Proposta per fare un premio letterario al quale si possa credere

[riceviamo da Giulio Mozzi e pubblichiamo volentieri]

Vado per punti, così si fa prima.

1. Un certo numero di persone si associano. Una condizione necessaria
è che ciascuno degli associati dichiari pubblicamente di stimare tutti
gli altri.

2. L’associazione sceglie un certo numero di persone (direi da tre a
cinque, non di più) alle quali si riconosca una maestria nell’arte
letteraria. A queste persone, d’ora in poi chiamate “Maestri”, si
chiede la disponibilità a “tenere a bottega”, per un tempo determinato
(direi almeno un anno), una persona più giovane di loro. (In che
consista il “tenere a bottega”, è cosa di cui l’associazione discuterà
con i Maestri). Nel contempo l’associazione si impegna a coprire, in
modo e misura da determinarsi, le eventuali spese.

3. L’associazione pubblica un bando di concorso. I partecipanti al
concorso dovranno fornire testimonianze della loro attività letteraria
e indicare il Maestro presso il quale vorrebbero mettersi a bottega. I
modi della selezione sono da stabilire: immagino che l’associazione
nominerà un Comitato selettore, e che un’ultima parola spetterà
proprio ai Maestri.

4. Scelti i vincitori del concorso, d’ora in poi chiamati “Allievi”,
essi vengono assegnati ai Maestri. Ovviamente il Maestro dovrà
accettare l’Allievo, e l’Allievo dovrà accettare il Maestro.

5. Si dà pubblica notizia della cosa, eccetera.

Ovviamente possono sorgere problemi: Allievi che non trovano Maestri,
Maestri che rifiutano Allievi, comitati selettori che fanno scelte
discutibili, eccetera: si provvederà a dotare il tutto d’un
regolamento ben fatto, e ci si rassegnerà alla fallibilità umana.

Un premio di questo genere non è nuovo. E’ peraltro tipico di altre
arti: la musica, la pittura, la scultura. Ci si può domandare se vada
bene per la letteratura.

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79 Commenti

  1. Caro Giulio,
    sembra un’idea ragionevole. Ma è proprio questo che ne fa una non idea. La ragionevolezza. Nel talento non c’è nulla di ragionevole. Di metodico sì. Ma con costruzione assolutamente libera del metodo. Capisco bene qual è il criterio di fondo. Ricreare in laboratorio il rapporo Maestro-Allievo. Ma quel rapporto è totalmente LIBERO e va lasciato svilupparsi del tutto liberamente! Vedo invece che – in questa affannosa ricerca di soluzione a una miriade di NON PROBLEMI – si tenta sempre di suggerire un qualche regime. Mi permetto, caro Giulio, di suggerire invece di riprovare a coltivare rapporti – anche di filiazione e fiducia verso nostri Maestri elettivi – del tutto liberi e cercati, curati, anche se sono avventure, e non c’è argine o rete ma solo rischio. Amo il rischio e un po’ lo consiglio. Il rischio è il mio mestiere. Cioè il mestiere dello scrittore.

  2. la parola maestro risulta ambigua, oltre a evocare nel mio immaginario scenari da star wars seconda serie. Comunque se uno ha bisogno di gerarchie, resta il libro di h. mann, che si intitolava der unter-qualcuno. magari ha vinto pure un premio….con qualche venerabile joda della sua epoca a dirgli: bravo.

  3. sono sempre marco mantello….your comment is awaiting moderation mi pare quasi una censura, oltre al fatto che non riesco a postare questa ossevazione lasciando il mio nome e la mia mail negli appositi riquadri…..confido in un errore tecnico, altrimenti lo scenario di questo blog si fa inquietante
    marco mantello

  4. all´inizio vicino al mio nome, nel post, é apparsa questa dicitura: ´your comment is awaiting moderation´. Che vuol dire? Sono digiuno di ´filtri´e magari é una nuova procedura di n.i. In genere non mi appare, ho provato anche a postare un nuovo commento, ma é stato bloccato. Spero si tratti solo di un errore del computer…..Altrimenti sarebbe inquietante…..Saluti

  5. caro The O.C. non lo sai che “un indiano è per sempre”?

    A Marco: relax. Pure alcuni miei commenti capita vengano moderati. Poi tutto si sblocca.

  6. mi sembrerebbe un concorso per vincere una specie di tutorato nell’arte narrativa; è così? ma qual è il vantaggio e per chi? Tizio corregge i manoscritti di Caio per contratto e Caio così diventa un grande scrittore? e a Tizio che gliene importa? o si tratta di una provocazione per spubblicare relazioni sotterranee e clientele dalle quali forse è necessario passare per avere visibilità letteraria?

  7. Ok Gianni, relax…..Sto in un periodo da chiusura in casa, ma questo non toglie che la passione puó a volte sfociare in polemica …Abbracci magari un giorno ci consoceremo di persona….Ciao

  8. un premio come fosse una borsa di studio.
    come vincere l’iscrizione a un corso de scrittura.
    un premio non a un esito scrittorio, ma alle potenzialità.
    come un concorso tra le piante del mio terrazzo: chi fa il fiore più carino vince un’annaffiatina.
    lo sapevo che mozzi era strano.

