L’ingegnere in blu

arbasino2.jpgdi Linnio Accorroni

Chi conosce il D’Orrico style, recensore optimo e maximo che sulle patinate pagine del “Magazine” del Corriere della Sera stronca (max. 25 parole) o beatifica (max. 2 paginate), sa quanto la medietas a lui paia virtù desueta e repulsiva, estranea comunque all’irrefrenabile bizzosità che contraddistingue le sue scelte. Per cui non si prova nessun particolare trasalimento quando leggiamo che, per lui, questo L’ingegnere in blu, miscellanea di Arbasino dedicata a Gadda, è un libro che lo ha divertito ed incantato fino alla commozione. Maggiore è lo stupore e la perplessità che ci coglie invece quando il Critico per antonomasia del Corriere aggiunge: “…viene voglia di chiedere un bis, un libro simile ma scritto questa volta sullo stesso Arbasino. Ma c’è qualcuno capace di raccontarcelo come lui racconta Gadda?”. In realtà, quel libro è già stato scritto. Anzi a pensarci bene, è proprio quello che D’Orrico ha recensito con quei toni enfatici, quasi da epinicio, sopra ricordati. D’Orrico dunque auspica la scrittura prossima ventura di un libro che già esiste? Leggendo questo Adelphi, infatti, si assiste, con lo scorrere delle pagine, ad una specie di bizzarro prodigio che irretisce e smaga il lettore, convinto di aver comperato un libro su Gadda, ma che, alla fine, si trova a leggere un libro su Arbasino scritto, per sovrappiù, proprio dall’autore dell’indimenticato Fratelli d’Italia. È dunque un’ autobiografia, per interposta persona, il libro di cui stiamo parlando? Direi proprio di sì: a leggerlo è come se la corpulenza pachidermica dell’Ingegnere, la sua ingombrante, cerimoniosa presenza di “celibatario solo come uno stecco”, pagina dopo pagina, perdesse volume e consistenza per confondersi ed attagliarsi sempre di più alla silhouette sbarazzina e chiacchierina di quello che, a dispetto degli anni, pare sempre e comunque un ‘giovin signore’ di Voghera, un insuperabile causeur e fluviale affabulatore, sospeso eternamente tra gossip, bêtise e Saint-Beuve. Eppure lo stesso Arbasino, nel testo che conclude questa raccolta, scrive, bontà sua, che i critici non dovrebbero mai tentare di surclassare ‘l’oggetto biografato’, ma semmai assolvere compiti di mero gregariato:“ indicando la strada, porgendo borracce, panini, consigli severi o gai, ammoniaca da applicare contro le punture d’insetti, emostatico contro il sangue dal naso, cogliendo rose di macchia sulle siepi, al passaggio, e zufolando, cantando, magari con frizzi mordaci a chi sta indietro, per non far sentire la noiosità delle tappe più lunghe”. Niente di tutto questo, invece, in questo blu Adelphi, nessuna funzione ancillare del critico. Qui Arbasino infatti dismette le grate incombenze del gregario appena dopo poche pagine, assurgendo a leader indiscusso e protagonista quasi incontrastato dell’opera. Pochi i Gadda, moltissimi gli Arbasino, potremo celiare rifacendoci al perfetto titolo di un libro di Busi di qualche anno, sperduto tra cazzi e canguri in terra australiana. Va anche sottolineato il fatto che i sei movimenti che compongono questo mémoire non recano su di sé neppure la freschezza dell’inedito e della novità, ma piuttosto sono macchiati dalla lepida reiterazione del dejà lu . I primi due saggetti infatti “Genius Loci”, seguito dall’intervista “La formazione dell’Ingegenere”, sono già apparsi in Certi romanzi ( Einaudi, 1977). Il sesto è il proverbiale “sketch molto generazionale” (Arbasino dixit) intitolato “ I nipotini dell’ingegnere” pubblicato prima sul Verri alla fine degli anni ’50 e poi in Sessanta posizioni (Feltrinelli, 1971). Il terzo capitolo “L’Ingegnere e i poeti” è invece una sorta di crestomazia dei giudizi dell’autore del Pasticciaccio su alcuni numi sacri delle patrie lettere: il vilipeso e irriso Foscolo, il fastidio per “l’esibitivo e narcissisico” D’Annunzio, la “scioccaggine pascoliana”, gli amatissimi Carducci e Manzoni, etc…A conti fatti, quindi, solo i capitoli intitolati ‘Una Lombardia fantasma” e “Cartelle memoriali” paiono quelli davvero del tutto ex novo. Ma sono poi proprio quelli dove Arbasino sciorina tutto il meglio del suo repertorio: calembours, note azzurre da nipotino di Dossi, scorribande filologiche, extravaganze linguistiche ed esistenziali a getto continuo, arabeschi e cabaret scatenati e torrentizi. Vien quasi voglia, come salvifica barriera da opporre a tanta dissipazione verbale, quel titolo di un libro di interviste rilasciate da Gadda fra il 1950 ed il 1972 pubblicato qualche anno fa, nel 1993, sempre dall’ Adelphi. Più un’implorazione che un ammonimento, entrambi caduti in un desolante dimenticatoio: “Per favore, mi lasci nell’ombra”.

