Articolo precedente
Articolo successivo

I morti

fine-del-picnic-krauser.bmp

di Nadia Agustoni

Ricordo case come querce e i campetti di calcio, un paese nudo con il tempo disteso e la luce a sera presa di foschie. C’era un freddo più intero a ottobre, più compatto nel mutarsi dei colori e il cielo era di alta nuvolaglia e di dura tramontana. I muretti gelavano al primo trimestre scolastico e selvatica la pioggia, neanche cadeva, veniva avanti a giornate, sembrava sciolta sulla terra e brucava l’aria. In disparte, appena certa di noi, c’era la muraglia degli stabilimenti, un crollo sui nostri crolli. E’ rimasto l’odore di cose che han bruciato. C’è un salto che gli occhi riempiono di anni e m’accorgo che non ci sono bambini in giro, ma sono io a far pensiero grosso di abitudini finite. Il 13 dicembre ci salvava entrando dai camini e dalle finestre. Scendeva un asino dal cielo, dalle stelle, da un posticino lassù e portava una santa con i regali. Alle nove non c’era chi fiatasse e ciotole d’acqua e latte erano a tutte le porte perché si dava noi pure qualcosa. Spavento era parlare di carbone, ma poi succedeva altrove, in case di cattivi pensieri. Il carbone era per i bambini cattivi e mai si sapeva a chi toccasse se non per rimproveri vaghi. L’ultima sirena delle fabbriche alle dieci di sera faceva quasi fumo, era un pensiero denso. Tutto si fermava. Tutto era riempito dal tempo ma senza ci accorgessimo di giorni lunghi o corti. La noia era pigra, migravamo nei campi e dai campanili batteva non l’ora, ma una soglia che cedeva tra terra e azzurro. C’era un silenzio di frasi taciute e una lingua per i morti. I morti erano sempre ricordati. Erano in un mondo vicino, forse lo stesso nostro mondo e se erano soli si facevano sentire. Brutta cosa “quando danno segno”, ma a rispondere ci pensavano in molti e mettevano sentiero come di sassolini con voci e requiem di donne e vecchi. I morti si salvavano sempre secondo i vecchi. “ C’è qualcosa”, dicevano, “ che li tiene qui”. A volte “ succede un’ingiustizia e loro aspettano chi metta pace, chi aggiusti le cose rotte, perché va riparato quel che deve essere riparato, che non va bene altrimenti e loro aspettano”. Se invece erano cattivi “ fanno segno a chi li capisce dei suoi, che bisogna facciano mostra di aggiustare al meglio per chi non può più, il male fatto “. Le cose rotte e aggiustate come cicatrici. I fatti rimessi in sesto magari tardivamente perché ci fossero meno vuoti, meno luoghi d’entrata al dolore. I morti erano segni, la loro attesa aveva vita, sonno e veglia. Andavano anche a dormire, me lo dicevano con certezza i lumini dei cimiteri. Ceri rossi di una volta che di notte erano confine. I morti erano anche i morti di lavoro. Poteva esserci una frustata nell’aria che era la stessa sirena di chiamata d’ogni giorno, ma veniva all’improvviso. C’erano questi morti che nessuno sapeva il perché. File di biciclette sulle rastrelliere e due o tre o quattro non venivano tolte che da mani pietose dopo uno stretto tempo di lutto. Come se il lutto finisse riportando le biciclette alle mogli. Quelli che morivano come a un colpo di sfortuna sembravano più toccati dalla vita che dalla morte. E’ rimasto indietro il gesto di chi li andava a prendere quasi fossero i caduti su un campo di guerra. Gesto di memoria e di conoscenza che li ricomponeva in una coperta. I morti di tutti . Era una morte che non finiva da sola.

(Frammenti da: Con vista sul tempo. Immagine: Krauser – Fine del picnic, 2000)

Print Friendly, PDF & Email

36 Commenti

  1. Molto bello il testo di Nadia Agustoni nella sensabilità dell’infanzia attraversata, sotto l’occhio dei morti.
    Un ambiente che sembra legata a un altra epoca, più lenta, immaginativa.
    La pittura mi ha fatto pensare a un universo verde, di silenzio.
    Ora è molto difficile ascoltare la nature, rimanere nel silenzio.

  2. un abbraccio a nadia e veronique.
    molto bello il testo e molto affettuoso il commento.
    le donne ci sono ancora….

  3. Grazie, cara Nadia.
    Da noi una volta dei morti si diceva soltanto “eh… l’è andà”, senza coraggio di ripetersi circostanze e dove. Per paura di troppe parole, come se le parole fossero in grado da sole di creare e cambiare i fatti. Però gli si mettevano cinque lire in tasca per pagare l’ingresso a San Pietro alla porta del Paradiso. Prezzi modici.

