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Disorientamento

Considerazioni sul perdere la bussola
di Andrea Bajani

Sono affetto da una forma di inettitudine particolarmente socializzante: non ho il senso dell’orientamento. Non avere il senso dell’orientamento determina un disperante bisogno degli altri, un attaccamento istintivamente morboso nei confronti del prossimo. Soltanto gli altri, quando ci si smarrisce, sono in grado di tirarti fuori dall’impaccio, di fornirti un qualche elemento di concretezza sulla tua posizione nel mondo. Una persona che si perde la si riconosce immediatamente, camminando per strada. Sta ferma in un punto e si volta in tutte le direzioni, passando in rassegna i punti cardinali con un’ accentuata vacuità dello sguardo. Ogni direzione, si legge negli occhi dello smarrito, è ugualmente priva di senso, ma allo stesso tempo ogni direzione indica potenzialmente una via d’uscita, la fine di un incubo. Per una persona smarrita gli altri esseri umani diventano improvvisamente angeli custodi, mentre viceversa tutt’intorno lo spazio si trasforma in una intricatissima e scura foresta di simboli. Chi si smarrisce guarda lo spazio che lo circonda come se quello stesso spazio portasse marchiato su di sé un qualche messaggio. Si guardano i muri come se sui muri ci fosse scritto qualcosa, si guardano i semafori come fossero segnali segreti, le finestre dei palazzi come contenessero messaggi cifrati. Tutto diventa possibile, nel momento in cui lo spazio diventa un mosaico di simboli. Soprattutto, alla fine di ogni frustrante tentativo di decrittazione, lo spazio diventa il peggiore dei nemici, la causa di tutti i mali che rendono l’uomo così poco felice di essere al mondo. È così che, guardando con accentuata vacuità in ogni direzione, si comincia a maledire il giorno in cui si è usciti di casa, in cui si è deciso di venire allo scoperto in un mondo così mostruosamente e inspiegabilmente complesso.

Ma è proprio da quella sensazione di terrore complessivo che chi, come me, non è dotato di senso dell’orientamento comincia a desiderare con foga un contatto qualsiasi con il prossimo suo. Sono quelli i casi in cui, fallito miseramente il tentativo di dare un significato ai luoghi, si prende a puntare con supplichevole determinazione chiunque si sposti nello spazio con una disonvoltura rassicurante. Individuato l’angelo custode, di norma gli si cerca gli occhi con gli occhi e gli si indirizza in faccia un’espressione da piccola fiammiferaia a cui abbiano appena sottratto gli ultimi sette fiammiferi. Il prossimo nostro, bisogna dirlo, non sempre è bendisposto nei confronti delle fiammiferaie scippate. Sovente, anzi, porta la proprio disinvoltura ben oltre il dito alzato, con una faccia che dice di non voler acquistare nulla, di aver già elargito generosità a qualcuno dei vostri amici che come voi se ne stanno col dito alzato a ogni angolo della città. Ma per fortuna ogni tanto c’è qualcuno che di fronte al dito alzato, prima guarda il dito, poi guarda la faccia disperata di chi lo porta, e poi finalmente si ferma. In quei casi prima di tutto si prova un senso di gratitudine profonda, li si vorrebbe abbracciare, quegli angeli, li si vorrebbe portare a casa e soffocare di amore. Solo, e questo è il punto, a casa non ci si saprebbe arrivare.

