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Una rosa nelle tenebre – prima parte

[tempo fa una nostra assidua commentatrice, Orsola Puecher, trascrisse in un commento un brano a mio parere molto bello dal Pelléas et Mélisande, testo di Maurice Maeterlinck, musica di Claude Debussy. Le ho chiesto di tradurre e spiegare per Nazione Indiana e questa è la prima parte del lavoro che lei ha prodotto. a.s.]
 

cura e traduzioni
di Orsola Puecher

 

da PELLÉAS ET MÉLISANDE
di Maurice Maeterlinck2gardenmelisande.JPG, Claude Debussy

E’ notte. Una fanciulla esile dai lunghissimi capelli dorati quasi una bambina, si pettina affacciata alla più alta finestra della torre di un castello: cupo, all’apparenza imponente, ma che, visto dalle quinte del teatro dell’Operà-Comique di Parigi, rivelerebbe soltanto lo scheletro di cantinelle di legno che regge la tela dipinta di una scenografia d’altri tempi. E’ il 30 aprile 1902. Chi sarà questa regina adolescente? Aspetta qualcuno? E chi? E’ sola sul palcoscenico. L’avvolge e la strugge il pianissimopppdoux et calme di una musica delicata, l’onda notturna di arpeggi de les sanglots longs di viole e violoncelli, pizzicata dall’arpa, fra l’eco del flauto e dell’oboe.

 


Nella foto la cantante scozzese Mary Garden, prima interprete “ideale” di Mélisande, scelta da Debussy per il fisico diafano, il viso preraffaellita e per l’intonazione poetica e cristallina della sua voce, cui l’accento inglese aggiungeva quella nota in più di estraneità e mistero così intrinseca al personaggio. “Non posso concepire timbro più dolcemente insinuante”, disse di lei. Qui in una rara registrazione del 1904.
 

arpeggi.JPG

 
Poi la musica si spegne e nel silenzio solo la sua voce modula un impalpabile canto recitato, una prosodia lirica di versi liberi dal suono sussurrato, liquido e triste. Nelle parole, nelle assonanze morbide delle sillabe, nel rintocco ripetuto di quel tout le long… tout le longtout le long soffia una profonda malinconia, il presagio di un destino. Forse lo stesso ignoto che starà di fronte alla fanciulla sola di Campana, a bordo della nave in viaggio attraverso i suoi orizzonti vertiginosi. Un blu nuit di sangue aristocratico e malato. Una viola che trema indifesa.
 
D’ignota scena fanciulla sola
Come una melodia
Blu, su la riva dei colli ancora tremolare una viola…
 
[Viaggio a Montevideo,1914, D. Campana]

ACTE 3
Scène 1
Une des tours du château
(Un chemin de ronde passe sous une fenêtre de la tour.)

MÉLISANDE
(à la fenêtre tandis qu’elle peigne ses cheveux dénoués)
Mes longs cheveux descendent jusqu’au seuil de la tour;
Mes cheveux vous attendent tout le long de la tour,
Et tout le long du jour,
Et tout le long du jour.
Saint Daniel et Saint Michel,
Saint Michel et Saint Raphaël,
Je suis née un dimanche,
Un dimanche à midi…

ATTO TERZO
Scena 1
Una delle torri del castello.
(Un ballatoio per la ronda passa sotto una finestra della torre.)

 

MÉLISANDE
(alla finestra, mentre si pettina i capelli sciolti.)

 

I miei lunghi capelli scendono fino ai piedi della torre;
I miei capelli vi attendono lungo la torre,
E lungo tutto il giorno,
E lungo tutto il giorno.
San Daniele e San Michele,
San Michele e San Raffaele,
Sono nata una domenica,
Una domenica a mezzodì…

melisande.JPG
 
Ecco Mélisande.
 


Nome carezza, di miele ed erba melissa, μέλος, canto e suono, donna sirena, fata Melusina, la s che scivola sulla a il suo accento di grazia. Ma una grazia triste, scura. D’ombra. Una a che sta per gridare la stessa angoscia, lo stesso stupore dell’Urlo di Munch (1883).
 