    ,\\’

  4. “…e selvatica la pioggia, neanche cadeva, veniva avanti a giornate, sembrava sciolta sulla terra e brucava l’aria.”
    scrittura arte-fatta.
    cioè conformata ad arte, costretta e trafilata nell’ambito della prosa d’arte.
    in quanto tale mi sembra sapere di stantìo e di voluto.
    ma è solo un’opinione tra le molte possibili.
    e non è nemmeno la sola: da qualche tempo questo modo atteggiato di scrittura sembra in maggioranza, qui.
    forse è distrazione dei redattori superstiti.
    forse è a gusto loro.

  5. … sì, Tashtego ha proprio ragione: a volte qualcuno ha la grazia di scrivere risparmiandoci la poetica degli slip che tirano al cavallo e dei calzini che stringono al polpaccio degli eterni perdenti.

  6. da bravo indiano superstite, ammiro molto la prosa di Nadia, che, come ogni prosa d’arte, è per l’appunto costruita con scopi artistici. L’aggettivo arte-fatta, così scritto, a me suggerisce proprio questo e in questo senso è assai positivo, con buona pace delle intenzioni di Tashtego.

  7. @franz
    strano che una notazione critica, certamente breve e approssimativa, ma con un qualche contenuto, provochi reazioni così aggressive.
    a me sembra cattiva scrittura, ma è solo un’opinione: sottolineare che è solo un’opinione è un invito alla discussione, che naturalmente cade nel vuoto.

    a queequeg, che mi rin-faccia qualcosa che è scritta nel risvolto di copertina del mio libro (che eleganza), suggerisco di posarlo lì, può risparmiarsi di aprirlo.

  8. però in generale il problema post da t.
    ce lo dobbiamo mettere tutti. un abbraccio agli indiani superstiti.

  9. Tashtego, mi pare che sparz ti abbia risposto senza aggressività, argomentando non certo meno di quanto lo abbia fatto tu. E comunque – posto che tu giustamente recrimini contro la mancanza di eleganza di queequeg – non è che tu sia stato inappuntabilmente elegante nello scrivere “indiani superstiti”, su, dai, lo sai da solo.
    Nel merito, la frase che citi a me apre mondi, col suo eccesso di connotazione. Richiede un po’ più di attenzione, è vero. Ma ogni parola è precisa, proprio nella misura in cui designa un’eccedenza – di senso, di sensi.

  10. …già posato molto tempo fa… dopo aver letto le prime due pagine del tomo, non è un caso che mi sia rimasto impresso solo il risvolto di copertina e quella brutta faccia tatuata che vi campeggia, ma io, contrariamente a te non mi permetterei mai di dire che è “cattiva scrittura”. Ma forse, se a te interessase saperlo, che è molto lontana dalla mia sensibilità.

    la tua “notazione critica”, con frecciatina finale da volpe e l’uva, è assai poco degna di nota.
    sottolineare poi che è solo un opinione è la solita ipocrisia.

    la prosa poetica è una capacità davvero rara per ritmo e cesure.
    e non è poi cosi costruita come si potrebbe pensare.
    c’e chi racconta trame e chi svela orditi.

  11. “c’e chi racconta trame e chi svela orditi” – sintesi perfetta.
    E sono assolutamente d’accordo, troppe volte si fa passare per giudizio di “cattiva scrittura” ciò che è attiene alla propria sensibilità.

  12. Molto bello questo brano. mi è piaciuto molto, così come la sua prosa lieve ma intensa. brava.

    grazie
    lisa

  13. mi spiace che la parola “superstiti” sia stata interpretata male.
    l’ho scritta senza intenzione alcuna.
    però allora voglio tranquillamente far notare che (a mio parere) il tipo e il contenuto dei post sia un po’ peggiorato da qualche giorno a questa parte (potrei fare degli esempi, ma non li faccio per non allargare la polemica): ma può essere un caso, certo.

    quanto alla volpe e l’uva, queequeg, non so chi sia la volpe e dove stia l’uva: se ti va puoi provare a chiarire, ma non è molto importante.

    non so, ma l’immagine che mi viene proposta, a me che la leggo, che opero attivamente nella lettura, della pioggia che bruca l’aria credo di avere il diritto, appunto come lettore di una cosa che qui viene pubblicata, cioè resa pubblica, cioè sottoposta a giudizio estetico altrui, di dire, a commenti aperti, che è cattiva scrittura.
    allo stesso modo (ma non so cosa c’entri) chiunque può dire lo stesso del mio libro o di quello di qualsiasi altro.

    detto questo, per me l’elegante polemica è chiusa.

  14. Intervengo solo ora perchè arrivo adesso dal lavoro, turno 14/22. Grazie a tutti. Poi, un pezzo può piacere o non piacere.
    Buona serata

  15. Tashtego, uno può dire che qualcosa è cattiva scrittura, certo, ma allora – se si va nel dominio di una presunta oggettività – si deve pure argomentare. Altrimenti è meglio limitarsi a dire, Non mi piace.