(uscito su Queer del 17/2/2008- inserto domenicale di Liberazione)

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29 Commenti

  1. “La rete, che voleva pigliare li pesci, fu presa e portata via dal furor de’ pesci.
    Questa favola poco piscatoria è detta da Lionardo.”
    (C. E. Gadda, Il primo libro delle favole, fav.113).

  2. ‘Pochi i Gadda, moltissimi gli Arbasino’.
    d’accordissimo, mr. accorroni. per non parlare di un grande gaddista di mia conoscenza, che ha il coraggio di dire che il brillante giuggione di cui sopra (lo) annoia, alla lunga…

  3. ‘Avendogli un dottore ebreo, nel leggere matematiche a Pastrufazio, e col sussidio del calcolo, dimostrato come pervenga il gatto (di qualunque doccia cadendo) ad arrivar sanissimo al suolo in sulle quattro zampe, che é una meravigliosa applicazione del teorema dell’ impulso, egli precipitó piú volte un bel gatto dal secondo piano della villa, fatto curioso di sperimentare il teorema.
    E la povera bestiola, atterrando, gli dié difatti la desiderata conferma, ogni volta, ogni volta! come un pensiero che, traverso fortune, non intermetta dall’ essere eterno; ma, in quanto gatto, poco dopo ne morí, con occhi velati d’una irrevocabile tristezza, immalinconito da quell’ oltraggio. Poiché ogni oltraggio é morte’

    CE Gadda `La Cognizione del Dolore`

  4. A mio modo di vedere le biografie di un narratore non dovrebbero essere scritte da altro narratore, per quanto “amico”, ma da biografi attenti, umili, sul serio.
    Infatti come può Arbasino essere “fedele” a Gadda, ed attento, quando s’impingua di rose di zufolare ed altro;
    al massimo può essere fedele sè stesso.

    MarioB.

  5. Per contrappasso è toccato al ciarliero narcisista di essere intervistato domenica sera da Fazio, che quando intervista gli altri in verità sembra che intervisti se stesso, tanto si sovrappone continuamente con nuove domande alle risposte incompiute dell’interlocutore.

  6. D’Orrico è quello che per stroncare Hitler di Genna ha riesumato Hitler stesso e gli ha fatto un’intervista impossibile- sul magazine del corriere del 24 gennaio – chiedendogli cosa ne pensava del libro su di lui. Un’idea disgustosa, un’iniziativa nata da qualcosa di marcio dentro all’intervistatore.

