiri nemmeno le polveri sottili, anche i polmoni e i bronchi qui sono sensibili ai fogli – da 500 euro. Ci sono locali e ristoranti che levati. Se non hai i soldi non puoi spostarti e dunque ti abitui. E magari ci prendi gusto. E’ una città per duri di pelle ma non di cuore. Come dice Memo Remigi.

  18. Conosco poco Milano. Come tutti i romani che la conoscono poco ho il mito di Milano. Un mito negativo in apparenza, positivo nella sostanza. Che poi è il mito del nord che hanno tutte le città meridionali e Roma è una città profondamente meridionale, nella sua antica venerazione per ogni forma di potere. Le volte che sono stato a Milano ho notato lì un differente sistema degli oggetti, ho notato che c’è molto più liberty sulle facciate degli edifici, ho notato le doppie porte d’ingresso degli appartamenti del centro, la forma diversa delle maniglie, i diversi sistemi di chiusura delle finestre, la forza dei termosifoni, la possente internità delle case, la libertà delle donne, la mancanza di esibizionismo coatto nel modo di vestire della gente, la facilità e l’intensità del lavorare, ne ho apprezzato l’essere un po’ tetragona, eccetera. Ho notato le finestre di Bramante sulla facciata del Duomo.
    Ogni città ha un’immagine di sé che è diversa dalla percezione che se ne ha dall’esterno: Roma per esempio, avendo ingoiato l’amo di Veltroni, si sente moolto paracula, ma non lo è affatto, perché, anche se ha più soldi, fa schifo come sempre.
    Chi va a Milano in questi anni mi racconta però di una decadenza visibile, di percezioni negative che prima non provava. È buffa la prevedibilità della destra nel governo delle città: la prima cosa che peggiora – è successo anche a Bologna – è il traffico, la prima cosa che si implementa è il traffico su mezzo privato, eccetera. Quello che secondo me non è stato raccontato a sufficienza – a meno che non mi sia distratto un po’ troppo – è stata la riconversione di Milano da città prevalentemente industriale a città post-industriale. Cos’è accaduto davvero?

  19. Tash, vero, te li dico da romano che sai tu. E anche Franz: visto che c’è sempre un mezzo pieno nel famoso bicchiere? Certo, sulla crisi di sistema hai ragione, prima di tutto è un discorso di idee latitanti. Non quelle fasulle del veltronismo. Ma nemmeno quelle altre dei ragionieri prestati alla paletta, l’etilometro e le piste ciclabili. Delle tecnocrazie architettoniche, oltre che di quelle economiche. Ristrutturazioni che dite essere vanto delle destre, ma vi assicuro che dalle mie parti abbiamo un sceriffo di sinistra e un governatore comunista che sulle multe in doppiafila sono severissimi, visto che la moralizzazione delle strade fa bene anche alle casse vuote di comuni e province. Ma bastassero due verbali e il mito di Ikea a governare il cambiamento.

  20. Milano svetta verso il cielo, perché l’acqua la deserta. Ho detto Milano sogna il mare, incontra il cielo, il rimpianto del blu celeste, del sogno, della partanza.
    Mi chiedo: i Milanesi sognano solo alla ricchezza. Non c’è orizzonte?
    Non la conosco, ma Franz mi dà voglia di scoprirla: la pelle dura e il cuore tenero.
    I commenti sono molto interessanti per la straniera che io sono.

  21. Milano comunque, quella personale e quotidiana, ti entra nel cuore.
    “comunque poi nei giorni di vento come oggi a milano entrano dritte anche le montagne. si mettono comode fino a piazza duomo e non è una cosa da poco.” Sono d’accordo con elena rosa, ed anche con franz k. quando parla di milano in b/n (per non parlare di Milano quando c’è la nebbia, seppur sempre più rara). Ecco perché morirò di Milano. Crea dipendenza.