Io sono uno di quelli che la faccia da fiammiferaia la sa fare benissimo. Grazie a questa mia virtù spiccatamente mimetica i miei tentativi di abbordaggio del prossimo sono meno difficoltosi. Questo di per sé non risolve il problema, ma in qualche modo semplifica il processo. Abbattere la barriera della diffidenza altrui resta comunque un’impresa tra le più ardue, anche per chi sa la faccia da piccola fiammiferia. A questo proposito ricordo ancora con una certa angoscia un’esperienza di un paio di anni fa. Mi avevano rubato il portafoglio, a Milano, e dovevo a tutti i costi raggiungere la stazione per tornare a Torino con l’ultimo treno della sera. Solo, ero troppo lontano dalla stazione per raggiungerla a piedi, e in più non avevo soldi neppure per il biglietto della metropolitana. Così mi ero lanciato in un accattonaggio sbrigativo. Riuscire a recuperare un euro per comprare un biglietto della metropolitana con la mia faccia rassicurante mi sembrava un’operazione tutto sommato praticabile. Eppure ogni volta che facevo il gesto di avvicinarmi a qualcuno, quel qualcuno indietreggiava, tirava dritto, voltava la faccia, diceva Lasciami in pace. Ma ci sono situazioni in cui il prossimo tuo non si fida per niente, e se possibile si fida ancora di meno di chi vuole a tutti i costi ispirare fiducia. Se arriva qualcuno vestito a modino, con la faccia a modino, i capelli a modino e ti chiede qualcosa, la prima domanda che ci si fa è Se questo è tutto così a modino c’è sicuramente sotto qualcosa. Succede a tutti, è successo anche a me. Prima di Natale camminavo per Torino con l’ipod nelle orecchie, quando un ragazzo mi si è avvicinato e mi ha detto qualcosa. Io non l’ho sentito, ma gli ho comunque fatto un cenno liquidatorio. Poi mi sono sentito un mostro, mi son tolto un auricolare, sono tornato indietro e gli ho detto “Scusa, dicevi?” Lui mi ha guardato, e poi mi ha ripetuto quello che probabilmente mi aveva già detto prima: “Tu ci credi al demonio?”

Ma torniamo all’orientamento e agli angeli custodi. Tutte le volte che riesco ad abbattere la barriera della diffidenza altrui e a farmi ascoltare, mi consegno ai miei benefattori con una fiducia infantile. Sorrido come un trovatello, ringrazio come un naufrago salvato per il colletto della giacca. Dopo un po’ che i miei angeli custodi fanno gesti da vigili urbani indicandomi punti lontani, prendendomi per un braccio e trascinandomi poco più in là dove il punto lontano che mi vogliono indicare si vede meglio. Io di norma mi apposto dietro di loro, cercando di mettermi il più possibile in linea col dito che indica il punto lontano. Quindi, prima di abbandonarli chiedo ai miei angeli di ascoltare il riassunto delle indicazioni che mi hanno appena dato, per fare una verifica immediata. Ripeto diligentemente, e mentre ripeto loro annuiscono con un mezzo sorriso. Poi li ringrazio molte volte, gli stringo le mani e mi allontano, calpestando i primi metri con sicurezza e girandomi ogni tanto verso di loro. Finché non hai voltato il primo angolo, un buon angelo custode non ti abbandona, con lo sguardo. Prima di scomparire alla vista dei miei salvatori, io mi sono sempre voltato. E sempre li ho trovati esattamente nel punto in cui li avevo lasciati, girati verso di me. E sempre, prima di infilare l’angolo, ho salutato i miei angeli custodi con la mano. Mi vien sempre fuori uno sguardo umido, pieno di riconoscenza, come una piccola fiammiferaia a cui qualcuno restituisca i sette fiammiferi rubati.

Ma i contatti più commoventi sono quelli che si instaurano quando i salvatori decidono di accompagnarti fino a destinazione. Sono i casi in cui lo smarrimento è talmente visibile sulla faccia dello smarrito da far esplodere in chiunque un irrefrenabile istinto materno. A me capita molto spesso, questa cosa. Dopo un po’ di spiegazioni cadute nel vuoto di due occhi che si perdono a metà del tragitto teorico, spesso le persone che ho fermato mi dicono Guarda, veniamo anche noi. Così mi son trovato molto spesso a girare per città più o meno sconosciute (chi non ha il senso dell’orientamento si perde anche nella propria città) facendo comitiva con gente mai vista prima. All’inizio si tende a parlare dell’orientamento, della difficoltà di spostarsi in città che ogni giorno cambiano. Poi si finisce invece a parlare d’altro, a dirsi il proprio nome, a scambiarsi i mestieri. E così improvvisamente quello spostarsi insieme verso un luogo da raggiungere si trasforma in un passeggiare ozioso, piacevole. Poi quando si arriva a destinazione qualche volta si resta ancora a chiacchierare, fermi sotto un portone o all’ingresso di un museo. Ci si dice delle cose così, come se fosse tutto molto naturale. Qualche volta prima di salutarsi ci si scambia anche i numeri di telefono, a volte ci si sente anche.

Ci sono infine casi in cui insieme al proprio angelo custode si vivono esperienze fondamentali, e quindi in qualche modo si rimane legati per la vita. A me è successo poco tempo fa a Parigi, dentro lo sterminato cimitero di Père Lachaise. All’ingresso del cimitero c’è una piantina, che indica con precisione dove si trovano le tombe dei personaggi famosi che vi sono seppelliti. Oltre a non avere il senso dell’orientamento, io ho poca pazienza. Per cui ho dato un’occhiata rapida alla piantina, ho visto dove si trovava all’incirca la tomba di Balzac (che era il motivo per cui mi trovavo lì) e mi sono incamminato. Dopo una cinquantina di metri ero disperatamente smarrito tra migliaia di tombe. Guardavo le lapidi come fossero cartelli stradali, e a ogni persona che incontravo chiedevo dove fosse seppellito Balzac. Guardavano sulla piantina che io mi ero rifiutato di comprare per via delle coda, e poi mi indicavano una direzione, che io seguivo per un po’ per poi riperdermi di nuovo. Quando incrociavo qualche tomba illustre, in mezzo all’esercito di morti comuni impietosamente snobbati e anche un po’ maledetti da tutti come inutili ostacoli, facevo una foto. (Ho anche fotografato l’ultima dimora di un Rossini che poi si è rivelato essere un anonimo qualunque, un’imitazione dell’originale, un tarocco, in definitiva). A furia di domandare della tomba di Balzac ho incontrato una signora, credo centenaria, minuscola, che conosceva il cimitero a menadito. Ti ci porto io, mi ha detto. E così ci siamo incamminati piano piano per le vie del Père Lachaise, in mezzo alle tombe, parlando dei morti che c’erano dentro e dei vivi che ci venivano a frotte. Poi siamo finalmente arrivati alla tomba di Balzac, e ci siamo fermati, io un metro e novanta e lei piccolina accanto a me. Mi sarebbe piaciuto indossare un cappello per potermelo togliere, in quel momento. Siamo stati zitti, insieme, a guardare il busto di Balzac, senza dirci niente. Poi mi ha guardato e mi ha detto “Era proprio un bel signore, non trova?”.

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17 Commenti

  1. Capisco bene ciò di cui parli… secondo me arriverà un momento in cui noi disorientati, finalmene, c’orienteremo. E mica si può stare a vita a fare lo sguardo da piccola fiammiferaia.

  2. chi è disorientato ha bisogno di una guida
    e deve affidarsi a completamente a lei,
    bella l’immagine del cimitero, e l’incontro.

  3. Pierre Menard aveva ragione (e Borges con lui): la letteratura é un gran bell’anacronismo. Ma la vecchietta parlava francese? Ti ha detto: “Balzac était un homme très beau”; o era toscana, magari di una cittadina al confine con diverse regioni del centro Italia, e ti ha apostrofato con un: ‘i er propri ‘n bel om Balsac’ – che non é proprio la stessa cosa. Forse, ora che ci penso, Menard non aveva mica ragione; forse, quel che chiude la vertigine temporale a cui l’anacroniscmo apre, é il timbro di una voce che ci strappi alla foresta di simboli per aprire un piccolo squarcio nella luce diurna di un cimitero. Marco anch’io. Da Parigi anch’io.

  4. in questa vena, segnalo un interessante vecchio libro (Laterza 1985) di un grande nostro linguista scomparso alla fine degli anni ottanta, Giorgio Raimondo Cardona, I sei lati del mondo – linguaggio ed esperienza, nel quale si esaminano le assai notevoli connessioni tra linguaggio e orientamento nello spazio e nel tempo.

  5. Andrea, la resa del disorientamento è assoluta, la lettura fa sentire persa anche una soldatina come me. Mi è piaciuto anche lo sguardo lucido sull’uso strumentale della debolezza.

    Saluti da Martina

  6. Marco, io credo che noi disorientati non ci orienteremo mai, in realtà. Forse perché abbiamo capito come si fa, anche senza, e quindi ci siamo un po’ impigriti. Il dramma è quando confondiamo anche i soldatini, per citare Martina, che sono con noi. Gente a cui ci affidiamo. Io in quei casi mi arrabbio, mi viene da dire Tu non puoi mica perderti. Ovvio che l’altro ti risponde Da che pulpito. Poi però a differenza dei disorientati, gli orientati vogliono trovare la strada da soli, trovano infamante (ma Martina correggimi se sbaglio) chiedere a qualcuno. Così diventa tutto più noioso, stare a guardare l’orientato che fa sfoggio di orientamento.