A, noir corset velu des mouches éclatantes
Qui bombinent autour des puanteurs cruelles,
Golfes d’ombre, (…)
 
“A, nero corsetto vellutato di mosche lucenti
Che ronzano attorno ai fetori crudeli,
Golfi d’ombre, (…)”
[Arthur Rimbaud, Voyelles, 1871]
 
Mélisande, sfuggente nella sua duplicità, chiara e scura, dolceamara insieme, γλυκυπικρον. Glukupikron. Indefinibile.
 
For I have sworn thee fair and thought thee bright,
Who art as black as hell, as dark as night.
 
“Perché avevo giurato che eri bella e ti pensavo luminosa,
tu che sei così nera come l’inferno, così scura come la notte.”
 
[W. Shakespeare, Sonetto 147]
 
raperonzolo.GIFMélisande che in quel suo invocare la protezione di San Daniele e degli Arcangeli, proclamandosi creatura radiosa e dorata, nata quando il sole splende nel punto più alto di un giorno di festa, sembra chiedersi e chiederci: “Cosa ci faccio io qui, di notte, sola, in malinconica attesa di un futuro incerto?” Lo si immagina, attende un innamorato, come in ogni storia che si rispetti. Ma purtroppo qui nulla è quel che sembra e, come spesso capita nella vita ed a teatro, nulla andrà per il verso giusto. La luce chiama sempre le tenebre. Forse ci si aspetterebbe che, come in Rapunzel, la famosa favola dei fratelli Grimm, il Principe tanto atteso salisse lungo la torre, servendosi dei capelli come di una scala, a godersi il frutto della sua prodezza atletica, dopo aver detto le paroline giuste:

“Rapunzel, Rapunzel, lass dein Haar herunter.”

Alsbald fielen die Haare herab und der Königssohn stieg hinauf.

“Raperonzola, Raperonzola, la tua chioma spenzola.”

Subito dall’alto ricaddero i capelli e il figlio del Re salì.

[Rapunzel KHM 012, J. & W. Grimm, 1857]
 
