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Tristano di Nanni Balestrini: iperromanzo e distruzione del romanzo

nanniballestrini.jpgdi Luigi Weber

«Io credo che la letteratura lotti contro i significati» : una poetica così radicale, ai limiti dell’illeggibilità, ma che non è affatto isolata, all’interno della nuova avanguardia italiana degli anni Sessanta, Gruppo 63 e ampi dintorni, la tenta a viso aperto Nanni Balestrini con il suo romanzo d’esordio, Tristano , che proprio in questi giorni torna in libreria per DeriveApprodi , come negli ultimi anni è accaduto a Vogliamo tutto, Gli Invisibili, I furiosi, La violenza illustrata e Blackout. Si trattava, già allora, di uno svolgimento del tutto coerente con la prassi ex machina delle prime raccolte poetiche balestriniane Come si agisce (Einaudi 1963) e Ma noi facciamone un’altra (Feltrinelli 1968). Un libro dal titolo d’accatto, evidentemente, come quelli delle due raccolte, che qui allude immediatamente a una tradizione plurisecolare, sospesa su più pilastri, e vissuta di riscrittura, da Béroul a Tommaso d’Inghilterra, dal Tristano in prosa fino a Wagner a Bédier e a Mann . Un mito medievale e moderno, insomma, un racconto di tutti, un perfetto oggetto pop e multiplo.

In origine, il progetto era quello di realizzare anche Tristano come i due poemetti Tape Mark, ossia con l’ausilio di un – allora si chiamavano così – elaboratore elettronico. Un armadio a muro dell’IBM ticchettante e lampeggiante, capace quasi solo di perforar schede e all’occasione triturarle, farne coriandoli privi, se non d’altro mai, di qualsiasi syntaxis. Tape Mark ricorreva alla non-intelligenza artificiale, all’artificio dell’abolizione dell’intelligenza, in una forma aggiornata e ironica di futurismo e di macchinismo capace di produrre cadaveri squisiti privi di surrealistico odor di zolfo, e assai più sintomatici di una gelida epoca neocapitalistica incipiente (era il 1961, in fondo). Per il suo primo romanzo, Balestrini osò di più: aveva immaginato un libro che demolisse l’unicità serializzata della merce riprodotta, a favore di una diversa unicità. Ogni copia sarebbe stata il frutto di un difforme montaggio delle sue componenti. Ed è ciò che l’era digitale oggi trionfante gli permette di realizzare, così che le 2500 copie previste per la tiratura del nuovo Tristano saranno davvero ricombinate una per una automaticamente da una stampante a tal fine predisposta, rimanendo inalterate solo la prefazione di Umberto Eco, quella del 1972 di Jacqueline Risset, stesa per la accompagnare oltralpe la traduzione francese, e la nota autoriale del 2007. Nel 1966 Balestrini dovette invece ripiegare, per le insormontabili difficoltà tecniche, su una composizione altamente formalizzata secondo criteri numerici (dieci capitoli, un numero fisso di paragrafi per capitolo e di righe per paragrafo, ogni frase replicata due volte nel libro) che avrebbe in seguito dato vita anche a La violenza illustrata nel 1976 e a Blackout nel 1980.

Prima di scoprirsi narratore «epico», e intraprendere una carriera legata soprattutto alla riproduzione-rielaborazione dell’oralità di collettivi marginalizzati e antagonisti, come in Vogliamo tutto (1970), Gli invisibili (1987), I furiosi (1996) e nel recente Sandokan (2004), Balestrini narratore muoveva da un sistematico riuso di fonti scritte, senza alcuna discriminazione di provenienza. In Tristano si riciclano manuali di fotografia, di botanica, letteratura di genere giallo-rosa, guide turistiche, così come ancora in Vogliamo tutto saranno interpolati i volantini sindacali e ne La violenza illustrata e L’editore (1989) la carta stampata. Ma la misura dell’esperimento non sarebbe stata mai più così totalizzante. Ogni tipo di solidarietà macro-sintagmatica viene meno, e da una frase all’altra non è possibile rintracciare alcuna continuità, né nel tempo dell’enunciazione, né nella persona enunciante, né nel luogo. Il tutto accresciuto in opacità dalla scelta di negare agli agenti anche dei nomi propri, e imponendo la sola iniziale «C», nemmeno puntata in segno di abbreviazione come nell’archetipico «K.» di Kafka. Maschile e femminile scolorano sotto questo «C» refrattario a ogni referenzialità, e per somma di malizia talvolta anche i toponimi ne vengono cancellati, così che l’abolizione (o la precarizzazione) delle inferenze del lettore appare radicale.

