L’emozione della politica

 

di Franz Krauspenhaar

Giorgio Almirante
Via della Scrofa, 43
Roma

Caro onorevole, sono passati quasi vent’anni da quando lei si dimise dal Tutto. Era estate, me lo ricordo. Un brutto agire, ricordare la morte al morto. Non c’è nulla da ricordare, per lei, onorevole, lo so. Ma io le devo scrivere questa lettera, è un obbligo che mi sono dato, dopo un ventennio di silenzio nelle parole e nei pensieri. Ne è passata di acqua sotto i ponti della politica, in questo paese; prima tumultuosa, poi sempre più sudicia e lenta. Molte cose non sono più le stesse. E allora, non essendoci comunque niente da festeggiare, si può, quasi a cuor leggero, commemorare. Un mondo che non c’è più. Figure sparite nel buio di quello che tanti chiamano nulla

Altre figure sono divenute manichini vecchi e impolverati che si muovono in scena come automi. Lei, onorevole, lo chiamava teatro. La politica è un teatro. Montecitorio è un teatro, coi suoi gironi infernali d’un inferno quasi sempre spento, acceso solo quando c’è da far finta di litigare. Lo ricordo bene, con la nettezza delle cose perdute ma che ci hanno affascinato, che sopravvivono nel galleggiamento estremo dei ricordi. Quando Gerardo, il mio amico bevitore accanito, da me chiamato Onorevole Ciccioli per via di quella canzone di Jannacci, Silvano – e adesso, onorevole, lo sa lei che esiste veramente un onorevole Ciccioli? Si chiama Carlo Ciccioli, l’ho trovato su Internet, ed è, guardi un po’, nelle liste di Alleanza Nazionale !-; ecco, quando Gerardo mi regalò la sua Autobiografia di un “fucilatore” (con quelle virgolette ben strette addosso a quella parola infamante) capii che quel libro per la mia vita sarebbe stato importante. La seguivo da anni sa? Mi piacevano le Tribune Politiche soltanto quando vi compariva lei, con l’eleganza innata che la contraddistingueva. Sembrava un militare inglese di vecchio rango, un ex diplomatico. Sapeva parlare come nessuno. E sapeva scudisciare l’avversario, ridurlo in poltiglia con una battuta, con una staffilata dialettica. Non aveva pietà. Soprattutto del povero Pannella, il sopravvissuto digiunatore. Lei quelle ridicole diete non le avrebbe mai fatte. Sicuramente, non le avrebbe giudicate degne di sé.
Sono passati vent’anni e mi ricordo ben poco. Strappi della memoria, spizzichi, bocconi appena accennati, d’assaggio. Se non, nettamente, un servizio del TG, con la bara che esce dalla chiesa portata a spalla da camerati che piangono come vitelli neri. E anch’io, sì che sono lì – mi ricordo davanti al televisore, mio padre incredulo –, incollato al video, piangente a calde lacrime per la sua morte. Inconcepibile, oggi. Non mi riconoscerei di certo, se mi rivedessi in quel ragazzo di allora. E non sarebbe una gran cosa, perché invece, in barba a tutti, mi piacerebbe riconoscermi. Non piansi per Moro, che finì dentro quella Renault 4 rossa, trovato lì, come un cadavere di morto ammazzato qualsiasi, assassinato dalle Brigate della morte d’ogni dignità; ed alcuni di quegli assassini ne sono usciti a testa alta, e con buone chances per il loro futuro. Non piansi nemmeno per Moro. Mentre per lei buttai fuori dagli occhi lacrime di dolore autentico, che vennero via sgorganti come se lei fosse stato un parente stretto, uno di famiglia. Oggi non mi riconoscerei nemmeno in quel ventiseienne dolente, e la cosa mi fa un po’ male. Perché allora un ideale lo avevo. Perché, grazie a lei, onorevole, credevo ancora nella politica. Non tanto nel suo partito, o movimento: quello per me era più o meno un accessorio solido, era il soppalco che teneva in piedi la sua figura per me e per molti altri svettante. Lei rappresentava la voce calda, ferma e rassicurante di una protesta estrema. La voce di chi protesta contro tutti, e protesta ancora più forte, se possibile, contro chi protesta. La voce di chi non sopportava il bailamme urgente – e per me a quel tempo incomprensibile – delle classi operaie spiegate per la città, a tambureggiare la protesta assieme agli studenti di buona famiglia che non piacevano a Pasolini. Io, onorevole, ero tra quelli che non capivano perché in Italia ci si poteva chiamare comunisti senza essere presi a calci. Non lo capivo e non lo digerivo. Ero perdutamente giovane. Un ragazzo tutto sommato fortunato. Scuole regolari, anche se mal frequentate, sempre sul filo del rasoio della bocciatura; e poche amicizie, tutte di estrema destra, come quel Franco, al liceo, che si proclamava nazionalsocialista. 
Ora, onorevole, sposto l’asse del discorso direttamente su me stesso, come se mi stessi puntando addosso un teatrale occhio di bue: mi do del tu, per entrare ancora di più in intimità con questa storia, per andare più a fondo, perché l’uomo di oggi possa parlare con più intensità all’adolescente dell’altro ieri del cuore di tutto il discorso.
E dunque tu, ragazzo piccolo e rabbioso, stavi lì a sentire il tuo amico Franco, che scriveva anche lui – tutti scrivevano – e alcuni della tua scuola sono diventati scrittori e critici, te compreso; e insomma, lo sapevi che Hitler era stato quello che era stato, come tutti avevi visto un sacco di documentari in bianco e nero alla televisione; e non fosse bastato quello c’era stato tuo padre, ex soldatino diciassettenne della Wehrmacht, coi suoi tremendi racconti di prima linea, fronte russo 44/45. Ma tu niente, duro e impuro, simpatico e un filo bugiardo, sognatore e sinistro goliarda t’eri dato alla macchia dalla buona ragione e avevi speso parole d’idolatria idiota e ben poco convinta per quel massacratore vigliacco; finché – avevi 14 anni, ragazzo biondo e gracile – avevi vergato con la BIC nero di china punta fine, una di quelle pennette di plastichina gialla che scrivevano così così e con le quali buttavi giù i tuoi primi racconti, una svastica sul muro del soggiorno, e tuo padre ti aveva mollato una sberla che ti aveva lasciato la guancia viola per un’ora, ricordandoti che lui, per colpa di quel segno crociato di morte, ci aveva perso la patria e quasi la vita, nonché la salute fisica e  mentale di ragazzo tedesco prima ricco e poi divenuto povero, profugo e disperato. Era stata un’umiliazione pesante, per te, ragazzo che eri; e forse allora ti convincesti senza volerlo di qualcosa, nella tua testa prese nebulosa forma la reazione che sempre ti ha accompagnato. Tuo padre ti picchiava per una svastica segnata sul muro del soggiorno? E tu lo colpivi d’incontro, maturando dentro di te uno stranissimo riscatto. 
Più avanti avevi frequentato un liceo privato, pieno di ragazzi abbienti, nel pieno centro della tua città, protetto dalla guerriglia fratricida fatta da giovani di opposte fazioni che infestava le scuole pubbliche del nostro regno repubblicano; e così avevi continuato la tua vita pigra, annoiata, inutile. Scrivevi, questo sì. Avevi trovato un’insana passione, e vi ci dedicavi i sogni e qualche nebulosa speranza. T’infliggevi dei piccoli tour de force notturni con la tua pennetta gialla in mano, facevi leggere i tuoi racconti e le tue poesie solo a pochi amici, che scrivevano anche loro. Persi tra i deliri di Nietzsche, gli americani del modernismo e Beckett, col suo purgatorio in terra. E poi una notte leggesti Il giovane Holden come tanti ragazzi della tua età, e vedesti un miracolo tra tutte quelle righe, trovasti la vita in un impasto irresistibile di scrittura. Stavi protetto non perché avevi paura dello scontro fisico, ma perché l’ansia di tua madre aveva avuto la meglio su tutto; lei non avrebbe resistito a saperti in balia delle tue emozioni negative, della tua rabbia innata. Tuo padre aveva sentenziato “liceo linguistico”, e così tutti sarebbero stati contenti, perché imparare le lingue era importante per il futuro, per il lavoro, per la famiglia che avresti costruito seguendo proprio il suo virtuoso esempio. Con qualche amico della scuola si parlava di politica, si comprava a volte il Candido – rivista nella quale anni dopo avresti scritto qualche articolo di critica televisiva con lo pseudonimo preso a prestito da un funzionario della RAI che aveva lasciato la collaborazione –; si discuteva con un cinismo annoiato e col sarcasmo tenero e irrecuperabile di chi non ha provato nulla, di chi non ha ancora fatto i conti con niente. Franco, il nazionalsocialista, trovava ovviamente il M.S.I. troppo moderato, tu non eri d’accordo. Ma i vostri discorsi – soprattutto i tuoi, ragazzo che eri – erano in definitiva disimpegnati. La vostra politica era un accessorio estetico. Vi piacevano le divise mortuarie del passato belligerante, vi piacevano i perdenti di lusso o di successo, i suicidi, i pazzi, gli indemoniati. Come possono piacere a dei ragazzini dei personaggi cinematografici, degli eroi del noir, come può piacere Machinegun Kelly, Al Capone, Peter Kuerten il mostro di Duesseldorf. Fondaste, tu, Franco e Paris – un triestino col pallino della Germania – una specie di gruppo terroristico di estrema destra che avevate battezzato Oder-Neisse Gruppe, pensando alla Linea Oder-Neisse, fatta dal fiume Oder e dall’affluente Neisse che dopo la guerra ridefinirono le frontiere tra Polonia e Germania. Come dire: riprendiamoci quello che ci è stato tolto. Si progettò l’acquisto di due o tre flobert, e qualche attentato dimostrativo da effettuarsi nelle cabine telefoniche. Le avreste fatte bruciare di notte, e poi avreste mandato ai giornali una lettera nella quale rivendicare l’attentato. Niente spargimenti di sangue, niente vere motivazioni. E nelle cabine telefoniche, invece, ci pisciaste a turno una sera, dopo una sbronza di birra colossale. Eravate dei ragazzini borghesi ai quali non mancava nulla, affetto compreso. Si finì alcune volte a casa di Paris, al pomeriggio, a mangiare panini al burro e salame e a bere la solita birra tedesca – Paulaner di Monaco – facendo il saluto romano a ogni piè sospinto. Goliardia bella e buona. Mi fai quasi tenerezza, ragazzo che eri. La tua vita non era un romanzo, era un cortometraggio in bianco e nero dell’Istituto Luce. Lottavi contro quella noia e quell’apatia terribile che ti prendevano stretto alla gola. Cercavi qualcosa, e non trovavi che birra, partite di calcio violente, politica da teatrino. Entravi in una chiesa la domenica e ne uscivi cambiato: non credevi più, i riti ti parevano insensati, su Dio non avevi più alcuna opinione. Per non rischiare di sbagliare – ché già sbagliavi a metraggio su troppe cose – ti consegnavi all’agnosticismo, e amen. Anni dopo Franco ti portò in via