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Black Hole

blackholeunico.jpg di Michele R. Serra

Charles Burns, BLACK HOLE, Coconino Press, pagg. 368, € 19,00

Sesso e sangue. La sinossi più breve che si possa fare del primo vero romanzo grafico di Charles Burns, autore statunitense di nascita ed europeo d’adozione, con un importante passato di militanza – parola piuttosto appropriata – all’interno del gruppo Valvoline.
Sesso e sangue sono argomenti che non passano mai di moda, dalla letteratura alle prime serate televisive, tant’è vero che molti li usano come scorciatoie per un facile successo. Per evitare fraintendimenti, diciamo subito che Burns è al riparo da qualsiasi insinuazione riguardo a eventuali calcoli commerciali: la sua opera è quanto di meno mainstream possa esserci, costruita per spiazzare, non certo per titillare gli istinti bassi del lettore. Per quello, meglio rivolgersi a BrunoVespa.
Ci troviamo in una piccola città della provincia americana nel corso degli anni Settanta. Un gruppetto di adolescenti è dedito più o meno invariabilmente alla noia, spezzata dal consumo di sostanze stupefacenti e dalla goffa ricerca di sesso. Roba già vista, certo.
Ma ecco la brusca sterzata verso l’horror: una terribile malattia li minaccia. Poco viene spiegato riguardo a essa, eccetto la sua trasmissibilità per via sessuale e i sintomi. Le vittime vedono il proprio corpo trasformarsi in modo mostruoso: c’è chi sviluppa piccole escrescenze sui fianchi, chi una coda, chi è costretto a cambiare pelle tutti i giorni come un rettile, chi addirittura si trova una bocca supplementare sul collo. Burns a volte sembra voler suggerire che il virus dia forma concreta ai tormenti interiori dei personaggi, ma questa rimane solo un’ipotesi. Di sicuro, non c’è il dolore fisico fra le conseguenze di queste mutazioni, solo una definitiva, inappellabile esclusione sociale. Come nella migliore tradizione, alcuni freak finiranno per creare una microcomunità isolata dal resto del mondo, perduta nel fitto dei boschi, protetta in fondo dalla stessa natura matrigna che ha prodotto il virus causa di tante disgrazie.
Facile, e già ampiamente rilevato, il parallelo con l’epidemia di Hiv degli Ottanta. Burns va però ben oltre questa metafora: la riflessione è sul sesso tout court, un’entità capace di portare gioia e sofferenza, catalizzatore dei processi di crescita dei personaggi, motore della narrazione di quello che spesso assume i tratti di un vero e proprio romanzo di formazione. Di più, il sesso sembra impregnare in profondità l’intero mondo di Black Hole, ogni tavola straordinariamente ricca di simboli maschili e femminili, di metafore grafiche più o meno esplicite che martellano il lettore. Inevitabilmente, chiudendo il volume, viene da chiedersi quante ne abbiamo viste coscientemente e quante ne abbiamo recepite in modo quasi subliminale. Fumetto freudiano, potrebbe dire qualcuno. Nel complesso, l’opera dimostra in maniera lampante la sua natura di narrazione a dominante visuale, in cui le immagini sono destinate a pesare inevitabilmente di più rispetto alla parte letteraria.
Detto del sesso, passiamo al sangue. La violenza è l’altra forza primigenia protagonista di Black Hole: subita dai giovani infetti e mutati, è psicologica prima che fisica; il disprezzo e l’odio nei confronti del diverso sono sentimenti tipici dell’adolescenza, limpidamente descritti da Burns. Solo nella seconda parte del racconto la violenza prende forma concreta, inevitabilmente legata a doppio filo alla pulsione sessuale. Ecco, senza volerlo siamo tornati a Freud…
Burns ha dichiarato più volte che il romanzo ha fondamenta autobiografiche; nella fattispecie si tratta di esperienze adolescenziali trasfigurate in chiave horror, filtrate nel fantastico grazie alla mediazione della cultura popolare americana dell’ultimo mezzo secolo: dai college movie ai capolavori di Lynch e Cronenberg, passando ovviamente per la letteratura e il fumetto di genere (i classici anni Cinquanta della Ec Comics, Tales from the crypt su tutti).
Blach Hole è un Amarcord oscuro, in cui non c’è spazio per la nostalgia né per il compiacimento, in continua tensione fra realismo e orrore, che attraversa il libro come corrente elettrica.
L’ultima evoluzione dello stile grafico di Burns, abbandonati retini e mezze tinte, vira decisamente verso un bianco e nero estremamente netto e altrettanto inquietante, splendido e adattissimo alle atmosfere del racconto.
Un buco nero non accetta i colori, perché assorbe e annulla perfino la luce che li crea. Charles Burns e Stephen Hawking avrebbero molto su cui discutere.