  7. cos’è la recensione di una recensione, un nuovo genere?
    averne di Arbasino sovrapposti a qualsiasi cosa
    lui che ha di che sovrapporre

  8. Il “ciarliero narcisista” è alcuni milioni di siderali spanne al di sopra di ogni considerazione critica così come la vedo fare in rete.
    Un po’ di senso delle proporzioni avrebbe un effetto tonificante sulle menti, io credo

  9. Ah si ricordo bene questo signore
    Che con fulgore attraversava gli anni sessanta
    E poi gli ottanta e perché no i novanta e i mille
    E poi portava la sua enorme testa oltre confine
    In quel di Chiasso a cercar fracasso in una letteratura tutta
    Avanguardia a respirar petardi e botti e frastuono innocente
    Senza venir mai a capo di niente…

    Francesco C.

  10. Ho tentato per anni di leggerne i libri, i pezzi sul giornale.
    Per anni ed anni a rincorrerlo scansando quel discorso continuamente interrotto, nemmeno divagante, ma propriamente sisto-diatolico, una pompa di scrittura di cui cercavi di mettere assieme il senso, riuscendoci di rado, che poteva finire in qualsisi modo, che si dilungava in frocerie mondaniche, che parlava d’arte – Grandi Mostre all’Estero – allo stesso modo non-scialante con cui scriveva di melodramma – Grandi Spettacoli all’Estero – e tutto quello che dovevi ricavarne era solo un abissale senso di provincia e provincialismo, leggendolo ti dovevi sentire immerso in una morta gora di morta cultura a fronte del polimorfico, del cosmo-polito, del sommo tessitore di leggerezze contro-intuitive la cui traccia durava nella tua mente per lo spazio di un nano secondo servendo solo in definitiva a farti sentire una bestia d’ignoranza, ma quella era cosa che già sapevi.
    Il resto la parte classica, vale a dire quello che resta dopo che hai tolto la testa e la coda, l’avevi letto eoni fa, e anche allora eri in contro-tempo, perché ti lasciava indifferente, anzi un po’ irritato.
    Ad Arbasino abbiamo dato tutta la nostra attenzione, dalle nostre infime cavità di intellettuali dilettanti lo abbiamo tenuto in grande considerazione, ci siamo sentiti piccoli e umili, ma adesso, grazie no, per quanto mi riguarda sono sazio. Anche il mont blanc alla fine ti riempie.

  11. Tranquilli: Arbasino non legge la blogaglia letteraria e neanche poetessi esordienti. Datevi una calmata. Non risponderà alle insolenze, come sempre. Inutile agitarsi…

  12. Cristoforo Prodan, ti lascio tutta intera l’omofobia clerico-fascista. A ciascuno il suo. Mi tengo stretto (e leggo, rileggo Arbasino). Tu i tuoi pregiudizi e rozzezze…

    Sergio Pasquandrea: certo, è un tuo limite.

    Tashtego: ma se alcuni sono stati morsi dalla tarantola, dove la senti questa tranquillità?
    Arbasino divide ed è superinvidiato: è ricco, indipendente, colto, ha letto tutti i libri, è intelligente, brillante, elegante, con lui non ci sia annoia mai ad ascoltarlo (ma è abbastanza esclusivo e di conseguenza inavvicinabile). In definitiva ha tutto quello che manca ai poetessi oggi in circolazione. Questo è il dramma.
    Buon Giorno a tutti…

  13. Non so,
    quarantacinque anni fa mi comprai La narcisata e la controra di Arbasino, ( allora cercavo di leggere tutto quello che di nuovo usciva che sapesse d’avanguardia et simili gruppi 63 e edizioni grige Einaudi e via) e cercai di mandarlo giù; io finivo tutti i libri che compravo, allora, ma mi stette sul gozzo e mi annoiò, forse non lo finii, ma non si diceva in giro, ciò, perché non faceva fine dirlo.
    Poi non terminai pure Fratelli d’Italia e altre cose arbasiniane, sempre senso di inutilità, noia, fastidio, pettegolezzo a iosa.
    Sarà coltissimo il n/vostro vogherese,
    però a me pare più che altro eruditissimo, colui che ha visto tutto e tutto compulsato e cerca sempre di fartelo pesare,
    e ciò a me m’annoia mortalmente,
    è n’attegiamento snobbone quando non altezzoso.
    In fin dei conti sottoscrivo l’amico Tashtego.

