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Clandestino e criminale. Dati, assiomi e corollari.

di Marco Rovelli

In margine all’appello Il Triangolo Nero che abbiamo promosso di recente, e che non è se non il primo passo di un percorso, ho scritto questo testo su sollecitazione di Wu Ming 1, che lo ha pubblicato su Carmilla. Riporto il testo, e la premessa redazionale. (Una sorta di ipertesto, da questo punto di vista, che segna – e ne sono felice – un lavoro cooperativo al di là di identità, appartenenze, chiusure).

[E’ trascorso ormai un mese dall’omicidio di Giovanna Reggiani. Un mese di paure sfruttate da demagoghi, di risentimento xenofobo, di lapidazioni verbaliH e aggressioni fisiche a capri espiatori. Un mese in cui il discorso pubblico è stato “dirottato” e pilotato dai vetero-razzisti di destra e dai neo-razzisti di ex-sinistra. Un mese in cui sono riemerse, più appiccicose che mai, vecchie “leggende nere” sul conto di zingari e altri marginali. L’odio ha caricato lancia in resta, parandosi il petto con lo scudo dei numeri, delle statistiche sui crimini. Forse mai come in questo frangente le cifre sono state brandite a mo’ di clave, anzi, di mazze ferrate, per sfondare il cranio dei nemici, mescolando sangue e percentuali. Come c’era da aspettarsi, il dibattere si è fatto sempre più confuso. Per fare un po’ di chiarezza Carmilla ha chiesto un contributo a Marco Rovelli, autore del fondamentale Lager italiani (Rizzoli, 2006), attivo da anni su queste tematiche, attento alle capillari, serpentine e semi-invisibili forme che assume in Italia la solidarietà ai migranti e agli esclusi.]

Qualsiasi ragionamento sull’immigrazione, e sull’equazione sempre più consolidata nell’immaginario degli italiani tra clandestino e criminale, è destinato a fallire se non lo si fonda su alcuni assiomi. Premesse scontate, ma che nel “dibattito pubblico” sembrano non essere mai considerate.

1. Le migrazioni contemporanee sono un evento epocale, di cui occorre, semplicemente, prendere atto, e di cui è illusorio pensare di invertire il segno. Può certo causare scompensi, come ogni evento vero, come ogni fatto che cambia la struttura delle cose per qualche fattore essenziale: ma non si può dire: “si torni a prima”, come non si può tornare a un amore perduto. Occorre dunque, per prima cosa, una collettiva elaborazione del lutto. Ed è forse questo che impedisce a molti italiani di affrontare la realtà.

2. L’immigrazione in Italia non è cosa differente da quanto accade in altri paesi europei. Non ha dimensioni maggiori, tutt’altro (la Germania, ad esempio, ha in percentuale il doppio di popolazione immigrata rispetto all’Italia: 12% contro 6%). C’è solo stata una crescita più rapida che in altri paesi.

3. Anche laddove fosse arrestabile (e ciò è immaginabile solo mediante deportazioni in massa), l’alternativa all’immigrazione sarebbe una crisi economica enormemente più grave di quella che già stiamo vivendo.

4. La legislazione italiana è tra le più restrittive e repressive d’Europa: è fondamentale ricordarlo, questo, in ogni momento, a coloro che scagliano incessanti invettive contro i “buonisti” (per contrappasso potremmo chiamarli “cattivisti”).

Partendo dall’ultimo assioma, e combinandolo col primo, ne consegue che la legislazione repressiva non migliora le cose. Se mai, le aggrava. A corollario dell’ultimo assioma, infatti, occorre tenere ben presente che le risorse dello Stato italiano non potrebbero superare quelle già messe a disposizione nelle voci di spesa quanto all’immigrazione: che si ripartiscono, approssimativamente, nell’80% di spesa finalizzata alla repressione (contrasto delle entrate illegali, ma soprattutto politiche delle espulsioni) e solo nel 20% destinato all’integrazione. Per la precisione, nel 2004 la repressione è costata complessivamente 115.467.000 euro, ovvero 320 mila euro al giorno, contro i 29 milioni di euro destinati a integrazione e assistenza. Tanti soldi, e perduti: perché questo tipo di politica, che culmina con quei luoghi di sospensione del diritto che sono i CPT, ha già mostrato la sua inefficacia, come ha rilevato perfino l’ambasciatore Onu De Mistura.
(En passant, varrà la pena di rilevare questo: i leghisti, quando gli viene fatto notare che l’immigrazione è cresciuta proprio sotto la vigenza della Bossi-Fini, rispondono balbettando che non è stata applicata. E allora, qualche semplice dato, a mo’ di esempio. A Bologna, su 179 arrestati nel mese di novembre 2005, 110 riguardavano stranieri non in regola con il permesso di soggiorno. A Milano, nello stesso periodo, la percentuale era del 40,5%. Nell’anno 2005, nel tribunale di Torino su un totale di 3434 processi direttissimi, 2079 – il 60% – riguardavano reati considerati come tali dalla Bossi-Fini. Dunque l’applicazione c’è stata, ed è proprio questo il problema. Lo vediamo, un dispiegamento di forze, mezzi, soldi, che toglie tempo a cose sensate, produttive, efficaci. Tanto rumore per nulla).

Questa è la verità. In un paese che non ha soldi sufficienti per pagare buoni benzina e buoni pasto alle scorte di personaggi in pericolo, non c’è alcuna possibilità di procedere con qualche efficacia all’espulsione di un milione/un milione e mezzo di immigrati irregolari (“clandestini”) presenti nel paese. Se non mobilitando il paese intero in questo sforzo, e questo lo si potrebbe fare solo esso acconsentisse a riconoscere la necessità di una guerra a un Nemico destinale, così come si fece negli anni trenta in Germania. Laddove questo estremo totalitario è per adesso difficilmente immaginabile, continuare a dire ai cittadini che “l’immigrazione clandestina fa male” (come recitano i manifesti dei post(?)-fascisti di Alleanza Nazionale) equivale a legittimare, data appunto l’impossibilità dello Stato di ampliare la repressione, qualsiasi “violenza privata” contro il nemico riconosciuto, per lo scopo superiore della “salvezza nazionale” (che peraltro non potrebbe essere evidentemente conseguita neppure con questo squadrismo). Il supplemento osceno del discorso legittimato saranno allora le spedizioni punitive, come già è iniziato ad accadere. Uno stato di eccezione permanente, stabilito di fatto.

Ecco, solo su queste premesse è possibile parlare sensatamente della questione immigrazione-criminalità. E farlo partendo da una serie di dati. (Far parlare i dati, è questo che bisogna fare adesso, come condizione per tornare a raccontare le singolarità, le esistenze, le storie. Le storie possono venir raccontate male, o si possono trascegliere quelle, per quanto eccezionali, che convengono alla tesi che si intende dimostrare. Ed è necessario che a quelle raccontate male, quelle che tutti i giorni affollano le pagine dei giornali, se ne oppongano altre raccontate bene. Si tratta però, adesso, di affrontare un trascendentale, che permetta di giungere, un giorno, a raccontare esistenze liberate).

E’ noto: tra la popolazione carceraria c’è un’evidente sovrarappresentazione degli stranieri. I dati Caritas del 2006 ci dicono che i detenuti stranieri nelle carceri italiane sono 20.221, ovvero il 33% del totale. Dove la popolazione immigrata regolare e irregolare può ammontare circa al 7% della popolazione totale. La grande maggioranza dei reati per cui si è denunciati o arrestati è commessa da stranieri irregolari, laddove, come afferma il Rapporto sulla Sicurezza 2006, “quelli regolari hanno una delittuosità non molto dissimile dalla popolazione italiana”. Infatti, nel 2006 gli stranieri regolari denunciati sono stati quasi il 6% del totale dei denunciati in Italia, laddove gli stranieri regolari sono stimati, nell’ultimo rapporto Caritas del 2007, intorno al 6,2% della popolazione residente. Insomma, la sproporzione tra numero degli stranieri in Italia e stranieri denunciati, e la loro sovrarappresentazione tra la popolazione carceraria nasce in riferimento agli stranieri irregolari.

