In ricordo di Anna Maria

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di Francesca Serafini

Io, l’estate, la odio. Succede da quando sono bambina. Crescendo, ho provato a dare un senso più alto alla mia insofferenza. Ho pensato di attribuirne le ragioni al fatto che l’estate esaspera le differenze sociali; segrega i più indifesi nel loro deserto di solitudine e, col caldo che dà alla testa, qualche volta uccide. Ma lo so che non è così; o, almeno, so che non è solo il senso di colpa nei confronti di chi è meno fortunato a mettermi a disagio. L’inverno non è del resto più indulgente con chi vive sotto i ponti, e davanti a una fetta di cocomero o a un presepe, la desolazione è la stessa, ad arrivare soli agli appuntamenti rituali della collettività. Infatti, tutto questo c’entra fino a un certo punto. Se la odio, l’estate, è perché un agosto di tanti anni fa, per me, finiva l’infanzia.
Ricordo ogni piega nell’abito di lino che indossava mia madre. La spilla da balia con cui aveva ripreso da un lato il giro vita in eccesso. Ricordo me, in costume, e la bocca sporca di gelato, che al mare, col vento, si squaglia con niente e ne servirebbero due, di lingue, per arginare la deriva. Ricordo che a un certo punto, di colpo, la mia ha smesso di leccare. Perché, per quanto mia madre si sforzasse di incoraggiarmi e mi invitasse a prendere in considerazione l’ipotesi che una malattia, per quanto grave, non è necessariamente una condanna a morte, io l’avevo capito subito che di lì a poco mio zio se ne sarebbe andato e che quando lei mi diceva che dovevo aiutarla ad aiutare i miei cugini, mentre la zia restava in ospedale col loro padre, avevo capito che intendeva “arriveranno tempi bui e ci dobbiamo dare da fare, piccola mia”. Voleva dire questo, e l’ho capito subito. Ma come si fa? Cioè, fossi stata acchitata per l’occasione, vestita di tutto punto, predisposta alla notizia e all’investitura spropositata per i miei pochi anni, forse, almeno, avrei solo sofferto, senza sentirmi del tutto inadeguata. Non si può ricevere una notizia così in mutande e con la faccia imbrattata di gelato. E questo qui succede solo in estate. Ci ho fatto caso. Per questo mi fa tanta paura. So che qualunque cosa brutta succederà, io sarò ugualmente inadeguata. E questo pensiero non mi abbandona mai alla vigilia di ogni partenza: divento possessiva con gli affetti più cari, cerco di salutarli tutti, a uno a uno, perché so che siamo di parola e che se, lasciandoci, al dunque, ci diciamo ‘arrivederci’, non succederà niente e rispetteremo il patto, a estate finita.

Forse è per questo che oggi, di nuovo, mi sento molto inadeguata. Perché sono in costume, tra i resti di una villa romana, e ho da poco mangiato un gelato, quando il mare, ancora una volta, porta con sé una brutta notizia. Solo che stavolta non posso neanche sperare nei prodigi di una cura. Stavolta è già accaduto tutto, e questo qui, tra me ed Anna Maria, non è nient’altro che un addio.

I giornali on line la salutano subito, con nomi diversi (patron, zarina, madrina, ecc.), per il suo ruolo nello Strega. Ricordano il modo in cui ha amministrato per anni l’eredità di Maria Bellonci e il suo premio, che a tutt’oggi, grazie a lei, continua a essere il più importante italiano. Dicono un sacco di cose vere, nelle quali la riconosco tutta. Anche se, di tanto in tanto, inevitabilmente cedono alla tentazione della retorica; e lì, se penso a lei, non riconosco più niente, tranne la testa che avrebbe scosso a ogni aggettivo di troppo.

