Su “Capitoli della commedia”, di Martino Baldi

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di Franz Krauspenhaar

Non poeta nero, non poeta della sperimentazione linguistica, il pistoiese Martino Baldi, nato nel 1970, fine saggista, ha da tempo scelto di usare la parola e il “mezzo” poetico per raccontare la contemporaneità, per svellere tonnellate di terra coprente dai cimiteri dei vivi della nostra società semiaddormentata.
E così nel 2005 ha dato alle stampe Capitoli della commedia, per le Edizioni Atelier, euro 7,50, nella collana di poesia diretta da Marco Merlin, sorta a mio avviso di romanzo in poesia “a sondaggio”. Baldi è sonda letteraria, va quasi random (e rabdom) a bucare nella casualità i personaggi e le situazioni del suo poema casuale, nato dall’osservazione degli spurghi della vita cosiddetta normale.
L’inizio sembra mutuato da un racconto dello scrittore americano Ambrose Bierce, quello del Club dei parenticidi: si intitola infatti Il giorno che uccisi mio padre. Per il resto, il parricidio viene descritto senza particolari sanguinari, così che s’insinua il dubbio, in chi legge, che l’assassinio non sia stato veramente tale, ma semplicemente sia avvenuto un avvicendamento naturale, che il padre sia semplicemente venuto a mancare per lasciare campo libero al figlio, in una questione di spazi vitali, come se la morte di un genitore corrispondesse, tutto sommato, alla sua eliminazione, in quanto è cosa comune che i figli quasi sempre seppelliscono i padri e spesso ne prendono il posto lasciato vacante. Un prologo per certi versi agghiacciante ma mantenuto comunque a gradi di tiepidezza espressiva, perché questa è in ultima analisi la cifra di Baldi: un poetare sommesso e ironico sulle scommesse perse della vita.
A questo punto di partenza, che coincide con la morte di chi ci ha generati (forse apparentabile al “mezzo del cammin della vita” di Dante, età nella quale spesso, per motivi anagrafici, si perde perlomeno un genitore nell’avvicendarsi delle generazioni al comando) segue Lattine, brevi composizioni segnate dalla ricerca, da parte dell’autore, di piccoli piaceri contemporanei, come il sorseggiare una birra fresca, il farsi delle domande importanti senza aspettarsi una risposta, l’ascolto di una canzone di Carmen Consoli; siamo dalle parti di una leggera meditazione, senza grosse pretese, siamo all’abbandono senza passione, in una semplicità industriale, che non chiede nulla e a nulla di particolare è richiesto. In pochi tratti prosastici Baldi ci raffina nella sensazione di essere nella poesia e al contempo completamente fuori, cioè tornati nel mondo delle cose scadute e a poco prezzo; usa insomma la poesia per trasportarsi nella prosa caustica della vita di tutti i giorni, si alimenta di una materia prima di riplendente purezza per non osare un solo passo più in là, per rimanere ancorato sul posto. La poesia insomma per Baldi serve per ripetere al mondo in distratto ascolto sempre lo stesso concetto, vale a dire che nulla è davvero superiore a nulla, e dunque essa deve ormai cantare la strage d’ogni superiorità, d’ogni altezza fissata verso il nulla, e che la poesia è fotografia rimpicciolita della realtà, ed è meglio del romanzesco, perché non deve per forza trovare una storia, una trama, un vero interesse nei personaggi. La poesia, così, può mimare i corti e tentennanti passi della nostra corta e tentennante vita.
Segue Scripta volant, sull’affare poetico, sullo scrivere poesia. Anche qui brevi composizioni che riportano a famosi poeti come Sereni, De Angelis, Carifi, dichiarazioni di effettiva non belligeranza; quello di Baldi è un muoversi arreso per coraggioso principio, è un dare il KO alla poesia per getto della spugna impregnata di sudore e lacrime dalla vita. E poi Capitoli del romanzo, La casa gialla, Esodo e Canzonetta, dove l’approdo alle cose false e verissime al contempo della nostra breve contemporaneità vengono maggiormente fuori dal verso squadernato. Si cita Costanzo, Costantino, Schumacher, nomi importanti e nomi condannati alla dimenticanza, quasi che il poeta desiderasse, tramite la sua opera, consegnarli all’eternità barcollante della poesia. E’ il canto volutamente stonato dell’uomo chiuso in un vicolo, che non vede più eternità né nelle parole né nel suo cuore appannato, e allora si lascia andare all’osservazione e ai ricordi, prendendo gli oggetti di ogni giorno come importante prestito, come cimeli di oggi che domani possano spiegarsi per frammenti esplosi a chi non si sa. Capitoli della commedia è insomma un poema sfilacciato, parziale, e “a campione” della nostra contemporaneità, nuda e cruda, che parla col linguaggio comprensibile delle canzoni ma che sfugge, continuamente, a una comprensione univoca. Un piccolo caleidoscopio puntato sulla vita personale di un uomo che si fa filmato senza colonna sonora di un modo di vivere soprattutto le emozioni, un esperimento poetico che nulla lascia al “bel verso” e al “grande concetto”; e proprio per questo, a mio avviso, merita attenzione da parte di chi con la poesia cerca di avvicinarsi al cuore, dolente e a volte nero, delle cose.

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5 Commenti

  1. Buongiorno. Intervengo soltanto per correggere il dato bibliografico: il libro è uscito nel 2005; quella del 2006 è la seconda edizione.

    Resto in ascolto e disponibile alla discussione, nell’eventualità di interventi. Altrimenti, mi limito a ringraziare Franz Krauspenhaar per l’attenzione al mio libro e Stefano Lorefice per l’apprezzamento.

    Saluti a tutti.

    Martino

  2. La poesia di Martino Baldi è estremamente diretta, immediata, ma anche disseminata di tranelli, botole occultate, che aprono prospettive inattese al lettore.
    La parola pare schiudersi per gradi, l’Io lirico se ne sta in disparte per lasciare spazio ad una memoria che è saldamente percepita nella sua indissolubile, ferma tenacia.

  3. passavo di qua, rincorrendo inquadrature di vita di francis bacon, e ritrovo martino, conosciuto virtualmente in una stanza di libri, mi è piaciuto questo passaggio di affinità tra coloro i quali, perseguitati dalla vita, cercano con il loro mezzo più confacente di riprodurre e ammansire questo fiato sul collo…

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