A questo punto potremmo fermarci, come fanno quasi tutti. A cominciare dai media. I clandestini sono naturalmente criminali, almeno potenzialmente. Chi viene per lavorare va bene: il regolare lo tolleriamo, del resto vediamo che lavora e non riempie le carceri. Gli altri vengono di nascosto, dunque per delinquere, e infatti riempiono le carceri.
Ma è qui che occorre invece riflettere. Il dato bruto va saputo leggere, interpretato. Anzitutto incrociando due dati. Il primo è che, come rileva anche l’ultimo Rapporto sulla Sicurezza, la maggior parte degli irregolari in Italia è costituita da stranieri entrati regolarmente e rimasti sul territorio oltre la scadenza prevista dal visto o dal permesso di soggiorno, i cosiddetti “overstayers”, che nel 2006 sono stati il 64% del totale, contro il 23% di coloro che sono entrati illegalmente attraverso i confini terrestri e il 13% via mare (un altro luogo comune da sfatare, quello che identifica il clandestino con quelli che arrivano sui barconi a Lampedusa). L’altro dato da considerare è che ben più della metà degli stranieri oggi regolari, in possesso di un permesso di soggiorno, sono passati per la condizione dell’irregolarità.
Insomma: moltissimi regolari sono stati clandestini, e moltissimi clandestini sono stati regolari. Questo ci impedisce insomma di fare divisioni, per così dire, antropologiche, trattandosi dei medesimi soggetti. L’irregolarità, di norma, non è che una condizione obbligata, dove invece la condizione desiderata è quella di regolarità. Questo allora ci induce a un’ipotesi: essendo il fattore variabile lo status giuridico stesso, a essere fattore di legalità è il fatto stesso della regolarità, con tutto ciò che comporta in termini di accesso ai diritti fondamentali, ai servizi (si pensi alla casa, il problema maggiore, per cui si trovano alloggi di fortuna, o appartamenti sovraffollati a costi altissimi; ma anche all’assistenza sanitaria, di cui spesso si preferisce non usufruire per paura di essere identificati ed espulsi), in termini di accesso al mercato del lavoro e dunque di possibilità di un introito adeguato relativamente ai motivi della migrazione (sopravvivenza, rimesse, ripianamento del debito: la maggioranza degli immigrati intendono tornare nel loro paese, ma poiché la metà ha accumulato debiti, e l’altra metà ha comunque impiegato risorse consistenti in relazione al proprio patrimonio, la loro permanenza sul territorio italiano si allungherà, visto che l’irregolare non può lavorare se non in nero, sottopagato, con assoluta precarietà, e lunghi periodi di disoccupazione); e, infine, in termini di condizioni quotidiane di vita.

Una conferma di questa ipotesi ci viene dal fatto che, in occasione delle sanatorie, quando agli irregolari è consentita l’emersione e l’acquisizione dello status di regolarità, il numero di reati commessi dagli immigrati ha un brusco calo. Ciò è evidente in particolare per i reati connessi agli stupefacenti (reato per il quale, stando a un’indagine Istat del 2006, è detenuto il 55% degli stranieri: un reato, va detto, per il quale – proprio per la sua natura – è molto più probabile l’arresto in flagranza rispetto ad altri reati): nel 1990 (sanatoria legge Martelli), nel 1995 (sanatoria decreto Dini), nel 1998 (sanatoria legge Turco-Napolitano), nel 2002 (sanatoria legge Bossi-Fini) la percentuale di stranieri denunciati per spaccio di droga è diminuita nettamente, come risulta da uno studio di Marzio Barbagli. Ogni volta, insomma, che si dà la possibilità agli stranieri di ottenere il permesso di soggiorno, una meta ambita da tutti, vissuta spesso come un sogno irraggiungibile, e come un’ossessione, allora non lo si vuole perdere davvero. E si evita di commettere qualsiasi tipo di reato, per non perderlo, per non perdere le possibilità di vita a cui esso consente di accedere. Finché uno è un clandestino, e in quanto tale privo di diritti e criminalizzato, è evidente che può venire indotto facilmente a delinquere per ovviare alla sua situazione di indigenza. E’ questo il risvolto giuridico della cosiddetta “profezia che si auto avvera”, insomma. Ma quando il clandestino acquisisce diritti, e non è più per definizione illegale e criminale, tenderà (e tende, in effetti, lo abbiamo visto) a evitare di commettere reati. E’ questo, io credo, il modo migliore – l’unico – per combattere la “microcriminalità”: ampliare l’area della regolarità. (Dopodiché si aprirebbe il discorso essenziale, che prescinde dalla nazionalità: quello di una giustizia efficiente e della certezza della pena; ma questo è un discorso che esula dal nostro sull’immigrazione).

La Bossi-Fini, inoltre, ha introdotto – a suggellare la criminalizzazione del migrante – l’aberrante reato di “immigrazione clandestina”, per il quale lo straniero che non ha ottemperato alla prima intimazione d’espulsione può essere arrestato e tradotto in carcere, con una pena fino a sei mesi. Il risultato di questa norma barbara è stato anzitutto un intasamento dei tribunali, denunciato dall’Associazione Nazionale Magistrati. (Lo accennavo prima: a Torino, nel 2005 su un totale di 5929 arresti o fermi, 2016 (il 34%) riguardavano i nuovi reati d’immigrazione introdotti dalla Bossi-Fini, e dei 3434 processi in direttissima con detenuti, 2079 ovvero il 60% riguardavano quei reati).
In un testo recentissimo, ancora inedito, Salvatore Palidda scrive:

Oltre che per i reati di immigrazione, gli stranieri finiscono in carcere per reati meno gravi di quelli attribuiti agli italiani: si tratta soprattutto di reati per spaccio che spesso colpiscono anche semplici consumatori (38,4 % del totale dei reati degli stranieri, contro il 16,5 % degli italiani) e furti.

Reati meno gravi, dunque, e lo sta a dimostrare il fatto che la media della pena a cui gli stranieri vengono condannati è molto più bassa di quegli italiani.

I motivi della sovrarappresentazione dei migranti tra la popolazione carceraria dipendono poi in maniera determinante da quello che in un rapporto della Caritas Ambrosiana su un’indagine svolta nel 2006 nelle tre carceri milanesi è stato definito “doppio binario” quanto al trattamento dei detenuti stranieri e di quelli italiani. Un doppio binario che agisce non appena si entri in carcere: il 60% degli stranieri, infatti, sono detenuti in custodia cautelare, in attesa di processo, contro il 40% degli italiani. Ma una discriminazione di fatto agisce anche e soprattutto dopo la condanna: sebbene infatti circa un terzo dei detenuti stranieri scontino condanne inferiori ai tre anni, non godono quasi mai, a differenza degli italiani, di pene alternative, quali affidamento ai servizi sociali o arresti domiciliari (poiché di solito, per ovvie ragioni, il clandestino non ha un domicilio stabile né una famiglia che li ospiti).
Così è scritto nel rapporto della Caritas Ambrosiana:

Quasi uno straniero su quattro (24,8%), inoltre, è detenuto per scontare una pena inferiore a un anno di detenzione, mentre gli italiani detenuti per una condanna così breve sono solo i 6,9%. Anche in questo caso, nonostante gli stranieri siano soltanto il 30% del totale dei detenuti che hanno subìto una condanna definitiva, essi rappresentano un’ampia maggioranza (61%) tra coloro che hanno subìto una condanna inferiore all’anno di detenzione. Questi dati confermano un maggiore utilizzo del carcere come misura cautelare nei confronti delle persone straniere, evidenziando l’esistenza di quel ‘doppio binario’ penitenziario per effetto del quale gli stranieri entrano più facilmente in carcere rispetto agli italiani e ne escono con molta più difficoltà, anche quando la condanna inflitta risulta di lieve entità.
Un altro dato rilevato con l’indagine è significativo in questo senso: tra gli stranieri risulta più alta la percentuale di chi non ha mai nemmeno formulato la richiesta di usufruire di benefici o di misure alternative alla detenzione, mentre, viceversa, è sensibilmente più elevata tra gli italiani quella di chi le ha chieste e soprattutto ottenute. Considerando soltanto chi ne aveva usufruito in passato o ne usufruiva ancora al momento della rilevazione emerge, ad esempio, che l’11,7% degli italiani ha potuto usufruire di permessi premio, rispetto al 4,2% degli stranieri. Inoltre il 7,4% degli italiani aveva, o aveva avuto in precedenza, un lavoro all’esterno (ex art. 21) rispetto al 2,9% degli stranieri.

E Palidda, nello stesso senso:

Secondo le ricerche di Antigone e le statistiche dell’Istat (2007), il 62% degli italiani è in carcere per condanne definitive e solo 35% in attesa di giudizio; al contrario il 41 % degli stranieri sconta condanne definitive e il 59% è in attesa di processo. La percentuale di stranieri in carcere è molto più elevata di quella degli stranieri che subiscono una condanna penale e ancor più di quella degli stranieri denunciati, il che significa che a ogni passaggio del percorso penale – denuncia, condanna, carcerazione – gli italiani hanno maggiori opportunità di “uscire” rispetto agli stranieri.