  9. Se i potenziali allievi fossero meno presuntuosi, e i potenziali maestri fossero meno presuntuosi, sarebbe un’ottima idea. Un’idea ottima anche da collocare in un più generale piano di rivalutazione della scrittura come mestiere nel senso ruvido (ma quindi vero, e credibile, etc.) del termine.

  10. Mi pare che non ci siamo. Se vogliamo che cambi qualcosa in questo paese dobbiamo iniziare a “destituire” e smetterla di “istituire”.
    I cento autori, gli stati generali della cultura, li manifesti, le secessioni, le secessioni delle secessioni, i Maestri, grandi e piccoli, gli allievi, solo piccoli, i premi, i cenacoli… Ma davvero c’è qualcuno che ancora ci crede?

    Il verrocchio è morto, Leonardo anche, e le botteghe hanno chiuso da un pezzo.

  11. le botteghe hanno chiuso da un pezzo, è vero.
    almeno da due secoli.
    aprireilfuoco mi toglie le parole di bocca, anche se a me non interessa destituire nessuno, ma solo leggere ogni tanto un buon libro, ricavarne qualcosa, metti un piacere, un pensiero, un godimento, una consapevolezza.
    e mi pare che tutto sommato ci riesco, con o senza premi letterari, perché non enfatizzo le aspettative, non sono di quelli che affermano che un libro ti cambia la vita eccetera.
    un libro è un libro, talvolta buono, talvolta no: tutto qui.
    drammatizzare la negatività sia dei premi che dello stato della scrittura in Italia mi sembra sbagliato: la scrittura non sta peggio di altre discipline (preferisco questo termine ad “arti”), non sta peggio dell’architettura, per dire, anzi sta meglio.
    non peggio della musica, non peggio della pittura o del teatro.
    non peggio della politica.
    non peggio dello stato fisico del Paese, delle strade, dei trasporti pubblici, della sanità (l’organizzazione mondiale della sanità ci affibbia il secondo posto al mondo come qualità, dopo la Francia: ci credereste?)
    voglio dire che oggi il Pacchetto Italia è questo e le cose stanno così da almeno un quindicennio, stando alle mie percezioni.
    che si pretende da chi scrive?
    che si pretende dai premi letterari?

  12. Io propongo questo:

    1. Un certo numero di persone si associano. Una condizione necessaria
    è che ciascuno degli associati dichiari pubblicamente di stimare tutti
    gli altri.

    2. Scelgono un libro che ritengono ottimo, invitano l’autore in un bel posto, piacevole, e passano un pomeriggio con lui, piacevolmente, sempre che l’autore sia d’accordo, si scambiano ciò che c’è da scambiarsi, parlano di letteratura, magari. Non lo dicono a nessuno perchè il premio è segreto. Si creano relazioni personali, fruttuose, o anche scazzi, ma sempre personali, senza pubblicità. Si impegnano a diffondere il suo libro, un passa parola potenziato e motivato.

    Eh? che ve ne pare?

  13. Alcor, se quello di Mozzi è un avviamento al tutoraggio, il tuo sembra l’iniziazione a una loggia massonica.
    L’autorevolezza (vera, non presunta) di un comitato di lettura che sceglie un’opera, è l’unica guida di cui non si dovrebbe fare a meno per l’acquisto di un libro, in un paese in cui le recensioni ormai sono quello che sono.
    Perchè occultarla?

  14. Il rapporto tra Maestro e Allievo è “totalmente libero” (punto 4: devono accettarsi reciprocamente). Se quando dico “Maestro” qualcuno pensa a “Star Wars”, mi permetto di pensare che non sono io che ho dei problemi. Se un anno di bottega presso un Maestro viene confrontato con l’iscrizione a un generico corso di scrittura, mi pare ci sia qualche problema nell’inquadrare la faccenda. Difronte a un’istituzione forte come il mercato, non è forse necessario mettersi a impiantare delle istituzioni che sappiamo fargli fronte? Che le botteghe abbiano chiuso da un pezzo, mi pare affermazione ardita: a me non risulta. Riunioni private se ne fanno in quantità: l’ultima alla quale ho partecipato è stata lunedì sera, la prossima è tra un’ora. Non ho vista nessuna affannosa ricerca alla soluzione di una miriade di non problemi: me la sono persa?

  15. @valter
    Perché il comitato di lettura non sarebbe occulto se non alla stampa e agli uffici stampa, si creerebbe ogni anno intorno a un libro quello che già c’è, ma disperso, una dedica di tempo e cura. Ogni giurato si prenderebbe l’impegno di sostenere pubblicamente un libro, ma terrebbe nascosto il fatto di essere un giurato, per non subire condizionamenti, per non dover niente a nessuno.
    Del resto cosa non fa già, ognuno di noi, a suo modo e liberamente, per un libro che gli è piaciuto? Lo promuove come può. In questo caso l’unione farebbe la forza. Ogni anno un gruppo di persone si dedicherebbe a sostenere in ogni modo possibile un libro che ritiene di particolare valore, senza chiacchiere, senza polemiche, solo per il valore del libro.
    Ogni anno un nuovo libro, ogni anno un nuovo autore.
    Non vedo lati negativi, non si sono scambi di favori, non gira denaro, niente do ut des. Niente loggia, solo discrezione.
    A fronte del “tutto in mostra” apparente, dove le lobby impazzano comunque nel retrobottega, un nulla in mostra disinteressato, o meglio interessato a un libro.

