Preghiera a un dio incompetente

lettera.jpg

di Francesco Forlani con innesti di Franz Krauspenhaar

Pare che tu sia un dio di amore e di misericordia
e da assassino chiami le fosse comuni degli umani campi santi
voglio cantare l’odio che solo a te rivolgo
e che la fine tua sia confine a questa mia preghiera

Crepitavo di fogli nel fuoco
di lettera scritta al tuo nome
che invano dice il vuoto dell’uomo
a sabbia più insapore
di pianto più secca

Che ti sommerge in gola soffoca parole annega il senso
tu non sei un dio sei un misero pensiero un residuato
bellico la mina vagante alla deriva d’occidente
allora a te che non senti dico, ascolta, la storia che ora ho da raccontarti

Ascolta questa nenia rotolante
inutile lascito di labbra
brutta piega di un viaggio solitario
nel mare frastagliato della pena

Sono arrivato ad una morte a credito da un parto
che tu hai voluto in segno di dolore
per ogni nuovo nato e la sua voce ficca in grembo
di madre e sposa con le gambe in croce

Siamo dispersi nella culla del mondo
se si stinge il corpo che ci ha fatto
siamo grumi nel latte della sera
molle fibra di povera zuppa
empio grattare alla caligine
d’un cielo a buchi di febbricola

A te che semini regni in cielo e in terra mandi prelati e l’olio
ambasciatori neri a riscuotere i debiti e le colpe
con la tua corte di esattori dei miracoli per rei confessi
dico e lo grido che l’ho sentita respirare
tossire e domandarmi e fare piano,
la goccia di saliva in cima al labbro e mi sorride
-giuro su dio- contro la tua vergogna da sovrano

Lascia le cose come stanno stare
fino all’ingordo frinire delle notti
di pallore sfinito, arrovesciato

Sei un dio che non ha orecchie e per sentire taci
dici di non rispondere sei muto mutare divenire senza vita
ecco perché non ridi non conosci altro da te
sei vile e del dolore umano disertore per una guerra- alla vita-
che tu hai voluto- così dicono anche quando- ora come ora-
trascinano il suo letto nel reparto e lei mi dice, ancora, resta

A questa mensa sono testimone
di strappi e graffi nella carne sfatti

Ma non ci sono panchine nel giardino non un buco dove deporre gli occhi
e il suo dolore su una porta c’era scritto di non piangere
ed infilo la maschera del comico mentre le sfilo quella sua di ossigeno
come dio sei davvero un pessimo regista e ciak si muore è il titolo
della tua mediocre filmografia

E la risposta, in pace, a tacere di tutto
la fine assopita, come dolce
quasi che il boia della luce
possa fare miracoli

E mi vedrai sgranare gli occhi e le sue perle inanellate al filo
tra le spalle e il collo quella croce appesa a un filo di voce
mi chiede del bracciale d’argento che mi ammanetta al letto
io me lo sfilo e glielo metto al polso livido come l’ altro a tratti rosso
e mi viene da chiederti qualcosa, nonostante tutto,
che quando tutto manca che ti resta?

Insoluta domanda al nuovo giorno
del vivere solo per il vivere
a null’altro noi appesi
legati dentro, arresi

Tanto lo so ma non tu dio che non esisti
che se ci salveremo- perchè ci salveremo certo-
non sarai tu a deciderlo ma le nostri madri.

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29 Commenti

  1. anche quando rabbiose e bavose e con i pugni serrati e scaraventati contro le porte del silenzio di piombo…anche queste sono preghiere. E come tali gradite e, contateci, ascoltate dal mittente. Bella l’idea dei versi innestati.

  2. non ho mai capito questi lavori a quattro mani a cosa ambiscono, forse che con due non si riesce a rendere una “prosa”?
    continuerò a pregare in modo tradizionale e
    dio vi benedica!

  3. Sono d’accordo con Francesca;
    Silenzio, solitudine, niente da sperare,
    lungo fila dei cipressi, preghiera dell’umanità,
    muro delle voce
    sopra la morte

    Bello

  4. Spesso leggendo alcuni testi si vorrebbe chiudere gli occhi, tappare le orecchie, sfuggire in qualche modo al porsi di fronte all’essenza ultima della vita che è la morte. Eppure credo che non ci sia nulla di più umano che gridare la propria ribellione al dolore, alla sofferenza, alla morte.
    é un bel testo in cui le due voci, l’una più tesa, l’altra più morbida, si fondono senza stacco, ma mantenendo ognuna la propria individualità.
    un lavoro a quattro mani ben riuscito.