Una discriminazione di fatto, risalendo a ritroso, avviene anche nel processo penale. Gli immigrati non abbienti non hanno la possibilità di ottenere il patrocinio gratuito (è molto difficile per i regolari, ma impossibile per gli irregolari), e non possono dunque ottenere un’efficace difesa, ché il difensore d’ufficio – e l’ho verificato personalmente più e più volte – tende a chiudere il procedimento in fretta, senza approfondire troppo, senza andare al dibattimento, e chiudendo preferibilmente con un patteggiamento, dunque con una condanna. (In un un’inchiesta tra detenuti stranieri, il 30% diceva di non aver mai visto il proprio avvocato; quasi tutti gli altri dicevano di averlo visto raramente).
Si aggiunga poi che la popolazione immigrata è sottoposta a controlli e fermi di polizia molto più di quanto lo sia quella italiana. E’ il paradigma attuariale di cui parla De Giorgi in “Zero tolleranza”: la formazione di una nuova “classe pericolosa”, composta di soggetti, tutti quanti, potenzialmente pericolosi, che dunque devono essere soggetti più degli altri a controllo, ed è evidente che a maggior controllo corrisponde una maggior percentuale di reati. Questo si lega a una maggiore visibilità degli immigrati dovuta anche alla sostituzione con gli italiani nella criminalità, esattamente come avviene nel lavoro, dove ai livelli più bassi gli italiani vengono sostituiti dagli stranieri. Cito ancora Palidda:

Fra gli italiani per ogni 100 denunciati si hanno 16 arrestati fra gli stranieri per ogni 100 denunciati si hanno 35 arrestati, a conferma che le misure repressive sono più accentuate a danno di questi ultimi.

C’è un altro dato che mi fa avanzare un’ulteriore ipotesi. Il dato che riguarda il numero dei detenuti stranieri e il numero dei reati ad essi ascritti. Se i detenuti stranieri rappresentano circa il 33% del totale, i loro reati ammontano al 21% circa. I detenuti italiani hanno in media più reati per i quali scontano la detenzione rispetto agli stranieri. Dati che indicano come la criminalità italiana sia più professionalizzata, per così dire (assommano più capi d’imputazione), laddove per gli stranieri è più comune andare in carcere per un solo reato. Una criminalità dunque più debole, precaria, e che sarebbe dunque più facilmente “recuperabile” alla legalità, laddove si uscisse dal paradigma repressivo vigente. Un’ipotesi confermata da un altro dato, quello della minor recidiva di coloro che hanno beneficiato dell’indulto. Se il 38,14% erano stati gli stranieri usciti dal carcere, quelli rientrati sono stati il 34,73%.
Dati, dunque, ben diversi dalla percezione dell’opinione pubblica: quella doxa costruita dai media in cui i casi di criminalità straniera sono regolarmente sovrarappresentati rispetto alle notizie sulla criminalità nel suo complesso: il punto culminante, come scrive Salvatore Palidda, di un “processo di costruzione sociale che fa di essi dei delinquenti”. Sarebbe il caso di esaminare nel dettaglio, statisticamente, questa sovrarappresentazione mediatica, nella sua funzione “mitopoietica”.
Questi dati, io credo, rafforzano radicalmente la tesi focalizzata in precedenza: determinante ai fini di una riduzione della criminalità è la politica della legalità, dell’emersione, dei diritti.

A chiusura di questo itinerario – arido ma necessario – nei dati, non posso che chiudere con l’esempio dei rifugiati politici, di coloro che hanno un permesso di soggiorno per asilo politico, e dei richiedenti asilo. Ora, questi soggetti risiedono in Italia regolarmente, senza alcuna garanzia di lavoro. Anzi, spesso (è il caso degli eritrei, ad esempio, che ho conosciuto nella ex polveriera di via Forlanini a Milano, tra ratti giganti e cumuli di immondizia) versano in condizioni economiche miserabili. Anche quelli che usufruiscono di uno status di rifugiato (cosa ardua, in Italia, da ottenere, spesso negata e raramente dispensata a occhi chiusi da funzionari che nulla conoscono della situazione del paese da cui viene il richiedente). L’Italia è l’unico paese d’Europa che non ha ancora una legge organica sui rifugiati. E molti eritrei che ho conosciuto rimpiangono il fatto di essere stati identificati in Italia e dunque, in virtù della convenzione di Dublino, essere costretti a chiedere l’asilo nel nostro paese. Il quale nulla offre ai rifugiati. La maggior parte di loro, dopo la permanenza in CPT e CDI, vengono sbattuti in mezzo alla strada senza nulla a pretendere. E ben pochi sono quelli che riescono a usufruire dell’accoglienza di quello che fino a qualche anno fa si chiamava “Programma Nazionale Asilo”. Eppure – ed è questo il punto – le carceri non traboccano di eritrei, o liberiani, o sudanesi…
Insomma, nel caso degli asilanti, chiamiamoli così, per i quali non vige il nesso sciagurato soggiorno/lavoro (non devono avere un contratto di lavoro per poter avere un permesso di soggiorno), ciò che fa la differenza è proprio lo status giuridico che dà loro diritti, che gli consente di esistere, alla luce del sole, come persone.
Questo è dunque il da farsi. Consentire che il clandestino esca dall’ombra in cui è cacciato, consentirgli di acquisire una forma, un contorno definito. Farlo uscire dai campi, dai luoghi d’eccezione in cui la persona scompare in un gorgo che annulla in quanto persona, quei campi che prendono corpo e luogo nei CPT – e aprirgli un campo di possibilità, un campo aperto dal possesso di diritti, che nel loro intrecciarsi formano la figura di un’esistenza che oggi gli è negata.

 

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60 Commenti

  1. I criminali restano criminali.
    Per un disgraziato bstardo assassino non si devono criminalizzare tutti gli immigrati.
    Ma non si deve far di tutti gli immigrati dei santi, anche quando riconosciuti come criminali e degli italiani dei razzisti sol perché giustamente condannano il criminale extracomunitario.

    L’indulto difeso ad oltranza qui, e altrove, è stata una grandissima porcata dell’attuale Sinistra, incapace di metter ordine nelle carceri; così ha pensato bene di fare un miracolo, quello dell’indulto, con il risultato che appena usciti dopo 2 o 3 ore i galeotti avevano già le mani in pasta. E peggio ancora i brigatisti che hanno usufruito dell’indulto, per essere adesso persino a teatro, gli stessi che hanno partecipato all’assassinio di Aldo Moro. E come dimenticare Cristoforo Piancone?
    Per tutti gli assassini e i brigatisti c’è una sola cosa da fare: carcere a vita, carcere duro, lavori forzati, no che li sbattono in cella con la tv on demand e via cavo, questi sono i veri sprechi. A spaccare le pietre per tutta la vita, e la chiave della cella la si butta. Ma qui siamo nella terra dei cachi, l’Italia.

  2. non per niente la vita è dura!
    ancor più dura sradicare pregiudizi e comportamenti che da sempre accompagnano il percorso dell’uomo.

  3. Questo Iannozzi ha le idee a dir poco confusissime. Brigatisti avrebbero fruito dell’indulto? Mai successo. Nelle sovraffollate celle italiane c’è la tv on demand? Mai riscontrato. Coi migranti poi i presunti “danni dell’indulto” c’entrano poco: come dimostra Rovelli nel suo articolo, i migranti indultati tornati dentro per recidività sono in proporzione meno degli italiani. Mah.

  4. Senta Fabio Antongini – sì, e io sono Napoleone -, se qui c’è qualcuno che ha le idee confuse quello è solo lei. Si figuri, certo che no, con l’indulto il brigatista mai pentitoPiancone, ad esempio, non ha nulla a che fare! Ovviamente un omonimo ha provato a fare il colpaccioa al Banco di Senia. Ovviamente si sarà trattato di un simulacro dickiano.
    Mi facci il piacere, neh!
    E altrettanto ovviamente le carceri italiane pulitissime prima e dopo l’indulto: non hanno difatti mai ospitato un solo clandestino, tanto meno un extracomunitario, che una volta fuori ha dimostrato d’esser recidivo, cioè proprio dedito a delinquere come Padre Pio a farsi (venire) le stimmate!
    Mi facci il piacere, neh!
    Poi a quel Rudy che parla di pregiudizi…
    Mi facci il piacere, neh!
    Ci leggo ben poco in questo bel pasticcio di idee di Rovelli, che di nobile hanno solo una presa di posizione anacronistica e pericolosamente romantica. Le fonti di tutti questi dati, dove sono indicate? Sono a malapena citate, ma mica si capisce: Caritas, doxa, statistiche Istat 2007 (come se l’Istat nel 2007 avesse fatto una sola statistica)… è pieno di buchi così… Di fondamentale c’è solo che un pezzo così è pieno di vuoti, che dovevano essere colmati con molta più attenzione.

    >>> (la Germania, ad esempio, ha in percentuale il doppio di popolazione immigrata rispetto all’Italia: 12% contro 6%).

    Da dove viene questo dato?

