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Genova senza poesia

di Christian Raimo

Nel luglio 2001 stava morendo mio nonno. Non andai a Genova. Avevo altre ragioni per andare e altre per non andare. Paura, pigrizia, obblighi civili. Un mio amico scrittore quarantenne cercava di convincermi: “Andiamo, si rimorchierà che non hai idea”. La sera della Diaz ero nel retro di una macchina, alla radio parlavano confusamente di quello che succedeva. Mi venne una strana paura, e un principio di quel senso di improvvisa caduta dall’astrattezza di giorni noiosi alla preganza di un evento storico. Mi sentii, come poche altre volte, forse più di ogni altra volta, italiano. Non saprei dirlo meglio, mi percepii parte di una comunità ferita con violenza, e per questo compattata. Ma già la sera stessa questo senso istantaneo di appartenenza, di comunità, di fratellanza, era scemato. Molte delle cose che dicevano coloro che parlavano a nome di tutti non mi trovavano d’accordo. Da un istante d’indistinzione si riaffacciavano prosasticamente le differenze, emotive, di idee. I protagonismi, le reazioni giustamente isteriche, le bugie buttate là.
Per questo i memoriali mi sembrano sempre celare una contraddizione: così quello di oggi, la solennità del giorno, dell’ora, le 17 e 27, del nome della piazza, porta come gli altri memoriali un rischio di ineffabilismo, in cui ci si pensa accomunati – senza le difficoltà della mediazione – da quello che in realtà è un inno a non dimenticare e basta: a ridurre le differenze di reazione a un dovere di omaggio. E l’unica cosa con cui ci si sente affratellati diventa un dato privo di qualsiasi connotato: un’ora, un giorno, una piazza. Descrivere il dolore vuol dire non ripeterlo nella sua forma originaria, non affidarlo a una memoria cristallizzante, ma dimenticarlo un po’. Confonderlo, spezzarlo, demistificarlo, mischiare, ripetere, inventare, modificare metaforicamente: tutto questo su Genova continua a non avvenire. I libri, i film che sono usciti dal 2001 in poi risentono di questo sovraccompito di precisione che non dice nulla di più di quello che i processi purtroppo ancora non dicono.
Ma se la verità della giustizia e della politica ha dinamiche tortuose, menzognere, strumentali, quella della letteratura non deve pensare di sostituirsi con un “eccesso di memoria” al “difetto di interesse” politico per una vicenda come quella di Genova centrale non solo per la storia d’Italia recente.

E poi oggi, come sei anni fa, fa un caldo indicibile.

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11 Commenti

  1. Mi perdonerai, Raimo, e perdonerai anche la mia imbecillità, ma, non ostante abbia letto e riletto varie volte il tuo pezzo, non sono riuscito a capire dove vuoi andare a parare, né a chi ti riferisci, tantomeno il senso complessivo del tuo scritto. Carenza mia, sicuramente. A me sembra soltanto la risposta, sbagliata per forma e contenuto, al post di Rovelli.

  2. Sarà pure eccesso di memoria, Christian. Ma la storia produce danno solo dopo che è diventata tale. Questa, ancora, è negata. E finché i processi non dicono quel che dovrebbero, finché ci sono ciechi e sordi (e fascisti dentro, come dimostra il loro linguaggio, di cui mi vergogno per loro) come quelli che hanno infestato il post sotto questo, non c’è dubbio che avrà senso farla traboccare, la memoria.

  3. D’Alto, non ti preoccupare, Raimo non può soddisfare la tua incomprensione. Perché Raimo non risponde mai, o quasi.
    Lui non usa questo come un blog, ma come un sito, o una rivista cartacea. Non si sporca le mani con i suoi lettori. Lui è al di sopra. Scrive le sue cose e le butta lì, amen. Commentare sui commenti è roba da lettori, da “scrittori autolegittimati”.

  4. Nulla è più difficile del descrivere il dolore.
    Chi prova a farlo deve affrontare una pesante sfida,
    tanto più pesante quanto più gravoso il danno.

  5. mi dispiace non rispondere, ma vengo disgustato da come le discussioni degenerino, il post di rovelli è stato subissato di insulti e reazioni livide senza alcun senso. quando si cerca di parlare di argomenti politicamente significativi si finisce nella tifoseria da ultras come niente. cercavo di dire questo forse male, saccentemente, laconicamente – in queste venti righe sopra. ma mi ero sorpreso da come la sinistra che inneggia alla memoria di genova si trovi divisa e molto da quella memoria (vedi i cortei non uniti a genova), e soprattutto provo un senso di delusione su come nessun libro o film sia riuscito a incamerare il buco nero del g8 2001 in un qualcosa che andasse al di là della testimonianza documentaria, massimeggio.
    il libro di bugaro, quello di bosonetto, quello di morozzi, quello di vendola, quello ora di ferrucci, quello di voce, quello di ventroni, così anche questo post di rovelli, PER ME, restano ancorati a una retorica dello schieramento che non riesce a trasformarsi in altro pienamente. tutto qui. non deve accadere per forza. poi se da chissà quale nera fonte ricicciano voci urlanti di retorica fascistoide, uno si sente pure legittimato a ribadire il proprio sdegno, la propria rabbia, con questa retorica basilare della memoria documentaria.

  6. Io invece nel tuo post, Raimo, sento una sincerità che non sento altrove.
    E’ come se uno ogni tanto avesse il coraggio di dire: mi sento umanamente ferito da quello che è accaduto, ho un sasso in mano e NON SO a chi tirarlo, perchè NON SO realmente chi ha colpe e chi solo disgrazie.
    Solo i ragazzi credono di sapere tutto.

  7. Soyez bèni, mon Dieu, qui donnez la souffrance
    comme un divin remède à nos impuretès.

    Charles Baudelaire

  8. penso che la memoria della retorica non sia memoria.
    come la retorica involontaria, a mio modesto avviso, non è letteratura, Anche se il documentarismo fatto bene, fa bene.

    dico che Raimo, per certi Versi, probabilmente ha anche ragione, se è quella che dobbiamo cercare

    b!

    Nunzio Festa

  9. “Tutte queste domande”, racconto a cui questo pezzo è legato a filo doppio, è in assoluto il più bella narrazione che tu abbia mai pubblicato Christian; è scritto magnificamente e travalica certa scrittura tiepida, frigida che incontro sempre più di frequente.
    Aspetto curioso che tu concluda il tuo primo romanzo per poterlo leggere presto…

  10. “Nel luglio 2001 stava morendo mio nonno. Non andai a Genova. Avevo altre ragioni per andare e altre per non andare. Paura, pigrizia, obblighi civili. Un mio amico scrittore quarantenne cercava di convincermi: “Andiamo, si rimorchierà che non hai idea”.

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