Mancini, a Milano, a parlare con l’allora capo del Fronte della Gioventù; era convinto che avresti fatto bene, e per un po’ anche tu ci avevi creduto, perché cercavi qualcosa da farne, dei tuoi vent’anni, e continuavi a capire poco di tutto, e la politica faceva sempre parte di quel tutto. Andasti a un paio di riunioni di quegli scalmanati, che parlavano per slogan per ore e ore: qualcuno indossava la camicia nera, come in un film di guerra sui gerarchi fascisti, qualcuno era in jeans sotto impataccate tute mimetiche; tutti che blateravano di giustizia e libertà e uguaglianza, così che ti sembrò quasi uno scherzo. I toni erano gli stessi di quelli dell’altra parte, era stessa l’età, la provenienza, tutto, erano stati fatti tutti uguali, come con lo stampino, a sinistra e ora all’estrema destra, lo stavi sentendo con le tue orecchie in quella tua presenza passiva ma attenta, era tutto un vomito di rabbia e confusione. Parlasti col capo e con sua moglie, lui non ti fece una buona impressione, lei la trovasti simpatica. Ma non ti convinsero, anche perché non ti promisero nulla, né insistettero più di tanto, tu non eri nessuno; sorridesti cordiale, sei sempre stato rabbioso ma anche cordiale, dicesti che ci avresti pensato, li ringraziasti con sincerità, ti sentisti addirittura onorato, eri rimasto incredulo per quell’offerta. Ma non dovesti pensarci troppo, la risposta l’avevi già serrata nei tuoi pugni morbidi assieme alla tua cordialità non di facciata, ché di facciata in te non c’era nulla, e dicesti a Franco, già il giorno dopo, che avresti lasciato perdere, che quello era un branco di chiacchieroni e basta così.
E così, onorevole Almirante, torno alla terza persona, riparlo nuovamente a lei – dopo aver spento quel teatrale occhio di bue su me stesso- con la voce fatta dei segni di questo mio inchiostro ancora vivacissimo d’oggi. Io ero uno dei tanti ragazzini ignoranti di quasi tutto, anch’io sballottato in mezzo ai quei tempi feroci del post contestazione, verso la fine degli anni Settanta, quegli anni segnati dal sentimento dell’assoluto, da un’energia scomposta, vitale e mortale allo stesso tempo.
Leggevo molti romanzi, pochissimo i libri di scuola, ero un furetto timido, picchiavo sodo durante interminabili partite di calcio (un paio di volte m’ero scontrato anche con due avversari in una volta sola, senza badare al fatto, molto più che possibile, che le avrei prese di brutto, come appunto successe). Ed era per me un perverso godimento andare a piedi uniti su avversari che si proclamavano, pensi lei, socialisti. Ma come, nemmeno comunisti, nemmeno di Democrazia Proletaria! Adolescenti socialisti, con tutto quel carico di proterva, calcolata, ben scelta meschinità. Perché l’essere della sinistra estrema era pur sempre una scelta vera e sentita, era comunque una scelta abbracciata nel cuore. Era mettersi da una parte, perseverare sì nell’errore, dare di certo del tu al diavolo, tutto quel che lei vuole; ma comunque si trattava di un passo importante, coraggioso, vero, da uomini. Ma avere neanche vent’anni e proclamarsi ai quattro venti socialisti (preparandosi così a fruttuose carriere nel mondo del lavoro) era cosa  meschina e ridicola. Io e i miei amici volevamo qualcosa di diverso. Era chiaro, almeno per me: quel tambureggiare e quello sventolare di bandiere rosse era a vuoto. Capivo che l’uguaglianza delle classi era una impostura, che l’Unione Sovietica era un inferno. E si sentivano bene, anche da qui e per chi le voleva sentire, le campane a morto dei gulag che dindondavano cupe per tutta Europa. Era tutto successo invano. Una guerra mondiale, col suo carico d’infamia e soprattutto di vittime e di superstiti condannati a una grigia sopravvivenza non era bastata, eravamo tuttora pieni di quell’odio che s’era perpetuato attraverso le generazioni. C’era ancora tra noi, rimasta nella sua crudezza fratricida, la caccia al fascista, perché la caccia al fascista, dai giorni della Liberazione (oggi scrivo questa parola con la maiuscola, allora non l’avrei proprio fatto) non era ancora terminata. L’odio. Attraverso gli anni e le generazioni. Di padre in figlio. Qualsiasi bruttura della vita e della morte, qualsiasi genere di falsità, qualsiasi ingiustizia, era di genere, diciamo così, fascista. Fascista era una parola feticcio, che voleva dire male, sporcizia, infamia. Un fascista era un delinquente politicizzato. Sparare a un fascista non è reato! Così si gridava alle manifestazioni. E allora leggere quel suo libro, nel quale lei raccontava con quella sua penna aguzza d’ingegno gli anni della fine della guerra e della clandestinità, fino a quando riprese l’attività politica in mezzo alla scarsità di mezzi e ai rischi fisici, fu un’esperienza importante. Com’era possibile che lei, fascista che mai aveva rinnegato il fascismo, parlasse tranquillamente di pace, di vita civile, di non belligeranza? Forse ci prendeva tutti in giro? Non l’ho mai creduto. Io credo invece che le sue lotte contro il famigerato pentapartito, quell’accozzaglia pentagonale di partiti politici che governavano l’Italia col metodo mafioso della spartizione delle cariche e dei conseguenti poteri, erano lotte anticipatrici; basta rileggere Autobiografia di un “fucilatore” e vi troviamo cose che soltanto parecchi anni dopo furono dette e ridette da tutti, come prescrizioni naturali, di buon senso, ma che soltanto allora lei aveva avuto il coraggio di dire e ribadire nel vuoto quasi totale di consensi.
E ora, onorevole, le racconto una strana storia: in un caldo pomeriggio di due anni fa, in piena campagna elettorale, camminando per il mio quartiere m’imbattei in un camper pieno di manifesti targati Alleanza Nazionale; e fin qui niente di nuovo. Ma cosa c’era scritto sotto il premiato logo del partito di Fini? “Almirante”, ecco cosa c’era scritto. Sono passati quasi vent’anni dalla sua morte; e ora il vecchio leader defunto del M.S.I. viene a dar man forte al suo delfino dall’aldilà o dal nulla, viene cioè a dare man forte da morto al leader vivo e vegeto di un partito che più democristiano non si può?
Ci penso ancora a quel maledetto camper, e a tutti quei manifesti con la scritta surrealista “Almirante” appiccicati su tutti i fronti. E nel 2005. E mi viene da ridere davvero amaro. E mi viene anche da pensare che, in poco meno di 20 anni, è proprio cambiato tutto, e non si salva proprio nessuno. (Ecco ritornarmi in mente l’onorevole Ciccioli! Su Internet ci sono alcuni suoi interventi alla Camera. Da quanto ho capito è uno che interrompe sempre. Livia Turco proprio non lo regge. Ma sì, meglio lasciar perdere, onorevole, già ho capito, sento che lei non sa, o forse – più probabile – non vuole sapere).
E io sono diventato un elettore della sinistra per disperazione: e forse di sinistra – anche se soltanto nello sgabuzzino elettorale – così è giusto diventare: per disperazione, per rabbia, per mai doma sete di giustizia.
Non mi faccio illusioni nemmeno sulla sinistra, me ne guardo bene; non so più dove posizionarmi politicamente da tanti anni, glielo confesso; e la destra come l’ho sognata io da ragazzo a causa sua non esiste più da almeno, guardi un po’, un ventennio. Anzi, è molto probabile che non sia mai esistita. S’è proprio trattato d’un sogno giovanile, è così; è stata tutta un’illusione, anzi è stata proprio un’allucinazione. E’ però anche vero che quella sua destra targata M.S.I., che di difetti e di zone d’ombra ne aveva più di mille, che era indietro su di un sacco di questioni e “non rinnegava” le sue origini, era un partito che faceva pur sempre opposizione. Faceva ostruzionismo, combatteva a suo modo contro il sistema. Non era davvero poco, ripensandoci oggi. Un sistema, quello di allora, che somigliava tanto a quello attualmente in auge. Forse era un sistema un po’ meno impresentabile dell’attuale. Ed era fatale, per certi giovani idealisti che maledettamente a ragione non credevano nella truffa del comunismo, e che disprezzavano il democattolicume di regime, andare a cercare un ideale rifugio “di protesta” nel M.S.I. Niente nostalgie, per quanto mi riguarda, glielo voglio dire a chiare lettere, confidando in quella chiarezza – perlomeno espositiva – che era il suo marchio di fabbrica e che è stato sempre il mio modo di espormi: tanto meno per quel vecchio motto che lei ripeteva, e che oggi, voglio dirle anche questo, mi suona piuttosto sinistro: “Vivi come se tu dovessi morire subito; pensa come se tu non dovessi morire mai”. Buono per un orgoglio giovanile tutto da costruire, in sostanza. Buono per i merli ignorantotti che eravamo.
Io invece credo nell’esempio di un altro vecchio uomo di destra, in fondo un moderato; uno che soprattutto alla fine della sua lunga vita un buon esempio di ragionevole anticonformismo ce lo ha dato. Parlo di Indro Montanelli: puoi fare qualcosa per te stesso solo in cabina elettorale; e là dentro turati il naso con tutta la forza che hai e vota per l’accozzaglia di lanzichenecchi meno orribile presente sulla piazza della nostra sciagurata politica. Ecco, onorevole. Ho chiuso ricordando un altro grande vecchio di questa nostra Italia che si dibatte tra la gloria, la generosità, l’infamia, la meschinità, un utile spargersi di menzogna, un’inutile sincerità; un grande vecchio italiano passato come lei dall’altra parte del fiume. Dobbiamo voler bene ai nostri vecchi di un bene fermo, dobbiamo tenere in vita con orgoglio ciò che ci hanno lasciato. E ancora di più dobbiamo voler bene a quelli grandi, che un prezioso straccio di esempio ce lo hanno dato con la loro forza, la loro intelligenza, il loro coraggio. Pur negli errori dei fatti e dei caratteri mai facili, e nei difetti spesso imperdonabili. Spero di non averla stancata coi miei ricordi, con le mie rabbie che mi tengono però sempre giovane e vigile nella trincea della vita. Io la ricordo sempre con un strano affetto, che è dovuto a qualcuno che, volente o nolente, ci ha regalato delle emozioni, ci ha fatto sentire vivi. Come un amore lontano. Non è stato un maestro, per me, non posso certo dirlo. Ma per un tratto non breve mi è stato vicino come un personaggio ideale, come una specie di padre politico. Ho abbandonato forse tutti i suoi insegnamenti, ma non ho dimenticato l’emozione forte di un suo comizio, giusto o sbagliato che fosse ciò che lei andava dicendo con evidentissima forza e capacità oratoria eccezionale. Perché é quella, forse, l’unica cosa bella della politica che ci rimane. Il ricordo di un’emozione.