    >>> A corollario dell’ultimo assioma, infatti, occorre tenere ben presente che le risorse dello Stato italiano non potrebbero superare quelle già messe a disposizione nelle voci di spesa quanto all’immigrazione: che si ripartiscono, approssimativamente, nell’80% di spesa finalizzata alla repressione (contrasto delle entrate illegali, ma soprattutto politiche delle espulsioni) e solo nel 20% destinato all’integrazione. Per la precisione, nel 2004 la repressione è costata complessivamente 115.467.000 euro, ovvero 320 mila euro al giorno, contro i 29 milioni di euro destinati a integrazione e assistenza.

    Da dove vengono tutte ‘ste cifre?

    Palidda chi? Salvatore Palidda forse?
    E se si tratta di Salvatore Palidda, giacché vitatissimo, con dei numeri, si potrebbe sapere Palidda da dove li avrebbe tirati fuori tutti i numeri presenti in questo pezzo di Rovelli?

    >>> Così è scritto nel rapporto della Caritas Ambrosiana:

    Quale rapporto?

    ecc. ecc. di questo passo.

    Come si pretende che io lettore prenda su serio uno scritto così? Troppe lacune.

    Con tutta la buona volontà di un pezzo così pieno di lacune non so che farmene.

    Cordialmente

  5. Il fatto è che gli immigrati sono poveri… e non ci piace vedere tanti poveri intorno a noi.

    Poi volevo dire un’altra cosa. Sappiamo tutti che i veri reati li commettono altri (si pensi soltanto alle banche coinvolte nel caso Parmalat… a tangentopoli, ecc.ecc.).

    Tuttavia i reati commessi dagli immigrati (quelli che scelgono la delinquenza) sono i piccoli reati, soprattutto da appartamento, da cui il cittadino medio (chiunque di noi) si sente realmente minacciato.

    Esiste quindi una percezione amplificata, in quanto il pericolo è ritenuto non vago e casuale, ma concreto e realmente probabile. La minaccia ciascuno la sente concreta e possibile.

    Voglio dire che truffe come la Parmalat, Cirio, Tangentopoli o le rapine in banca, ecc. non creano quella sensazione di minaccia concreta del proprio privato, della propria spicciola ricchezza.

    E questo fattore di analisi non deve essere sottovalutato; secondo me (anche se in forma leggermente demagocica) il governo di centro sinistra ha cercato di di rispondere a questo disagio del cittadino comune (anche di sinistra).

    Attenzione dunque, al di là delle statistiche il cittadino medio si sente più coinvolto da una minaccia concreta che lo potrebbe riguardare da un momento all’altro.

    Credo che sia questo elemento a generare…il razzismo, ma non è realmente razzismo quanto disagio e paura.
    Voglio dire che credo che il popolo italiano non sia un popolo razzista.

    Onde evitare che il disagio venga strumentalizzato dai demagoghi del razzismo, occorre dare risposte concrete e non demagogiche (e no razziste) a un problema concreto e sentito. Lo si affronta con leggi mirate, con l’efficienza dele forze dell’ordine, senza volontà repressiva ma senza eccessiva indulgenza, con un sistema giudiziario che funziona, ecc., ecc.

    Da ultimo quindi: attenzione a rispondere al ‘di ogni erba un fascio’ con altrettanto ‘fare di ogni erba un fascio’ dicendo che tutti sono razzisti, e che non occorra fare niente poiché gli immigrati vanno solo compresi e ‘tollerati’.

    gli immigrati non vanno tollerati, ma ‘integrati’, questo implica che se un immigrato delinque questo deve essere punito severamente, come dovrebbe essere punito severamente ciascun italiano criminale.
    Ma se un immigrato lavora e contribuisce alla ricchezza del nostro paese va ringraziato e rispettato.

  6. “Le migrazioni contemporanee sono un evento epocale, di cui occorre, semplicemente, prendere atto, e di cui è illusorio pensare di invertire il segno. Può certo causare scompensi, come ogni evento vero, come ogni fatto che cambia la struttura delle cose per qualche fattore essenziale: ma non si può dire: “si torni a prima”, come non si può tornare a un amore perduto. Occorre dunque, per prima cosa, una collettiva elaborazione del lutto. Ed è forse questo che impedisce a molti italiani di affrontare la realtà.”
    questo sarebbe un buon punto di partenza per una discussione, al di là della disputa sui dati, su chi è criminale e chi no, sulle strategie possibili, eccetera.
    la nostra civiltà sta cambiando molto rapidamente, il mondo come lo conoscevamo praticamente già non c’è più, capire cosa succede è molto difficile, gestirlo ancora di più.
    così com’è difficile tenere salde le buone vecchie categorie etiche, come la tolleranza, la fratellanza tra gli uomini, il principio di eguaglianza, il rispetto per le culture aliene, la multietnicità come valore positivo, eccetera.
    la società come insieme culturale di con-dividenti uno spazio fisico-economico-culturale-politico circoscritto capace di auto-riconoscersi e auto-implementarsi non esiste già più e i nuovi assetti, e i nuovi equilibri, sono di là da venire, se mai verranno.
    prima di tutto, prima ancora dell’enunciazione di un qualsiasi principio, rovelli giustamente indica la nostra come una crisi di passaggio epocale, di portata ancora non valutabile.
    a mio avviso, quanto è valso finora a garantire la nostra convivenza è sotto botta, fortissima.
    dunque bisogna partire da qui.
    per quanto possiamo esserci pensati come metropolitani, la nostra è stata finora una civiltà comunale, che solo ora sta per essere davvero spazzata via.

  7. Tanto per fare una prova: come si fa a verificare i dati di Rovelli, se non si ha il tempo di leggere il libro di Rovelli e si preferisce lasciar crepitare le scorreggie? Ad esempio, dov’è il Rapporto Istat 2006? È qui:
    http://www.comune.bologna.it/garante-detenuti/ documenti/getBinary.php?documentID=262
    E come si fa a trovarlo? Si scrive nella casella di ricerca di Google questo:
    Istat+2006+”reati connessi agli stupefacenti”
    eccetera eccetera eccetera

  8. @ PUNTUALIZZATORE

    Le scorregge ingolfano solo le tue mutande: provato con il carbone naturale?

    Non sono io lettore che mi devo preoccupare di cercare sul dio Google le fonti alle quali avrebbe attinto Marco Rovelli, cerchiamo di capirci.
    Un lavoro ben fatto e trasparente avrebbe incluso le fonti *** in maniera chiara e inequivocabile ***.

    Il pezzo è ricco di lacune imperdonabili, soprattutto per un pezzo che dovrebbe guardare, anzi focalizzare un tema nevralgico e far chiarezza.
    Al contrario fa solo confusione.
    Non è questo il modo di scrivere e di presentare dei dati.

    Puntualizzzatore o come diavolo si vuol far chiamare, si risparmi la sua aria intestinale e ci provi una volta tanto a firmarsi invece di gridare “google… google… google…”

    Passo e chiudo.
    Cordialmente,

    g.

  9. Ringrazio Marco Rovelli per questo lavoro. Il passaggio per le “aride cifre” è un passo fondamentale, per riportare le questioni nell’ambito dei “dati di realtà” e sottrarle alla narrazione mediatica e cronachistica. E non è un passaggio da fare velocemente. Cosi poi arriviamo finalmente a parlare di quelli che sono i veri problemi. Uno dei quali è quello che io chiamo l’ostruzionismo legislativo, che negando una realtà irrecusabile (una presenza di immigrati che risponde ad una domanda di forza lavoro a basso costo) ne produce una evitabile e dannosa: ossia gli irregolari.

    In altri termini, uno dei problemi politici più urgenti è proprio NON la restrizione ulteriore, che non farebbe che creare irregolari, ossia individui sempre più esclusi da una condizione di vita “normale”, e quindi non “criminali”, ma più esposti di altri a diventarlo prima o poi. Il problema è una “regolarizzazione” che tenga il ritmo con questa circolazione di manodopera. E in questo modo si sarà fatto fuoriscire l’immigrato dal “problema criminalità”.

    Dopodiché si incontreranno altri problemi, che riguardano pero’ a quel punto il funzionamento della nostra economia. E delle nostre istituzioni. Tutta questa manodopera a basso costa c’è e circola, IN QUANTO c’è qualcuno (italiani) che la utilizza. Ed è ovvio che cio’ produrrà un conflitto con le fasce meno qualificate della manodopera italiana. Questo naturalmente fa comodo al capitale. Che i lavoratori si dividano. Fa comodo al padrone che i suoi quattro sottoposti siano divisi tra loro, anche se tutti italiani e bianchi. Figuriamoci se posso dividere neri contro bianchi, cinesi contro europei, africani contro slavi, ecc. Una pacchia. Ma anche il rischio che queste divisioni non reggano in eterno. Sopratutto se si lavora in senso contrario, ossia difendendo il principio di uguaglianza delle persone e dei lavoratori. Ma cosi saltano le identità? Ma le identità sono già saltate. Stiamo appesi a fantasmi di identità. A identità zombi.

