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Il ribelle in guanti rosa

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di Linnio Accorroni

Giuseppe Montesano ‘Il ribelle in guanti rosa’, Mondadori, 2007, pag.441, euro 19,00.

Dopo essersi occupato dell’ultimo Baudelaire, quello dell’autoesilio nel Belgio e nella sua “Capitale delle scimmie”, (Oscar Mondadori), dopo la perfetta curatela, insieme a Raboni, del massiccio Meridiano dedicato alla polifonica produzione letteraria del poeta de “I fiori del male”, questo tomone ‘definitivo’ di 441 pagine sembra costituire un esito logico e naturale per Giuseppe Montesano e per la sua lunga fedeltà al poeta francese. Un ‘à nos deux, maintenant’ sotto forma di saggio critico (ma la definizione pecca senz’altro per difetto) che uno dei più validi romanzieri e critici delle ultime leve affronta da par suo. In queste pagine, infatti, ritroviamo ancora più acre e implacato quel furor agonistico, quella tensione ad una ‘Bellezza altra’ che sfavilla nella scrittura, sia di pagine che di recensioni, dell’autore napoletano. Montesano utilizza le parole come armi da taglio affilate al setaccio di una critica spietata e mai banale, la lingua che, in una sorta di calco mimetico alla controllata foga baudelairiana, indica l’aspirazione necessaria ad una rivolta etica, prima ancora che ideologica, contro il conformismo sepolcrale di una scena politica e culturale dominata, allora ed oggi, dal consenso inane alle leggi della mercificazione e della sacra triade del ‘produci, consuma, crepa’. Baudelaire e la Francia di quell’epoca rappresentano, da questo punto di vista, per Montesano, un persuasivo banco di prova: non solo dunque il confronto con il Baudelaire poeta e scrittore, auscultato dal versante meramente lirico, ma anche un confronto pienamente ‘politico’, con sguardi inorriditi e desolati sul ‘ciò che noi siamo’, su questo lugubre scorcio della civiltà occidentale. Il tempo di Baudelaire è il tempo che ha preceduto e, per tanti aspetti, preparato il nostro: quante delle sue feroci invettive politiche e morali, intinte nella feroce bellezza di uno stile raffinatissimo ed inimitabile, s’addicono perfettamente come un guanto ( rosa o no, poco importa) a questi anni. E quale quotidiano, oggi, avrebbe il coraggio di pubblicare, visto il livello medio del giornalistichese, quella prosa e quella poesia furente ed incandescente, che tanto sapientemente miscelava la corda lirica e quella grottesca? Questa di Montesano, comunque, non è certo una biografia, almeno nel senso più usuale del termine, ma uno zibaldone: filosofia, teologia, politica e critica d’arte rivisitati dalla sterminata conoscenza del critico che coglie, in questo libro, le connessioni più affascinanti e ustorie. Il ritratto di Baudelaire che pagina dopo pagina si compone è illuminante perché profondamente diverso, perché nonostante le migliaia di pagine che sono state scritte sull’autore francese, pare quasi dissonante rispetto a ciò che già si sapeva. Mai come in questo caso, la evidente empatia fra critico e ‘biografato’ non nuoce, ma anzi è condizione indispensabile alla ricreazione di una immagine di un Baudelaire che spiazzerà e sorprenderà felicemente anche coloro che pensavano di sapere tutto dell’autore francese .

Scrivere una ‘biografia letteraria’, anche se questa è definizione inadeguata per questo ‘Il ribelle in guanti rosa’, è pratica temeraria ed improvvida. Se poi l’oggetto preso in considerazione si chiama Charles Baudelaire, l’ardita spericolatezza di una scelta siffatta risalta ancora di più. Come mai lei è cosi tanto attratto dalla figura di Baudelaire ?