(Tratto dall’antologia “I nostri ponti hanno un’anima, voi no – Lettere ai politici”, Fazi, 2007.)

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108 Commenti

  1. certo chi non ha visto almirante e il fido caradonna dare ordini ai suoi per meglio rompere le teste, completamente a freddo, di studenti inermi assiepati sulla scalinata della facoltà di lettere a roma, 1968, si può pure fare l’idea che fosse un politico, invece che un volgare picchiatore come i suoi adepti…
    ma trattavasi certamente di goliardia, anche quando da quei crani cominciava a sprizzare sangue, senza distinzione tra maschi e femmine…
    anche questo è, a modo suo, il ricordo di un’emozzione…

  2. Ancora una volta mi tocca di essere del tutto d’accordo con Tashtego. Ricordo nella mia adolescenza un comizio di Almirante a Desenzano del Garda, dov’io vivevo. L’uomo però semprava più un bravo istrione che un politico qualsiasi, gli rimaneva la battuta, certo arguta, ma niente più. Quel che compicciava con Caradonna e Servello era ben altro, meno elegante e meno aristocratico.

  3. mi ero già dato che avessi qualche tratto dello squadrista, ma questo pezzo ti riscatta, sono commosso. Così come mi hanno commosso le lettere dei condannati a morte della repubblica di salò. Sempre ferme le distinzioni, tuo Johnny

  4. Cosa dire?……….Partecipare alla lettura?………Mi piacerebbe leggere qualcosa su Emilio Fede,grazie!

  5. Ecco un altro pezzo di Franz. Inteso come scritto e come tassello. Scritto con il suo solito coraggio e occhio sincero su se stesso e il suo tempo. Suo perché diverso da quello di tash-sparz ma anche dal mio (anno 1977 ero in terza elementare e mi ricordo che urlai “fascista” alla mia povera amica Elisabetta che tirando a caso aveva detto che i suoi genitori erano per il Sì al referendum sull’aborto, forse perché Sì le sembrava la risposta più bella rispetto al No. Me lo ricordo perché poi lei il giorno dopo, scusandosi, mi disse che si era sbagliata e che anche i suoi votavano No… questo era il clima delle mie elementari e dei miei dieci anni, violento; poi sono passata attraverso gli anni ’80 dei paninari al liceo e il discorso di “politica come moda” non c’era più, non si parlava assolutamente di politica, c’era solo la moda, quindi anche se eri China alla fine la borsa della Naja Oleari te la potevi comprare lo stesso. I picchiatori e gli studenti ammazzati per strada io non li ho visti, li hanno vissuti i miei genitori; e a 15 anni i genitori per me erano assenti rispetto alle scemenze della migliore amica e ai dischi di Alberto Fortis, anni ’80 e media borghesia milanese, appunto).

    Io ad esempio non riuscirei a scrivere nessuna lettera a nessun politico anche se il primo voto l’ho dato a Capanna. Il primo pianto davanti alla Tv è stato per la morte di Falcone.

    Più che di emozione nel mio caso si trattava di rimozione della politica.

    Adolescenza e mondo, chissà perché mi torna in mente Gunter Grass…

    Commentare questo post significa porsi di fronte al “fascismo” con la propria storia personale e con la volontà di sorpassare quell’odio generazionale, non tanto per fare di tutta l’erba un fascio (sic!) [la solita non-distinzione fra destra e sinistra] ma per analizzare una situazione di fatto che è complessa, soprattutto adesso

    fem

  6. Una foto di Almirante picchiatore. una scalinata bianca di chissà quale università romana. lui con cappotto, guanti, sciarpa e cappello accanto a un miliziano con spranga corta. Sembra essere in visita alle prime linee. Calmo e soddisfatto guarda verso un punto indistinto. I suoi occhi chiari da filantropo viennese sono distinguibili anche nel bianco e nero.
    S’ informa sul rancio. Lo squadrista ha uno sguardo impavido da grognard, fa parte senza dubbio della Guardia. Porta calzoni stretti, anfibi e pulloverino. Capelli corti, un fazzoletto che alzerà sul volto al momento opportuno. L’aspetto eroico di chi combatte avendo dalla propria parte poche donne e tutte inquietanti.

  7. Franz, ti vorrei sempre così. Davvero emozionante leggerti qui, c’è sia l’anima che lo stile, belli pieni, inscindibili, diretti, efficaci. Emozionanti, appunto.
    Lorenz
    PS un grazie anche a Tashtego e a chi ha ricordato nei commenti aspetti non proprio secondari della persona Almirante.

  8. Sono esterrefatto.
    Non pensiate che non sia d’accordo sul ripensare alcuni temi del fascismo.
    Ma sinceramente non mi aspettavo di leggere qui un testo del genere.
    Non so che dire.
    Mi devo riprendere.
    E forse volevate proprio questo nel proporlo.

  9. Un meraviglioso, raffinato, estremamente letterario, emozionante, coinvolgente, poetico (e certo, assolutamente ‘poetico’, ci amncherebbe), coraggioso, prezioso esempio di REVISIONISMO storico sotto le mentite spoglie di ricordo d’infanzia:in Italia c’è chi vestiva alla marinara e chi invece, sotto il doppiopetto, indossava l’orbace.

    Ma ciò che impressiona di più non è il pezzo di Franz, ma i commenti…

    Ohimé

    Lello Voce

  10. Caro Lello Voce, evidentemente la politica è un'”emozione” solo per chi ci pare e piace. Altresì, scopro dal tuo intervento che Giorgio Almirante non era un uomo politico. Può darsi. Voglio dire, può darsi fosse soltanto quello che mandava i ragazzini a picchiare, (come ha ricordato con solerzia l’amico Tashtego) o, aggiungo io, quello che sostanzialmente, col suo partito o movimento faceva la ruota di scorta della DC. Però, Lello Voce, il mio passato, tu lo devi rispettare. E ribadisco devi. Perchè il mio passato è buono quanto il tuo, che probabilmente mandavi in giro qualche petardo alle università in nome del tuo progresso.
    Cosa c’entra il revisionismo in un pezzo che di nostalgico ha solo il ricordo della giovinezza perduta me lo devi spiegare. Mi dispiace dover intervenire, ma, benchè la cosa sia ben poco importante, detesto essere travisato. Di Almirante non salvo praticamente nulla, se non che ha rappresentato un’emozione giovanile. Per me è molto. Se tu a quei tempi ti eccitavi con galantuomini come Mao Tse Tung io, e me ne dispiace, non posso farci nulla.

  11. Qui Almirante è un’immagine, un’emozione, un’esaltazione, un simbolo di contrapposizione vista con l’occhio disilluso e dolente di un adulto. Che c’entra se era il capo dei picchiatori. Riferito a questo pezzo è una forma, da non confondere con un contenuto. Perché lo scritto non storicizza il personaggio in sé, ma lo evoca, come un fantasma, riferito al fantasma di un adolescente. Nel 1969, a sedici anni, andai con amici-compagni maoisti a Milano, e mi trovai intruppato tra i Katanga, quelli del servizio d’ordine del MLS: caschi da motociclista, aspirina e limone contro i lacrimogeni, spranghe di ferro e caccia ai figlidiputtana di Piazza S. Babila per spaccare teste (“i fascisti, facce da carogne, li hanno ripescati dalle fogne”). Ma che importa. Oggi riguardo e ripenso a quel tempo, a quei ragazzi come me, con l’occhio dolente e un po’ disperato dell’adulto che sono. Mi sembra questo il centro del pezzo di Franz.

  12. Bellissima e struggente lettera Franz.
    Avevo scritto poco fa un commento più sostanzioso,ma no so perchè,pur avendo schiacciato il tasto dell’invio,non è apparso.
    un caro saluto
    jolanda

  13. Baldrus, ti trovavi con amici-compagni maoisti, intruppato tra i katanga,
    ossia dici quelli del servizio d’ordine ms, quelli dei caschi, aspirine ecc. a caccia di sanbabilini?