  10. L’insicurezza provata dai cittadini, a cui le sciagurate proposte di legge e l’ancor più sciagurato decreto legge del governo avrebbero l’ambizione di rispondere, non è un dato di fatto naturale ma un prodotto sociale, così come lo sono le politiche di controllo e repressione dei reati.
    Ciò significa che, per analizzare il rapporto tra immigrazione e delinquenza, occorre confrontarsi con il potere di definizione dei comportamenti e delle relazioni sociali ossia con il problema della costruzione sociale della devianza.
    L’ immigrazione è uno dei terreni privilegiati dove si confrontano conflitti materiali e simbolici, campagne di stampa, politiche repressive, iniziative di imprenditori politico-morali. Di più, la figura dell’immigrato delinquente è un terreno perfetto per la retorica della legalità.
    Questo non significa che i migranti non delinquano, significa che esistono molte condizioni di ordine giuridico, sociale, economico, che contribuiscono a porre l’imputato e il condannato immigrato in una posizione di oggettiva debolezza, e di svantaggio rispetto al cittadino italiano, nei confronti delle scelte che l’autorità giudiziaria è chiamata ad operare. Il problema diventa allora, per evitare facili allarmismi sul rapporto criminalità-immigrazione, quallo di investigare i meccanismi attraverso i quali il sistema penale seleziona i propri utenti. Si scoprirebbe così che l’ordinamento penale e quello penitenziario non agiscono in modo indifferenziato e secondo logiche egualitarie, come i precetti formali pretenderebbero.

  11. jannozzi sempre + putrescente, di giorno in giorno. ormai è come un orzaiolo che sta x scoppiare, butterà fuori un po’ di sebo & pus e poi sarà finita e si potrà discutere..

  12. Ringrazio tashtego (credo che ci sarebbe in effetti da lavorarci di più, su ciò che significa in concreto questo passaggio epocale: e non basta, sono d’accordo, il multiculturalismo, concetto ormai obsoleto, legato alla tolleranza di stampo liberale: quanto mai utile, oggi, certo, ma bisognerà arrivare a elaborare altri strumenti), andrea (sulla produzione di clandestinità come necessità “strutturale” del sistema neo-capitalistico globalizzato sono talmente d’accordo che, come sai, ci sto scrivendo un libro…), beppe (certo, il punto è proprio quello: far uscire dalla clandestinità le persone in modo che illegale diventi solo chi delinque davvero) e claudio.

    Poi, due precisazioni.

    @OC
    L’aggettivo che recrimini non l’ho scritto io. Che dovevo fare, censurarlo?

    @ iannozzi
    Tutti i dati che ho citato sono estraibili dai seguenti file. Cercarli ti sarà un esercizio utile, così magari capisci ciò di cui stiamo parlando, e chi sa mai che un giorno parlerai non solo per sputare bile.

    http://transcrime.cs.unitn.it/tc/fso/conferenze/Gli_stranieri_in_carcere_tra_esclusione_e_inclusione/5_Infosicurezza-Gli_stranieri_in_carcere_tra_esclusione_e_inclusione.pdf
    http://www.caritas.it/Documents/39/2709.pdf
    http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Rapporto_criminalita.pdf
    http://www.comune.bologna.it/garante-detenuti/documenti/docs/stranieri_istat.pdf
    http://www.caritasroma.it/Prima%20pagina/download/dossier2007/SCHEDA%20Dossier%202007.pdf
    http://www.associazionemagistrati.it/HOME/XXVIII/Cesqui.doc
    http://www.comune.firenze.it/garante/presenti_dic05.pdf
    http://194.116.10.213/fieri/ktml2/files/uploads/attivita/papers%20e%20tesi/SCIORTINO%20inclusione%20immigrati.pdf
    http://www.ristretti.it/areestudio/stranieri/zippati/istat_stranieri_devianza.pdf
    http://www.ristretti.it/areestudio/statistiche/ricerca_statistica/capitolo_stranieri.pdf
    http://www.cestim.it/sezioni/tesi/tesi_menonna.pdf
    http://www.ristretti.it/areestudio/statistiche/ricerca_statistica/capitolo_detenuti.pdf
    http://www.volontariatogiustizia.it/documenti/aspetti_sociologici.pdf
    http://www.cespi.it/PDF/delitto%20tremare%20Italia%20_Italianieuropei,%20novembre%2007_.pdf

  13. [troll]
    @ ROVELLI

    Grazie!

    Potevi metterli in fondo al pezzo però e sin dall’inizio. In ogni caso sarebbero più utili a tutti e maggiormente visibili sotto il tuo scritto che non tra i commenti.

    Quale bile? l’aver evidenziato delle mancanze?
    Dovresti ringraziarmi e invece… C’est la vie!

  14. Ringrazio e concordo con le osservazioni di Andrea Inglese e il suo concetto di produzione di clandestinità, Claudio sulla debolezza dell’immigrato rispetto al sistema giudiziario e penitenziale e marco rovelli per la risposta.

    Da marco rovelli, mi interesserebbe sapere un po’ di più sul superamento del concetto di multiculturalismo al quale sarei ancora affezionato. Certo, oggi c’è una multi-economia, una multi-discriminazione, ecc, ma forse proprio perché manca un apprezzamento per la ricchezza della cultura dell’ ‘altro’.

    Grazie per la cortese risposta che vorrai darmi.

  15. @ Beppe
    Dice Zizek che il multiculturalismo tollerante e liberale è un’esperienza dell’altro privato della sua alterità. L’altro va bene nella misura in cui non “ci tocca” – nella misura in cui non è veramente altro. Multiculturalismo significa che non bisgona toccarsi. Che ognuno stia al suo posto, insomma. Che non ci molestiamo a vicenda. Tu qui e io lì. E che cosa determina la natura di questa modalità di relazione? Il fatto che alla sua base c’è la paura: la paura appunto che l’altro non stia al suo posto. Che invada il mio spazio. Che mi costringa a confrontarmi davvero con la sua alterità. E, ancora, a cosa è legata questa paura? Alla volontà di farla finita con l’idea di conflitto. La nostra modernità che si spaccia per post-ideologica deve esorcizzare il conflitto. Ma il confronto con l’altro in quanto altro (e non in quanto nostra idealizzazione) ci costringe invece, inevitabilmente, a un conflitto. Perché (come dicevo all’inizio del pezzo, ciò che poi tashtego ha rilevato) un cambiamento produce conflitto per necessità, in quanto si pretenderebbe di restare ancorati alla propria antica modernità. Restare nel proprio, intoccato, spazio. Laddove, invece, la venuta dell’altro, mi costringe, necessariamente, a cambiare postura, a ritracciare i confini.
    Insomma, la tolleranza è un semplice “tollerare”, cioè lasciar essere. Ma le barriere, in questo modo, rimangono, anzi si rafforzano. E alla prima occasione di crisi, ecco la guerra. Certo, piuttosto che le spedizioni fasciste meglio la tolleranza liberale. Ma forse le due cose non sono così disgiunte – nel senso che, finché non si supererà la tolleranza multiculturale, resteranno sempre le spedizioni come suo rovescio.

  16. Ho capito, e condivido, in quel senso.
    Da un lato anche a me piace di più la contaminazione, addirittura la fusione delle culture (infondo l’Italia è frutto di un melange di popolazioni che si sono succedute nel dominio nei secoli).

    Dall’altra parte mi chiedo però se non sia giusto che le diverse culture si rispettino all’interno di uno stato laico (e sottolineo laico). Le diverse culture che, pur dovendo e volendo rispettarsi, mantengono le loro peculiarità.

    E non per contrapporsi, ma perché vi è una sorta di tradizione culturale che un popolo ritiene giusto coltivare e trasmettere alle generazioni future. Non ci vedo niente di male.

    In fondo in uno stato laico non è plausibile pensare che ad esempio il cristianesimo e l’islam si fondano in una nuova religione panmonoteista (ci si arriverà magari nel 3000…), ma è plausibile ipotizzare che ci sia un profondo rispetto e dialogo.
    Il multiculturalismo non lo vedo così inevitabilmente e necessariamente tendente allo scontro.
    Pur nel mantemimento delle rispettive peculiarità, credo che il dialogo (che è vero mantiene l’altro, altro) possa innescare un processo di arricchimento reciproco.

    In sostanza il multiculturalismo, nella mia accezione, presuppone sì l’alterità, ma il dialogo e non lo scontro.