  16. A me il pezzo è piaciuto moltissimo. Lieve e intenso, come dice Lisa. Il punto è che non c’è più quasi nulla in giro di cui si possa dire che è “lieve e intenso”. E poi persistente, come un profumo di parola. Per essere prosa d’arte (e perché no poi, chessò Mario Praz non era mica un fesso), non per questo si riduce a un gioco di eleganze verbali, di astuzie sintattiche o di abili metafore. L’importanza di una scrittura, per me, e qualunque sia la sua cifra stilistica, sta nel fatto se da essa traspaia, “passi” qualcosa dell’ordine del desiderio. Le belle cose già scritte sul testo, lo “svelare l’ordito”, “l’eccedenza di senso e di sensi”, le recepisco così. Nadia non sceglie tra l'”energia” del desiderio e lo sguardo distaccato dell’anima: si lascia come in bilico fra i due. E le sue oscillazioni di parola sono ritmo. Fabrizia

  17. (alleggerendo i toni)

    la frase che citi a me apre mondi

    FLIC!
    Anche a me.
    Di quando le parole sono chiavi. Di volta, di violino. Di porte strette.

    Poi, non so come, davvero, così, a cuor leggero e senza precise argomentazioni, si possa contestare che la pioggia autunnale, per la ben nota scienza, poco esatta e molto astratta, della Metereologia Delle Trasfigurazioni, bruchi l’aria. La bruca a più non posso. Per non parlar poi di cielo a pecorelle – acqua a catinelle e del gioco che si fa da bambini di vedere immagini nelle nuvole. In altre stagioni la buca, in altre acora persino la bracca. La morde anche. La accarezza. La taglia e la ricuce. Persino April nonostante, o forse proprio per questo, is the cruellest month con essa risveglia le radici addormentate. A quante cose faccia e sia la pioggia non ci sia limite e divieto.
    Può essere e sembrare nipponica, noiosamente anglosassone… impertinentemente parigina. Piombocarbonica milanese. Nonfalastupidastasera romana. Ad libitum.

    PIOGGIA LIBERA!
    PIOGGIA LIBERA!

    ,\\’

  18. Indubbiamente il testo va riletto a due velocità. La prima volta, ha ragione Tashtego, il lettore incespica in qualcosa che non comprende appieno e ne rimane leggermente disorientato. Però, sempre il lettore, viene comunque pervaso da un senso di cose antiche, passate, da immagini e parole evocate di nonne, con abiti neri (chi ha avuto nonne del sud come me saprà a cosa mi riferisco). A una seconda lettura, più lenta, la prosa artistica di nadia che, evidentemente osa a volte un po’ troppo (come nella pioggia che bruca l’aria) si lascia comunque accettare. Nel complesso il testo funziona secondo me, complimenti, io non ne sarei affatto capace.

  19. mah, forse prima di vivisezionare un testo stilisticamente (nel bene e nel male, dico) sarebbe meglio affrontare il suo discorso formale e poetico – perché parlare subito della in\felicità di una singola immagine senza prima discutere quello che sta al cuore del testo? (quello che gli sta a cuore)

    io sono stata colpita dal contrasto tra il grande affresco artistico (anche manierato, sì, nel suo indulgere sul piacere di certe nostalgie, delle ricercate sinestesie) e il riemergere doloroso e prepotente dell’irrisolto nodo “politico” (i morti DI lavoro), che c’era, c’è e torna ad appellarsi a noi presenti (e vivi?) non solo come problema sociale (i morti SUL lavoro) ma come questione della gestione della morte e, quindi, gestione del tempo della vita (“i tempi del lavoro”, per dirla in gergo politicamente corretto).

    ovviamente questa è una lettura tra le tante possibili – va detto che il pezzo a me pare bellissimo e credo che meriti di essere discusso su diversi livelli.

    re

  20. @rovelli
    avevo scritto, nel primo commento, che la mia “è solo un’opinione tra le molte possibili”.
    argomentare qui è inutile.
    anche commentare per la verità, ma certe volte non riesco a trattenermi.
    me ne scuso con tutti voi.

  21. @ tutti
    un nuovo grazie e una nota. Il testo è uno dei frammenti finali di un libro (poesia) sulla fabbrica e i frammenti ( nella parte finale) evocano un mondo d’infanzia. Questo mondo non c’è più. La trasposizione poetica che ne ho fatto può non piacere o essere letta anche come ” affresco artistico” ma questo non era nelle mie intenzioni. Volevo ricordare, forse salvare qualcosa. Se l’impressione è stata altra è evidente che non ci sono riuscita.

