Inno alla matematica

di Antonio Sparzani

Giorgio Cicogna

Giorgio Cicogna muore improvvisamente a causa di uno scoppio nel laboratorio di Torino, dove stava sperimentando un nuovo motore a razzo di sua invenzione e progettazione, nel 1932. Singolare personaggio di scienziato e di poeta, non è mediamente ricordato dalle antologie della nostra letteratura – il Meridiano curato da Pier Vincenzo Mengaldo Poeti Italiani del Novecento (I ed. 1978) non ne fa menzione – né da quelle della storia della tecnica, ancorché alla sua morte immatura (aveva 33 anni) abbia ottenuto lodi per la sua opera d’inventore da Guglielmo Marconi in persona, all’epoca assai in auge. Molti elogi riceve invece da Alfredo Galletti, autore del volume il Novecento della gloriosa Vallardiana, la Storia della Letteratura Italiana, uscita sul finire degli anni 30 per l’editore Francesco Vallardi, mentre poi il suo nome viene mediamente dimenticato. Fortunatamente sopravvive nel sito di liberliber dove lo potete trovare.

Trascrivo qui qualche riga del positivo giudizio del Galletto, perché non solo la storia della letteratura è interessante, ma talvolta anche quella della critica letteraria.

“La libera impetuosità della sua espressione e la spontaneità geniale con che l’idea scientifica si trasforma nella sua fantasia in immagine ed in mito lo salvano dal freddo artifizio – mal dissimulato dall’affettato disprezzo della forma e del ritmo – e dalla cerebrale fastidiosa smania dell’inconsueto e del bislacco che è la peste di tanta parte di quella prosa inarmonica e sincopata che ora si suol chiamare, non si sa perché, poesia.”

Cicogna lascia una raccolta di racconti di fantascienza, I ciechi e le stelle e una raccolta di poesie
Canti per i nostri giorni
, dalla quale trascrivo questo Inno alla matematica, perché mi sembra rappresenti, in modo non banale per la sua epoca, il modo in cui un uomo di scienza si disponeva a fare letteratura:

Inno alla matematica

Lontanissimo, lontanissimo
dove il cielo tocca la terra
c’è un castello; c’è da antichissimo
tempo un castello; vi stanno rinchiuse
Furie e Grazie, Fate e Muse.
Ombre e forme, larve e immagini
che nei secoli l’uomo ha create
giù nel parco tutte discendono
nelle tiepide notti d’estate;
Poi tra gli alberi, poi tra le fronde
tutte danzano sotto la luna;
Liete o irose, tristi o gioiose,
tutte cantano, fuor che una:
Fuor che una piccola Cenerentola
che sta al fuoco, e svéntola, svéntola.

Gridano le Erinni
«Suscitiamo gl’inni
diamo fuoco ai cuori
che la vampa rossa degli incendi li divori!
Lampo nelle spade
Sibilo nel piombo
Liévito nel sangue a ferro e fuoco ariamo il mondo; seme d’ossa
dà grano di riscossa; terra
rossa esprime messi opime; grida
e sfida il nostro canto cielo e terra: Guerra!
Guerra!»

Ascolta Cenerentola
e non parla; curva alla pentola
guarda il fuoco, e svéntola, svéntola.

«Vergini stelle, vergini stelle,
cantan le Grazie — dolci sorelle,
siamo le ancelle di un solo Signore,
ha nome l’Amore,
germoglia nel cuore, radice ha oltre il mondo,
nell’ansia infinita
che ha, il Tutto, di vita… ancelle divine
ancelle e regine,
rechiamo il messaggio che allieta ogni viaggio
lenisce ogni pena
fiorisce ogni strada
terrena…»

Ed a gara,
gioiosa fanfara, ecco irromper le voci
limpide, argute,
d’altre creature del vecchio castello
«Gioia degli occhi, festa dell’anima, nel mio pennello
reco il Creato!» — «Dal più profondo
delle montagne cavo la forma, creo, stampo l’orma
di Dio nel masso!» — «Chiudo il futuro
nelle mie sillabe; prostro, ed esalto; mostro le mète;
chiamo, e sfavillo! Brillo, e conduco!» — «Mormoro, piango,
canto… Nell’íride
delle mie note v’è pace e guerra,
v’è cielo e terra…» — «Droghe non reco
filtri non porto, meco ho una fiaccola, rompo le tenebre,
traccio il sentiero, guido, scorto…»