    Magari un premio così c’è già.

  16. @Alcor
    Si, è convincente. Ma mi piacerebbe anche vedere “moralizzati” anche i premi attuali. Guarda, basterebbe poco: che i giurati almeno leggessero i libri, tutti, e non solo quelli che hanno già deciso (magari per legittimo apprezzamento) che sono belli. E dico questo per esperienza e testimonianza credibile.

  17. Per credere ci vuole fede. Quale dei tuoi cinque punti dovrebbe ispirarne?

    Mi faresti un esempio di un premio del quale sei ASSOLUTAMENTE CONVINTO dell’onestà dei giurati? Mi spieghi perchè questa certezza?

  18. @Alcor
    Non parlavo di tutti i romanzi che escono ma di quelli selezionati per un premio. Una trentina, ad esempio (parlo di situazioni concrete che non nomino) con sei mesi di tempo per leggerli.

  19. Giulio Mozzi dice:

    “Che le botteghe abbiano chiuso da un pezzo, mi pare affermazione ardita: a me non risulta. Riunioni private se ne fanno in quantità: l’ultima alla quale ho partecipato è stata lunedì sera, la prossima è tra un’ora.”

    Una riunione privata per me non è una bottega, è un salotto. A bottega si va per lavorare e per imparare, non per ritrovarsi. Non so da voi, ma vi posso assicurare che qua a Roma, dove vivo io, le botteghe sono chiuse. E di maestri disposti a insegnarti non ne ho incontrato uno per la via. Devi rubare tutto quelo che puoi, o sposarti la figlia del primario. Una volta la gavetta era il dazio da pagare per apprendere un mestiere. Oggi la gavetta è il dazio da pagare per fare la gavetta. Prendete il cinema, un mondo che conosco da vicino, in Italia lavorano 20 sceneggiatori. Si cambiano le coppie ma il prodotto non cambia. E non c’è spazio per nessuna bottega. Una volta Monicelli faceva il negro per Steno, Ugo Pirro andava in tram a casa di Rodolfo Sonego, e Age e Scarpelli prima di firmare scrivevano da negri per Totò. Oggi non ti fanno fare nemmeno il negro, o te lo fanno fare, a patto che resti negro. E il faccione ce la mettono loro, i “venerati maestri”.

  20. La frase “Che le botteghe…” risponde a Tashtego. La frase “Riunioni private…” risponde ad Alcor. Stanno una dopo l’altra in un breve intervento nel quale palesemente ogni frase risponde a un diverso precedente commento. Peraltro è evidente che “botteghe” e “riunioni private” non sono la stessa cosa: farlo notare è un esercizio di lapalissianità.

  21. bottega è (era) un luogo di produzione con gerarchie fondate su diversi gradi di apprendimento del mestiere, gerarchie che definiscono il tuo rolo nel processo, attraverso le quali l’apprendista deve compiere un percorso, fino a diventare a sua volta maestro ed aprire una propria bottega con propie commesse.
    così si tramandavano mestieri e saperi.
    c’è un quadro, sul momento non ne ricordo l’autore e nemmeno il titolo e nemmeno il soggetto, in cui si sa che un angelo l’ha dipinto, in qualità di allievo di alto rango, leonardo (se qualcuno può integrare il mio vuoto di memoria…).
    non sono a conoscenza di un analogo episodio in letteratura, cioè di un libro di cui il titolare abbia affidato la stesura di alcune pagine ad un apprendista suo.
    maestro, allievo, bottega, sono parole di fascino, ma non corrispondono più a nulla, o quasi.
    è così da un certo tempo.
    forse la factory di warhol era ancora una bottega.

  22. giulio mozzi
    la tua idea di maestro sa di esoterico e appunto di gran consiglio degli jedi mi permetto di ricordarti che quando si dialoga con qualcuno, si usa chiamarlo per nome. non penso che tu abbia dei problemi, te lo ha detto qualcun altro, quindi a maggior ragione ti trovo non tanto offensivo, quanto incapace a dialogare. non saresti un buon maestro, anche se scrivi abbastanza bene

  23. Gentilissimissimo Gianni Biondillo,

    a quanto pare ci sono indiani più indiani di altri (e che più indiani non si può). E poi una cosa so’ i sioux, altra i navajo. Lo sa pure quel mezzosangue di Kit Willer.

  24. Riposto un commento lasciato stamattina, che non trovo riportato credo per errore del computer. C´e´qualche integrazione rispetto al testo originario.