  22. Véronique, quando eravamo alle medie o giù di lì, dai tabaccai milanesi vendevano certe cartoline in bianco e nero con arditi fotomontaggi con il mare in Piazza Duomo, barche in Cordusio e e scogliere alla Stazione Centrale. Milano è gonfia d’acqua, incinta, senza contare Navigli coperti e scoperti sta in bilico su di una falda acquifera che si innalza, preme e comincia ad allagare le cantine e quando dai tombini cominceranno ad uscire tutti i pesci rossi buttati nei gabinetti grossi come i pesci siluro del Po e le tartarughine mutate e i coccodrilli albini non avrà più nulla da invidiare né a Rimini, né a Riccione.

  23. Cè un’immagine molto forte nei Promessi Sposi che mi ha sempre colpito. È quella di Renzo che cammina verso Milano attraverso la Brianza avendo come riferimento null’altro che le guglie del Duomo… È un’immagine che mi è sempre parsa speculare a quella delle montagne che “entrano in città” quasi fossero un fondale di cartapesta, quasi irreale, tinte di quell’azzurro “color di lontananza” -in quelle pochissime giornate dell’anno nelle quali questo “fenomeno” è visibile. È forse uno dei pochi momenti in cui qualsiasi milanese si ferma, la magía riprende il sopravvento e Medio/lanum torna per un momento in vita.

  24. Magnifico pezzo di Cosi&come, si riconosce poesia come mi piace e fantasia bella!
    Sto leggendo Il vizio dell’agnello di Andrea G Pinketts; dice: “Milano è una città di cani e di pazzi.”
    Pazzi, questo mi va benissimo.
    Ma dopo la maravigliosa visione di Cosi@come, un problema mi tormenta ancora. A Milano si fa la siesta? Sono un’adepta della siesta e della fantasticheria.
    Temo che Milano sia troppo veloce per me, troppo moderna, troppo protesa verso scopi concreti.
    Sogno un luogo enigmatico: partire dal reale per affrontare lo strano, come lo dice Tasthego o Gianni Biondillo: “Il est à Milan des quartiers où tu n’es pas à Milan mais dans une autre ville, dans un autre monde” (Pagina 40 -41 Pourquoi tuons-nous?)
    Se Milano assomiglia a Franz, a Cosi@come, Andrea’s… Mi va!

  25. Oh Verò la siesta? Scherzi? A Milano niente siesta. Io che milanese doc sono, anche se trasferita nel sonnolento centro Italia, dove tutti fanno la siesta, vago, sveglissima e cisalpina, dalle due alle quattro fra addormentati con le persiane chiuse e lo sguardo beatamente soddisfatto. I negozi qui aprono “alle cinque della sera” e le sonnolente cittadine collinari prima di quell’ora sono del tutto deserte e così metafisiche che senti volare le mosche.

  26. ehm,la penultima volta che vidi milano compresi che i suoi abitanti sono diversamente abili alla siesta.Nel senso che crollano nei trenini deputati alla riconsegna nei quartieri dormitorio,e forse hanno imparato a dormire in piedi,ad occhi spalancati.Uno dei miei amici fraterni(teoricamente messicano d’adozione come il sottoscritto)è trasferito nel capoluogo lombardo da 12 anni.A qualsiasi ora lo disturbi è a lavoro fino alle ventidue.Secondo me si droga con sostanze perfettamente lecite e ineluttabili per resistere a certi ritmi.Il delirio ludico di così&come è immaginifico(roba da prendere il primo treno a ritmo di tamburi tribali con una ciambella di salvataggio,cerotti,e parecchia voglia di vivere)

  27. Senza considerare che Milano è certamente ancora in grado di generare la perfetta comnistione di parole e musica che ho potuto ammirare nelle ormai lontane prime due edizioni di Zelig-facciamo cabaret(si badi bene,le prime due edizioni,non quegli omnicomprensivi insignificanti merdai,detto con tutta la moderazione possibile,tipo colorado caffè o zelig di prima serata che provano a propinarci come buoni da quando hanno scoperto che il genere tira)

  28. milano è da bere per corrispondenza. l’aperitivo ormai si beve alle poste. città malsana e per questo invidiata dagli ungheresi (maggior numero di suicidi procapire del mondo).