Alza gli occhi Cenerentola
su dal fuoco, su dalla pentola,
Alza gli occhi e un sorriso la sfiora:
Forse domani, forse fra un’ora…

Ma le Virtù tutte azzurrovestite
le candide mani sul petto riunite
rispondono: «Gioia che passa, di un’ora,
è la vostra; non dura, se infiora!
Gioia è quella dell’anima,
che scende nel più profondo,
splende nel cuore, lo illumina,
lo fa più limpido e mondo…
Il sorriso di chi perdona!
La ricchezza di chi non ha, e dona!
La gloria di chi gloria non brama!
La carità di chi ama!
La pace, ch’è nelle vene
di chi per male offre bene!»
«Pace prego anch’io,
ma la pace di Dio,
sola pace che acquieta,
sola che porta a una mèta,
tepore di vera luce
che al solo porto conduce;
dove ha tregua il pensiero
dove finisce il mistero…»

Così cantano, nella notte, sotto la luna,
Muse e Fate, Furie ed ombre, tranne che una.
Ma ad un tratto voci e danze sono interrotte;
si dileguano Muse e Fate via per la notte.
Cenerentola, Cenerentola,
lascia il fuoco, lascia la pentola,
corri ad aprire, corri al cancello,
qualcuno bussa al vecchio castello
Pellegrino all’antico maniero,
Cenerentola, batte il pensiero.

Non la magica pantofola
della favola per un piedino;
ma un enigma forte a risolvere
ha portato il pellegrino.
L’enigma grande, profondo,
d’ogni cosa, di tutto il mondo;
dell’Universo che non si dipinge
che non si canta, che non si finge;
l’enigma che risolto
mostra agli uomini Dio col suo volto.
Ombre e forme, Grazie e Muse,
mute e attonite stanno confuse,
nella notte sotto la luna
più non cantano, fuor che una;
Fuor che una piccola Cenerentola
che s’avanza; e la chioma le svéntola.
D’oro liquido, che trabocca
ha tra le mani ricolma una coppa
l’alza e canta, e il viso le splende
canta e all’ospite muto la tende.

— «Non mi chiedere come mi chiami
Bevi il filtro dalle mie mani
Goccia a goccia l’ho distillato
nei millenni che t’ho aspettato.
Non ho avuto templi dove m’adorassero
Non ho avuto mani che m’inghirlandassero
Non ho, come le mie sorelle,
cantato l’azzurro e le stelle.
Sola, senza lauri nè carmi
ho compiuto il cammino,
corrusche non furono le mie armi
nè il mio destino.
Non serbo rancore ai poeti
non seppero mai, di me, nulla
non videro, oltre i segni segreti,
la risplendente fanciulla.
Ma i segni e i simboli attorti
incatenavano senza posa;
i numeri serravan, più forti
di strambe, ogni cosa a ogni cosa.
Tessuto nella mia veste, ora, guarda!
è il Tutto; nè v’è disegno più bello;
Vedi, nella gran fiamma, come arda
fioco questo vecchio castello!

E l’Ospite bevve il filtro; il guarnello
lògoro, di Cenerentola, sparve.
Spàrvero, via per la notte, fantàsime
urlanti, Furie e Càriti e larve;
e nell’aurora, splendente
del suo divino fulgore,
balenò, sorridente
il volto di una legge d’Amore.

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9 Commenti

  1. Ruggero, è che io la vorrei subito una Storia della Setteratura. Roba di matematici scrittori.

  2. Non serbo rancore ai poeti
    non seppero mai, di me, nulla
    non videro, oltre i segni segreti,
    la risplendente fanciulla.

    anche se ogni tanto un po’ di rabbiolina gli sarà pur venuta a ‘sta fanciulla sgallettata!

  3. OT perchè non ho tempo per commentare questo post stupendo (leggerò tutte le poesie di Giorgio Cicogna).

    e’ solo per dire a c&c che la bacio e la strabacio per avermi fatto ritrovare quadratino che avevo ormai dismenticato… ma è bastata una jpg per farmelo tornare tutto alla memoria!!!!!!!!!!

    ancora baci e baci

    fem

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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