Forse oggi vale la pena fare solo cose che siano “temerarie e improvvide”. La letteratura si avvia a essere sostituita da una forma nuova di uso del tempo libero che è un misto di cultura e pubblicità innocua e sedativa, e la poesia di Baudelaire è la negazione di questo sedativo. Baudelaire sta all’inizio di un’epoca nuova che dura ancora ed è in parte ancora la nostra, e questo lo fa diventare un antenato vicinissimo a noi. Dopo aver lavorato a lungo su Baudelaire e sulla enorme bibliografia critica che lo avvolge, non ero contento. Baudelaire era in gran parte stato mummificato ripetendo interpretazioni vecchie e soprattutto molto ideologiche, ed era diventato una specie di anfibio oscillante tra un De Maistre poetico e un dandy disinteressato alla realtà. Nonostante Macchia avesse smontato, alla sua maniera elegante e soft, l’interpretazione del Baudelaire cattolico, la figura del Baudelaire “grande reazionario” occupava e occupa tutto il campo visivo. Si trattava per me di ripartire dalle grandi intuizioni di Walter Benjamin per scrostare da Baudelaire tutta l’ideologia reazionaria e nichilista da cui era stato avvolto. Niente di più lontano dal nichilismo di un Baudelaire, che si era nutrito del cristianesimo socialista degli utopisti e di Proudhon, di Sade e di De Maistre, ma facendo di tutte le sue letture un uso assolutamente selvaggio, libero, originale.

Una parte notevole del libro è occupata dalla descrizione di uno snodo di fondamentale importanza per la storia francese ed europea. Mi riferisco, essenzialmente, alla rivolta del 1848, alla spietata repressione ed alla restaurazione conseguente che ne seguì. Perché tanta ossessiva insistenza su quella vicenda? Riguarda solo la vita del ‘biografato’ o ‘De nos fabula narratur’?

La catastrofe del ’48, con la sconfitta delle speranze di liberazione collettiva affogate nel sangue dal dominio di Napoleone III, è un momento di assoluta modernità. Napoleone III inventò una forma di dittatura soft, basata sul controllo mediatico e travestita da democrazia populista che si sta ripetendo in forme mutate ma non troppo negli ultimi anni. In un certo senso oggi quel periodo storico è più attuale che negli anni ’30 o negli anni ’50, dove le dittature erano evidenti e apertamente totalitarie. Quello che è davvero interessante è in quella Parigi tra il 1840 e il 1870 è che un poeta, considerato il padre dell’art pour l’art, si sia, in modo tenace e ossessivo, opposto a quel regime: e lo abbia fatto come deve farlo uno scrittore, nella sua opera, riuscendo a fare grande poesia senza affatto trascurare la realtà ma senza lasciarsi dettare dalla realtà l’ordine del giorno. Oggi che molti scrittori e artisti tendono ad autocensurarsi prima ancora che li censuri il meccanismo sociale, la lezione di resistenza sotterranea di Baudelaire può insegnarci ancora molto.

Lei ha tradotto anche ex novo tutti i testi delle opere di B. citati nel testo. Perché? Non la soddisfano appieno le vecchie traduzioni?

Il lavoro su Baudelaire è cominciato intorno al 1990. Con Raboni ho curato il meridiano delle Opere di Baudelaire che è uscito nel 1996, e quasi tutte le traduzioni di prosa del volume erano mie, come mie erano le introduzioni e le note. Restavano solo Les fleurs du mal e gli scritti sull’arte, e per questo libro avevo bisogno di dare al lettore una traduzione che fosse il più possibile letterale, fino a mimare la punteggiatura e la disposizione delle parole e persino la forma esteriore delle poesie di Baudelaire. Così ho ritradotto tutto. Del resto credo che ogni generazione abbia bisogno di rileggere i suoi classici e risentirli nel proprio linguaggio.

Nel titolo sono icasticamente scolpite due fra le tante ‘maschere’ possibili di una personalità brulicante di contraddizioni e di cambiamenti: il dandy ed il rivoltoso. È stata una sua scelta editoriale?

Il titolo si è imposto da solo appena scritte le ultime frasi, e mi è sembrato racchiudere quella contraddizione che stringe come una morsa tutta la figura e l’opera di Baudelaire. L’idea centrale del libro è che tutte le maschere di Baudelaire fossero in parte vere, e che lui avesse adoperato la contraddizione come forma di protezione. Uno scrittore come lui, che ha vissuto sotto tutela giuridica fino alla morte, che doveva elemosinare i soldi a sua madre e al suo tutore-notaio a quarant’anni, che ha cambiato in poco più di vent’anni cinquanta volte casa, non aveva una vita facile. Per portare in fondo la sua opera doveva difendersi con le maschere: quella del dandy fu solo una delle più evidenti.