    @tash

    non c’è bisogno di scusarsi. un saluto

    @ renata

    grazie per tutto e per aver ricordato quel contrasto

    @edm

    me lo dicono a volte che disoriento

    @ orsola e fabrizia
    un caro saluto come a tutti

  22. tashtego, ma facci gli esempi, dai, tanto sono anni che ci rompi il belino e anche i coglioni. Si, hai capito bene, mi hai rotto, e quando dico che mi hai rotto mi hai rotto.
    E mi fermo qui, ma fa conto che ti abbia mandato affanculo.

  23. Nadia, e invece il signore deve scusarsi, per tutto il tempo che ci ha fatto perdere, per essere quello che è, l’arrogante tuttologo del nulla che è. Si deve scusare, il nipotino di Stalin con tutte le pezze al posto giusto.

  24. il brano è davvero molto carino, la scrittura potrà anche essere artefatta, ma è comunque poeticamente intonata all’argomento trattato, un nostalgico ed un tantino metafisico f.d.c. che riporta a situazioni e sensazioni infantili che riportano a un problema ancora attuale. bello e scritto come andava scritto. complimenti.
    peccato per i commentatori, un pò alla programma televisivo americano, ma va bè, il mondo è bello xchè è vario, e le zuffe, anche se pena fanno sempore audience.

  25. @franz
    Benché si abbiano opinioni diverse su molte cose, apprezzo la tua schietta et sanguigna aggressività e persino i tuoi “vaffanculo”.
    E ciò a fronte di altre soventi & subdole correttezze.
    Come forse avrai capito aborro l’uso smodato e gratuito della metafora.
    Se piove, piove.
    Punto.
    E si dice che piove e si dice come piove, tipo “piove forte”, “piove fino fino”, eccetera: ma queste sono solo mie maldestre et elementari ricette per uno scrivere non atteggiato, non liceale, non “artistico”, che non si pavoneggi sotto sotto, e, per quanto possibile, non piccolo borghese.
    Per noi nipotini di Stalin la categoria del “piccolo borghese” è ancora valida e, purtroppo, è estendibile ormai a grandi masse di umani.
    Come vedi le mie argomentazioni non sono propriamente critiche (non ne sono capace), ma di gusto, di sensazione, di pelle: credevo si capisse.
    Spero vorrai ritenerle sincere, se pure maldestre, se pure scritte nella modalità asciutta e veloce che (secondo me) il web richiede.
    Questo per accogliere al tuo invito di argomentare.
    Ottemperando anche a quello di andare affanculo, qui non mi leggerai più.
    Un abbraccio e grazie per l’attenzione.

  26. Tu Massey sei quello che sei, uno che mi attacca da tempo senza dire chiaramente il perchè.
    Tu Tashtego sei piccolo borghese quanto me, se io lo sono; solo che aspiri ad altro, magari perchè ti sei fatto il gruzzolo.

  27. E spero che manterrai la promessa, perchè noi piccoli borghesi siamo così, abbiamo buona memoria.

  28. {così, per il futuro, a perdere, a chiosa e chiusa, per altre occasioni di delicatezza che sempre, per fortuna, si ripresentano per rimediare le pesantezze di gratuiti e superflui reciproci insulti e Walzer degli Addìi vari, vorrei dire che questo modo lapidario di argomentare i giudizi critici non fa onore alla legittima eventualità che ognuno abbia le sue ricette di scrittura [personalmente ritengo più liceale l’abuso di litoti e similitudini, puntini di sospensione e punteggiatura anarcoide (ma anche questo è altamente opinabile)]}

    ,\\’

  29. cara nadia, avrei bisogno di contattarti, puoi inviarmi in pvt un tuo recapito su “viomarelli” splinder? grazie, viola amarelli

  30. Non riesco a contattarti dal blog. Chiedi il mio recapito e mail a Liberinversi. Ho avvertito Silvia.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

off/on

(come spesso, la domenica pubblichiamo un post dell'archivio, questo fu pubblicato da Franz l'11 agosto 2008, red) di Franz Krauspenhaar off Con...

Un lupo mannaro (personaggio dei Castelli in cerca d’autore)

di Alessandro De Santis Tutto il giorno aveva...

Miserere asfalto (afasie dell’attitudine) # 4

di Marina Pizzi 246. in un gioco di penombre la breccia della leccornia (la tavola imbandita) per convincere il sole a...

Miserere asfalto (afasie dell’attitudine)# 3

di Marina Pizzi 152. E’ qui che mi si dà il soqquadro dell'amarezza al tasto che tutto può nei tasti gemelli...

Risveglio

di Rosella Postorino Valerio, vieni a bere. Valerio saltella sulle scarpe da ginnastica, le guance rosse di chi ha corso troppo...

Opere italiane # 2 – pilates in England

di Danilo Pinto In Inghilterra ginnastica alla fermata del bus, per mantenersi in forma e volantini illustrano esercizi ispirati alla tecnica del metodo...
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: