Un gerundio di venia # 2

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di Marina Pizzi 

33.

dove è calesse il nido del cervello

quando se lieta la manciata di sabbia

torni al vagito di tutto innamorare:

quasi marsupio il sibilo del nodo

mai più di pianto lo scoscendere

34.

le invenzioni

si veda a pagina uno il varo di chissà che!

il canestrello alla merenda

il secchiello con l’acqua di mare

l’indovinello sulla punta della stella marina

il viso con l’espressione da inventare

le carezze votive per partorire

finezze di gratitudine il cielo

le cimase materne di fiabe turchine!

35.

mi va di finirmi in un occaso di pastafrolla

così da mangiarne fino all’appello

altalene di ortiche cerimonie in riva al mare

con il vetusto arlecchino tutto ridanciano

36.

sento l’acidità del suolo

l’aureola nemica in capo all’aspro gomito

le lontanze di decimazioni

il musico scortese delle lettere paniche

fazzoletti di lettighe per le lacrime

letiziate da rondini di dadi di chissà

quale fortunatissimo lancio

ma poi è lettuccio di sale

il comodino addirittura biblico

scolaro di qualità quale libertà!

le contaminazioni del tempo d’impostura

continuano in indice di papirologia

maligna quale un tuorlo preso dal fetore…

37.

il vento che assale assassino

l’intruglio di remi a scappare

eppure non vengo chiamata

dalla resina del salvavita

così con lo scontento in addizione

c’è tutta da sottrarre la tentazione

di farsi un altro da sé

la felicità che astuta s’inebria

di meno di pochi.

decimata dal breve la guardia.

38.

a corto di giuria per farti amare o condannare

hai comprato un mazzetto di glicini

chissà per chi se anche la cadenza

del passo ti sospetta vana girandola

in prestito tu che ti tocchi la nuca

per un caso di bacio per uno sbaglio

almeno di gioia di accatto

39.

il lutto carnivoro della noia

accanto accanto con far di vermiglio

coriandolo acceso per la gola

di darti pianto ancora in far di fato

ma è risaputo: l’imbuto non s’intasa

giammai mai, già di mai il mai!

e per converso il sorso della luce

ridacchia di fornaci sempre arzille

qui nella buca di farsi vacanza

al nonostante clivo…

40.

la donna sempre sola affacciata

nei panni in balìa

confeziona clessidre

sa di curve che stralunano

nell’occaso di un sole allo smacco

nel fusto scalfito di un albero

nel berretto del capostazione

logorio di trilli e segnali

di va e vieni lei lo sa il saluto

del miserrimo guardare nel ritmo

di una persiana da rincuorare

nel ladruncolo stipo di lettere

dove prestava servizio il miracolo!

41.

clessidre ritmiche gaiezze

le nuche del tempo

i creduli inviti di evviva

la maestra che insegna

calamita il chissà

la rotta viva di fole in resta.

spensierati alambicchi dettero

alluvione e carestia

mai una diga mai un lasciapassare

per le aureole dotte di accanto

accanto capire con vista…

42.

ora di lui s’interri

lo spilungone agone

il dispaccio di non ritorno

dicano addio al suo portone

per sempre uso ad essere stradale

per tempi di altri dispetti

43.

le ginestre gialle e rosse le hanno bruciate

con la scusa dell’agosto

le braci non portano nulla di buono

solo libertà orrende e marchi di commiati

l’afrore in gola e mantice la morte

disseminato il re di figlioli bui

44.

anche nell’erbario il sudario

la conca in brace di chiamar la gemma

immacolata concezione

dopo il falò la madre in tanta cenere

oltre baracca il varo della foce

45.

nel crollo del vocio tu sei l’ennesimo

bambino senza manna.

chi concluderà a consolarti?

quale presepio servirà il tuo petto

dal convulso abbaiare dei cani?

invero tu sei limitrofo

alla foggia del lutto in piena vita

quasi un cratere soltanto di elemosina

nel sì cortese che ti sfilaccia un poco

rispetto alla grondaia in piena foce

46.

oh ruotami bravure di commiato

da qui a lì un librino di rugiade

nel ritmo conforme di un editto

pure appello di un tocco di consorte

l’addio comune mai falla la ronda

dentro il soqquadro del respiro chiuso.

47.

in una distanza di truffa

l’asilo noncurante nella blasfemia

di agosto questa città qualunque

manciata di un ritmo crudele

perimetro di opere qualunque

e qui la normalità del fosso

la sporcizia dell’aria e la combusta

pretesa della resistenza in stanza

la stazza di una morte miserrima

canotta senza redentore

48.

in preda a braci di lutto

la foga senza tema della polvere

questa mansione del desco

sconsolato dattero al deserto.

in preda a filigrane e parsimonie

la rotta della lente senza fuoco

opaca a far madrina al cieco vicolo

consolato dal pendolo a ridosso.

in preda alle porte che sbattono

le valenze del torto.

49.

appiglio sulla notte il gioco comico

curato dalle rotte che non sperperano

né rade né picchi i sensi-frutti.

oggi è il giubileo dei cani e dei gatti randagi

appiglio alla ciotola la trama tragica

il branco della solitudine.

appiglio sulla lacrima resistere

crisi del sale crisi del pane

d’altri la gioia? punto di non ritorno

il prodigio dello sguardo senza pesi

nella pineta la ventola che dà da volare:

salvo l’occaso giunonica l’aurora

50.

il dovere della notte

ha sempre badato di correre

tanto prestando il ciglio alla lacrima

del vento senza fermarsi alla giostrina

di paglia simulacro di chissà

quale amorazzo infuso consolante.

via di villa giunonica la perdita

del tatto della vita.