    MarioB.

  14. @ Giorgio Di Costanzo
    Caro, hai capito esattamente il contrario. Sottolineavo infatti in maniera critica il linguaggio omofobico usato da Thashtego nei confronti di Arbasino, che considero il migliore scrittore italiano vivente. E paragonavo quel linguaggio a quello di Céline. Ovviamente era una provocazione. Non penso – lo spero – che Thashtego ce l’abbia seriamente con gli omosessuali, così come non penso che Céline ce l’avesse con gli ebrei. Tant’è.

  15. ok ok, tutto bene, ognuno dice la sua. Siamo nella e-normalità. Poi che tash sia un po’ omofobo, si sa, anche se in verità cerca di non farlo capire, e parla bene dei pedofili (come se le due cose c’entrassero un cavolo), volendo dar loro anche un retroterra legittimante, nell’antica grecia dove secondo lui, come ha detto più volte, se la facevano legalemtne con i bambini (anche se avevano 16 anni e passa), a lui basta bubare e lamentarsi.
    Giorgio inosrge sdegnato.
    georgia puntializa.
    Insomma siamo nella normalità del blog, ma … ma …. ma paragonare tash a celine … suvvia siamo seri. Ma … avete mai letto celine?
    geo

  16. d’accordo con georgia su tutto.
    aggiungo che:
    1) non sono omofobo, ma non sento di doverlo dimostrare a nessuno, dunque si pensi ciò che si vuole;
    2) dei pedofili non parlo né bene né male, mi limito a respingere la loro demonizzazione, come ogni altra demonizzazione.
    Potrei aggiungere altre considerazioni, ma non mi va.
    Mi limito a dire solo che ritengo il politically correct una forma di stupidità collettiva dalla quale occorre guardarsi.
    “Frocio” è una parola che mi piace molto.
    Molto più di gay, molto più di omosessuale.
    Usare la parola frocio quando pensiamo che sia più efficace e bello, non comporta necessariamente che si odino i “froci”.
    Pasolini, da friulano, scriveva “froscio”, che è bellissimo.

  17. Tash, ma non eri tu quello che si lamentava per le battute che Garufi aveva fatto sui vecchi? Che c’è, il politically correct è una «stupidità collettiva» solo quando riguarda gli altri?

  18. Carissimo Sergio, perché ‘epinicio’: cioè (canto) ‘sulla vittoria’? Forse qui sarebbe piuttosto il caso di ‘peàna’, cioè elogio – o no? Il libro di Arbasino du Gadda però mi attira molto (e non ‘mi intriga’, come dicono i poveracci), anche se ascoltare Arbasino da Fazio una settimana fa mi ha veramente fatto inalberare: come quando leggo certi suoi corrivi corsivi sul CorSera, non ci si capisce letteralmente … ‘una mazza! (absit iniuria verbis), tanto tutto lì è implicito inferito stringato strizzato ridotto! Dell’esercizio della critica del signor D’Orrico poi taccio direttamente: persino Vincenzo Mollica (Mollichone!) è meglio, diciamo più … schierato. A’ toute! SK

  19. Su “Repubblica”, su “Repubblica” scrive Arbasino. Da almeno trent’anni non collabora al Corsera…

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sergio garufi
sergio garufihttp://
Sono nato nel 1963 a Milano e vivo a Monza. Mi interesso principalmente di arte e letteratura. Pezzi miei sono usciti sulla rivista accademica Rassegna Iberistica, il quindicinale Stilos, il quotidiano Liberazione, il settimanale Il Domenicale e il mensile ilmaleppeggio.
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