Non sarà così. Non è più tempo di favole. Ma lasciamola per qualche istante ancora, lassù, sospesa. La principessa sulla torre non lo sa, ma piano piano, sottovoce ci sta portando da qualche parte. Altrove. Lontano. Lontano da un’epoca. Insieme all’autore del testo, Maurice Maeterlinck (1862-1949, belga, avvocato rubato al Foro dalla poesia), e al compositore della musica, Claude Debussy (1862-1918, francese, “Claude de France”, poeta delle note) la fragile Mélisande sta traghettando l’opera lirica ottocentesca, il melodramma gonfio di enfasi, le soprano corpulente che si sgolano alla ribalta in virtuosismi e grandi sentimenti, verso il nuovo secolo: quel ‘900, turbato da guerre e tragedie, già in cammino verso un’inedita estetica del silenzio e del sussurro incomprensibile. Verso il non detto, la disarmonia, l’atonale, il turbamento interiore inspiegabile, incontro a quell’inerzia umana di fronte al proprio destino che attraverserà la scena culturale europea come un lungo brivido verso il nulla. Usciti da teatro, chiuso il sipario, spento l’eco dell’ultima nota, il riverbero dell’ultima luce, da quest’opera si torna a casa senza alcuna benefica catarsi, senza sentirsi migliori o peggiori dei personaggi, senza aver visto trionfare l’amore, od anche l’ingiustizia a scapito dei buoni, o vendicati i torti. Nulla di tutto ciò. Si riesce a stento raccontare la trama, la sottile tela di ragno dei fatti appare inessenziale, vaga. Enigmatica. Si cammina per le strade della città deserta, con il programma di sala stropicciato fra le mani, pieni di un senso di vuoto, d’impotenza, di una commozione che non trova speranza e consolazione. Con la sensazione di un ripetersi ciclico dell’anello delle sventure cui non si può più sfuggire, creature ormai sole, sotto un cielo muto di miracoli e deserto di dei ed angeli salvatori. Ed anche la nostra casa forse, dopo aver girato la chiave nella toppa, prima di accendere le luci delle cose consuete, ci sembrerà piena di quello stesso mistero indefinibile ed angoscioso, senza neppure la consolazione di riuscire a ricantare con voce stentorea la melodia di una qualche aria, un frammento musicale qualsiasi. Tutto si confonde in un cerchio che mormora chiuso in se stesso. Ci troviamo di fronte ad un nuovo modo di scrivere opere, ad una musica profondamente diversa da quella della tradizione precedente nello sviluppare e combinare i toni, la struttura armonica, melodica e ritmica; ad un uso del testo letterario tout court, senza adattamenti e facili semplificazioni, cosa che spesso avveniva con risultati assai ridicoli nelle improbabili rime baciate che costringevano le parole e i concetti nella metrica forzata e riduttiva di un libretto. Debussy usa il testo così come è scritto, con solo qualche piccolo taglio di alcune scene, inaugurando una diversa maniera di concepire il teatro musicale. La Literaturoper. Seguito da Richard Strauss che nel 1905 farà la stessa operazione con Salomè di Oscar Wilde, poi con Elektra di Hugo von Hofmannsthal, 1909, da Alban Berg con Wozzeck da Woyzeck di Georg Büchner, 1925, e Lulu di Franz Wedekind, 1927. La fedeltà al testo si traduce in una specie di declamato lirico che rispetta la linea poetica originale, dando al parlato un’intonazione musicale cui non sfugga nemmeno una sillaba. Del resto Debussy già si era ispirato a testi poetici con Mallarmé, il famoso Prélude à l’après-midi d’un faune, o mettendo in musica poesie di Verlaine, Baudelaire, Louys. Proprio ne La chevelure de Les Chansons de Bilitis di Louys si trova una Mélisande in nuce alle prese con i suoi sensuali capelli.
 
La chevelure
 

 
da Les chansons de Bilitis
 
di Pierre Louys
 
[…]
 
Il m’a dit: “Cette nuit, j’ai rêvé. J’avais
ta chevelure autour de mon cou. J’avais tes
cheveux comme un collier noir autour de ma
nuque et sur ma poitrine.
 
Je les caressais, et c’étaient les miens; et
nous étions lies pour toujours ainsi, par la
même chevelure la bouche sur la bouche, ainsi
que deux lauriers n’ont qu’une
racine.”

 
[…]
 
“Lui m’ha detto:”Stanotte, ho sognato. Avevo
la tua chioma attorno al mio collo. Avevo i tuoi
capelli come una collana nera attorno alla mia
nuca e sul mio petto.
 
Io li carezzavo, ed erano i miei; e
noi eravamo legati per sempre così, dalla
stessa chioma, la bocca sulla bocca, così
come due allori che non hanno che una sola
radice.”
 
La musica accompagna le parole senza mai soverchiarle ed ha il compito di svelare il loro sottotesto nascosto, il non dicibile, attraverso la melodia, affidata agli strumenti e non al canto. Agli interludi musicali fra una scena e l’altra la descrizione emotiva del clima interiore dei personaggi e della vicenda.In quell’epoca felix il clima di scambio e di comunicazione fra le varie arti, musica, poesia, teatro, letteratura, pittura era molto intenso. Le muse non se ne restavano inerti e compiaciute nel loro hortus conclusus, ma fecondavano a vicenda i loro campi, producendo veri e propri irripetibili capolavori. L’atmosfera culturale europea era ben più intersecata di quanto avvenga oggi, nonostante non fossero ancora stati inventati i veloci mezzi di scambio delle comunicazioni e men che meno quelli simultanei della rete. Una lettera per arrivare da Milano a Roma impiegava giorni e giorni, un viaggio da Mosca a Parigi era un’avventura di settimane. Eppure il vento della cultura soffiava forte e proficuo. I drammi teatrali di Maeterlinck viaggeranno su di una slitta a sonagli per le steppe gelate fino al Teatro d’Arte di Mosca dove contribuiranno, in storiche messe in scena, alla nascita del moderno teatro di regia ad opera di Stanislavskij, L’uccellino azzurro, 1909 e di Mejerchol’d, La morte di Tintagiles, 1905, poi a San Pietroburgo con Suor Beatrice, Il miracolo di Sant’Antonio, 1906-1907. Pelléas et Mélisande stesso ispirerà Fauré, il compositore preferito del salotto di Madame Verdurin di Proust, che ne scriverà, certo con minor piglio innovativo, le commoventi musiche di scena