  14. Per quanto mi riguarda, lasciando perdere le mie di emozioni, quelle legate alla figura di Giorgio Almirante e molto concretamente all’idea di violenza e sangue che nella mia mente vi resta associata, è l’idea di passato come emozione che respingo.
    Che poi non è altro che l’emozione della giovinezza che se n’è ghiuta per sempre, in qualsiasi modo si sia svolta e declinata.
    È vero, anche per me è interessante leggere di esperienze diverse, opposte alla mia, anch’io sono abbastanza preso da quello che fu (e tuttora è) il neo-fascismo, proprio per la sua totale estraneità alla mia esperienza e traiettoria vitale.
    Tuttavia è la forma (direttamente) emozionale di questo scritto che non mi convince, mentre immagino che nulla impedisse a Franz di narrare delle stesse cose prendendo le distanze dal proprio ego pieno di dolore per un’impossibile nostos a quegli anni, trovando una cifra più fredda, più conoscitiva per noi.

  15. Sono sostanzialmente d’accordo con Tash. E anche per me il punto, e tutto letterario, di questo pezzo / ma quindi anche conoscitivo / sta in quella che lo stesso Franz riconosce essere la “nostalgia” per la giovinezza persa. Quella tremenda faccenda che De Gregori in una canzone aveva tradotto più o meno cosi “Vent’anni sembran pochi poi ti volti indietro e non ci sono più”. Questo è una cosa che conosciamo bene tutti (over anta). Ma il passo letterario davvero difficile è tornare alla (propria) giovinezza, senza quella nostalgia (e indulgenza) che ce la fa amare e evocare solo perché è ormai passata. E li credo davvero che si possa scoprire qualcosa di diverso (e anche di impietoso per sé e per tutte le giovinezze.)

  16. Ma: non capisco perché un pezzo, un racconto, non possa evocare eventi luoghi personaggi trascinato da emozioni (oppure trascinandosi dietro emozioni). Spesso – molto spesso – l’emozione è più importante del cosiddetto contenuto; talvolta è più importante “come” di “cosa”; perché il cosa può essere ingabbiato in sovrastrutture ingovernabili dallo stesso autore. Sto leggedo “Sulla Lettura” di Proust, e ritengo impossibile affermare che le sue evocazioni di luoghi e momenti di lettura persi nel passato siano esenti da emozioni o persino dalla vituperata nostalgia.

    Poi sta all’autore governare con mano più o meno ferma questi elementi, ma questa è un’altra storia.

  17. Io odio il fascismo. Anche i fascisti. Ma sotto i fascisti ci sono delle persone. E quelle non le odio. Specie da quando insegno a scuola, e mi è dato osservare la “psicogenesi del fascista”. E del fascismo. Perché uno diventa fascista, quale la sua urgenza, da dove la necessità di proiettarsi in quell’idea, e prima ancora in quella pratica. Del racconto di Franz le cose importanti stanno proprio lì, in quel non prendere distanza, in quel far vedere da dentro il perché un ragazzo si sente – e in conseguenza si pensa – in quel modo. Se mai, i punti più deboli del racconto stanno proprio laddove Franz prende distanza da se stesso, credo.

  18. ma quanti fascisti abbiamo incontrato (tutti?) con la tessera di un partito di sinistra…

    un abbraccio

  19. Non c’erano più i celerini schierati con quegli scudi trasparenti che mi avevano messo una paura dell’anima nelle precedenti occasioni.La terza volta che Almirante venne a parlare nella piazza principale del mio paese avevo 12 anni,e non ero più missino da tre,ma continuavo a considerarlo alla stregua di un buon vecchio zio severo che ci metteva in guardia dagli sprechi e dalle pericolose chiacchiere sovversive di quell’altro zio Marco,noto Giacinto,un tipo che amava sfoggiare nei comizi abiti dalle tonalità poco consone ad un’attività che allora mi sembrava seria,e nel tempo perso raccoglieva dal fango individui senza domandare come in quel fango ci fossero finiti. D’istinto mi veniva da parteggiare per quella specie di altalenante parente spettinato che urlava contro i cacciatori di streghe e per la vita(qualunque essa fosse)

  20. io sento nel racconto una comunanza sel bisogno giovanile di appassionarsi a qualcuno-qualcosa.
    il fascismo e il comunismo, se vogliamo giocare al gioco degli estremi, rappresentano appunto la stessa voglia-bisogno.
    quella di non sentirsi soli, di identificarsi in un’idea che renda noi stessi simili agli altri.
    e poi anche il disincanto dell’uomo che crescendo abbandona quella possibilità di comunanza per scivolare nella consapevolezza della sconcezza delle idee e degli uomini che le propagandano.
    e riconosco negli scatti d’ira del franz di adesso quel ragazzo, così come nella gentilezza e disponibilità.
    credo che la “salvezza” dal disincanto recidivo e dall’amarezza del proprio presente, che a una certa età si nutre di rimpianto e nostalgia, stia proprio nella capacità di vedere tutto ciò con distacco. e che l’unica causa che meriti tutta quella passione ed energia, sia la ricerca della propria autentica verità.
    almirante, che riconosco capace di distinguersi dalla molle massa politica di allora, pur detestandone io le idee, mi sembra fare da sfondo agli argomenti cui sopra.

  21. Ringrazio tutti per i bei commenti, e in special modo Baldrus (Mauro Baldrati) che senza nulla togliere agli altri ha scritto cose che condivido in pieno, in buona sostanza ha capito in pieno cosa mi ha spinto. Volevo aggiungere che credo sia sano ripensare alle nostre scelte passate con una buona dose di cinismo (che abbiamo ormai in circolo, volenti o nolenti) senza per questo rinunciare al ricordo, appunto, di un’emozione. Io, a differenza di Almirante, rinnego quelle idee, ma non rinnego quella scelta. Dettata, appunto, da un bisogno di appartenere, da individuo, a un gruppo. So che dette qui certe cose possono risultare stonate, ma credo sia ora di dirci le cose con il distacco che solo gli anni, e le esperienze, possono dare. Io dunque mi permetto di rivendicare un’emozione forte, sentita. Nell’ignoranza e nella cecità di quegli anni. Ma l’emozione, se la rivendico, è perchè la ricordo, netta, tagliente, per certi versi salvifica.
    Non sono d’accordo con Inglese e Tashtego sul fatto che un racconto in prima persona di quegli anni debba – quasi necessariamente?- fare a meno di quel rintrono del cuore, di quell’evocazione dei sentimenti. Avessi voluto essere analitico non avrei fatto della narrativa, come ho fatto.

  22. L’emozione per le idee e le scelte di un passato che non condivido più, a me non fanno provare amorevole nostalgia per quel che ero, ma il rimpianto di non averlo capito prima.
    Ecco che oggi, addirittura, un ode a colui che suscitava quell’emozione (poi ritenuta sbagliata) non la capisco.
    A meno che non ci sia vera distanza, distanza che doveva risultare più fiera, e che in taluni passi mi non mi sembra di scorgere.
    Era meglio dire apertamente (ma forse franz lo hai anche detto): guardate che su certe cose Almirante era ed è meglio di Fini, oppure “…Faceva ostruzionismo, combatteva a suo modo contro il sistema. Non era davvero poco, ripensandoci oggi.”.
    Appunto, l’hai detto: ripensandoci oggi.

  23. Questi nazisti sono davvero cattivi. Possiamo simpatizzare con loro in tenera eta ma poi cresciamo e riconosciamo che la versione ricevuta e’ quella giusta. Non dovevano i nazistacci trafugare l’Arca Perduta, e non dovevano cercare di rapire il linguista rumeno che fu colpito da un fulmine ed ebbe l’opportunita di vivere una seconda giovinezza,
    Bad, bad boyz.

  24. Non do giudizi sul pezzo perchè non l’ho ancora letto con attenzione ma mi chiedo: non è troppo giovane franz per avere già così nostalgia della sua giovinezza da scrivere sta roba?

  25. dice ben l’arguto biondillo , qui non ci si annoia mai
    ho sempre diffidato, ed uso un eufemismo, delle persone dotate di capacità oratoria eccezionale.
    ognuno ha i suoi,di cari.
    baci comunisti
    la funambola

  26. mah..
    io credo che al di là della discutibile emozione provata al ricordo della figura ambigua di un Almirante, picchiatore in doppiopetto, (la ricordo bene anch’io la foto citata da Robilant, e tanti altri fatti) precursore dei tanti falsi ma impeccabili doppiopettisti che sarebbero arrivati da lì a poco a funestare la vita politica italiana, e del rimpianto quasi senile della propria giovinezza in un uomo che a conti fatti sembra sia solo sulla quarantina, ciò che a me più colpisce in questo pezzo è la mancanza di chiara presa di distanza da fatti e ideologie, che, al di là delle parole di preteso rinnegamento, passa a chi legge attentamente.
    Passa un rimpianto, un’emozione, un vissuto che a me non sembra per niente chiaro come definito e deceduto, e che da’ invece proprio il colore e l’impronta del revisionismo più puro a questo pezzo, anche se ho l’impressione che lo stesso Franz Krauspenhaar non se ne accorga, perso in quell’immagine di sè stesso “perdutamente giovane”, fuorviato in quanto tale dall’ignoranza, dalla cecità e dal bisogno di appartenenza.
    Insomma, ci vedo troppa indulgenza e poco rimpianto per non avere capito come andavano le cose, per una reale presa di coscienza. Ma allora cosa voleva dirci? O cosa non sa di averci detto?
    Quello che da’ davvero da pensare, come dice Lello Voce, è la mancanza di reazioni qui, su Nazione Indiana, a parte qualche voce isolata, ad un’ode ad Almirante.