  5. cari F. e F., il pezzo è assai bello e ben impastato con le vostre quattro mani, fatemi soltanto sottolineare, se anche sembra ovvio, che le vostre sacrosante lamentazioni sono rivolte al dio della sedicente santa cattolica e apostolica chiesa, che inganna ogni momento chiunque l’ascolti, decretando di interpretare infallibilmente la parola di Lui, o meglio di un lui nel quale sempre più improbabile è riconoscersi, anche minimamente. Di questo supposto lui che punisce severamente, protegge gli eserciti fedeli ed è sempre – basta grattare un po’ – dalla parte del potere.
    Non di altri, e assai diversi, Lui qui si parla.

  6. Sono sicura che la parte NON in corsivo l’abbia scritta FRANZ, soprattutto per il “bracciale d’argento che mi ammanetta al letto”.

  7. @ Sparz – quello è il dio veterotestamentario che ha poco a che fare con i vangeli; è il deus absconditus dei miti, distante, maschile e superno. E’ anche il dio della Chiesa, sì, cattolica e non – anzi per certi versi i protestanti sono ancora più feroci.

    Se posso – un pensiero intorno a quanto ho letto.
    Credo che si vinca l’apparente ingiustizia della morte (che pure è nella natura), solo quando si riesce a sentirsi relativi nel mondo, e non in credito con qualche divinità – semplicemente uguali al resto della vita, affratellati. E’ ciò che dice il Cristianesimo (quello “vero”, ellenico, che non si trova nelle Chiese, però nei testi sì, nell’esperienza sì e anche in formidabili pensieri come quello di Simone Weil). L’immagine di Cristo morente è un’immagine di fratello. Noi siamo trafitti da quei chiodi. Possiamo amare quell’immagine e la madre che lo sostiene perché è umana. Perché è quell’immagine, non la volontà di una creatura soprannaturale all’esterno, che permette di recuperare un senso del nostro esistere, di accettare che la vita venga come viene, che chi muore abiti in noi. Che l’altra faccia del dolore sia il coraggio della gioia. Lui non dice: io ti toglierò la pena – ma suggerisce, con le ferite – io sento la tua pena. Non sei solo. Occorre di riuscire lentamente a smetterla con la colpa da attribuire a noi stessi o ad altri, umani o non che siano. Non c’è colpa. Non c’è difesa. C’è solo un senso sodale di compassione. Quanto è facile spendere parole di pietà e ascolto per chi è in evidente stato di bisogno? Ci fa sentire dalla parte del giusto, ci dà un potere per quanto piccolo – noi non siamo mai puri nei nostri atti di bontà. Quanto è più difficile mettersi al pari altrui, vedere davvero il nostro prossimo, riconoscendo un uguale? Anche se il nostro prossimo non è il rom di turno o la persona disagiata, ma magari semplicemente qualcuno a cui capitano la vita e la morte, la perdita e l’illusione come a tutti. Occorre tanto tempo e per qualcuno non basta per fare sì che questo “sentire assieme”, senza nessuna pretesa di insegnamento o superiorità, sia poi la leggerezza con cui portiamo i nostri cari morti.

  8. Come non essere d’accordo Franz con le tue parole forti e poeticissime, con la crudeltà di questo Dio che non c’è.

    Un Dio che non c’è è un Dio crudele.

    Dio perché non esisti!

    Perché sei così crudele d’averci creato (poiché esistiamo non da noi stessi ma da nostra madre) senza esistere?!

    Perché non ci sei per salvarci dall’oblio?!

    E’ buffo:

    Dio non c’è quando esistiamo.

    E quando moriamo tutto sarà come se non fosse mai esistito: chi saprà allora che Dio non esiste?

    In quel momento fatidico Dio non potrà nemmeno non esistere nelle menti dei vivi che sono morti.

    Ma allora: se siamo stati creati per non credere in Dio, se Dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza,

    significa forse che Dio non crede in se stesso?

    proprio come noi quando siamo vivi,

    e allora,

    proprio per questo,

    Dio esiste!