per una rappresentazione londinese del 1998, poi Schoenberg, il cui poema sinfonico Pelleas und Melisande, 1902, composto senza nemmeno sapere della concomitante trasposizione di Debussy, unisce la novità musicale ad una bellezza struggente.


Di questo Maeterlinck, seme dimenticato di trasformazioni culturali essenziali, Antonin Artaud dirà nell’introduzione alla sua raccolta di versi Douze chansons (1923):
 
Maeterlinck a été tenté de donner la vie à des formes, à des états de la pensée pure. Pelléas, Tintagiles, Mélisande sont comme les figures visibles de tels spécieux sentiments. Une philosophie se dégage de ces rencontres à laquelle Maeterlinck essaiera plus tard de donner un verbe, une forme dans la théorie centrale du tragique quotidien. Ici le destin déchaîne ses caprices; le rythme est raréfié, spirituel, nous sommes à la source même de la tempête, aux cercles immobiles comme la vie. Maeterlinck a introduit le premier dans la littérature la richesse multiple de la subconscience.(…) Il est apparu dans la littérature au moment qu’il devait venir. Symboliste il l’était par nature, par définition. Ses poèmes, ses essais, son théâtre, sont comme les états, les figures diverses d’une identique pensée. L’intense sentiment qu’il avait de la signification symbolique des choses, de leurs échanges secrets, de leurs interférences, lui a donné par la suite le goût de les faire revivre en les systématisant. C’est ainsi que Maeterlinck se commente avec les images mêmes qui lui servent d’aliment.
 
“Maeterlinck ha tentato di dar vita a delle forme, a degli stati del pensiero puro. Pelléas, Tintagiles, Mélisande sono come le figure visibili di tali sfuggenti sentimenti. Da questo incontro/scontro emerge una visione filosofica cui Maeterlinck cercherà più tardi di dar voce e forma nella teoria centrale del tragico quotidiano. Qui il destino scatena i suoi capricci; il ritmo è rarefatto, spirituale, siamo alla sorgente stessa della tempesta, ai cerchi immobili come la vita. Maeterlinck ha introdotto per primo nella letteratura la ricchezza molteplice del subcosciente.(…) È apparso nella letteratura al momento in cui doveva arrivare. Simbolista lo era per natura, per definizione. Le sue poesie, i suoi saggi, il suo teatro, sono come gli stati, le figure diverse di un identico pensiero. L’intenso sentimento che aveva del significato simbolico delle cose, dei loro scambi segreti, delle loro interferenze, gli hanno dato in seguito il gusto di farli rivivere sistematizzandoli. E’ così che Maeterlinck si interpreta con le immagini stesse che gli servono da alimento.”
 
Debussy, dunque, acquista il testo di Pelléas et Mélisande appena uscito, nel 1892, lo vede poi rappresentato alla Buffes Parisienne il 17 maggio 1893, e resta subito affascinato da questo dramma che così decisamente si allontana dagli stilemi del tetro allora in voga. Niente a che vedere con Sardou, autore di Tosca, cui si ispirerà Puccini, dove la cornice storica è solo il decor superficiale di melodrammi borghesi a forti tinte, con Augier e le sue commedie di costume, o con Dumas fils della straziante Signora delle camelie, dove tutto è detto sciorinato, lacrime, colpi di scena, colpi di tosse e sputi di sangue tisico sul fazzoletto inclusi. Qui domina una specie di emozione sotterranea, di inspiegabile turbamento, un’ansia che non trova sfogo. Un amore che non trova soluzione, che non riesce mai a consumare la sua passione Nulla è razionale, composto, socialmente identificabile. Il vago medioevo che, insieme all’isola dominata dal castello, ne costituisce l’ambientazione esteriore, sembrano un tempo e un luogo dello spirito. Questo regno d’Allemonde è all, tutto, monde, il mondo. Tutto e nulla. Luoghi ed anime sono in una continua reciproca influenza emotiva, come ne La rovina della casa degli Usher di Poe, che tanto Debussy amava, e di cui restano spezzoni musicali per un’altra opera che avrebbe voluto comporre.
 