  27. Cosa dovrei commentare tash? La forma o il contenuto? Che ne dici, discutiamo di letteratura? Ma è proprio qui la miseria della letteratura: nel suo pretendere che si discuta di forma, quando invece sono i contenuti che essa veicola ad essere inquietanti.

    No Franz, non ero maoista, ero anarchico, circolo Kronstad, Napoli, Quartieri Spagnoli, io chi erano certi bolscevichi lo so da quando avevo 14 anni. e a 21 ero sotto il palco di Lama all’università a prender botte, da vero indiano tossico, sia dagli autonomi che dai cordoni di metalmeccanici del PCI. Dunque.

    Franz io rispetto il passato di tutti, a meno che non sia quello di chi era commosso dallo zio di certi signori che mettevano bombe in banche, piazze e treni. In quel caso rispetto, sì, ma con una punta di sano disgusto.

    Credetemi amici miei che la letteratura non c’entra proprio nulla. A Hitler piacevano i cartoon di Walt Disney e dipingeva mica male. C’è nessuno che si candida a ricordarlo come uomo?

    PFUI

    Lello Voce

  28. Aggiungo che, se siete pieni fino all’orlo d voi stessi di ideologia, io non posso farci niente. Io difendo il mio scritto – perchè testimonia una presa di coscienza che voi, a quanto pare, non avete fatto. Non venitemi a parlare di treni e bombe, che dall’altra parte c’è stato un lago di sangue terribile e non minore. Avete poco da fare i puri, soprattutto pensando al fatto che non avete rinnegato le vostre povere idee. Dunque poche balle, e più rispetto, che qui di sano disgusto, Lello Voce, ce ne è per tutti.

  29. Immenso Franz, le tue lettere sono formidabili. Il tuo primo romanzo, del resto, era epistolare. E i migliori pezzi del tuo blog non erano che lettere d’amore. Regalaci un libro così.

  30. Sembrano riprodurre le parole di Paul Nizan “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”, sembrano dirci questo dalle due casse dello stereo Franz Krauspenhaar e Lello Voce (stamattina).

    A me pare sostanziale che Franz lo faccia per paradosso, in forma di provocazione, con il mezzo che gli è più proprio, la scrittura, porgendo la guancia allo schiaffo dell’incomprensione.
    Nell’esigenza (tutta sua) di ricercare oggi, tra persone che agiscono come lui per mezzo della scrittura, la silenziosa lezione di vita dello schiaffo del padre nella tranquillità del salotto di casa. O nell’esigenza (che vorrebbe forse condividere) di scuotere le gli animi (con l’e-mozione?) da un sano quanto sterile e indistinto allineamento dalla parte dei giusti.

    Ma se parlare di Almirante ci porta immediatamente a Hitler, passando per schiere di morti sia nella carne sia nella vita (c’è chi è sopravvissuto alla guerra ma non alla propria coscienza), io credo che sarebbe ora, proprio attraverso le idee diverse, di fare lo sforzo di comprendere meglio tutti quello che è successo ai nostri padri ventenni, ciò che, se stiamo bene attenti, non finisce ancora di accadere per noi, che siamo qui a raccontarci un sacco di storie nella tranquillità del salotto di casa.

    La comprensione dei fatti e delle loro conseguenze come potrà partire dal rifiuto dei fatti stessi. Abbiamo proprio “qui” (e ora!) la possibilità e la responsabilità, assieme, di mettere le mani in pasta (ce le abbiamo nostro malgrado, forse non si tratta di pasta che ci piace), epperò mi pare di intuire nelle diverse scritture solo mani in alto o dita che additano. Quali schiaffi?

    a Franz una carezza, ma in un pugno.
    Francesca

  31. grazie, Franz.
    chi ha il coraggio di raccontare un’emozione oggi è sospetto.
    ma un cambiamento può nascere solo da chi è vivo.
    per me tu sei così.

  32. Tessere le lodi di Hitler? Impossibile. Si rischia davvero grosso. A sentire l’attuale ossimorico ministro della giustizia, fino a 4 anni.
    Almirante no. Puo essere tessuto. In fin dei conti noi italiani non siamo cattivi. Anche i russi ci amavano. Ci facevano dormire nei loro letti per ripararci dal gelo dell’inverno della steppa.
    I tedeschi no. Loro sono davvero cattivi. Hanno il sangue alla bocca.
    Noi italiani invece, fascisti o comunisti, romanisti o laziali, siamo buoni.
    Non come quei feroci tedeschi.
    Noi ci vogliamo tutti bene. Il buffo ometto Veltroni non vuole cooptare Veronica? Berlusconi e’ un mariuolo, Veronica invece e’ buona, dice l’ometto.
    Io so’ kommunista. Ma cio n’amico fascista.
    Io so’ laziale, ma mi moje e’ romanista. Ah, litigamo quanno c’er derby.
    Italiani buoni.
    Tedeschi cattivi.
    Quindi, nessuna lode a Hitler

  33. 1) “Non piansi per Moro, che finì dentro quella Renault 4 rossa, trovato lì, come un cadavere di morto ammazzato qualsiasi, assassinato dalle Brigate della morte d’ogni dignità…”

    2) … la bara che esce dalla chiesa portata a spalla da camerati che piangono come vitelli neri. E anch’io, sì che sono lì – mi ricordo davanti al televisore, mio padre incredulo –, incollato al video, ***piangente a calde lacrime*** per la sua morte.

    Sarà anche FICTION, ma c’è qualcosa di “phoney” e stucchevole in tutto questo. La mia opinione contro quella dello stesso Franz, che fa benissimo a trovarla deludente. E’ il classico giudizio (sfavorevole) di scambio. Io non riconosco una cosa a te, tu non ne riconosci un’altra a me. Statemi bene.

  34. “Non sono d’accordo (…) sul fatto che un racconto in prima persona di quegli anni debba – quasi necessariamente?- fare a meno di quel rintrono del cuore, di quell’evocazione dei sentimenti. Avessi voluto essere analitico non avrei fatto della narrativa, come ho fatto.”
    ecco questo è un punto molto importante che meriterebbe di essere discusso (ri-discusso per l’ennesima volta?), ma pur troppo per ora non ho tempo.
    questo vale anche per le notazioni di lello voce e di alcuni altri.
    ed è riprova che il post di franz è interessante.

  35. Sarà che ognuno di noi ha una chiave di lettura diversa,ma io nella lettera
    di Franz non ho trovato tutta questa apologia di Almirante .
    Ho letto soltanto la storia di un uomo che estrapola dal suo passato un frammento di vita,un’EMOZIONE ,e ce la porge senza rimpianto,come
    trovare una vecchia foto in un cassetto,soffermarcisi un po’,ricordare
    quando era stata scattata e perchè,forse sentire per un attimo il tremore
    del passato,per poi riporla di nuovo nel cassetto con la consapevolezza
    del tempo e degli eventi che levigano e mutano il corso di un essere.

    ciao Franz
    jolanda

  36. Mio padre ha una storia comune,
    condivisa dalla sua generazione.
    La mascella al cortile parlava,
    troppi morti lo hanno smentito,
    tutta gente che aveva capito.

    E il bambino nel cortile sta giocando
    tira sassi nel cielo e nel mare.
    Ogni volta che colpisce una stella,
    chiude gli occhi e comincia a sognare
    chiude gli occhi e comincia a volare.

    E i cavalli a Salò sono morti di noia,
    a giocare col nero perdi sempre.
    Mussolini ha scritto anche poesie,
    i poeti che brutte creature,
    ogni volta che parlano è una truffa.

    Ma mio padre è un ragazzo tranquillo,
    la mattina legge molti giornali.
    È convinto di avere delle idee
    e suo figlio è una nave pirata,
    e suo figlio è una nave pirata.

    E anche adesso è rimasta una scritta nera,
    sopra il muro davanti casa mia,
    dice che il movimento vincerà.
    I nuovi capi hanno facce serene
    e cravatte intonate alla camicia.

    Ma il bambino nel cortile si è fermato
    si è stancato di seguire aquiloni.
    Si è seduto tra i ricordi vicini, rumori lontani
    guarda il muro e si guarda le mani,
    guarda il muro e si guarda le mani
    guarda il muro e si guarda le mani

  37. Il ricordo personale di Franz sfocia in un tentativo di storicizzazione per me completamente sballato. Cozzano le due dimensioni, una assolutamente accettabile, l’altra assolutamente da brividi. Descrivere Almirante e Montanelli come nemici del sistema, loro che alla fine null’altro volevano che la conservazione di un ordine borghese nel senso più retrivo della parola, è revisionismo d’accatto. Facile dire che le proteste di Almirante contro il Pentapartito furono anticipatrici: ma si può dire che la ricerca di un ordine del passato, fosse anticipazione? Il desiderio di ribellione di un adolescente può giustificare l’adorazione per un personaggio, ma non la contestualizzazione del personaggio.

  38. Non ha tutti i torti Straelena, in ALCUNE sue considerazioni: Franz non prende molto le distanze dal suo passato para-missino, ed è molto autoindulgente con se stesso. Vero. Non dice mea culpa, me povero, non ha rabbia per aver creduto in certi ideali concretizzatisi in una strategia dell’eversione di cui Almirante era uno dei fautori; il Franz di allora evidentemente non vedeva o non voleva vedere tutto ciò e il Franz di adesso forse lo sottovaluta.
    Ma non è questo il punto.
    Il punto è che molti qui pretenderebbero di dire a Franz il registro e il tono con cui doveva scrivere il suo pezzo, e il messaggio che avrebbe dovuto veicolare questo scritto sulla sua passione politica giovanile.
    Franz ha scelto il tono del ricordo nostalgico, dell’introspezione psicologica di se stesso che cresce in un determinato ambiente; non dà giudizi storico-politici né narra fatti che possano qualificarsi come revisionismo – che cazzata parlare di revisionismo per questo scritto -, al massimo si limita a fare alcune sconsolate considerazioni sul presente, dalle quali peraltro si capisce bene perché il giudizio su Almirante è così pacato: per Franz oggi i politici non sono molto meglio (giudizio discutibile, per carità), manca loro, si intuisce, la vera passione, quella di rossi e neri di una volta, pronti anche a rischiare la vita propria e, ahimè, altrui per i loro ideali, rischi che mancano certo alla maggior parte dei politici di oggi così come mancavano ai socialisti e ai democristiani (se non fosse che il terrorismo… ), ai cosiddetti moderati, che sono – lo si legge bene, questo – quelli che Franz più disprezza(va), per il loro opportunismo e doppiogiochismo.
    Insomma, il motivo principale che spinge molti a non apprezzare questo scritto è che non gli si riconosce il diritto di essere impostato nel modo in cui Franz ha fatto, oppure, all’estremo, come nei commenti davvero “tristi” di Voce, non gli si riconosce neanche il diritto di esistere, perchè, pare scaturire dai suddetti, la letteratura su Almirante può contemplare solo il silenzio o la condanna, il resto non è permesso.