  17. la multiculturalità è già un residuato
    Alterità? ma se Alce Nero parla come Briatore
    Diciamo che esistono dei disgraziati e dei fortunati prossimi alla collisione brutale.
    Sul piano culturale non c’è niente da integrare che non sia già stato integrato dal mulino mondiale.
    Le religioni? Ma no, la bandiera dell’Islam è solo strumentale.
    C’è solo da sperare che l’attuale tasso di incremento della produzione nei paesi poveri si protragga per un tempo sufficiente a poter fermare, se non invertire, il flusso delle migrazioni prima che s’inneschi il bang. Da parte nostra collaborando allo sviluppo di quei paesi con l’acquisto preferenziale dei loro prodotti anche se non sono competitivi.
    Se intendevi questo per cambiare postura

  18. Beppe, io dicevo che il multiculturalismo non tende allo scontro: lo occulta, e occultandolo lo istiga in segreto, facendolo essere “clandestino” (per rimanere in tema, e non è solo un’omonimia, ma una consonanza formale). Il multiculturalismo condivide un lato sostanziale, e pericoloso, con il differenzialismo. Ogni cultura va bene, ma al suo posto. Ma questo occulta il conflitto. Perché far spazio a una cultura significa anche far spazio ai suoi bisogni (buoni e cattivi: comunque sia, non negarli, non disconoscerli). E allora entra in gioco quel che dice massey, tutti integrati nel mulino mondiale. Sì per carità, vanno bene le culture diverse, ma quando quelli globalizzati da noi entrano “nel nostro spazio”, e ci entrano fisicamente, e non solo in effigie mediatica, allora ecco l’ordine, Stai al tuo posto. Il multiculturalismo riguarda l’uomo consumatore, oggi, mica l’uomo produttore.

  19. Marco, non entro nel merito di numeri e dati (sempre interpretabili e che comunque fotografano, senza alcuna pietà, una situazione non proprio allegra), voglio solo sottolineare un aspetto ‘procedurale’ che non mi è mai piaciuto di questa nostra Italia e del suo sistema giudiziario ‘palafittato’: si guarda la ‘merda’ dall’alto con sguardo compiaciuto.

    Il punto è questo: che il razzismo sia un ‘aspetto’ negativo, credo siamo tutti d’accordo, ma non credo proprio che il razzismo si possa combattere con appelli sterili come quello del Triangolo Nero (con tutte le mie scuse a chi l’ha prosmosso e sostenuto mosso da buoni propositi). Provo a spiegarmi. Se ho la polmonite posso illudermi di star meglio imbottendomi di codeina e facendo scomparire la tosse, ma la polmonite rimarrà al suo posto e il meglio che mi potrà capitare sarà… morire senza tossire.
    Sicuramente un palliativo, ma non risolutivo.

    Questi appelli contro il razzismo mi paiono la stessa cosa: codeina populista.

    Il razzismo va combattuto alla radice, partendo dai temi fondamentali e, primo fra tutti, il diritto alla cittadinanza italiana per le generazioni nate e/o crescite in Italia. Senza cittadinanza NON ESISTONO diritti (pochi pure con la cittadinanza se non sei paraculato a dovere) e l’unica via d’uscita, per i non cittadini, è quella di rimanere ai margini della società.

    Va bene protestare e triangolare, ma perché non spostare il tiro dalla semplice ‘bega politica’ di posizione ad argomentazioni serie e sconosciute ai più? Perché ‘sto Triangolo Nero non si muove ponendo al centro una questione REALE come quella della cittadinanza? Cito il Triangolo Nero perché è l’ultima iniziativa, ma tutte le altre si sono mosse sulla stessa lunghezza d’onda: scontro fra diverse visioni politiche e nessun accenno su COSA FARE realmente e partendo dai DIRITTI di BASE.

    Personalmente proporrei un’altra moratoria, questa volta ‘razzista’: non far entrare nei Casinò italiani giocatori orientali. Non li sopporto: difficilissimi da inquadrare. Ma non credo sia un punto determinante e sopravviverò senza grandi problemi. :-)

    Blackjack.

  20. @ marco rovelli
    mi hai definitivamente convino: hai ragione.

    tuttavia, lo confesso (pur sapendo d’aver torto) preferisco stare nella cultura occidentale. Poi vedo che piace anche a tanti altri (gli stessi cinesi ad esempio, ma in generale tutti (tranne gli integralisti religiosi) vogliono lo sviluppo economico di tipo capitalistico).

    Il discorso è forse ancora quello di Marx? proletari (direi oggi poveri) di tutto il mondo: unitevi!
    Sia chiaro, non lo penso, poiché i proletari, come ci insegni, sono di culture diverse e il discorso è assai più complesso.

    Poi c’è il problema della sostenibilità ambientale, ma quello è un altro dilemma.

  21. rovelli dovrebbe stare al posto di amato. così sarebbe veramente una nuova stagione.
    e chi scrive dovrebbe essere assai più aggressivo verso i miserabili pagliaggi della politica italiana.
    farminio@libero.it

  22. @ giocatore
    Non capisco, come si può rimproverare a un appello di essere tale? E’ ovvio che chi propone un appello non crede che farà cambiare delle cose. E’ ovvio he si propone invece di sollevare una discussione, di individuarne – da un punto di vista culturale, antropologico – le coordinate, di spostare il piano del discorso pubblico. Di dire che c’è una questione occultata, e sulla quale non è vero, come tu dici, che sono tutti d’accordo. Significa dire che il razzismo è quella roba lì di cui si parla nell’appello, che infatti ha suscitato opposizione e ludibrio sui giornali destri-fasci. Significa dire che c’è stata e c’è una campagna mediatica che sta corrompendo le menti migliori delle nuove genrazioni (lo vedo a scuola ogni mattina) imbevute di paura e di ferocia. E su questo NONsiamo tutti d’accordo. Ed è importante, necessario dirlo. Dare il nome alle cose, non è forse questo il compito di chi usa la parola?

    Dopodiché, stabilite le coordinate essenziali (e su questo , ripeto, è necessaria una battaglia) è altrettanto ovvio che ci sono battaglie politiche da fare, come quella della cittadinanza. E la facciamo, certo che la facciamo. C’è chi la sta già facendo, in molti luoghi. Magari non lo sai, ma è così. E se non lo sai, il problema è proprio il mancato accesso ai media, e un muro di ordine culturale nella società. La ciitadinanza è una questione concreta, insieme ad altre. Ma come puoi arrivare a sollevare la singola questione – e arrivare a farti sapere che quella battaglia c’è già qualcuno che la fa – se prima non additi la questione principale, che è di ordine culturale? Noi, in quest’appello, abbiamo indicato la radice del male. Se qualcos’altro ha da venire, verrà di qui.

  23. ma dove le vedete queste culture diverse? I tropici oggi sono tristi perchè non si possono permettere l’iPod. Si profila l’assalto agli apple store invece che ai forni.

    E la cittadinanza, ma voi credete davvero che gli freghi qualcosa della cittadinanza, cioè del passaporto italiano? Non è che vi confondete col permesso di soggiorno/lavoro?
    Perchè la cittadinanza è relativamente facile da ottenere in Italia, credo che bastino cinque anni di residenza contributiva. In Svizzera, per dire, devi anche sapere chi era guglielmo tell e scucire diverse migliaia di franchi

  24. Ti ammiro molto Marco!
    La tua Grinta supera ogni difficoltà,
    scavalca le transenne che limitano
    la veduta sul mondo!
    Ciao
    :-)

  25. Marco, sono d’accordo solo parzialmente con la tua tesi. E’ giusto sollevare le questioni, ma sollevarle senza obiettivi reali e con il solo scopo di ‘fare opinione’ non porta (idea personale e opinabilissima) da nessuna parte.

    Alla fine restituiscono ‘vantaggi’ ai furbi che si aggregano al carro della protesta per scopi personali e non rendono evidente il problema. Non è più semplice concentrare tutte queste energie positive su un obiettivo concreto (il mare di apolidi che ci sommergerà) e utilizzare le altre argomentazioni (secondarie) come corollario?

    Appelli come quello del Triangolo Nero, scusami se insisto, non comunicano nulla se non l’eterno scontro fra posizioni politiche diverse e, in questo modo, si fa il gioco di chi (tutti perché questo tema non è ancora stato sollevato a livelli parlamentari da nessuna forza politica) non ha interesse a ragionare sui temi di BASE e ha il tempo, la posizione e la forza per limitarsi ad attendere che le buriane passino.

    Trovo molto ‘passionale’ la posizione di mozioni come questa, ma molto poco produttiva: non comunica messaggi concreti.

    Blackjack.

  26. Marco, scusami il secondo tempo, ma la mia non è una ‘contestazione’ alla mozione o ai numeri, ma al fatto che la mozione, come tante altre, si limita a rotolare, senza alcun controllo, trascinata dagli eventi del momento.