E per quanto io non riesca a parlare al passato, a credere che se ne sia andata (non è un fatto di tempi e di elaborazione del lutto: è che tutta quella vitalità, mentalmente, non ce la farò mai ad associarla alla morte); per quanto mi aspetti ancora, l’anno prossimo, di ritrovarla agguerrita agli appuntamenti stregati col suo completo bianco; ecco, pensando a lei, alle esperienze che abbiamo condiviso in Fondazione Bellonci, alle colazioni di Pasqua sulla terrazza in via Ruspoli, e ai tanti Martini che ci siamo prese lì al tramonto, io non riesco a sentirla vicina e presente come quando rivado col pensiero a tutte le litigate che ci siamo fatte. È così: i morti, per sentirli vivi, bisogna ricordarli nei difetti. Ammesso che sia un difetto accaldarsi per le cose a cui si tiene, lasciare che il loro fuoco metta a tacere di tanto in tanto il principio ordinatore della ragionevolezza; e che a gesti di generosità esagerata facessero da contraltare improvvise e spiazzanti impennate d’orgoglio. Era così bello vederla accendere per una nuova scoperta letteraria. E bello è stato, giusto un anno fa, brindare insieme alla più importante delle conferme, quella che ci ha fatte ritrovare, fra l’entusiasmo degli Scrausi. Quel libro lì, a pensarci, si apre con una scena di mare; e con una perdita. Tutte cose che provo a mettere insieme, ora, per cercare un po’ di calma nel caos in cui ci fa precipitare ogni nuova incursione nel privato della morte. Questa qui ci ha portato via Anna Maria, e per quanto io mi sforzi di attribuire la rabbia all’estate, al fatto che la notizia, per l’ennesima volta, mi abbia colta impreparata e fatto sentire inadeguata; ecco, è che a ricordarla mentre scuoteva la testa ogni volta che si esulava dal nucleo vivo delle cose, in cerca di fronzoli letterari, devo riconoscere che l’estate non c’entra e la mia storia personale ancora meno; e che perderla a novembre oppure nel freddo di febbraio mi avrebbe procurato lo stesso dispiacere. So che se io fossi riuscita ad ammetterlo, davanti a lei, senza giri di parole, il punto acquisito le avrebbe acceso un sorriso sornione. E penso che ora me ne stia facendo uno, mentre mi arrendo all’evidenza e ammetto tutto quanto.

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21 Commenti

  1. d’estate la morte si fa più fatica ad accettare, la vita pulsa di calore, divertimenti, leggerezza…
    mio zio è morto un giorno d’estate, alla finale dei mondiali.
    quella sera in ospedale non c’era nessuno
    e quando ho saputo la notizia, è stato straziante sentire i clacson per le strade.
    la vita sa essere meravigliosa
    e crudele.

  2. Vivo lontano da Roma (ora che Amelia, Alberto, Dario e altri son “partiti”): pur essendo un provinciale o peggio, un isolano, conosco i meccanismi del Premio Strega… Alla morte si addice rispetto e silenzio e quindi mi trattengo (a stento).

  3. Anch’io vivo lontano da Roma (cioè vivo a Milano). Ora che Gianni, Lucio, Ingmar, Michelangelo, Alberto, Tina, Maria, Eleonora, Isadora, Tamara ci hanno lasciati, o meglio son “partiti” dico che a Elettra si addice il lutto.

  4. L’accento era sui meccanismi del Premio Strega, F.K. non sulla “partenza” di Rosselli, Bellezza o Moravia… Se vogliamo prenderci per il culo…

  5. Ma che dice, G.d.C.? C’è poco da scherzare, sa? Mi meraviglio di lei. Se Gianni, Lucio, Ingmar, Michelangelo ecc. sentissero… Ma non sentono, per fortuna, grazie a dio dio non esiste…

  6. Ogni dolore porta con se un richiamo
    ogni richiamo è una stagione
    ogni stagione è il nostro tempo
    fugace, imprevedibile, perituro.

  7. Ma non sentono, per fortuna

    sentono

    e che perderla a novembre oppure nel freddo di febbraio mi avrebbe procurato lo stesso dispiacere

    Oh uguale, assicuro, garantisco, anche se persi a Natale, nella città sfavillante di luci intermittenti e tutto l’armamentario della stupida paccottiglia luccicante appeso dappertutto, auguri, auguri e solo i babbi natali che sono dei poveracci vestiti di rosso sotto la barba bianca finta hanno certi occhi disperati come i tuoi, con lo zampognaro con quella sua nenia struggi cuore strazia tutto, e neve spolverata ad arte dal cielo muto al tuo dolore, e rispondete dei un perchè, niente, solo silenzio e jingle bells, jingle bells e tu scendi dalla stelle e nessuno scende, esplodessero tutte le palline sugli abeti sintetici all’unisono.