Ho trovato particolarmente ispirato il tono dell’ultima pagina: è come se lei, con tono profetico, abbandonasse le vesti del saggista-biografo per recuperare quelle del romanziere che vuole indicare una prospettiva che nasce da una personalità tanto complessa: rose rosse e sputi…

Tutto Il ribelle in guanti rosa nasce dalle ultime e dalle prime pagine, e dalla necessità di fare un lavoro da scrittore usando degli strumenti da saggista. Sull’Unità lo scrittore Andrea Di Consoli ha parlato per questo libro di “romanzo critico”, è una definizione che mi piace molto. Io scrivo romanzi-romanzi, racconti, critiche musicali, teatrali, di libri: ma è sempre la stessa persona che cerca di dire in forme diverse ciò che gli sta a cuore, che gli sembra decisivo: la capacità dell’arte di essere una rivolta al mondo come è ma allo stesso tempo una forma di amore per il mondo in cui viviamo. Così nel Ribelle in guanti rosa sono confluite forme diverse tra loro: saggio, biografia, romanzo, critica letteraria, interpretazione testuale. Alla fine nessuna maschera è stata tolta, perché le maschere di uno scrittore sono la sua verità, e la verità di uno scrittore della grandezza primaria di Baudelaire rimane inesauribile. Alla fine delle mie interpretazioni di ogni singola poesia di Baudelaire la poesia resta lì intatta nello splendore delle sue immagini: ancora aperta per chiunque e ancora chiusa per chiunque. E’ il potere di ambiguità della poesia che chiama il lettore a decifrarla: ed è un potere che non ha limiti. Non siamo noi che giudichiamo i Baudelaire o Flaubert, sono Baudelaire e Flaubert che giudicano noi.

A più riprese, nonostante l’ampiezza dei richiami alla poetica di B., sentivo di leggere un saggio fortemente intriso di politica, una specie di spaccato storico non tanto della Francia del XIX secolo, quanto invece concernente lo stato di cose presente. È d’accordo con questa interpretazione?

Il Ribelle in guanti rosa è una foto di gruppo con poeta, ma il poeta è decisamente al centro, e un poeta non può che essere contro la politica così come è fatta nella realtà miserabile di tutti i giorni. Del resto gran parte del libro è dedicata all’erotismo di Baudelaire, al suo essere una sorta di “gnostico” naturale, ai suoi legami con i mistici e gli scrittori eterodossi, al suo essere calato in pieno nell’ambiente letterario dell’epoca, alla sua vita. E’ sempre a partire da noi e dal nostro oggi che vale la pena scrivere sul passato, o no?

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10 Commenti

  1. I Fiori del Male è, per me, una delle più grandi opere nere mai scritte. Per dirla alla Giuseppe Genna, i più dotati scrittori horror moderni gli fanno una pippa. Perché nera? Per le frequenti immagini nere che bucano le pagine e il nostro cervello? Non solo. E’ il poeta, l’uomo che si abbandona al male, alla sofferenza, all’orrido, al ripugnante, con una sorta di voluttà. Rimbaud è il contrario, è l’adoloscente immerso nel fango ma puro, arrabbiato e rivoluzionario. Baudelaire dipinge la donna-prostituta brutta e miserabile, e si bea di scendere tutti i gradini della degradazione, per Rimbaud la donna è la petroleuse delle barricate. Baudelaire sulle barricate c’è stato unicamente per cercare di uccidere l’odiato generale Aupick, che ha commesso il crimine di portargli via la madre. Baudelaire giocava a fare il rivoluzionario coi reazionari e il reazionario coi rivoluzionari; il bigotto con gli atei e il blasfemo coi religiosi; era il poeta rivoluzionario e anticonformista che mendicava una nomination all’Accademia. Era tutto questo Baudelaire, oltre che un poeta eccelso. Non si può parlare di Baudeaire esaltandolo, facendo di lui ciò che non era, né denigrandolo fino al dileggio, come ha fatto Sartre in un libello terribile e per certi aspetti disdicevole, anche se geniale (e mi piacerebbe sapere se Montesano ne ha tenuto conto). Se Baudelaire impersona l’uomo moderno, come ci si ostina a dire, dell’uomo moderno ha la viltà, la grettezza, l’ipocrisia e il conformismo. Quanto al poeta, mi è piaciuto questo passo: “La letteratura si avvia a essere sostituita da una forma nuova di uso del tempo libero che è un misto di cultura e pubblicità innocua e sedativa, e la poesia di Baudelaire è la negazione di questo sedativo.”