    Giulio Mozzi
    il tuo richiamo alla figura del Maestro per me resta esoterico ed evoca appunto, il gran consiglio degli Jedi. Quando parli con ´qualcuno´, bollandolo con una proposizione principale, é bene indicarne il nome, altrimenti rischi di risultare snob. Non sono stato io a dirti che hai problemi. Piú che offensivo, risulti a mio avviso incapace di dialogare. Non saresti un buon maestro, anche se scrivi abbastanza bene.
    Se poi vogliamo discutere del merito della questione e mgari ti degni di parlare con chi ha speso ciqneu minuti del suo tempo a leggere questa tua propsota: a cosa servono i premi letterari? A definire gerarchie, mondi autoreferenziali piú o meno chiusi o piú o meno aperti? C´é una parola per definire tutto questo: corporazione. O meglio: compensione della realtá a mezzo di ´tradizioni viventi´, con conseguente rischio di riprodurre nelle decadi se stessi, attarverso le c.d. ´scritture giovani´. Saluti

  25. Maestri… MAESTRI !!!! Ah ah ah ah. E in base a che? Sfigato per sfigato, meglio far da se’, da autodidatta. O forse avrebbe senso per under 25, ma gia’ succede: il vecchio & potente prende sotto le sue ali il giovin bellin/carin/scassapallin e lo sistema editorialmente, sia forgiandone lo stile che introducendolo alla pubblicazione.

    Anche quel che dice Alcor accade gia’; solito esempio ormai banale, “Gomorra” di Saviano. Se il libro e’ forte ed esce nel modo/momento giusto, si impone da se’. Certo, non tutta la letteratura e’ Gomorra, ma se stimolo deve esserci all’ “emersione” (brutta parola ma efficace), quello e’ uno buono, anche per il mercato. Il resto e’ mecenatismo o autopubblicazione.

    Gli incontri a la Binaghi sono la parte migliore e vengono meglio dal vivo che in rete, ma anche in rete ci sono chance: vedansi siti & sitarelli multi-autore che fanno da antenna e celano una costruttiva dialettica interna, magari non di interesse comunitario ma che gia’ fa “bottega”.

  26. Ma non varrebbe la pena di considerare semplicemente che un Allievo vuole far “bottega” con il suo Magister solo per piacere? Per come si può e per quello che sono Magister e Allievo? Per quello che va bene a loro e solo a loro?

  27. Quanta superficialità e alterigia in chi non crede nelle categorie maestro e allievo! Liberissimi di fare, per chi invece la trasmissione del sapere è fonte di piacere e concreta possibilità di sviluppo collettivo, credo che l’idea sia molto interessante e, ovviamente, migliorabile.

  28. Io ho avuto maestri, li consideravo tali, lo erano, non ci ho mai trovato niente di esoterico, erano pagati per farlo, è vero, ma accadeva anche che lo spazio istituzionale si allargasse e il rapporto diventasse davvero quello tra maestro e allievo. Che poi io sia stata una buona allieva, beh, ci sarebbe da discutere.

    Mi pare che si torni sempre in qualche modo al punto dolente, premi o non premi, la difficoltà di individuare spazi liberi in cui qualcuno riconosce con naturalezza e senza retropensieri la qualità di un altro.
    Questa mancanza di naturalezza, questa dietrologia parossistica, quest’isteria – nata in contemporanea, mi pare, con l’avanzare dell’autore sul proscenio, mentre l’opera è stata lievemente retrocessa, almeno nella percezione del pubblico – quest’ansia da prestazione, da successo, da riconoscimento a me non piace, mi irrita e mi annoia e anche un po’ mi fa passare la voglia.

    Mi verrebe da dire, anche qui, morte all’autore, viva il lavoro, ma mi rendo conto che è utopico.
    E scusate questo che ho scritto più che altro tra me e me.

  29. Io credo nei maestri.
    Ne ho avuti quattro, due maestri d’accademia e due della mia età, cioè maestri da contatto.
    I maestri possono nascondersi dove meno te lo aspetti, bisogna saperli riconoscere, non sempre è possibile, mai facile.
    Non sempre sono disposti, nemmeno implicitamente, ad assumersi il ruolo.
    Le botteghe invece sono un concetto fossile.
    Nella bottega l’allievo apprendeva il mestiere LAVORANDO ALLE OPERE DEL MAESTRO.
    È come se uno scrittore-maestro di dicesse, bene scrivimi tu questa descrizione metti della spiaggia di Copacabana, un po’ come un tempo si disponeva, chi dovesse dipingere gli sfondi dei quadri, degli affreschi, e quali.

  30. Anch’io credo nei maestri. Ma questo presuppone il riconoscimento della qualità. La sostituzione dell’autorevolezza col potere editoriale, della qualità con l’audience e altre mostruosità sono un prodotto di una malintesa concezione democratica. La democrazia nell’arte è puro non senso.

  31. qual’era quella parola..ah si “plagio”.Ottima per indicare gli incerti del mestiere(scherzi a parte,conosco etoile e grandi musicisti che continuano a studiare.Un maestro può essere utile come pungolo.Gli artisti da soli si perdono facilmente,anche in pieno giorno)

  32. un maestro in una disciplina può non avere uno speciale talento, ma deve saperti insegnare a pensare nei termini di quella disciplina.
    poi il resto, se ci riesci, lo fai da solo.