51.

la gioia col sole è solo una sottanina

pittata a globo come per inventarti

la partecipata felicità

la cicca del remo alle marine.

col basto del dolore la rima nera

nello stanzino per ripararti

da troppi ospiti che ovunque attirano artificio

contro una salsedine di filo

il gran dolore sovrano manico mozzo.

i fiori dissidenti chinano corolle

ma il polline resiste le discendenze

le glorie altrove per occorrenze d’abaco.

52.

dammi un lato di venia

pel caso fatuo la carne della fine.

col cuore in ecatombe sto lo sfratto

dovuto alle balìe. il lusso del tempo

la voluttà del vuoto

dove imprendibili le nuvole del credo

e le gimcane tutte

dove l’addendo sfinisce al sottraendo

e già ne smuoiono con disdetta

il corso il fato nudi della moria con trappola

quale sgomento in atelier contratto

a semplice conteggio un accidente e un meno;

invece c’è la vita che reclina

solo perfidie di abituri

esclusa venia esclusa per i giocattoli

che accolgono e declinano.

53.

mi sa che verrò a farti incanto

così per fingermi margine felice

libagione di atleta in apice e/o in coda.

mi sa che verrò a farti tràdito

qui alla memoria mortuaria

dal primo attimo a mo’ di boh!

mi sa che verrò a farti mio

liberto nel cannocchiale di questa Roma

marziale con i poveri che vegetano.

mi sa che vorrò il tuo sorriso

riarso dalla rendita di eclissi

faccendiere di un apice di dio.

mi sa che vorrò il tuo dispendio

qualora la preghiera è lo sciupio

di una pagina già letta mille volte.

mi sa che vorrò la nenia lenta

qua dalla baracca che mi fregia

nel nome di una carica di ritmo!

54.

sta per arrivare il fuoco e

i libri piangono

l’urlo del dorso sfilacciato in mille

eremi d’urla

sta per varare il giudice il tuo

ergastolo stortignaccolo poeta

in far di nomi

sta per tornare il torto della fiaba

lesta la bambina con il cerchio

a far da ninnolo

sta per commettersi illogico un tuo bacio

con la ventura a panico

a far lo spettro

sta per viaggiare oltre polvere lo sguardo

patriota del giro che lo afferra

artista in un flash

sta per stordirsi il varco del tuo amore

commiato del viluppo lo stemma

al posto della cura lo stempiarsi

55.

chiamami dal bavero all’occaso

presente remoto granitico appello

sul costato di marzapane

sicché ascoltandoci un poco sonnecchi

la ronda data vincente.

56.

la cura della notte se leccornìa

il corso del buio l’ora ennesima

nella fisionomia del niente

quasi il profilo occiduo

l’inferriata maggiore è tutta divelta

nessuno è scappato dacché inutile

il lasciapassare. le sparizioni delle creature

sanno tutte le filosofie poliglotte

eppure nessuno comprende

né lascito né illuminazione

salva per poco la conta sillabante

57.

è strada chiusa il perno di vederti

dacché cercandoti dote di via

so l’invece del secchio capovolto.

il lutto del canestro la fa da padrone

nonostante l’altezza smisurata

dell’atleta consenta di abbracciare

il davanzale. la vittima col saio della notte

fa processione il gomito a saltare

verso di là dove la rivolta segna.

58.

la strada s’incolonna sudario

nel danno estivo la pazienza maggiore

dell’anno. da qui alla bussola

la solita spranga di eclissi

che dà dolore movimentando massi

sul tarlo del silenzio sulla leggenda

del peso massimo, fuscello.

59.

in uno scorcio di venia

stato di non esserci

polso di silenzio

strada di collasso in un erbario.

60.

meticcia la salsedine del volto

trasuda sabbia

anticipo di cenere

l’acqua calunniata

minata a malta.

61.

estate il mito delle statue

del mare reso al secchiello

della maretta dentro la conchiglia

del molo all’infinito della zattera di cielo

vestirci di un grappolo di uva

vederci dietro una tenda

pronuba dell’ombra stenta

che dà silvano il sole

cruento altrimenti

venuto a spegnerci la vista

lo sguardo al guado solo per granello.

62.

La gita di rondò

la gita fu un rondò di sguardi.

i sedili del pullman erano o troppo vicini o troppo lontani.

i vicini non interessavano, i lontani invece sì:

lì sedevano gli amanti possibili,

le sillabe dell’accento, accentate dall’emozione

accentuate zone di tatuaggio.

la gita finì con un nulla di fatto:

il piazzale di accesso al ritorno

parve nemico, sventrato da un bombardamento:

i saluti tremolavano nei versi giusti

ma le stigmate già si andavano aggirando

nella gattabuia di un ricordo di rimpianto.

63.

dei bambini all’asilo i grembiulini

profumano di latte di gote

di versamenti di unguenti

di terra strapazzata ai pazzi giuochi

di fionde svelte lo scontro col cielo.

al camposanto le tombe delle gioventù

mansarde in miniatura per la sberla

ha simulacro di scampo di crono

combinato con un accatto ancora

d’àncora trinciata per sasso lapide.

(Immagine tratta da: Vita da bohème, di Aki Kaurismaki.)

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5 Commenti

  1. Si tiene una donna sull’orlo del mare, cantando preghiere, dea antica. Musica della sabbia, grano a grano, scivolando.
    Sull’orlo delle labbre, un sognare votive, versi che formano mani, una parola biblica sfasciata, venuta all’amore veniale, una clessidra fa incanto, meditativa nascita.

    Grazie FRANZ; Marina Pizzi è la delicatezza stessa.

  2. la tua voce è come un segno
    che non incide solo la carne.

    ‘mi sa che verrò a farti incanto

    così per fingermi margine felice’

    ciao Marina

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