  8. Cara Francesca,
    il punto è senz’altro che ogni furto, di amici o amori o fratelli e sorelle, ogni nuova sottrazione di qualcuno caro, ci coglie sempre pronti solo allo stupore: è sempre troppo presto per dover digerire la notizia che qualcuno non lo rivedremo più, e per quanto bruciamo di urgenze non gliele potremo comunicare. Dall’esterno vorrei però sottolineare che si apre anche in questo caso un importante problema di successione. Chi potrà sostituire la Rimoaldi per tutto: passione foga e storica azione promozionale dello Strega? Notavo che, mentre lo scorso 5 luglio Mario Fortunato con inimitabile sicumera dichiarava che Come Dio Comanda proprio non gli era piaciuto (sapendo già d’aver perso proprio dal romanzo del rivale Ammaniti), la Rimoaldi non solo scuoteva la testa ma aveva un’aria davvero indignata, perché si sentiva tradita, perché lo sapeva di essere sempre nella ragione quando a istinto formulava dentro di sé la gerarchia corretta dei romanzi in concorso dell’anno e poi spingeva per farli risultare nell’esito finale del Premio proporzionando ad arte i consensi dei 400 Amici della Domenica. Era dopotutto, la Rimoaldi, la garante del Premio Strega: chi mai potrà rimpiazzarla? Ci sono già delle candidature?, degli orientamenti?

  9. Sostenere che grazie alla signora Anna Maria Rimoaldi il Premio Strega abbia continuato a essere il più importante premio letterario italiano, mi pare bizzarro. Mi sembrerebbe più realistico sostenere il contrario: e ciò che durante la gestione della signora Anna Maria Rimoaldi il Premio Strega abbia visto vanificarsi tutta la sua autorevolezza culturale.
    Basta poco, per vanificare l’autorevolezza culturale di un premio. Basta che il vincitore venga annunciato con mesi di anticipo sulla presentazione dei concorrenti. Basta che i libri da votare non vengano nemmeno distribuiti ai giurati. Basta che i pacchetti di schede vengano consegnati (pubblicamente) dai funzionari delle case editrici. Di tutte e tre queste cose sono stato – come tanti – testimone oculare.
    Io non so se la signora Anna Maria Rimoaldi si sia resa complice di questo screditamento di un nobile premio, o se si sia opposta con tutte le sue forze a iniziative ancora più screditanti. Non ho intenzione di mancarle di rispetto; né voglio mancare di rispetto a Francesca Serafini.
    Ma che il Premio Strega abbia raggiunta in questi ultimi anni un’autorevolezza culturale pari pressoché a zero, è la mia opinione.

  10. Sostenere che grazie alla signora Anna Maria Rimoaldi il Premio Strega abbia continuato a essere il più importante premio letterario italiano, mi pare bizzarro. Mi sembrerebbe più realistico sostenere il contrario: e ciò che durante la gestione della signora Anna Maria Rimoaldi il Premio Strega abbia visto vanificarsi tutta la sua autorevolezza culturale.
    Basta poco, per vanificare l’autorevolezza culturale di un premio. Basta che il vincitore venga annunciato con mesi di anticipo sulla presentazione dei concorrenti. Basta che i libri da votare non vengano nemmeno distribuiti ai giurati. Basta che i pacchetti di schede vengano consegnati (pubblicamente) dai funzionari delle case editrici. Di tutte e tre queste cose sono stato – come tanti – testimone oculare.
    Io non so se la signora Anna Maria Rimoaldi si sia resa complice di questo screditamento di un nobile premio, o se si sia opposta con tutte le sue forze a iniziative ancora più screditanti. Non ho intenzione di mancarle di rispetto; né voglio mancare di rispetto a Francesca Serafini.
    Ma che il Premio Strega abbia raggiunta in questi ultimi anni un’autorevolezza culturale pari pressoché a zero, è la mia opinione.

  11. Beh, non sono un’addetta ai lavori, ma a pelle mi verrebbe di concordare con quello che dice Giulio Mozzi.
    Dicono che l’anno scorso si sapesse già da Novembre che avrebbe vinto Veronesi, e che la Rossanda non avrebbe avuto storia.