  33. Giulio, la cosa che non mi è chiarissima è a quale età intendi mandare a bottega qualcuno che possa fornire testimonianze della propria attività letteraria.

    Mi solletica l’idea di un marmocchio bravo nei temini che va a bottega, che ne so, da Scarpa o da Avoledo ;)

    E poi effettivamente ( – dopo aver spazzato il pavimento, Goffredo, preparami il carminio e controlla i pennelli! – ) quale “fare insieme” è posibile per un maestro e un allievo scrittori?

  34. “Quando ero più giovane, l’arte era una cosa solitaria: nessuna galleria, nessun collezionista, nessun critico, nessun soldo. Tuttavia, era un’età dell’oro, perché non avevamo niente da perdere e una visione da guadagnare. Oggi non è più come una volta. E’ un periodo gravato dalla prolissità, dall’attività, dal consumo. Quale condizione sia migliore per il mondo nel suo insieme, è quanto non mi arrischierò a discutere. Ma so che gran parte di quanti sono incalzati da una vita del genere sono alla ricerca disperata di sacche di silenzio in cui possano radicarsi e crescere. Dobbiamo tutti sperare che riescano a trovarle”.
    M.Rothko

  35. valter binaghi

    Credo che dietro l´idea di Maestro si possa nascondere un´idea di ´autoritá ´difficilmente distinguibile da quella di ´autorevolezza´. Mi spiego: il rapporto fra ´maestro´e allievo´é ambiguo perchè postula inevitabilmente, secondo me (cioé a prescindere dalla buona fede e dal senso critico degli interessati), un modello trasmesso di ´comprensione´o di ´valutazione´di una data realtá. Alla fine, gira e rigira, questo modello si fonda quasi sempre su una (o fonda quasi sempre una) tradizione culturale. Le tradizioni culturali vanno studiate, conosciute, certo, ma vanno anche valutate, altrimenti si finisce per creare un ´sistema di valori´ statico, identitario, che si riproduce attarverso la mera trasmissione di un sapere. Le facce e i tic degli Allievi rischiano di riduris a un´edizione aggiornata ai tempi delle facce e dei tic dei Maestri Ora, contrapporre all´aberrante logica della selezione di mercato l´altrettanto aberrante logica delle ´botteghe´, delle ´arti e dei mestieri´, puó portare a situazioni reali molto simili al corporativismo. O quantomeno a definire, esotericamente, appunto, gerarchie dell´intelletto. Nel nostro paese queste gerarchie, quando non sono definite dalle vendite in libreria, spesso si fondano su dati anagrafici e idee astratte di ´giovane´e ´anziano´. La prima cosa che mi viene in mente, é lo stato attuale della nostra poesia (amanti di Maestri o di funzionari dell aparola escluse/i: non c´e´selezione di mercato perché i libri di poesia non vendono una sega . Verrebbe a dire: bene. Ma allo stesso tempo: al posto del ´mercato´ ci sono le ´scuole´, le ´avanguardie´. Bisognerebbe cercare una terza strada e forse chiamarla dialogo, capacitá di ascolto, pubblica lettura. Mi rendo conto che detto cosí é abbastanza utopico e indeterminatoo ma tant´é, se uno non crede né al mercato né alle corporazioni che deve fare? Smettere di scrivere? Adattarsi? Leggere un libro di Giulio Mozzi?). Un saluto

  36. Studio di un qualunque fumettista giapponese (si noti che in giappone l’industria del fumetto fattura quanto – e più di – quella editoriale italiana): l’artista principale scrive le storie, imposta la linea grafica e disegna i personaggi in azione, gli assitenti fanno gli sfondi, disegnano le “comparse” nelle scene di massa, riempiono i neri e nell’ambito del lavoro comune suggeriscono anche soluzioni narrative, discutono la storia, fungono in un certo qual modo da pre-editor del loro stesso lavoro.
    Poi, più in là, quelli bravi debuttano con propri fumetti e il boss cambia schiavetti.

    Questo potrebbe essere un modello. Implica tuttavia che l’autore famoso rinunci alla totale paternità dell’opera (almeno formalmente, poi i meriti li prenderebbe lui ugualmente, si sa), che sia disposto a “cedere” il controllo delle parti meno importanti dell’opera ad altri, che abbia voglia e tempo per “crescere” gli schiavetti, che li ritenga effettivamente utili. In breve, considerando la realtà del mondo letterario, pura fantascienza.

  37. Marco, tu non ritieni di aver avuto dei maestri? quello tra maestro e allievo, quando si riconoscono, è un incontro nell’aprtura della possibilità, arricchito da scambi reciproci di ruolo e arricchimento incrociato e trasversale (come mostra proprio Guerre Stellari!).
    questo è quello che ho sentito io, il dibattito su autorità e autorevolezza – quuello sì – fa parte di una “tradizione culturale” un po’ obsoleta che andrebbe, come suggerisci tu, valutata. Ma questo centra poco.
    Il problema è: nel mestiere di scrivere, come può funzionare questo apprendimento reciproco? Non riesco a immaginare (con buona pace di Antonio Franchini) una letteratura che si fa DAVVERO tramite apprendimento per scambio di colpi oppure (in stile arti visive nel Rinascimento) collaborazione alla realizzazione in comune di un opera.
    Si può immaginare, e l’esercizio è affascinante: l’allievo dà la voce al protagonista, mentre il maestro svolge il resto del romanzo? Può funzionare? A che condizioni? E chi accetterebbe davvero di farlo?