[pubblicato su Linus, dicembre 2007]

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23 Commenti

  1. Se ben ricordo ho conosciuto Michele R. Serra a Ravenna con Costantini, Elettra Stamboulis, Squaz e Morozzi. Se sei tu ciao!

    ‘Io’ purtroppo fa una domanda sensata: l’attenzione per gli autori italiani è quasi nulla, le vendite infatti sono sensibilmente più difficili. E questo indipendentemente dalla qualità.

    Morozzi buca questo pregiudizio perché è un autore di romanzi conosciuto, e perché pubblica con un gruppo editoriale con le spalle larghe. Già, tra i suoi due lavori a fumetti, a recensirne solo uno, bisognava scegliere Pandemonio che tra l’altro è stato premiato al Comicon. Solo che Pandemonio si fa vedere meno perché l’editore è piccolo. Eppure è un gioiello.
    Oggi che la critica non esiste, tutto sta nel ricevere un po’ di luce pubblicitaria. Ma la zona buia, credetemi, è piena di cose bellissime e palpitanti.

  2. Sono felice di ospitare Michele, che mi pare faccia un ottimo lavoro di critica. Altri suoi pezzi li posterò in seguito.
    Io, nel mio piccolissimo, dei libri che recensisco, non ho mai controllato la casa editrice (enorme o microscopica) ma sempre la qualità.
    Siamo tutti perfettibili, è vero. Ma già quello che facciamo mi pare governato dalla buona volontà.

  3. Barbieri è mitico.
    E “non si parla di fumetti”, e voi ne parlate, “ma non sono quelli della coconito”, e voi lo fate, “ma non sono italiani”, e voi lo fate, “ma non sono quelli giusti”… è il benaltrista per antonomasia; un vero professionista del cambio di passo. Il prossimo passo è infilarvi una scopa nel culo e spazzargli la casa.

  4. Gianni resto sempre sconcertato dai Tommasi e anche dalle tue risposte. E più in generale da questa cosa abbastanza inutile che è la lit-rete.

    Non sto nemmeno a rispondere a Tommaso che è evidentemente in cattiva fede. A te rispondo perché forse non hai capito il problema. Non metto in dubbio che tu recensisca in buona fede ogni cosa che ritieni buona nel campo del fumetto. Il problema è a monte. A te, come a altri, arrivano pochissime cose di un orizzonte che in questo momento è di una ricchezza inaudita, e buona parte di questa ricchezza viene da autori italiani, che fanno ancora più fatica ad arrivare a te.
    Inoltre non sarà certamente il caso tuo, ma occorre anche avere gli strumenti per capire davvero il lavoro di questi autori, perché stanno costruendo ‘il nuovo’, cosa che nella letteratura, a parte qualche caso, è impensabile…
    E lasciamo stare per favore, almeno tra noi, i discorsi su malafede e cose del genere. Qui si tratta di un ‘sistema’ che è molto più grande di noi due.

  5. Andrea, per piacere, certe volte bisogna saper alleggerire, altrimenti la rissa diventa inevitabile e inutile. Di Tommaso è pieno il mondo, vanno e vengono. I Barbieri sono su NI da 5 anni.
    Viene da chiedersi: se la lit-rete è abbastanza inutile (come tu dici) com’è che tu la frequenti con tale assiduità?
    Io non reputo sia affatto inutile, e credo che qui (come su IPA, Carmilla, etc.) si leggano spesso cose che NON trovano spazio dai molto più inutili e paludati luoghi della cultura ufficiale.
    Noi lo si fa con i mezzi che abbiamo, e mettiamo a disposizione il nostro tempo, rubato alla famiglia, alla vita, al lavoro, perché ci crediamo.
    E’ molto più semplice dire: “così non va”, “dovreste fare cosà”, “questo è giusto, questo è sbagliato”.
    Sono anni che te lo diciamo, ogni volta un indiano diverso, che se vuoi hai a disposizione questo spazio per parlare di quello che altri non parlano: se tu non lo usi vuole dire che per te è meno importante di quanto sembri parlare di autori di cui nessuno parla.
    Mi dirai: ma io non sono un critico. E chi se ne frega! Neppure io lo sono. Meglio una voce, una qualsiasi, che il silenzio assoluto, no?
    Il ruolo di “pungolatore” dopo un po’ stufa, fidati. Metti a disposizione di tutti la tua intelligenza e la tua cultura, non soltanto il tuo naso arricciato.
    Noi ti aspettiamo a braccia aperte.

  6. Gianni, continui a sconcertarmi.
    Mi chiedi: ‘se la lit-rete è abbastanza inutile com’è che tu la frequenti con tale assiduità?’

    Franz una settimana fa scriveva: “Ah Barbieri: stai fuori dai piedi per mesi…”

    O Franz è più sveglio di te, o tu sei un surrealista….