Non so come ma, ma appena l’ebbi guardata, una sensazione di insopportabile tristezza mi prese l’anima.
 
[…]
 
La mia fantasia era così eccitata che credetti di notare intorno alla proprietà un’atmosfera particolare, “sua” e degli immediati dintorni, un’atmosfera diversa da quella del cielo, ma che esalavano gli alberi intristiti, e la muraglia grigia e la silenziosa palude, una vaporosità pestilenziale e mistica appena visibile ma fosca, inerte e color di piombo.
 
[Edgar Allan Poe, OPERE SCELTE, La rovina della casa degli Usher, I Meridiani, ed. Mondadori, trad di Elio Vittorini, pag. 263, 265-266.]
 
A Pelléas et Mélisande ed alla sua atmosfera turbata e sfuggente Debussy dedicherà quasi dieci lunghi anni di tormentato lavoro.
 
J’ai passé des journées à la poursuite de ce “rien” dont elle est faite (Mélisande) et je manquais parfois de courage pour vous raconter tout cela, ce sont d’ailleurs des luttes que vous connaissez, mais je ne sais pas si vous êtes couché comme moi, avec une vague envie de pleurer, un peu comme si on n’avait pas pu voir dans la journée quelqu’un de très aimé. Maintenant c’est Arkel qui me tourmente. Celui-là, il est d’outre-tombe, et il a cette tendresse désintéressée et prophétique de ceux qui vont bientôt disparaître, et il faut dire tout cela avec do, ré, mi, fa, sol, la, si, do!! Quel métier?
 
“Ho passato giornate intere all’inseguimento di questo “niente” di cui lei è fatta (Mélisande) e mi mancava talvolta il coraggio di raccontarvi tutto ciò, sono delle lotte che conoscete del resto, ma non so se vi è mai capitato di andare a letto come me, con una vaga voglia di piangere, un po’ come se non si fosse potuto vedere nella giornata qualcuno di molto amato. Adesso è Arkel che mi tormenta. Quello là, è d’oltretomba, ed ha la tenerezza disinteressata e profetica di quelli che se ne andranno presto, ed occorre dire tutto ciò con do, re, mi, fa, sol, la, si, do!! Che mestiere?”
 
[Claude Debussy, «Deux lettres de Debussy à Ernest Chausson», Revue musicale (numéro spécial: La jeunesse de Claude Debussy), t. III, nº 7 (1er mai 1926), p. 87-88 (183-184)]
 
Ne risulterà una musica fluttuante, fioca, con sonorità d’eco, piena di sfumature, di dissonanze che colpiscono la parte inconscia dell’ascoltatore, catturandolo nel suo flusso continuo, innocente e sensuale, semplice e complesso insieme, con la sua malinconica luminosa bellezza fatta di suoni leggeri e preziosi. Ben lontano dall’enfasi eroica wagneriana, al golfo mistico di Bayreuth, straboccante di orchestrali che strapazzano i loro strumenti come un mare in tempesta, Debussy contrappone l’organico della piccola orchestra da camera di Mozart, che solo raramente dispiega la sua potenza sonora nei fortissimo. In una conversazione avuta nel 1889 con il suo insegnante al Conservatorio Ernest Guiraud, riportata da Maurice Emmanuel, autore di un saggio sul Pelléas, uscito nel 1926, Debussy confrontando la sua opera con il dramma wagneriano dirà:
 
Je [n’]imite pas. Autre forme dramatique à mon sens: musique où finit la parole. Musique pour inexprimable. Elle doit sortir de l’ombre. Etre discrète. “Io non imito. E’ un’altra forma drammatica a mio avviso: la musica dove finisce la parola. Musica per l’inesprimibile. Deve uscire dell’ombra. Essere discreta.”
E quando Guiraud gli chiederà:
 
Mais alors où est votre poète?
 