  38. regola base: i veri maestri non si presentano come maestri. qualcun altro li dichiara tali. e loro, in genere, si schermiscono.

  39. Paolo S.
    C´é una bella osservazione di Proust dalla quale mi sento rappresentato. Verso pagina 100 del secondo romanzo della Ricerca, é descritto uno dei primi incontri fra Proust/ion narrante e autorevole scrittore Bergotte. Proust rileva innanzitutto come il dialogo fra persone dotate di ´intelletto´non implichi mai un apprendimento unilaterale, ma si completi di reciproche osservazioni che conducono a un risultato. C´é di piú, il giudizio di Proust sul Bergotte-persona cosí come lo vede adesso, davanti a lui nel salotto degli Swann, tende a essere distinto dall´amore che Proust/io narrante nutre per i primi romanzi del Bergotte giovane. Ecco per me vale un po´questa regola: ci sono libri che ti segnano e che al contempo ´insegnano´. Non é detto, peró, che gli autori di quei libri siano persone da cui si possa imparare qualche cosa. Magari in quel dato periodo della loro vita in cui hai modo di frequentarli si sono rincoglioniti…. Certo che ci sono state e ci sono nella mia vita tante persone dotate di intelletto che mi hanno segnato, condizionando la mia scrittura. Non é detto che fossero scrittori o poeti, peró. Penso a persone con il dono dell´esperienza che io non ho vissuto, ma anche a ´maestri´inconsapevoli (quando ad es. si scrive un dialogo ricalcando la voce di una persona reale, da quella persona, dai suoi intercalare, si ´riceve´´ qualche imput, vogli odire si impara). In ogni caso, la dimensione dello ´scambio´ la preferisco a quella dei ´ruoli´. Giá viviamo in un formicaio dove vige la logica della divisione del lavoro sociale e si esiste in qualitá di…(Ingegnere, Portiere di stabile Tassista). Almeno con la scrittura, ecco, vorrei sentirmi una persona , Marco Mantello e basta.

    Quello che proponi sulla scrittura a due o a piú mani, é molto difficile da realizzare. Posso solo dirti che per me l´atto dello scrivere resta individuale, il confronto con l´altro (o l´apprendimento dall´altro, che é una cosa che succede da sé e quando accade te ne accorgi , non una cosa che si programma a bottega) sono sono genere o antecedenti o successivi al momento in cui scrivo. Un discorso diverso merita la parola scritta (i libri, le poesie, le forme di íntelletto´oggettivate´, rispetto alla mente ch ele ha prodotte). Dalla parola scritta si impara, spesso in modo inconsapevole, pensa ai meccanismi imitativi dello stile di un ´poeta´che si innescano quando scrivi…..Magari non te ne accorgi nemmeno che stai ´scimmiottando´ Auden o Frost. Ma questo é un discorso molto diverso dal ragionamento mozziano….Saluti

  40. Questa discussione diventa interessante.
    La mia idea di maestro deriva dall’esperienza di averne avuto uno, il principale, col quale poi ho collaborato, restando a contatto con lui per anni.
    Ciò che ti insegna un maestro non lo sai e non lo riconosci sul momento e neanche dopo quando vai a casa e neanche dopo un anno o qualche anno, quando ci ripensi.
    Quello che ti insegna rimane attaccato al tuo fare, al tuo pensare, vi si insinua senza parere e ti modifica, si sente anche dopo anni in quello che dici, in come lo dici, si sposa con quello che sei, ti aiuta nel dissenso verso la fonte di quell’insegnamento, verso il maestro stesso.
    Poi succede che di colpo, quando sei altrove e non ci pensi, vieni sapere che il tuo maestro è morto. Ti sei staccato da lui da anni, neanche ti stava simpatico, tra voi non c’era affetto, ti sentivi sfruttato, usato, sottostimato, eppure improvvisamente quella notizia ti apre un vuoto tremendo nel petto, quello stronzo era come fosse un padre segreto, che nemmeno tu sapevi di avere, ti lascia solo nel mondo.
    Sei solo un automa a cui lui ha girato per un po’ la chiave della carica, quando si esaurirà dovrai fare da solo, mettere a frutto.

  41. @Marco Mantello
    Non confondiamo l’arte con le opinioni sull’arte, la cultura di un’epoca o una poetica particolare. Sono tutte cose che possono entrare in un rapporto d’insegnamento dell’arte, ma non ne esauriscono la sostanza. Coi maestri un tempo si conviveva, perchè è un atteggiamento complessivo oltre che una serie di tecniche che si apprendeva, spesso come dice tash in modo irriflesso.
    Impariamo e disimpariamo in fretta tutto ciò che ha una traduzione verbale o intellettuale, ma l’arte diventa un habitus del corpo. In qualche modo che sarebbe troppo lungo spiegare, tutte le arti hanno a che fare con la modulazione (della mano, della voce, dello sguardo, del corpo intero, la scrittura non ci sarebbe senza parola), è il loro carattere musaico, come ha riconosciuto il mito greco. Un insegnamento delle arti che si limita alla comunicazione culturale è del tutto inefficace, come accade a scuola. Nell’idea di Giulio c’è molto di buono.