  12. Sì, bei figlioli, ma la macchina-premio andava avanti da un pezzo (come è arcinoto, e tutti ci avevano anche fatto il callo, o no caro Giulio, o Giorgio?) grazie a questa signora attempata, dispotica e dopotutto irritante, che forse (da brava segretaria, in senso stretto, o ristretto) era pur sempre la garante curiale del funzionamento sempre uguale, ogni benedetto anno, del premio.
    Questo ho detto, non altro. Chi andrà al posto suo a fare la biella, come ha fatto lei per non pochi anni?
    L’autorevolezza dei premi letterari, d’altra parte, è una piccola chimera. Per molte ragioni. I premi sono soprattutto appuntamenti mondani, e quando a un cenone si contempla lo spettacolo di politici giornaliste attrici registi autrici (di un solo libro, molto impegnate a tenere pubbliche relazioni invece che a stare a casa a scrivere, o nel mondo a nutrire una scrittura non borghese, uno stile non servo del sistema) e per finire alcuni ritratti di commensali incannaccate che mostrano stupore all’obiettivo, bè: permettete?, è il trionfo dell’avvilmento, e il tonfo di qualunque pur minima istanza letteraria (artistica?, ma non diciamo sciocchezze!).
    Ma questa è tutta un’altra storia.

  13. Mi viene, scusate da aggiungere, che il nostro problema vero è che noi siamo un Paese curiale, per l’appunto. Vedo ormai solo segretari/e e zero intellettuali. Riflettiamo un po’ su questo, bei figlioli.

  14. Perdonatemi, ri-posto, perché c’era una virgola malandrina nel posto sbagliato…
    -Mi viene, scusate, da aggiungere che il nostro problema vero è che noi siamo un Paese curiale, per l’appunto. Vedo ormai solo segretari/e e zero intellettuali. Riflettiamo un po’ su questo, bei figlioli.

  15. sì, bravo, datti una bella guardata allo specchio, eroe. tutti segretari a parte te, naturalmente, vero?

  16. non c’è niente da fare
    non si può discutere
    tutti prendono la discussione per un batti&ribatti fatto d’insulti
    come nei talk show
    ormai il dibbattito è il format del pensiero
    peccato
    una buona occasione persa
    l’ennesima

  17. Penso che Francesca nel suo ricordo di Anna Maria Rimoaldi non abbia parlato dello Strega ma di una persona che non c’è più.

    Penso, se lo leggo, che questa persona sia stata capace di muovere affetti: succede più o meno a tutti nella vita, non è un merito particolare.

    Però penso anche se una persona ricorda qualcuno con affetto, è piuttosto volgare fargli presente che – a proprio insindacabile giudizio di valore – era un figlio di puttana (a meno che non si tratti di Totò Riina e di pochi altri).

    Penso che Giulio Mozzi & Co. si sono occupati più volte dell’autorevolezza o non autorevolezza dei premi letterari, in questo caso potevano soprassedere.

    (Ma già che ci siamo: caro Mozzi, da molti anni i libri che concorrono allo Strega vengono acquistati dall’a Fondazione che organizzail premio e inviati ai giurati. Tutti i libri a tutti i giurati: è stata un’idea di AM Rimoaldi.

    Non accadeva quando ha concorso lei perché in quel momento non c’erano altri sponsor ad affiancare la ditta che produce il liquore.

    I soldi degli sponsor potevano essere impiegati per migliorare il catering, di solito abbastanza scadente, di Villa Giulia. Si è deciso invece di impiegarli per acquistare libri.)

  18. Questo piccolo suffragio, caro Petrocchi, è particolarmente meritorio.
    Ecco io vorrei dire che la tendenza al linciaggio è un po’ troppo facile. Invece mi pare che si debba sempre portare un po’ di rispetto a chi fa le cose. Poi magari le fa male, costui o costei, le cose. Però le fa.
    Mentre nessun altro si adopera (salvo partecipare o giudicare) altrettanto: in questo caso per esempio a coltivare le persone, a tenerle insieme in ogni caso attorno ai romanzi, agli scrittori, ai giurati che in molti casi sono a loro volta scrittori, o critici letterari – di alcuni di loro conosco la totale adesione alla letteratura, a tutto ciò che la fa esistere, tra cui questo Premio, nel bene e nel male.
    I buffet dello Strega non li ho mai assaggiati.
    Certo so che dopo la serata finale tutti si riversano a notte fonda a cenare, perché hanno fame.
    Lo ripeto, mi chiedo chi – magari con aria meno arcigna, con simpatia meno ruvida ma con altrettanto potente lena – saprà tenere insieme e far funzionare a dovere la macchina di questo Premio.
    Lo vorrei sapere, dopotutto è anche una curiosità.

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