    Per il resto in questo periodo leggo dattiloscritti per un premio letterario. Vedo mostre e frequento gente con cui c’è uno scambio di idee. Non ho nessun ruolo di ‘pungolatore’. L’ho fatto molto tempo fa quando con dispiacere ho visto questo blog cambiare nella linea editoriale. Poi per fortuna ho capito che pungolare serve solo a perdere -e far perdere- tempo.

    Infine, per chi vuole recensioni di fumetti fatte con molta cura e su quasi tutto, può andare qui: http://www.lospaziobianco.it/

  7. Tommaso, perché non ci vediamo da qualche parte e parliamo faccia a faccia. Di dove sei tu?

  8. Ora davvero basta. Andrea e (soprattutto) Tommaso. 18 commenti e nessuno sul pezzo di Michele mi sembra un insulto alla sua intelligenza (e disponibilità).

  9. grazie della cortesia.
    e comunque anche io chiudo qua i miei commenti.
    i miei omaggi
    a tutta NI.

  10. Dico questa cosa poi vi saluto per altri mesi e mesi perché purtroppo non provo nessun piacere a parlare con redattori di Nazione Indiana (da Franz addirittura sono stato chiamato ‘fesso pericoloso’…).
    La recensione credo l’abbiamo letta tutti. E’ scritta molto bene. Non avrei nemmeno colto l’occasione per salutare Michele R. Serra se non stimassi il suo lavoro (lui non si ricorderà, eravamo a Ravenna per la presentazione di Pandemonio).
    Detto questo non è necessario che il colonnino dei commenti diventi il luogo delle chiose di un articolo. Specialmente di questo artcolo, a cui c’è davvero poco da aggiungere. Vogliamo dire che è una riedizione dei tre volumi usciti separatamente in questi ultimi anni e che è molto curata e maneggevole. Vogliamo dire che il fumetto scaturisce da una ‘bibbia’ di Burnes immensa (Igort ha parlato se ben ricordo di centinaia di faldoni di materiale). Vogliamo dire che il disegno perfetto di Burnes è di una classicità michelangiolesca.
    Ma suvvia, non serve dire queste cose. Il cortocircuito è recensione-acquisto.
    Piuttosto si è detto utilmente che c’è un problema di visibilità del fumetto italiano, l’introduzione a questo problema l’ha fatta in modo sgarbato ‘Io’. Però il problema, sgarbo o non, sussiste (e ricordate che questo tipo di problemi sono il motivo per cui la ‘Nazione Indiana’ è nata, la vocazione). Un editore sa che pubblicando un italiano vende meno, quando lo fa, è un piccolo sacrificio che scaturisce dalla visione del mestiere di editore non come un venditore che deve massimizzare i profitti, ma come una ‘funzione’. Lascio a voi il piacere di riempire i termini di questa funzione.
    Tempo fa Voltolini scrisse per tuttoLibri un articolo gentilissimo quanto fermo nel chiedere come veniva trattato il fumetto dai grandi editori. Parlava dei minotauri che cominciavano a fiorire, in cui si affiancavano scrittori affermati (tra cui molti italiani, molti noiristi) e disegnatori più o meno conosciuti. Questo tipo di libro nelle grandi catene di distribuzione ha preso il posto dei volumi in cui il fumetto è trattato come linguaggio narrativo a sé, non come strumento di trasposizione di storie. Sia chiaro, anche nella trasposizione si possono fare cose egregie, il problema è che come al solito si tende a cercare un solo tipo di libro per tutti, e quindi a restringere l’offerta a questo tipo di prodotto (in cui gli italiani riescono ad avere più voce appoggiandosi al ‘genere’). La libreria Mondadori della mia città fino a settembre dell’anno scorso teneva Coconino. Ora ne tiene pochissimi titoli. Però ha una scelta di ‘minotauri’ imponente. così si trasformano le cose. E chi è italiano e fa un lavoro di ricerca spingendo le possibilità narrative del fumetto – penso a un Marco Corona per esempio ma la lista sarebbe lunghissima – ha meno chance di essere presente in libreria.
    Ovviamente sono sicuro che gli articoli di Serra che pubblicherete possono andare in una direzione diversa, ristabilire un equilibrio, ridare respiro all’editoria come ‘funzione’.

  11. sono andato un pò in giro nei vecchi pezzi di questo sito e barbieri ha commentato a marzo, a febbraio, a gennaio, ecc… non male per uno che dice di non essere assiduo….

  12. Ho apprezzato il tuo commento, Andrea (nelle parti non polemiche). E’ quel tipo di commenti che io vorrei da frequentatori del tuo calibro.
    Tommaso, invece: questo è il tuo ultimo in questo treadh. I prossimi li cancello.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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