  42. valter binaghi

    Ok la pensiamo diversamente, peró non capisco cosa intendi per ´arte´e per ´opinioni sull´arte´. L´opinione pubblica che definisce qualcosa come´arte´in una data epoca ha valore o no (domando)?

    E ancora: proprio perché una mera ´comunicazione cultruale´é inefficace, proprio perché le tecniche si apprendono (secondo me piú dai libri che da chi li scrive) in modo írriflesso, a maggior ragione l´idea di una ´bottega´ dove qualcuno tramanda un sapere é da respingere.

    Tashtego

    La tua (interessante) esperienza a contatto con un ´maestro´non ti ha portato, a un certo punto della tua vita, a cercare il distacco, proprio sul piano culturale? O a rivendicare su quello ´artistico´ una tua originalitá, una tua autonomia?

  43. Deleuze: “I nostri soli maestri sono quelli che ci dicono di fare con loro e che, anziché proporci gesti da riprodurre, hanno saputo trasmettere dei segni da sviluppare nell’eterogeneo”.
    Detto questo, con buona pace di Yoda e piuttosto dalla parte di Qui-Gon Jin, il discorso di cosa significa tenere a bottega per uno scrittore, che Giulio liquida come cosa da stabilirsi fra Maestri e associazione) mi sembra la parte più fantastica, nel miglior senso del termine.
    Fantasticando: Alice disambientata, il libro a cura di Celati su un’esperienza collettiva e di scrittura, ci dà un esempio di cosa possa venir fuori quando si sta vicino (forse non proprio a bottega) a un Maestro di scrittura: anche quando si parte per i propri deliri, si sviluppa nell’eterogeneo quel segno ricevuto – ma in una dimensione forse troppo ampia, collettiva appunto.
    Per la scrittura, cosa comporterebbe di un rapporto allievo-maestro di uno a uno? Sarebbe un rovesciamento della nostra comune esperienza: di solito si legge, assimila, rielabora, consciamente o meno, a partire da una rosa di molti scrittori preferiti.
    In che cosa consisterebbero i segni da disseminare, o da cogliere e da sviluppare? Temi, tracce, personaggi, paesaggi interiori o esteriori, un codice etico? Una corsa al Caucus a due?
    Non sto sputtanando l’idea di Giulio, sto solo immaginando questa cosa, che forse per lui è molto chiara, ma che a molti sembra bizzarra. E mi piace immaginarla, perchè gratta una scorza sotto cui forse si nasconde a risposta alla domanda “cos’è scrivere”.

  44. è veramente interessante questo dibattito!
    questa figura del “Maestro”
    che mi fa pensare a ciò che di saggio riusciamo a carpire dall’insegnamento…
    è buono
    è giusto che si formi una cultura individuale, attingendo dai maestri.

  45. “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l`esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato.” (Gv 13, 13-17)

  46. ‘Del resto cosa non fa già, ognuno di noi, a suo modo e liberamente, per un libro che gli è piaciuto? Lo promuove come può. In questo caso l’unione farebbe la forza.’ [Alcor]

    Questa era appunto l’idea di Tiziano Scarpa che è stata attaccata da varie persone, tra cui la maggior parte di Nazione Indiana 2.0. Non scordiamocelo, perché se si vuole riaprire la cosa, bisogna che quelle persone cambino parecchio la prospettiva.

    La proposta di Mozzi, maestri e allievi, esiste già.
    Esiste in un libro di Cavazzoni, Gli scrittori inutili, che descrive un’ideale scuola di scrittura. Il maestro ha un solo compito: portare il futuro scrittore alla soglia della disperazione, ma in modo che la quasi-disperazione si trasformi in irritazione universale, perché quello è l’unico stato psicologico per scrivere cose buone. Poi giova ricordare Moresco, che converge splendidamente su Cavazzoni, con la sua figura dello scrittore con le spalle al muro, unica posizione per fare drammaticamente un passo avanti nell’espressione.

    Esiste in scrittori, o società anche piccole di scrittori, dotati di senso della civiltà. E’ naturale seguire i passi di ragazzi che hanno voglia di imparare. E’ stata così Nazione Indiana con Roberto Saviano, ma anche Giulio Mozzi con Marco Candida o con Davide Bregola. E’ così Il primo amore con Andrea Tarabbia. Dato che è una cosa naturale, non vedo perché deve essere trasformata in un meccanismo di visibilità, attraverso un premio. La visibilità va data ai libri non agli autori, quindi si torna all’inizio del commento: la questione è stare uniti per promuovere buoni libri.