  2. Libro davvero magnifico, questo di Montesano. Ciò che mi ha colpito è la ricostruzione minuziosa del contesto storico, quella Parigi, folle e oscura, di metà Ottocento in cui visse Baudelaire. Un libro unico nella nostra narrativa. Bella anche l’intervista.
    corrado benigni

  3. Grazie per il post. Sembra un saggio scritto con uno sguardo vivo, intelligente.
    Il commento di Mauro Baldrati che svela l’anima di Baudelaire et Rimbaud.
    Rimbaud purezza dell’infanzia anche nella scatalogia o la brutezza.
    Baudelaire ha una scrittura che decanta l’orrore, Sadismo e Pieta.

  4. Il libro è davvero interessante. Peccato per la veste grafica, da denuncia. A voler essere pedanti: magari qualche nota… a piè di pagina, o una bibliografia finale… era chiedere troppo?

    FabianLloyd

  5. Libro interessante a quanto pare, anche dai commenti di chi l’ha letto. Ottima la presentazione, complimenti.

  6. Sì, vorrei precisare che quanto ho scritto nel commento si riferisce alla mia lettura conflittuale di Baudelaire, e non al libro, che non mi perderò per tutto l’oro del mondo. Conosco infatti Montesano, che ha curato quel testo terrificante che è “La capitale delle scimmie” (peraltro già recensito da Linnio sul web), dove c’è una sua magnifica introduzione. Eccone un breve passo: “La sua poesia si è nutrita al livello del selciato fangoso, dalla parte del torbido mondo dove il bello è sempre sull’orlo del brutto, nel buio della notte”. Un passo come questo vale, da solo, un intero libro.

  7. ‘forme diverse tra loro: saggio, biografia, romanzo, critica letteraria, interpretazione testuale’: ricordo un’intervista di presentazione a fahreneit, dove Montesano ribadiva con equilibrio e senza troppe pose questo snodo (questa sfida) di metodo e di scrittura, e tentava di estenderlo al futuro (al presente?) della letteratura nostrana, come possibile strada da percorrere fruttuosamente: ‘un lavoro da scrittore usando degli strumenti da saggista’… ci vuole tempo e studio, mi pare, serietà, e poi uno sguardo alla tradizione, alla tradizione del moderno, di cui baudelaire, in questo caso, rappresenterebbe la faccia contraddittoria e dialettica (guido guglielmi ha scritto, sulla scia di benjamin, schegge acutissime sulla ‘modernità’ di b.). una tradizione che nonostante i tanti post e post-post è utile, come si vede, a interpretare l’oggi, non solo a prestarsi per ricostruzioni più o meno erudite del passato: ‘E’ sempre a partire da noi e dal nostro oggi che vale la pena scrivere sul passato, o no?’… invece qui tutti corrono o continuano a correre in avanti, appiattiscono le dimensioni storico-estetiche fino all’ingorgo della cronaca (sempre con un dannato occhio al mercato), e se guardano indietro si tolgono gli occhiali e restituiscono quadri sfocati, pavoneggianti, ipersnobistici, misticheggianti. in generale, dico. insomma, una bella lezione.
    PS. siccome non stecca mai, e appare poco e bene, e quindi può essere come dire una garanzia, perchè non accorroni nella redazione (plurale, plurale, plurale) di Nazione I.? saluts

  8. è tutto molto interessante ciò che si snoda intorno alla figura del grande Baudelaire!

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