  39. PS poi ben vengano tutte le considerazioni critiche sui lapidari giudizi politici presenti nel pezzo di Franz, che ripeto, più che ergersi a veri giudizi storico-politici, sono pensieri sconsolati sull’onda dello stato emotivo di cui il pezzo è permeato – e proprio per questo, presi alla lettera, sono assai criticabili.

  40. Proprio per le ragioni di Lorenzo Galbiati io dico che mi sarebbe piaciuto avere Franz fra i miei avversari, visto che allora militavo, forse con un po’ più di consapevolezza, ma con una uguale dose di impolitico candore (come oggi peraltro, altrimenti come avrei fatto a votare WV alle primarie?), dalla parte opposta. Perché il Franz di oggi rilegge con assoluta onestà intellettuale, senza falsi e nel suo caso impossibili revisionismi e con la passione della nostalgia, gli anni della sua gioventù. E a me basta.
    Ezio

  41. @ Lorenzo Galbiati

    no, credo che il motivo principale per cui in diversi non abbiamo apprezzato quello scritto è perché non è onesto.
    Il sospetto è che fk abbia messo in bocca a se stesso di vent’anni fa quello che pensa ora, altrimenti avrebbe dovuto ricordare sì il sentimento, ma in maniera diversa, sia letterariamente parlando, sia sostanzialmente.
    L’ho premesso, parlare del fascismo mi sta bene, ma non in maniera surrettizia.

  42. In un certo senso Franz ha ragione a pretendere che il suo pezzo sia valutato “politicamente” – anch’io l’ho fatto – ma sia letto come scrittura, come narrazione di un suo stato vitale precedente e antico che evidentemente l’ha segnato.
    Ritorno sul punto che mi sta a cuore.
    Franz scrive: “Non sono d’accordo (…) sul fatto che un racconto in prima persona di quegli anni debba – quasi necessariamente?- fare a meno di quel rintrono del cuore, di quell’evocazione dei sentimenti. Avessi voluto essere analitico non avrei fatto della narrativa, come ho fatto.”
    A parte il dualismo mente-cuore che risuona in questa affermazione e che personalmente respingo, essendo noi tutta-mente ed essendo la mente tutta-materia, direi che compito della scrittura narrativa (non uso la parola letteratura, perché troppo obsoleta e liceale) non dovrebbe (secondo me) essere quello di esporre direttamente ed esplicitamente le emozioni dello scrivente, quanto di suscitarne nel lettore, possibilmente a fini conoscitivi, piuttosto che di semplice sommovimento et commozione.
    Vedo quindi la scrittura come un dispositivo complesso che, pur potendo contenere – in modo più o meno implicito, nascosto, organicamente fuso nelle parole – un buon tasso di emozione, dovrebbe tuttavia utilizzarla essenzialmente come motore estetico, invece che porla direttamente come fine e allo stesso tempo mezzo del narrare.
    Sul resto mi asterrei, non senza aver ribadito con forza l’assoluta non simmetricità di fascismo e comunismo, a meno che non ci si voglia (qui in N.I. 2.0 accade spesso) accodare all’attuale voga della semplificazione/falsificazione storica.

    O.T.
    Parafraserei le (secondo me stupide) parole di Paul Nizan, adattandomele addosso “Avevo sessantadue anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”.

  43. il limite dell’operazione sta nel suo costituirsi come outing letterario, ma siamo su NI versione due punto zero

  44. C’è da dire che il sentimento doloroso per il tempo fuggito, per chi ce l’ha e per chi c’indulge, è una brutta bestia. Ammanta di intensità, lirismo e in fin dei conti grandezza tutti gli apparati del ricordo, in modo virulento e un po’ indiscriminato.

    Il testo di Franz, e lo dico con l’umiltà sfrontata del lettore, non funziona, per me, perché lo sento supino a questa sorta di onanismo sentimentale che pur conosco. Che è certo naturale assecondare nel teatro del privato, ma che verbalizzato necessita di strappi, di scardinamenti, pena l’assumere il tono dolciastro e il vago rimbambi(ni)mento tipico di certi vecchi che ingigantiscono e rimpiangono pidocchi, fame e disgrazie per rimpiangere un cuore traboccante di vita e muscoli tonici.

    A corredo, due immagini cinematografiche.

    La prima è La città incantanta, il film meravigliso di Hayao Miyazaki, dove lo strappo della perdita del tempo è fatto oggetto di una messinscena intensa, lucida e visionaria al tempo stesso, per nulla confusa e priva d’ogni gigantismo nostalgico.

    La seconda viene dal Sorpasso di Risi, dove il giovane-vecchio Trintignant, col suo bagaglio consolatorio e sfocato di mitologie del ricordo infantile (la casa in maremma, Occhiofino, gli zii) viene fatto (luci)ferinamente a pezzi dal figliodiputtana gassmaniano: introducendo, per l’edificazione di tutti, una straniante terza dimensione nel quadro fatalmente pompier del ricordo che si autoerotizza.

  45. Io che concordo con Tash (non simmetricità di fascismo e comunismo, leggete qui, per capirci), che ho il sangue di colore rosso e il cuore che batte a sinistra fin da bambino, che non ho all’orizzonte nessuna deriva buonisticorevisionista, ho “sentito”, eccome, il pezzo di Franz (con tutta la incondivisibilità).

    Però, Lello, la reductio ad hitlerum, no, dai… non me l’aspettavo da te.

    E poi, comunque, Hiltler dipingeva di merda. Non a caso non l’hanno preso all’Accademia.

  46. canzone per… franz :)

    Mio vecchio amico di giorni e pensieri da quanto tempo che ci conosciamo,
    venticinque anni son tanti e diciamo un po’ retorici che sembra ieri.
    Invece io so che è diverso e tu sai quello che il tempo ci ha preso e ci ha dato:
    io appena giovane sono invecchiato, tu forse giovane non sei stato mai.

    Ma d’ illusioni non ne abbiamo avute, o forse si, ma nemmeno ricordo,
    tutte parole che si son perdute con la realtà incontrata ogni giorno.

    Chi glielo dice a chi è giovane adesso di quante volte si possa sbagliare,
    fino al disgusto di ricominciare perchè ogni volta è poi sempre lo stesso.
    Eppure il mondo continua e va avanti con noi o senza e ogni cosa si crea
    su ciò che muore e ogni nuova idea su vecchie idee e ogni gioia su pianti.

    Ma più che triste ora è buffo pensare a tutti i giorni che abbiamo sprecati,
    a tutti gli attimi lasciati andare e ai miti belli delle nostre estati.

    Dopo l’inverno e l’ angoscia in città quei lunghi mesi sdraiati davanti,
    liberazione del fiume e dei monti e linfa aspra della nostra età.
    Quei giorni spesi a parlare di niente sdraiati al sole inseguendo la vita,
    come l’ avessimo sempre capita, come qualcosa capito per sempre.

    Il mio Leopardi, le tue teologie: “Esiste Dio ?” Le risate più pazze,
    le sbornie assurde, le mie fantasie, le mie avventure in città con ragazze.

    Poi quell’ amore alla fine reale tra le canzoni di moda e le danze:
    “E’ in gamba sai, legge Edgar Lee Masters. Mi ha detto no, non dovrei mai pensare.”
    Le sigarette con rabbia fumate, i blue jeans vecchi e le poche lire,
    sembrava che non dovesse finire, ma ad ogni autunno finiva l’ estate.

    Poi tutto è andato e diciamo siam vecchi, ma cosa siamo e che senso ha mai questo
    nostro cammino di sogni fra specchi, tu che lavori quand’ io vado a letto.

    Io dico sempre non voglio capire, ma è come un vizio sottile e più penso
    più mi ritrovo questo vuoto immenso e per rimedio soltanto il dormire.
    E poi ogni giorno mi torno a svegliare e resto incredulo, non vorrei alzarmi,
    ma vivo ancora e son lì ad aspettarmi le mie domande, il mio niente, il mio male…

    e chiudo col pensiero di una mia personale “colonna portante”: quello che so a quarant’anni lo “intuivo” (lui dice lo sapevo) altrettanto bene a venti.
    vent’anni di un lungo, superfluo lavoro di verifica…
    sempre in rosso
    la funambola

  47. Mi viene voglia di dire qualcosa.
    Esiste uno sparti-acque politico-culturale, collocato in qualche punto degli anni Ottanta o dei primi Novanta, che rende del tutto non confrontabili e, quello che è peggio, reciprocamente incomprensibili, le esperienze di generazioni per altri versi – metti la musica, l’arte – molto più vicine di quanto non fosse nel passato.
    Cioè nella seconda metà del Novecento si sono verificate fratture cultural-generazionali molto più gravi e profonde (si pensi alla rivoluzione sessuale) – negli anni Sessanta/Settanta, per esempio – delle attuali, ma non ostante ciò si viveva nel medesimo universo politico, o quasi.
    Il che non significa che le generazioni andassero politicamente d’accordo, quanto piuttosto che si capivano abbastanza bene quando parlavano di politica, perché usavano linguaggi ancora reciprocamente comprensibili.
    Oggi non è così.
    Oggi l’esperienza e il percorso politico esistenziale di Franz, ma parlo anche per me, sono del tutto incomprensibili alla maggior parte dei giovani – che magari invece ascoltano gli stessi dischi che ascoltiamo noi, che magari gli piasce anche a loro Toro scatenato di Scorsese, eccetera – i quali non riescono più a percepire la dimensione politica della vita come qualcosa nella quale valga la pena inoltrarsi.
    Se tra coloro che sono rimasti al di qua dello sparti-acque che divide l’ideologico dal post-ideologico c’è qualcuno che intende narrare la sua esperienza in termini di nostalgia struggente il rischio è quello di essere compresi ancora di meno.