  47. Il problema non è il rapporto tra allievo e maestro, che può declinarsi anche in un apprendimento informale, di tipo neosocratico. Il problema è se poi ti ritrovi come Maestro il Mozzi.

  48. L’idea secondo me è molto buona. “Andare a bottega” da un maestro è, secondo me, la strada maestra per “imparare l’arte”. Si può discutere sui vari modi possibili e sperimentabili di “andare a bottega” ma tutti quanti noi, che proviamo a cimentarci con una qualche forma artistica, più o meno consapevolmente, e più o meno direttamente (a seconda, anche, della nostra ubicazione geografica, della possibilità di muoverci che abbiamo, dell’uso del web di cui possiamo disporre), tutti quanti noi tendiamo a darci dei maestri, dei punti di riferimento. Si potesse anche contattarli fisicamente, “toccarli con mano” di tanto in tanto, parlarci viso a viso, bè, per me non sarebbe altro che bene. Spero se ne possa parlare approfonditamente e magari organizzare qualcosa. Un non ciao a Giulio.

  49. Sono stanco, ma divertito. Maestri? Allievi? Concorsi? Nessun problema: qualcuno vuole imparare a fare il giocatore d’azzardo? Cerco allievi danarosi e associazioni che paghino l’apprendimento. Sono disponibile anche a rinunciare alla maiuscola di maestro.

    Purtroppo, per ottenere i primi risultati, un anno non è sufficiente. Dopo un anno di impara a malapena a mescolare le diverse tipologie di mazzi che circolano per il mondo; fra plastificate e cartonate almeno un centinaio scartando le bische e restringendo il numero dei Casinò ai 20 più importanti.

    Allegria: è arrivato il maestro.

    Blackjack.

  50. un maestro è uno che ti viene incontro, che ti aiuta. che ti risponde se gli mandi una mail o un sms. un maestro è prima di tutto un uomo.

  51. I Maestri non esistono, non sono mai esistiti. Esistono persone dalle quali puoi apprendere, forse, ma non esistono Maestri e Allievi: è una convenzione, null’altro che una convenzione. Anzi, spesso e volentieri il Maestro, se non è anche Allievo, provoca più danni che benefici rinchiudendo non solo il suo insegnamento, ma anche le potenzialità dell’Allievo all’interno del suo orizzonte. Quasi sempre molto ristretto e ancorato alle conoscenze che ha consolidato.

    Un legame perverso che porta a replicare schemi certi con un unico scopo: mantenere i ruoli all’interno di un mondo che non può essere misurato e verificato.

    E’ il motivo per cui, nel mondo dell’azzardo, non esistono Maestri. Maestro è chi vince, non chi pensa di sapere come fare per vincere.

    Blackjack.

  52. una volta esistevano i maestri, eccome!
    mi ricordo il mio maestro di chitarra, veniva a casa di mia mamma a darmi lezioni, aveva un occhio di vetro.

  53. insetto velenoso e luciferino sei pregato di non usare mai più il mio nome per i tuoi sporchi giochi perchè io ti denuncio.

    NAZIONE INDIANA PER CORTESIA PENSACI TU
    GRAZIE
    jolanda CATALANO

  54. SEI SOLTANTO UNA RACCHIA CHECCA ISTERICA.
    TORNA NELLE STALLE DA DOVE PROVIENI.
    FORSE TRA IL LETAME TROVERAI LA TUA VERA IDENTITA’

    NAZIONE INDIANA PER CORTESIA PENSACI TU

  55. CHE SEI IL SUO AVVOCATO DIFENSORE O IL SUO ALTER-EGO?

    CHI SEI IL SUO AVVOCATO DIFENSORE IL SUO ALTER-EGO O LA PSICOTERAPEUTA CHE LO SEGUE?

    SOLO UNA CHECCA ISTERICA PUO’COMPORTARSI COSI’

    CHI SEI IL SUO AVVOCATO DIFENSORE,IL SUO ALTER-EGO OQUALCHE
    PSICOTERAPEUTA CHE NON HA FATTO BENE IL SUO LAVORO?

    CERTE FRUSTRAZIONI SI CURANO NEL PRIVATO,PERCHE’ NON CAMBI MEDICO DANNATISSIMA SUPER CHECCA ISTERICA?

    FARMI IL VERSO NON TI RENDE CERTO SIMPATICO,BRUTTA RACCHIA CHECCA ISTERICA IRRISOLTA.

    Mi scuso con NI

  56. per Andrea Barbieri:
    il tuo intervento su maestri e allievi mi pare ampiamente condivisibile, specie riguardo quanto affermi su Moresco, su N.I e ipotetici premi. Resta il fatto però che quell’unità di amorosi intenti ed ingegni che auspichi per la promozione di buoni libri è limitata a circuiti virtuali (forum, blog ecc… comunque straordinarie piazze di confronto e almeno per me autentici granai di informazione) e che il coinvolgimento degli editori, non i colossi, intendo quelli che si autodefiniscono piccoli e di qualità, appaia estremamente ridotto, sia per quanto attiene alle scelte editoriali sia per la loro congenita incapacità non dico nel creare ma almeno nel non disperdere un comunità di autori

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