  9. Diversità e unità.
    “In ogni cosa,dalla risoluzione dei problemi alle politiche di reclutamento all’ideologia,i leader giungono a compromessi tra diversità e unità,varietà e integrazione,convergenza e divergenza.Le organizzazioni sono accozzaglie di individui e gruppi sovente diversi per atteggiamenti,retroterra,religion,aspirazioni,formazione,identità,etnia,esperienze,legami sociali e stili di vita.La leadership spesso comporta la necessità di ridurre al minimo gli ostacoli della diversità attraverso la selezione di elementi comuni sul piano delle origini,delle esperienze o dei livelli di istruzione,o attraverso il ricorso alla persuasione,alla contrattazione,agli incentivi,alla socializzazione,e all’ispirazione per fondere talenti e contesti multiformi in una cultura comune.Una simile visione della leadership come forgiatrice di un’unità di armoniosi intenti e di lealtà contrasta tuttavia con una visione alternativa,che concepisce la leadership come forza stimolatrice e fautrice della diversità in quanto fonte di vigore sociale e innovatrice sul piano organizzativo.*”
    Dio…sei licenziato

    *(”l’arte della leadership”.March&Weil)

  10. che bello!
    io a volte lo bestemmio ad alta voce, proprio come uno scaricatore di porto, e questo insulto disperato mi scarica assai di aggressività, anche se lo so che non è cosa da signora.
    però, (mi consento) meglio prendersela col Nulla che con i suoi nullini no :)
    comunque mi pare che bestemmiare sia colpa lieve, lievissima paragonata a quello che ci ha fatto Lui, se proprio dobbiamo prendercela con qualcuno.
    boh, a me questi vostri pensieri sono molto piaciuti,
    io vado là più semplice, una bestemmia e via
    mi rendo anche conto che la maria ti dà quell’angolazione giusta per gustarti leggera, parole pesanti. :) tant’è
    tanti cari baci
    la funambola

  11. Grazie anche a nome di Francesco che in questi giorni non ha accesso a internet. Ci abbiamo provato.

    Ciao.

  12. La rabbia, il senso di smarrimento sono sentimenti umani, persino troppo umani di fronte alle ingiustizie, al male inatteso, alla sofferenza di qualcuno cui si vorrebbe donare, piuttosto, la propria vita perché viva. In tutto questo, però, la sola rabbia, la sola bestemmia, il solo urlo disperato non mi bastano. Non mi servono neppure consolazioni facili, false speranze, ma spesso la risposta da quello che a prima vista sembra un Silenzio Assoluto mi ha riempito il cuore.

  13. In realtà, al mio fraterno amico Francesco vorrei dire tante cose, non tacere, in questo momento. Mi permetto di prendere in prestito alcune espressioni (tratte da una lettera privata) di Anna Maria Ortese: “… Ciò che è nato non muore. Solo, tramonta. Ciò che vale per il sole può valere per le anime. Non cessano, scompaiono dalla nostra vista. Continui a parlare con sua Madre, le dica che le vuole ancora bene – la ringrazi di quanto ha ricevuto insieme ai suoi fratelli… E non dica mai la parola “morta” parlando di lei ai suoi fratelli. Dica “partita”. Si abitueranno a non credere alle pur rispettabili apparenze. A non credere solo agli occhi…”. Francesco, ti voglio bene.

  14. @Beppe. *crudeltà di questo Dio che non c’è.

    Un Dio che non c’è è un Dio crudele*

    Queste sono frasi senza significato, lo si capisce? Se ciò che chiamate Dio non c’è, non può essere nemmeno, per voi, crudele. Anzi, proprio Non può essere (!).

    Riguardo al post, è vero che senza le parti in corsivo sarebbe molto meglio. Comunque:
    frasi come *tu non sei un dio sei un misero pensiero un residuato
    bellico la mina vagante alla deriva d’occidente*. Cosa è un dio? a che dio vi rivolgete? perché vi rivolgete a dio come un figlio offeso si rivolge a un padre incapace di resipiscenza?
    Trovo insopportabile una proposizione del tipo: *Tanto lo so ma non tu dio che non esisti […] non sarai tu a deciderlo*. Non capisco come si possa negare esistenza a un soggetto e contemporaneamente attribuirgli delle azioni o delle intenzioni.
    C’è parecchia confusione o sono io a non capire?

  15. A parte le mie idiosincrasie, resta il fatto che i versi di ff sono veramente notevoli, intensi, e che -seppur telematico- gli mando un abbraccio, il mio pensiero.

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