  29. Egregio Gianni Biondillo,
    ho resistito fino a “politico di razza”. Quale razza? Una casta di razza?

    ll tuo cognome è napoletano. Non potresti occuparti della classe politica napoletana?

  30. Mio padre era casertano (così come il suo cognome), non napoletano, cerca d’essere più preciso, Boso. E mia madre è messinese. Questo fa di me un milanese perfetto, così come lo sono stati Valter Chiari, Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Elio Vittorini, etc. etc. (e ti faccio notare che Offeddu e Sansa non sono milanesi, ma che vuoi capire tu della milanesità con quel tuo bel cognome brianzolo-trentino?)

  31. Caro Biondillo, non dimentico i tuoi insulti alle sciure e a chi ti ha permesso di vivere: comodo insegnare la civiltà ai milanesi, qui nessuno ti spara. Ti lamenti della corruzzione e fingi di dimenticare che l’hanno portata i meridionali….
    Hai una rabbia, una voglia di litigare, profondamente araba.

    Sei un milanese d’origine meridionale e si vede: non aspiri ad altro, parlando di Milano, d’arraffare una poltroncina, ‘o posto fisso’, di ritagliarti una pensioncina. Trasudi piagnisteo., chiagnere e fottere…
    Non hai il minimo rispetto per la storia e l’identità di Milano. Tu, milanese, non lo sarai mai. MAI. Puoi dirlo, ripeterlo, gridarlo all’infinito. Ma non lo sarai mai un milanese.
    Ho visto una tua foto su altavista, hai i tratti dell’arrogante, del maleducato e del cafone. Impara da uno scrittore vero piuttosto, un meridionale che non si vergogna di esserlo. Impara da Roberto Saviano…uno scrittore vero, che si batte per riscattare il Sud. Tu, invece….

  32. @franz
    per esempio, lo strillo in copertina di quest’altra nuova uscita della Bur-Futuro/Passato, “Tutta un’altra strage” di Riccardo Bocca.

    Cito: “Bologna. 2 agosto 1980. 85 morti, 218 feriti, 27 anni di depistaggi, 600.000 pagine di processo. E una verità che tutti vogliono nascondere”.

    Ora, che l’Italia sia piena d’infingardi lo sa pure mi’ nonna. Ma voglio dire, da questo strillo di copertina pare che Bocca ne sa più di Pollari.

  33. Erminio, sto sbadigliando.

    G.B.

    p.s. e smettila di insultare in giro per il sito cambiando abitino e nick di volta in volta. Fai tenerezza. Io sono uno che gli insulti se li prende senza protestare perché fa parte del gioco. Altri redattori sono dell’idea di moderarti. Questo, quindi, è un primo avviso: o eviti di vomitare in casa d’altri o te ne vai. E poi dì pure in giro che siamo antidemocratici, tanto la solfa la conosciamo già.

  34. “Impara da Roberto Saviano…uno scrittore vero, che si batte per riscattare il Sud”. Qua siamo alla frutta. Fosse per me avrei già moderato.

  35. da http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/nandropausa12.htm#2

    Autunno 2006, De Cataldo presenzia a un festival letterario in Francia. Di fronte a una bancarella, una lettrice soppesa e rigira tra le mani l’edizione gallica di un romanzo di Biondillo (Pourquoi tuons-nous?), indecisa se acquistarlo. De Cataldo si avvicina e le fa: “Lo compri, ne vale la pena. Biondillo è l’unico scrittore che ti fa amare Milano, e ce ne vuole!”

    Questo Boso non sa neppure di chi e cosa parla. Ne avesse altri, Milano, di scrittori come Biondillo!

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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