    Sollevare la singola questione è MOLTO più semplice che non pensare di arrivare al nocciolo mangiucchiandi lentamente la polpa che c’è intorno. Mangiucchiando la polpa c’è persino il rischio di morire di indigestione se è troppa. E il nocciolo continua a rimanere nascosto.

    Non ha alcuna importanza che qualcuno ‘si stia occupando della questione’. E’ proprio quello il problema: ‘qualcuno’ (pochi) probabilmente se ne sta occupando, anche in modo eroico e passionale, ma il fatto che ‘nessuno o pochi’ lo sappiano è il grande limite.
    Comunicare un messaggio SEMPLICE, invece di avvitarsi intorno ai molti eventi, aumenterebbe la forza dei pochi e la loro visibilità. Se starnutiscono contemporaneamente 25.000 persone è un grande starnuto, ma se starnutiscono in una piazza di 50 milioni di persone, che in quel momento stanno parlando, il rumore sarà talmente basso che nessuno lo sentirà.
    Rimarrà uno starnuto potente solo per i 25.000 che hanno starnutito. Salute :-)

    Blackjack.

  27. cittadinanza per chi è nato qui, mi era sfuggito, cmq non credo sia particolarmente ambita.
    Un mio amico di calcutta, di pelle molto scura, alto un metro e sessanta, mi raccontò che presentandosi alla dogana di Kloten (Zurigo) col suo sudato passaporto rosso con croce banca si sentì domandare dal fellone che lo squadrava: svizzero?

  28. Blackjack, non è passionalità e basta. Si svolge un ragionamento in quell’appello. Si invita a reimpostare le coordinate per un discorso sensato. E non vedo come questo non possa non essere il fondamento di qualsiasi altro passo.
    Tra l’altro, per rimanere alla metafora. credi davvero che sul tema della cittadinanza si metterebbero a starnutire in più di 25mila? Forse nelle case da gioco non si ha bene la misura della realtà… Se mi dici un modo per farlo, guarda, te ne saremo tutti grati, davvero.

  29. Massey, in realtà è una questione molto importante. Il figlio di un migrante, e in maniera irrevocabile la terza generazione, non avrà più legami con la terra d’origine. E presso di loro la cittadinanza è questione molto, molto sentita, te lo assicuro.

  30. ma certo, ci sono dei vantaggi pratici, si possono spostare in europa senza visti, per esempio, ma il rifiuto razzistico mica lo prevengono con la cittadinanza

  31. tornando al conflitto latente, anche Ferrero dovrà pur individuare degli strumenti adatti per disinserire o ritardare il timer, no?

  32. @Marco: quell’appello, visto che la metti sul piano delle case da gioco (dovresti frequentarle, imparare a perdere e poi a vincere, magari, prima di fare ironia da discount), è senza senso. Quell’appello si parla addosso srotolando quintalate di retorica che seppellisce anche le migliori intenzioni.

    Per essere stato pensato e scritto da un gruppo di ‘intellettuali’ è scritto male e gestito ancora peggio. Non ha nemmeno un destinatario politico. A chi è indirizzato quell’appello? Alla pacificazione delle coscienze degli estensori e dei firmatari? Dai, Marco, non facciamo i Giovanardi in questa sede e non arrampichiamoci sul marmo liscio.

    @Marco e Massey: dite che la cittadinanza non risolve il problema? Scusate, ma se siete veramente convinti della CASTRONERIA che state sostenendo smetto di discutere. Ma avete mai pensato alla differenza che esiste POLITICAMENTE e PRATICAMENTE nell’andare a demolire la casa (brutta che sia) di un ‘apolide’ o la casa di un cittadino italiano?

    Su, fate i bravi, io passerò la mia vita a giocare a carte, ma voi, che fate gli intellettuali e tracciate la via o pretendete di tracciarla, dovreste imparare a essere un po’ più concreti e mirare agli obiettivi veri. La cittadinanza è il primo passo OBBLIGATORIO per combattere il razzismo, garantendo diritti reali a chi ne ha più bisogno: i bambini immigrati che si ritroveranno, fra non molto e come molti altri, a non avere alcuna possibilità legale perchè, semplicemente, NON ESISTONO, non esistono loro come persone! E’ così difficile parlarne e mirare a un obiettivo vero una volta tanto?

    Solo uno stato di azzeccagarbugli come quello italiano e una massa di intellettuali azzeccagarbugli come quelli italiani può pensare che questo NON SIA il problema.

    Trovare i 25.000 che starnutiscono è più che possibile raccontando i VERI problemi, puntando su obiettivi concreti, facendosi capire e non retoricando. Se poi quello che interessa, agli estensori dell’appello ‘senza destinatario’, è solo mettersi l’anima in pace e crearsi un precedente per poter dire ‘Io ero bravo! Io l’avevo detto”, beh, buon pro vi faccia.

    Blackjack.

  33. A parte il fatto che la mia era una battuta bonaria, resta il fatto che evidentemente non c’è dialogo. Ti ripeto, di battaglie ne facciamo quotidianamente, e sinceramente sentirsi far la lezioncina da chi pensa ai casi suoi un po’ infastidisce (tutto il rispetto al gioco, per carità, chi ha letto Dostoevskij non può disprezzarlo, ma non venire a fare lezioni però). Perché a me pare che tu hai voglia solo di fare polemica col dito alzato, te lo dico sinceramente. Altrimenti, quantomeno sapresti che c’è un DDL PRESENTATO DA FERRERO IN MATERIA DI CITTADINANZA che arriverà presto in aula. Mentre invece parli come chi ha l’idea geniale e arriva senza sapere che cosa sta facendo chi su queste cose si sbatte da tempo. Vogliamo discutere di quello? Ci sono alcuni punti criticabili in quel disegno, per e, però è un disegno avanzato. Ne hai nozione?
    Battaglia culturale e battaglia politica vanno di pari passo, e le facciamo tutti e due. Bisognerà lavorare perché – in questo clima culturale – quel disegno di legge (e l’Amato-Ferrero – la conosci?) venga approvato. io ne dubito fortemente. Se vuoi darci una mano, tra una mano e l’altra, sei il benvenuto.

  34. Scusa Blackjack, ma mi pare che questa storia degli “intellettuali(ni) italiani” sia uno di quei gioco delle parti da in cui è previsto anche quello che dice esattamente le cose che dici tu, assume esattamente quella postura. Voglio dire: non se il primo, tutto giù sentito. Embe allora’?, dirai tu. Embe’, ti chiedo, ci credi davvero che siamo così gonzi, così vanitosi da non sapere che un appello, da solo, non sia poi sta gran cosa? E che un appello, per sua natura, sia una forma retorica, anche questo non mi pare una scoperta così sconvolgente.
    Ma credo che forse non sia stato del tutto inutile in un momento in cui il razzismo si sta diffondendo a destra e a sinistra come valuta comune di buon senso, aver potuto lanciare un messaggio contrario sottoscritto da una parte rappresentativa di questi benedetti intellettuali italiani, averlo visto rimbalzare su 500 blog, averlo sventolato sotto il naso di quei media italiani filogovernativi che pur guardandosi bene dal dargli spazio, avranno magari almeno per un attimo dovuto ascoltare un’antifona che non pensavano di dover udire. Poi non lo so. Su una questione che ti pare importante, vedi di battere un colpo, ci provi, magari medi, scendi a compromessi.
    E come diceva Marco la cosa per molti non si ferma qui. Questo era già inteso sin dall’inizio. Ora si tratta, fra le altre cose, anche di mettersi studiare, approffondire gli aspetti legali, economici ecc., addentrarsi più a fondo per capire come funzionano certi meccanismi in questo paese. E la questione della cittadinanza che tu poni è certamente una delle cruciali, ma non è l’unica.
    Certo è che ha un valore pratico E simbolico enorme e ripensando a certe code in prefettura fatte da cittadina TEDESCA lavoratrice per il permesso di soggiorno, mi pare di stare sulla luna quando vedo qualcuno sostenere che non lo sia.

  35. “I centri di permanenza temporanea sono spesso delle autentiche prigioni, non solo in questo ma anche in altri paesi”. Parola del Cardinale Renato Martino. Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

  36. @Marco: qui le ‘lezioncine’ le danno tutti e sarei curioso di leggere, in quale articolo, il DDL Amato-Ferrero prevede, e con quali modalità, la concessione della cittadinanza italiana. Sarei anche curioso di leggere la proposta di Ferrero; nonostante una connessione ADSL dedicata da 20 Mbit non riesco a scaricare nulla, dal sito http://www.governo.it, relativamente alla proposta di Ferrero: il sito del governo va in time-out, esattamente come la questione della cittadinanza. Strana nemesi.
    Per quanto riguarda le battaglie, buon pro, ma rimango della mia idea: l’appello del Triangolo Nero NON HA UN DESTINATARIO politico e non indica alcuna via, si limita a rimestare nella solita retorica. Oppure l’ho interpretato male?