“Ma allora dov’è la vostra poetica?”
 
Debussy risponderà:
 
Celui des choses dites à demi. Deux rêves associés: voilà l’idéal. Pas de pays, ni de date. Pas de scène à faire. Aucune pression sur le musicien qui parachève. Musique prédomine insolemment au théâtre lyrique. On chante trop. Habillage musical trop lourd. Chanter quand ça vaut la peine. Camaïeu. Grisaille. Pas de développements musicaux pour “développer”. Fautes! Un développement prolongé ne colle pas, ne peut pas coller avec les mots. Je rêve poèmes courts: scènes mobiles. Me f… des 3 unités! Scènes diverses par lieux et caractère; personnages ne discutant pas; subissant vie, sort, etc.
 
“Quella delle cose dette a metà. Due sogni uno nell’altro [n.d.t.: “A dream within a dream” direbbe Poe]: ecco l’ideale. Non un paese, né una data. Non una scena imposta. Nessuna pressione sul musicista che sta rifinendo. La musica predomina insolentemente nel teatro lirico. Si canta troppo. Un “abbigliamento” musicale troppo pesante. Cantare quando ne vale la pena. Chiaroscuro. Monocromo. Non sviluppi musicali tanto per “sviluppare.” Che errori! Uno sviluppo prolungato non collima, non può collimare con le parole. Sogno poemi corti: scene mobili. Io me ne f… delle 3 unità! [n.d.t.: la famosa Sacra Trinità della Musica: Melodia, Armonia e Ritmo] Scene diverse per luoghi e carattere; i personaggi non discutono; subendo la vita, il destino, etc. “.
 
[A. Hoéré, «Entretiens inédits d’Ernest Guiraud et de Claude Debussy notés par Maurice Emmanuel (1889-1890)», Inédits sur Claude Debussy, Paris, Les Publications techniques, galerie Charpentier, p. 28-29.]
 
Ed, infatti, la musica di Debussy armonicamente non obbedisce ad alcuna legge conosciuta, consonanze e dissonanze sono mescolate, fuse, richiamate, senza il minimo riguardo per le regole delle relazioni tonali stabilite dalla tradizione – Me f… des 3 unités! – non si riconosce alcun limite di qualsiasi genere fra le differenti chiavi, c’è un flusso costante ed un cambiamento continuo e la stessa tonalità è raramente mantenuta oltre il singolo spazio di una battuta. Tutto è mescolato, intrecciato liberamente.
 
Ma ora un po’ di silence. Ecco là Mélisande. L’abbiamo lasciata troppo sola a tormentarsi. Ecco che qualcuno arriva ai piedi della torre.
 
[Pelléas et Mélisande
Orchestre de la Suisse Romande
Diretta da
Ernest Ansermet

C. Maurane, E. Spoorenberg, G. Hoekman, J. Verasey, R. Brédy, J. Shirley-Quiek, G. Kubrack]

[1. continua nella seconda parte dove si trovano anche i riferimenti discografici completi]

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6 Commenti

  1. Una scrittura di fata.

    La musica sveglia desiderio di oblio, desiderio di morte nel castello dei boschi, quaggiù l’amore si mostra alla principessa, non pelle di zigrino,
    i capelli biondi, tessuto veleno, scappano alla notte e alla gelosia; l’amore si svela nella fonte, fatto di silenzio e di assenza. Ma la morte gira, le mosche orlano la bocca amorosa.

    Un soffio poetico sublime.

    Grazie a Orsella Puecher. Mi piace anche Ondine. Aspetto la seconda parte.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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