  7. “…
    Proteggete i miei padri. Un dí vedrete
    mendico un cieco errar sotto le vostre
    antichissime ombre, e brancolando
    penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
    e interrogarle. Gemeranno gli antri
    secreti, e tutta narrerà la tomba
    Ilio raso due volte e due risorto
    splendidamente su le mute vie
    per far piú bello l’ultimo trofeo
    ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
    placando quelle afflitte alme col canto,
    i prenci argivi eternerà per quante
    abbraccia terre il gran padre Oceàno.
    E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
    ove fia santo e lagrimato il sangue
    per la patria versato, e finché il Sole
    risplenderà su le sciagure umane.”

    ultimi versi di Foscolo, Dei Sepolcri. Cura piccola per il disorientamento.

  8. Andrea, quello che dici è molto vero, l’orientato ha, genralizzando e senza fare i debiti distinguo, meno accondiscendenza nei confronti dei propri limiti (non chiede quando dovrebbe), li considera sempre un po’ sbagliati, ha un atteggiamento moraleggiante nei loro confronti, ma anche il disorientato ha lo stesso atteggiamento verso i limiti dell’orientato ;-) L’equilibrio tra apprezzamento e disprezzo delle caratteristiche altrui è mobile e dipende da un mucchio di cose misteriose.
    Secondo me, però, è più drammatico quando, all’interno di una relazione disorientato-disorientato e orientato-orientato, uno dei due mostra incidentalmente di non aderire al ruolo, si dà per scontata la mimesi e la sorpresa è davvero col botto.

    Saluti da Martina

  9. non avevo mai riflettuto su questa cosa che la gente può anche essere divisa tra orientati e disorientati. Voglio dire, ho sempre saputo che ci sono i leggeri e i pesanti, ma questa suddivisione è per me nuova. Comunque, ho pensato che era una buona idea e mi sono chiesta da che parte sto io. Capisco che possa fregare solo a me, ma sappiate che mi ha preso un bel po’ di tempo, e ancora non ci sono. Sono una che si perde raramente, ma le volte che le capita lo fa in grande stile. Chi si perde mi fa pena, in genere lo aiuto, magari anche accompagno e passeggio e chiacchiero. Se capita che, chiacchierando, mi perdo pure io con il disorientato, non mi sento persa, perchè perdersi in compagnia è divertente, non è una cosa che sa di solitudine e disorientamento. O no?
    Dunque, Andrea, ma da che parte vado messa, io?

  10. Ah, bella questa che adesso son diventato l’Orientologo. E’ abbastanza divertente. Comunque secondo me sei una orientata, tu. Hai un atteggiamento abbastanza solido, mi pare, nei confronti dello spazio. Chi non ha il senso dell’orientamento ha un atteggiamento liquido, mi viene da dire, qualsiasi cosa voglia dire. Però non è mica vero che un disorientato si sente solo. Soltanto, deve ricominciare sempre tutto da campo. Ripartire dalla prima pietra.

    Infine, grazie a Molesini per il suo post foscoliano.

  11. grazie Andrea,
    adesso mi sento meglio. Mi hai aiutata a capire da che parte sono. Mi sentivo un po’ disorientata. Toh, hai visto? mi hai orientata tu. Sei un Orientologo disorientato, caro mio.
    ciao
    (e complimenti per il pezzo, mi ero dimenticata di dirtelo)

  12. Eh.. e io allora dove mi metto ora? sono da sempre una disorientata, del tipo che non chiede e non si affida, ed esce da un negozio e va dalla parte opposta da quella da cui è venuta e se ne rende conto dopo 500 metri e agli incroci gira sempre dalla parte sbagliata e tocca fare inversione a U dopo un chilometro, ma so che, sbaglia e risbaglia, alla fine mi ritrovo. Ci vuole il suo tempo, ore e ore di andirivieni, ma mi sono ritrovata pure nella metropolitana di Tokyo e so che ora potrei vagare pure per la jungla (giungla?) del Borneo senza chiedere informazioni ai serpenti.

    Bellissima la signora centenaria ammiratrice di Balzac.

  13. Sto scrivendo una tesi di dottorato proprio sul dibattito teorico sul senso dell’orientamento nel settecento e sulla sua influenza sull’autobiografia (Vico, Rousseau e Casanova). Mettero’ di sicuro in epigrafe l’inizio del brano. Coglie benissimo quello che io sto tentando di dire in tonnellate di note a piedi pagina. Che dire: o cambio mestiere o scrivo un capitolo anche su Bajani!
    Mattia

    Ps.grazie a Sparz per aver indicato il libro di Cardona che non conoscevo, se ha in mente qualcos’altro mi farebbe piacere che me lo facesse piacere

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