“Dormirei volentieri disse C. Io dormo rispose C. C sedette sull’orlo del letto. Un pensiero mi colpì improvvisamente. Non fa più freddo. Allora che importa. Scostò le lenzuola. Si alzò e aprì la porta.”

Semplice in apparenza, in realtà il meccanismo è davvero ben congegnato: si osservi qui la perfetta, disperante incompatibilità delle prime tre proposizioni, dove la lettura più rispettosa dell’ordine lineare della scrittura, un campo-controcampo (se è lecito attingere dal lessico cinematografico, in un testo così disperatamente antifigurativo) tra due personaggi omonimi dialoganti – C1 afferma «Dormirei volentieri» e C2 replica «Io dormo» – appare subito passibile di più complesse sceneggiature, che conducono a un netto scacco interpretativo. Infatti, proprio per la natura di patchwork del libro, tra la prima e la seconda frase potrebbe certo postularsi un “bianco narrativo”, per esempio l’ellissi della battuta di un altro personaggio, o anche d’una intera scena. Non c’è modo per stabilire se davvero C1 e C2, e addirittura il C3 che siede sull’orlo del letto, siano tre oppure due o un solo agente, magari dislocati in segmenti temporale diversi. E ancora: se il C3 che siede sull’orlo del letto potrebbe poi aver dichiarato «Dormirei volentieri», e in seguito, interrogato da qualcuno, avergli risposto «Io dormo», non c’è comunque nessun Cn che d’improvviso possa slittare alla prima persona dell’«Un pensiero mi colpì improvvisamente. Non fa più freddo» (ammesso che il venir meno del freddo sia davvero il contenuto del pensiero improvviso), se non, ancora, nell’eventualità che il verbum dicendi sia stato soppresso, o che il narratore abbia utilizzato in modo davvero spregiudicato il monologo interiore. Per giunta, la neo-introdotta Ich-Form decade nuovamente a una focalizzazione esterna. Qualcuno scosta le lenzuola e (forse) si alza dal letto e va alla porta. Rapido come era apparso, l’io è stato asportato.

Proponiamo ora un brano più ampio (dall’originaria versione unica del ’66, come i seguenti) e apparirà evidente che il romanzo si presenta come un testo tutto aperto a percorsi ipotetici, tutto da inventare:

“Il terzo non è completo. Credo che dovrebbe andare. Si è solo parlato di un certo signor C ma tutti dovrebbero riconoscere in lui uno dei principali protagonisti. In quel tempo vivevamo unicamente col denaro che guadagnavo. Dallo studio dei semi ritrovati si giunge anche alla conclusione che doveva essere morto in autunno. Da quel momento cominciò il riflusso politico che doveva mettere in forse la stessa battaglia istituzionale. Segnò il primo arresto nella spinta in avanti che la lotta antifascista la resistenza la liberazione avevano impresso al popolo italiano E parlavate di denaro? ne parlavamo. Non perdendo mai di vista il tema prescelto. Non in questa scena. Noi ritenemmo di avere aperto la via non solo per la battaglia repubblicana ma per il rinnovamento totale della vita nazionale. Guadagnò denaro C in quel periodo di tempo. Il tema prescelto mi obbliga a restringermi particolarmente sugli eventi conclusivi. Dovrò procedere soltanto per accenni e per richiami che conoscendo i testi potranno essere integrati. Riabbassando le palpebre sfogliò alcune pagine. Le sue mani toccarono la seta del piumino. Confusamente pensò che la coperta era rimasta nell’altra stanza dal mattino. Aveva una voce dai toni uguali monotona e riposante. Le dita immerse. Con entrambe le narici chiuse e concentrando lo sguardo sulla punta del naso trattenete il respiro più a lungo che potete. Si spogliò e andò a letto continuando a pensare a quelle parole ma senza riuscire a dar loro un significato. Stava ancora parlando quando C si addormentò. Al suo risveglio qualche ora più tardi vide C nella medesima posizione. Chiuse gli occhi per non pensare. Quando C si svegliò vide che nessuno di loro si era accorto del libro.”

Nascosti fra le righe, qui (e altrove) troviamo spunti argutamente metapoetici, come sempre in Balestrini, o quantomeno tali da sopportare bene una lettura in tal senso: «Dovrò procedere soltanto per accenni e per richiami che conoscendo i testi potranno essere integrati», per esempio, val bene come indicazione diacritica per l’esperimento Tristano.
Senza trama, senza personaggi, senza stile: così, terroristicamente, proclamava la quarta di copertina Feltrinelli, in accordo con la strategia culturale e comunicativa dell’editore che aveva adottato la neoavanguardia. Ma Tristano non è solo un libro di carenze e di negazioni, anzi è un libro di ridondanza, di esubero, di fertilità. Il suo ascetismo si converte, a saperlo riconoscere, in crapula trimalcionica.

“Non c’è più niente da bere. Indossava un vestito di lino marrone con una sciarpa rossa. C indossa una giacca di tweed con pezze di cuoio ai gomiti un maglione leggero e calzoni grigi. L’indice della mano destra scorre su un immaginario testo stampato sulla mano sinistra come su una pagina. Indossava una gonna nera di lana lunga fino ai piedi. Sono così ubriaca. Non così in fretta. Non c’è più caffè. Non c’è più la febbre. C’è giù il mammone. Mentre la nave si fermava. Tutti bagnati. Colpo di buio e scende quell’affare. Una gamba era stesa e divaricata e sentì le dita di C fra i capelli. Ne risulta che il limite dell’orizzonte è completamente oscuro e lo si può distinguere solo confusamente.”

In un brano policromo come questo, l’anafora e la ripetizione con variatio sono al servizio del trasformismo e dell’ambiguità anche sessuale (i tre diversi «indossava / indossa / indossava» conducono dapprima nell’ambito di un generico «vestito», poi di una virile «giacca», e infine di una muliebre «gonna»), mentre i frammenti orali («Sono così ubriaca» / «C’è giù il mammone») si confondono con approcci descrittivi molto impersonali, d’andamento quasi saggistico, come nella lunga proposizione finale, e con altri più marcatamente narrativi. In ogni raggruppamento, poi, sono reperibili dei sottoinsiemi, così che il tricolon paratattico e brachilogico («Mentre la nave si fermava. / Tutti bagnati. / Colpo di buio e scende quell’affare») può essere inteso come un blocco unitario, ma ciò che segue («Una gamba era stesa e divaricata e sentì le dita di C fra i capelli») ci sposta con decisione in un’altra ipotetica area di genere o situazionale, grazie alla coloritura erotica che la gamba divaricata e la mano tra i capelli evocano.

Se già Adriano Spatola con il suo piccolo, sfolgorante, sulfureo e dimenticato “iperromanzo” L’oblò, nel 1964, aveva precorso i risultati assai più fruibili che, quindici anni dopo, avrebbero conseguito Calvino e Manganelli con Centuria e Se una notte d’inverno, Tristano è probabilmente l’esempio insuperato e insuperabile di iperromanzo, a patto che escludiamo da tale considerazione ogni sospetto valutativo. Lo è in accezione strettamente quantitativa, dal momento che pressoché ogni enunciato di Tristano esprime un microromanzo . E nessuno di essi, per quanto incompiuto, postula una redenzione, un compimento, sebbene sia passibile di fondersi in costellazioni e grumi con i circostanti, secondo un principio del tutto aleatorio. La differenza con Calvino e Manganelli, insomma, non sta tanto nell’apparente cordialità e nella godibilità dei loro iperromanzi rispetto a Tristano, che è invece senza dubbio un testo privo di qualsiasi lusinga convenzionale, e lo era tanto all’altezza del 1966, in versione singola, quanto oggi, in questa nuova moltiplicazione/dissipazione di sé, senza sostanziali mutamenti; il discrimine non è affatto riconducibile a un problema di ricezione. È piuttosto l’intento dell’autore a qualificare l’opera come oppositiva, infunzionale, inservibile. Questa inservibilità da macchina celibe è uno scandalo che la qualifica come autenticamente d’avanguardia.

«Nessuna ricostruzione – proclamava Balestrini al convegno sul romanzo sperimentale di Palermo, nel 1966 – i fili spezzati con la realtà non si riannodano più e basta, non ce n’è più bisogno, il romanzo è un’altra cosa, non è più per niente conoscitivo e ne farebbe un uso improprio chi volesse con esso toccare la realtà. Che cos’è allora? […] un meccanismo costruito, inventato, riposto su un ingranaggio di azioni».

Tra gli esempi di riferimento per questa poetica prossima a un romanzo completamente informale, Balestrini richiamava giustamente William Burroughs, poiché Naked Lunch e The Soft Machine sono dei capolavori assoluti di refrattarietà a qualunque strutturazione di senso. Vi aggiungeva, discutibilmente, anche Sanguineti parlando di Capriccio Italiano – ma Il giuoco dell’oca, di lì a un anno, avrebbe confermato le sue ragioni – e, con meritoria inclusione, Adriano Spatola. Vorremmo aggiungere, al vertice, L’Innommable di Beckett, con le sue frasi erratiche e senza centro da cui ha preso l’avvio, forse, un lungo percorso di ricerca e di smaterializzazione della sostanza narrativa nella storia del romanzo europeo tra gli anni Cinquanta e Settanta.
Una scommessa plurale tanto ardita, sebbene giustificata dal clima e dal fervore sperimentale dell’epoca, da meritare di sporgere come sua icona riassuntiva, segno dell’ultima utopia letteraria del Novecento , prima dell’affermarsi del mercato finzionale-virtuale, della produzione immateriale e dello spettacolare integrato come orizzonte indiscusso.

(tratto dal saggio Con onesto amore di degradazione, Il Mulino, 2007)

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5 Commenti

  1. Complimenti!

    Un articolo intelligente che chiarisce il progetto rivoluzionario del romanzo. Trovo l’idea straordinaria: un libro fatto al pensiero del lettore, un camino nella solitudine della riflessione. La ricerca del subime è al rischio di essere al bando della società.
    Ho sempre pensato che Tristan è solitario, in un vortice di follia e di tristezza, un ribelle.
    Nel aspetto moderno, l’artisto è in conflitto con la ricerca “della meraviglia della scrittura” ( un romanzo dell’avventura) e l’aspetto materiale della pubblicazione.

  2. Luigi Weber, ti confermo il titolo di lettore antibufala (non è mai troppo tardi!) e aggiungo qui quello di lettore pusher, ovvero segnalatore di ‘roba’ buona in campo letterario. Balestrini è grande e lotta insieme a noi.

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sergio garufi
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Sono nato nel 1963 a Milano e vivo a Monza. Mi interesso principalmente di arte e letteratura. Pezzi miei sono usciti sulla rivista accademica Rassegna Iberistica, il quindicinale Stilos, il quotidiano Liberazione, il settimanale Il Domenicale e il mensile ilmaleppeggio.
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