    Dare una mano? Nessun problema: qualcuno presenti un disegno di legge che preveda lo ius soli, senza seghette circolari a corollario, e mi ci metto. Come? Con quello che posso fare e so fare: metterci un po’ di soldi a sostegno. Ma deve essere una proposta LINEARE e SEMPLICE: comprensibile a tutti e di un solo articolo, che il secondo non serve.

    Per quel che mi risulta, in tema di cittadinanza, non si riescono a risolvere i problemi legati alla concessione della cittadinanza ai discendenti di cittadini italiani trasferiti all’estero, circa 50.000 persone se non ricordo male, e le ultime modifiche organizzative (il solito Centro Unico di italica memoria) hanno portato la stima dei tempi per questo SEMPLICE passaggio fino al 2020. Probabilmente sperano che, nel frattempo, qualcuno muoia. Perché è così che funziona in Italia: si sbandierano idee e poi ci si muove per fare in modo che non siano realizzabili.

    @Helena: un appello deve essere una forma retorica? Ne siamo certi? Perché se la ‘certezza’ arriva da quelli che, genericamente, definisco ‘intellettuali italiani’ allora tutto si spiega e il cerchio si chiude. E comunque c’è qualcosa che non mi quadra in questo tuo ragionamento. Perché tanta paura di un appello che unisca, a una sana retorica, un OBIETTIVO reale e un DESTINATARIO reale? Cosa spaventa? L’obiettivo o il destinatario?

    Blackjack.

  37. @Marco: finalmente qualcosa ho trovato e il passaggio è illuminante! Eccolo: “il ddl prevede la concessione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori non italiani, se uno di essi è residente regolarmente in Italia da almeno 5 anni e dispone di un adeguato reddito”.
    Provo a tradurre in comprensibilese questo bellissimo e ‘democratico’ testo di legge: SOLO i figli nati in italia da Genitori stranieri con REGOLARE Visto di SOGGIORNO e REGOLARE lavoro da ALMENO 5 ANNI, hanno diritto alla cittadinanza italiana.

    Come dire: non la diamo a nessuno. E’ questo il disegno di legge del ‘sinistro’ Ferrero?

    Inizio a ridere subito o fra 20 secondi?

    Blackjack.

  38. @Marco: poi c’è la chicca del ‘ciclo scolastico completo’ che recita: “lo stesso vale [ndB: per la concessione della cittadinanza italiana] per i minori nati non in Italia, ma che ci vivono da almeno 5 anni e che hanno eseguito almeno un ciclo scolastico in una scuola italiana.”

    Anche qui: qual è il ciclo scolastico? Materna? Elementare? Media? Devono essere stati promossi oppure no? Già immagino le valanghe di problemi e le diverse interpretazioni da città a città.

    E se sono figli di ROM che a scuola non li manda nessuno (perché non esistono) che facciamo?

    Se questi sono i disegni di legge che dovrebbero ‘normalizzare’ una questione topica [il mare di apolidi che stiamo generando in questo paese], stiamo freschi.

    Nel frattempo la voglia di ridere mi è passata.

    Blackjack.

  39. Blackjack, stavo per dirti, benvenuto, sono felice di averti tra le nostre fila.

    Sulla cittadinanza, certo, ti ho detto che ci sono punti criticabili. Il punto principale di critica, in realtà, è che c’è un criterio di censo, nella cittadinanza, e questo è inaccettabile. Detto questo, hai presente in che paese viviamo? Sinceramente non so che gente passa dai casino (e credimi, non sto facendo ironia, anzi se un giorno mi inviti la passerei volentieri una giornata con te), ma i tuoi amici della destra (dico tuoi amici perchè affermi che tu di sinistra non ne vuoi sentir parlare, è solo un’induzione) si oppongono fieramente anche a questa proposta minima di civiltà avanzata da Ferrero. Già sarà difficile far passare questa. Hai presente cosa si dice dei clandestini in Italia? Non so, eccepire che questa è una proposta risibile mi sembra una cosa che potrebbe fare uno dei miei amici e compagni anarchici informali, quelli che i minitri chiamamo a sproposito anarco-insurrezionalisti, che stimo, rispetto e con cui faccio pure delle cose assieme, ma che vivono un po’ in un mondo tutto loro.
    Nostra patria è il mondo intero. Non mi stancherò mai di cantarlo. Poi, però, bisogna confrontarsi con questo mondo di chiusure e appartenenze (leggi il post che ho appena pubblicato…).

    Allora, fai una battaglia migliorativa, io ti ho preso in parola, facciamo così, un giorno mi inviti e i soldi che vinci li spendiamo per questa battaglia, che ne dici?

  40. @Marco, adesso vado a leggermi l’ultimo post, ma forse non sono stato chiaro: nessun problema a metterci soldi, ma su obiettivi chiari e concreti. Una legge sulla cittadinanza di UN SOLO articolo che stabilisca che chi nasce in Italia è ITALIANO.
    Chiuso questo punto va bene aggiungerne un altro e continuare. Non ho mai creduto e non credo ai minestroni legislativi: né a chi li scrive, né a chi li accetta perché ‘meglio di niente’.

    Nessun problema per invitarti a una partita e per metterci i soldi vinti, ne possiamo riparlare a gennaio. Fra poco riscomparirò; mi farò un mesetto a Macao, hanno aperto il più grande Casinò del mondo (in barba agli americani), e andrò a farci un giro. C’è chi si fa le ferie alle Maldive e chi a zonzo per Casinò…

    Di questa destra italiana ho la stessa stima che ho dell’attuale sinistra italiana: sono entrambe come il mal di denti, devi solo sperare di non averlo e la dimostrazione sono le leggi che propongono. Tanto per chiarire.

    Blackjack.

  41. Bene, sei un massimalista. La cosa non può che farmi piacere. Del resto è una vita che sto con le cause perse.
    Allora aspetto che torni da Macao. Poi veniamo a noi.

  42. Se ti dico che le tue riserve sulla retorica e ancora più sulla concretezza dell’appello mi sembrano legittime, se ti dico che sottoscrivo la tua proposta di legge, che faccio? Abbandono il tavolo in modo non corretto?Insomma: è bello discutere senza dover difendere coi denti qualcosa in cui ci si continua a riconoscere comunque.

  43. @Helena: come evidenziava Marco (anche se non è del tutto vero, ma solo per alcuni principi) sono un massimalista, che non c’entra nulla, ma non sapevo come iniziare e quindi ci sto girando intorno. No, non vedo un abbandono del tavolo scorretto. Sì, discutere va benissimo, ci mancherebbe, però sul non dover difendere con i denti non mi trovi del tutto d’accordo. Sarà perché sono ‘massimalista’ (mi piace questa definizione e non me l’aveva mai rifilata nessuno prima d’ora) e, per i pochi principi che ritengo sacrosanti, i denti li uso eccome.

    Uno dei grossi vantaggi delle carte è la certezza e la chiarezza delle regole. Se così non fosse sarebbe un massacro ogni notte. E la domanda che mi pongo è: perché è normale avere regole, anche complesse, raccontate semplicemente e comprensibili, quando si tratta di gioco d’azzardo, ed è così complesso avere leggi chiare, facilmente comprensibili e applicabili per temi MOLTO più seri?
    E poi: perché, quando si vuol far passare un messaggio (dovrebbe essere l’obiettivo di qualunque appello, divulgare un messaggio) si utilizza sempre (spesso) un lessico incomprensibile e farcito di retorica, che rende ardua la comprensione dell’appello e improbo dedurne il significato e il vero obiettivo? Qual è il senso di simili appelli?

    Troppe domande e troppi dubbi?

    Blackjack.

  44. Guarda che io continuo a pensare che l’appello come prima cosa andava fatta e andava bene. Ma che le tue perplessità sulla forma sono da prendere in considerazione. Quando si torna a fare una cosa vecchia in un contesto nuovo- quello di un razzismo legittimato e diffuso da tutte le parti e, in second’ordine, quello in cui gli intellettuali non contano più un cazzo e persino i più in vista rispondono solo a domanda o gestiscono gli spazi per loro ritagliati (parentesi, tanto per non equivocare: nessuna nostalgia dei bei tempi che furono…), quello per cui il messaggio passa per la rete e non altrove ecc.- si rischia di fare le cose come si sono sempre fatte, rientrare nella tradizione di una forma che forse avrebbe bisogno di qualche rinnovamento. Per raggiungere quei ragazzi di cui parla Marco e che magari si riconoscono in alcuni dei firmatari, ma forse sono davvero respinti dal linguaggio. Più che “retorica o no?”, la domanda mi sembra “che tipo di retorica”? Detto questo, in bocca al lupo di Macao.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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