  48. Franz tu scrivi. “Non venitemi a parlare di treni e bombe, che dall’altra parte c’è stato un lago di sangue terribile e non minore. Avete poco da fare i puri, soprattutto pensando al fatto che non avete rinnegato le vostre povere idee.”

    Ma che teoria singolare, questa del sangue che ‘lava’ il sangue, della colpevolezza reciproca che assolve tutti. Mi fa venire in mente certe robe feudal-medievali: Bloch le chiamava ‘fratrie’ il patto di sangue che unisce nella vendetta, ribaltato, se vuoi. Se ne sente l’eco in certi commenti, tipo: oh come avrei voluto averti come avversario in quegli anni. Appartenete allo stesso club, in fondo. Io no, nel 77 prendevo botte da tutti e 2, ero una merda di tossico indianizzato, a me piaceva abby Hoffman, adoravo timothy Leary e Burroughs , tutta gente insomma che ha avuto a che fare solo con il sangue proprio e non con quello degli altri. Io stavo con Pinelli, non con Calabresi o Sofri, io sono della razza di quelli che hanno ‘malori attivi’ e si suicidano in quanto innocenti come ha scritto nella sua sentenza un sincero militante della sinistra, l’ex Giudice D’Ambrosio. E per Pinelli non c’è nessuno che abbia una parola da sprecare: figurarsi era solo un ferroviere non un intellettuale guerrafondaio come Sofri, o un Commissario della squadra politica come Calabresi. e dunque provo lo stesso disagio qundo leggo certi ricordi ‘destri’ come quando mi ritrovo autobiografi di se stessi certi signori con il passamontagna rosso, che in quegli anni mi fecero vivere con i tiratori scelti appostati alle finestre. IO sono uno di quelli che voleva trattare. E mi sono perfino commosso quando ho visto quel cadavere nella Reanault rossa: mi sono commosso per la sua morte e per la morte (definitiva) di tante speranze di cambiamento. Infatti ci picchiavate tutti, destri e sinistri: noi eravamo i tossici. Non provare a nasconderti con me dietro il giochetto degli opposti estremismi: non funziona io ho estremizzato solo me stesso avendo cura di non rompere le palle alla libertà altrui.

    Ognuno è libero di ricordare e di farlo un po’ come gli pare. Ma se rende pubblico questo suo ricordo deve accettare che gli altri dicano ciò che ne pensano. E io penso che trovo imbarazzante che sotto le mentite spoglie di un ‘ricordo letteratissimo’ si scriva un’altra tappa di quella strada che sta stravolgendo certi valori in cui credo fermamente. Sono quelli di Robespierre sai, mica quelli di Stalin o di Pol Pot. La longa manus di Almirante e dei suoi mazzieri (chi si ricorda Caradonna, ad esempio) è ben presente nella strategia della tensione, far finta di nulla e innalzare un peana è una scelta lecita, ma poi bisogna prendersi le proprie responsabilità. Nascondersi dietro il dito della ‘emozione’ non cambia le cose.

    So bene che in molti commentatori quanto dico può provocare disagio, ma qualcuno doveva pur dire che trovare proprio qui un pezzo del genere è preoccupante e non c’è letteratura che tenga. E vi prego non citatemi Celòine o Pound, Celine ha scritto il più fantastico libro contro la guerra di tutto il 900, Pound inseguiva un Rinascimento inesistente ed hanno pagato di persona, loro scrittori, ciò che Almirante invece si è ben guardato dal pagare, nascoindendo il suo diritto ad esistere ditro quei diritti democratici che lui si affannava a tentare di affossare provando a riportare in Italia il fantasma dell’autoritarismo e dell’intolleranza. Ad Auschwitz e alla Risiera arrivarono anche molti, troppi treni italiani, condotti da macchinisti italiani, riempiti da sgherri italiani, in nome di quegli stessi orriboli valori a cui Almirante ha sempre detto di voler restare fedeli, quelli del fascismo.

    Sono io Franz che ti dico: poco balle, meno retorica mielosa, io non ho da vergognarmi ad esser stato tossico, tu forse ad esser stato fascista un poco poco sì.

    Tutto qua

    Lello Voce

  49. E che vuoi che ti dica, caro Lello: in nome della pace e della fratellanza e del tempo che per me non è passato invano vedrò di pensarci su.
    Non avendo vittime di nessun tipo sulla coscienza, faccio fatica a sentirmi in colpa, anche se la stupidità, a volte, può essere una colpa.
    Io comunque rispetto il tuo giudizio, sia chiaro; però non lo condivido. In quanto al revisionismo, non mi interessa. Chi è stato fucilatore e stragista 40 anni fa deve continuare ad esserlo, nel nostro giudizio, anche oggi. E’ interessante notare il tuo atteggiamento vittimistico: secondo te del povero Pinelli non si è interessato nessuno? . A me non pare.
    E’ poi inutile ricordarmi di Caradonna e compagni, anzi camerati. Lo sappiamo bene. Tendo a pensare che dalla DC in poi verso destra ci fosse, a quei tempi, una sorta di tacito accordo. Per questo, guardando in retrospettiva, mi sento di essere stato gravemente truffato da gente come Almirante. Mentre dall’onorevole Berlinguer, che è uno dei pochi politici del tempo che continuo ad ammirare (come lo ammiravo a quei tempi, peraltro) assolutamente no.
    E’ altresì involontariamente comico tirare in ballo i giganti, Pound e Céline in testa. E poi dire che il francese ha scritto un grande libro sulla guerra. Céline è quello che ha scritto “Bagatelle per un massacro”, è quello che non ha rinnegato il suo essere fascista di Vichy. Ma scherziamo? Uno geniale quanto vuoi ma che non ha rinnegato. Forse tu, Lello, ti identifichi con questa gente, con gente che non ha imparato nulla, ma proprio nulla, dalla storia.

  50. tacito accordo? il massacro di reggio emilia nel 60, nel 1960, risultò il frutto di un accordo parlamentare palese

  51. Credimi mi identifico con tutt’altro e di Celine ho solo detto che ha pagato quelli che altri non hanno pagato. In tutto ciò non c’è nulla di comico. Nè c’è comicità alcune nelle Bagatelle, che è un testo immondo. Com’erano disgustose le emissioni di Pound dalla radio di Salò.

    Riguardo a Pinelli ricordi nessuna campagna stampa per denunciare la verità su quella sera a Milano, una roba come quelle fatte per tirare fuori Sofri o per ricordare Calabresi? A me pare di no. A me pare che Sofri sia innocente, Calabresi un ottimo poliziotto democratico e Pinelli un suicida. Ma le cose come sai forse, almeno per quanto riguarda Pinelli, non stanno affatto così. Altro che vittimismo. E poi che cazzo significa vittimismo? Atteggiarsi a vittima? Io e tanti come me siamo stati vittime di quegli anni 70. Fino in fondo. Pensa che sono tanto vittimista che pur essendo notoriamente un estremista amico dei Centri Sociali non firmerei mai un appello per l’amnistia sul terrorismo, almeno fino a quando certi signori, che hanno fatto pure carriera politica in certa sinistra Sinistra non ci diranno la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità sull’omicidio Moro, le carte di Via Monte Nevoso, ecc. Da chi li braccava mi aspetto invece la verità sulla morte di Mara Cagol.

    Che vuoi farci il ‘vittimismo’ è la mia bandiera.

    saluti

    lello

    Io dalla storia caro Franz, credimi che qualcosa ho imparato me l’hanno sussurrato all’orecchio Artaud e Jarry: il ya de la MERDRE!

  52. Caro Lello, mi riferivo al dopo. Sono d’accordo: dopo quell’omicidio – parlo di Pinelli- non vi fu protesta che tra pochi. Ma negli anni successivi un certo movimento d’opinione fece sentire giustamente la sua voce.

    Per il resto continuo a rispettare le tue opinioni; tra l’altro, penso sia inutile chiederti di rispettare le mie. La reciprocità, nei rapporti, spesso è una pia illusione.

    Con questo ribadisco che di quegli anni, e di quelle scelte, come ho scritto nella lettera, salvo l’emozione, non l’ideologia, che oggi come oggi (e da molto tempo) rinnego con forza.
    Un saluto.

  53. @ franz
    scusami franz, prima ho detto che non eri onesto. Ora apprezzo che tu respinga con forza l’ideologia. Tuttavia l’emozione di quella scelta non puoi presentarla ed esaltarla come avulsa dall’ideologia da cui è stata veicolata. Non esiste un emozione scevra (a meno che non sia prodotta da un farmaco).
    E non basta nemmeno rinnegare le scelte di quel tempo, devi contestare la tua stessa emozione per quanto fosse stata forte. E’ questa la disonestà secondo me.
    Con rispettto parlando.

  54. Caro Franz, credimi non è problema di rispetto per le opinioni altrui, è problema di libertà.
    Credimi anche se ti dico che ho apprezzato il tono riflessivo dei tuoi ultimi interventi.
    Credimi infine che la tolleranza non sta nell’acquiescenza ma spesso proprio nella disponibilità alla polemica e anche all’attacco. Meglio che la superficialità che non coglie il nesso.

    Un saluto

    Lello Voce

  55. ma veramente beppe le emozioni non si comandano, NON sono politica MAI, e quindi non possono neppure essere contestate.
    Le emozioni uno cerca di farle rivivere nella pagina, quando tutto è spento come la calce, poi se sono emozioni non condivisibili, sbagliate o anche orride, questo è un altro discorso, ma non credo riguardi l’autore altrimenti … beh altrimenti uno fa ideologia e non letteratura.
    Tutta sta mania che le emozioni siano politica è alla base della stupida antipolitica di oggi :-(
    geo

  56. Caro Lello, ti credo e apprezzo molto questo tuo intervento. Sono d’accordo con quanto dici, una polemica leale può arricchire tutti, spero di ritrovarti ancora su queste sponde.

    Ringrazio Georgia per le parole di simpatia e di stima spese nel suo blog, e anche qui.

    Per rispondere a Beppe: credo di aver raccontato tutto nel pezzo; c’era un certo contesto storico, sociale, di frequentazioni. C’era un’apatia mortale che prendeva al cuore e alle gambe noi “bravi ragazzi” borghesi di città, senza grossi problemi e difficoltà. Racconto che ci appassionavano i perdenti. Era un fatto soprattutto estetico, Beppe, l’ho spiegato. Più che l’ideologia, ci affascinava il contorno, la fanfara, la farcitura esterna, diciamo. E poi – anche questo l’ho detto – c’era la protesta, l’essere contro. Ovviamente più tardi è risultato chiaro quanto di facciata fosse quell’essere contro, ma a dei giovani piuttosto digiuni di tutto se non di una rabbia senza nome e spiegazione, quel pararsi dritto in faccia al mondo intero, in una controtendenza molto “romantica” (l’estetica dei perdenti con onore, per intenderci) esercitava un fascino irresistibile. Oggi queste cose sembrano provenire da altre ere, ma ti assicuro (non so la tua età, ma se sei giovane non puoi averne un’idea, credo) che per molti di noi questo sentire era praticamente automatico. E non eravamo certo dei disonesti o dei delinquenti.
    Un saluto.

  57. della serie al cuor non si comanda…
    georgia, ma che stai dicendo?
    la letteratura si occupa solo di emozioni?
    allora leggerei blue harmony
    o del sano horror così ne proverei di più.
    Non esistono solo le ideologie, ma anche le idee, non solo il cuore, ma anche lo spirito e la mente.
    Non solo l’estetica, ma anche l’etica.
    Di tutto si occupa la letteratura.
    Di ciò che viene detto e di come viene detto (scritto).
    Quindi non mi dare del banale nostalgico dell’ideologia a tutti i costi e a buon mercato (sapessi che apertura mentale ho te ne stupiresti), e te non fare dell’ingenua critica letteraria.

  58. Grazie Franz, per un’altra lettura intensa della politica italiana.

    Per cogliere l’essenza aldilà delle idee. Io sono ancora ignorantotto, colorato dei riflessi di idee mai chiare, eternamente perso in chimere che non mi uniranno a nessuno, anch’io se non per disperazione. Propendo a sinistra, ma non questa che hanno voluto costruire, questo Golem agitato al vento per farlo sembrare vivo. In realtà, dovrei mirare a personaggi che vivifichino la nostra capacità di discernere. Due di questi li hai citati tu in questo post.

    Grazie Franz. Tu scrivi cose immense

  59. ma beppe che dici? a me blue harmony e il sano (sarebbe meglio l’insano semmai) horror non mi emozionano :-), mi emoziona la vita e quella alle volte va sulle pagine, come ci vada non si sa finchè non la si legge. Tutte le tue teorie a prori sono belle ma non servono a un cazzo per la letteratura, semmai per la crtica e la stampa liofilizzata di oggi … ma quelle oggi mi emozionano veramente poco. E guarda che quello che ho detto con il cuore a veramente poco a che vedere … semmai con il cuore ha che vedere quello che dici tu, sembri proprio un personaggio di harmony ;-)
    geo

  60. @ franz krauspenhaar
    credo, da quello che ho capito di esserti coetaneo.
    Ho capito e sappi che di quelle idee potrei discutere.
    Come fanno parte del mio bagaglio la giustizia, la democrazia, la solidarietà, la libertà, la cultura, la laicità, non credere che non capisca e non apprezzi parole (assolutamente non vuote) quali onore, nobiltà, valore individuale (l’ho detto prima a gerogia: la mia apertura mentale è davvero notevole), merito. E di questo, lo ripeto, sono disposto a parlare.
    Semplicemente dicevo che mi hai dato l’impressione di vergognarti di quel passato e di doverne parlare attraverso una sorta di finzione che dissociava la condivisione con il sentimento.
    Hai avuto paura.

  61. @ georgia
    poi dopo non scrivo più (qui).
    Mi sembrava di essere stato ironico e simpatico con quel blue harmony (perché pensi che emozionino qualcuno di diverso dalle casalinghe? (per l’horror è diverso)).
    Allora sei davvero una tipa seria! :-)
    Volevo solo dire che non basta il sentimento.
    Il sentimento sente di qualcosa.
    Cosa?
    Quelle che chiami le mie teorie a priori sono la vita.
    Ho cercato di parlare di quello e della vita di franz.
    E del suo racconto di vita di allora e del raccontarlo ora.
    Secondo me anche questo è letteratura.
    Non vorrei che tu ti confodessi con lo stile.

  62. Mi sembrava di essere stato ironico e simpatico con quel blue harmony

    eh eh eh l’ironia non può essere mai banale altrimenti .. per la simpatia invece possiamo anche discuterne, ma voler essere simpatici è sempre un rischio, con la sola scrittura (e qui si scrive soltanto).
    Ad ogni modo che “sono davvero una tipa seria” QUI non me lo aveva mai detto nessuno e quindi te ne sono visceralmente grata ;-)
    Oh, la vita a priori è un ossimoro.
    geo

  63. Beppe, se mi fossi vergognato di quel passato non avrei scritto il pezzo, che di questo passato ne parla abbondantemente, non l’avrei dato a un editore per un’antologia e non l’avrei pubblicato su Nazione Indiana. Ti pare?

  64. Il personaggio piu originale e folkloristico del thread mi sembra Lello Voce. Che si vanta di essere napoletano, tossico e comunista.
    Nientemeno.

  65. Comunista no, Anton solo tossico e di essere napoletano non mi vanto affatto.
    Tu invece chi sei, un fesso di commercialista di Quarto Oggiaro? O un leghista rimbecillito di Preganziol?

    Quelli come te non sono folcloristici (con la ‘c’ si scrive con la ‘c’, ti manca qualche anno per finire le scuole dell’obbligo, evidentemente) solo sgradevoli.

    Con disgusto

    LV

  66. Anton, di commercialisti a Quarto Oggiaro col tuo nome non ne conosco. Di comunisti tossici napoletani sì. Amici miei, tra l’altro. E non li trovo affatto folcloristici!

  67. franz, con sitma sincera, quello che volevo dire parlando chiaro è questo ed è un azzardo, ma te lo dico lo stesso.
    Te? secondo me? te sei ancora molto vicino a quegli ideali (non parlo di picchiatori o squadracce) parlo dei valori del fascismo più autentico, credo che tu sia ancora fascista e che tu invece di fare un outing bello chiaro hai preferito costruire quest’artificio letterariamente ammirevole. In sostanza non hai parlato di vent’anni fa, hai parlato di ora (ed è qui il mio azzardo).
    Perché non scrivi un pezzo sull’essere fascista (vero) oggi?

  68. Mi spiace deluderti, caro Beppe: penso di non essere fascista. Anzi, se leggi il testo di nuovo – nel caso ne avessi voglia – potresti scoprire che non lo ero nemmeno allora, tutto sommato. Tanto è vero che, quando è arrivato il momento di militare davvero, ho scantonato. Penso che i cosiddetti valori del fascismo di cui tu parli siano ben poco validi, soprattutto oggi. Non ho alcuna nostalgia per certe cose, come non ne ho per altre.
    Un saluto, ricambio la stima.

  69. Lello, com’e’ che non mi hai dato appuntamento all’angolo della strada per risolvere la questione a manate? Voi giusti perdete rapidamente il controllo se una variabile minaccia di bloccare il programma di civilizzazione.

  70. Perché non ne valeva la pena. Tu non sei una ‘variabile che minaccia di bloccare il programma di civilizzazione’, sei solo un fesso qualsiasi un po’ troppo maleducato. Li svendono all’IperCoop…

    lv

  71. AUTOBIOGRAFIA DI UN FUCILATO

    Io lo so che il fascismo fischia dietro le mie orecchie, giovane e bello a modo suo. Mi ascolta e senza darmi il tempo di reagire mi arruola per qualche attimo tra le sue fila, più volte al giorno.

    Ma la celebrazione dello zio caramelloso di brillantina che prende in braccio la nebulosa protesta, sfoggia il baffo e parla italiano non mi diverte.
    Sono fortunato?

    In quella foto non ci sono nemmeno per sbaglio.

    In punto di morte riesco ancora a ridere del fatto che i fucilatori si richiamino a quel vecchio ordine che sa di pulito mentre a me pezzente piace ascoltare la dissonanza.
    (rido nel pulito e con i baffi)

    Evviva il pentapartito! Finché qualcuno non arriverà a spiegarmi senza seghe, patria o famiglia, le bellezze della destra la penserò così.

    Centralità democratica. Rispetto. Costituzione.

    Grazie Luca per fare a pezzi qualche altro sogno giovanile, ricordandoci che sono quasi tutti fascismi appena diventano discorso.

    Vivo adesso, quindi muoio mai, e non mi lascio abbindolare dall’afrore di un’emozione!

    firmato
    chiarezza espositiva

  72. Grazie al cielo. La caratteristica piu minacciosa di certe persone sono le grandi mani segnate e screpolate e le unghie brevi.

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