Sicurezza contro Privacy

di Bruce Schneier

Se esiste un dibattito che sintetizza la politica post-11 settembre, è quello della sicurezza contro la privacy. Quale delle due è più importante? A quanta privacy siete disposti a rinunciare per la sicurezza? E poi, ci possiamo davvero permettere la privacy in quest’epoca di insicurezza? Sicurezza contro Privacy: è la battaglia del secolo, o almeno di questo primo decennio.

In un articolo del “New Yorker” del 21 gennaio Michael McConnell, direttore della National Intelligence, parla di un progetto proposto per monitorare tutte (proprio così, TUTTE) le comunicazioni Internet a fini di sicurezza. Un’idea talmente estrema che l’aggettivo “orwelliano” è un eufemismo.

Nell’articolo è contenuto questo passaggio: “Perché il cyberspazio possa essere controllato, l’attività in Internet dovrà essere rigorosamente monitorata. Ed Giorgio, che sta collaborando con McConnell al progetto, ha affermato che ciò significherebbe dare al governo l’autorità di esaminare il contenuto di ogni email, di ogni trasferimento di file o ricerca Web. ‘Google possiede registri che potrebbero essere di grande aiuto in un’indagine cibernetica’, ha detto. Giorgio avverte, ‘Abbiamo un detto in questo mestiere: la privacy e la sicurezza sono un gioco a somma zero’”.

Sono certo che abbiano quel detto nel loro mestiere. Ed è esattamente per questo che, quando un governo viene guidato da gente del loro mestiere, si converte in uno stato di polizia. Se la privacy e la sicurezza fossero davvero un gioco a somma zero, avremmo assistito a un’immigrazione di massa verso l’ex Germania dell’Est e verso la Cina di oggi. Se da un lato è vero che in stati di polizia come questi il crimine di strada è minore, nessuno ha dimostrato che i loro cittadini siano essenzialmente più sicuri.

Ci è stato detto che dobbiamo giungere a un compromesso fra sicurezza e privacy così tante volte (in dibattiti sulla sicurezza e sulla privacy, in concorsi di scrittura, sondaggi, articoli ragionati e retorica politica) che molti di noi non mettono nemmeno in discussione l’essenziale dicotomia.

Ma è una falsa dicotomia.

La sicurezza e la privacy non sono gli estremi opposti di un’altalena: non occorre accettare meno di una per ottenere di più dell’altra. Pensiamo a una serratura, a un allarme antirapina e a una recinzione molto alta. Pensiamo alle pistole, alle misure anti-contraffazione delle banconote e a quello stupido divieto sui liquidi negli aeroporti. La sicurezza influisce sulla privacy soltanto quando si basa sull’identità, ed esistono dei limiti a quel genere di approccio.

Dall’11 settembre, tre cose hanno potenzialmente aumentato la sicurezza aerea: l’irrobustimento dei portelli della cabina di pilotaggio, i passeggeri che hanno capito che devono reagire e, forse, la presenza di sky marshal. Tutto il resto, tutte le misure di sicurezza che vanno a intaccare la privacy, si tratta semplicemente di una messinscena di sicurezza e di uno spreco di risorse.

Analogamente, molte delle misure di “sicurezza” anti-privacy che oggi vediamo (documenti d’identità nazionale, intercettazioni senza mandati, data mining su larghissima scala, ecc.) fanno ben poco per migliorare la sicurezza, e in certi casi addirittura la compromettono. E le dichiarazioni di successo da parte del governo sono sbagliate oppure riguardano false minacce.

Il dibattito non è “sicurezza o privacy”, ma “libertà o controllo”.

Lo si può vedere nei commenti di funzionari del governo: “La privacy non deve più significare anonimato”, sostiene Donald Kerr, vice direttore principale della national intelligence. “Invece, la privacy dovrebbe comportare che il governo e le imprese proteggano in modo adeguato le comunicazioni private delle persone e le loro informazioni finanziarie”. Avete capito? Ci si aspetta da voi che rinunciate al controllo della vostra privacy per affidarlo ad altri, i quali, presumibilmente, finiscono col decidere quanta privacy meritate. Ecco che cos’è la perdita della libertà.

Non deve sorprendere che la gente preferisca la sicurezza alla privacy: 51% contro il 29% in un recente sondaggio. Anche se non vi identificate nella gerarchia di bisogni di Maslow, è ovvio che la sicurezza sia più importante. La sicurezza è cruciale per la sopravvivenza, non solo delle persone, ma di ogni essere vivente. La privacy è una caratteristica che riguarda solo gli esseri umani, ma è un bisogno sociale. È essenziale per la dignità personale, per la vita di famiglia, per la società, per ciò che ci rende umani, ma non per la sopravvivenza.

Se si imposta la falsa dicotomia, è naturale che le persone sceglieranno la sicurezza a scapito della privacy, soprattutto se prima le spaventiamo. Ma rimane una falsa dicotomia. Non esiste sicurezza senza privacy. E la libertà richiede sia sicurezza che privacy. La nota massima attribuita a Benjamin Franklin dice: “Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di sicurezza momentanea non merita né la libertà né la sicurezza”. È anche vero che chi rinuncia alla privacy per la sicurezza finirà probabilmente senza l’una né l’altra.

Questo articolo è originariamente apparso su Wired.com. Traduzione italiana a cura di Communication Valley.

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6 Commenti

  1. mentre sicurezza e privacy viaggiano su due piani paralleli, quindi uno può fare a meno dell’altro (io credo che la sicurezza sia più importante)
    lo stesso discorso non vale per: libetrà e controllo,
    la libertà può essere soggetta a controllo, e sarebbe giusto che lo fosse, perchè la libertà da sola può portare alla follia, e il controllo da solo può portare alla prigionia.

    Ottimo articolo!
    Ciao Jan!:-)

  2. La mancanza della Sicurezza può provocare la morte, la mancanza della Privacy al massimo può provocare uno scandalo
    evidente quale sia fondamentale

  3. Mi è parso di leggere – da un’altra parte – qualcun altro che proponeva il gioco delle *dicotomie fondanti* per chiarire e chiarirsi.
    Ogni volta ci casco. Alla prima ci casco: mi sembra un buona idea.
    Poi ci ragiono e canto: la semplificazione è all’inizio del ragionamento, o è quella che si raggiunge nella conclusione?
    Nel primo caso si vuole uno schieramento, nel secondo qualcosa su cui tutti si possano trovare d’accordo.

    Glucksman qualche giorno fa dicolobotomizzava sul giornale in: proibire/non proibire.
    Quello interessante, serbo, in: libertà/uguaglianza.
    Basta dare uno sguardo alle opere dei due per sapere se quello che propongono faccia parte del primo o del secondo caso.

    Di questo terzo, purtroppo non so nulla.
    E non mi ha aiutato certo a farmi un’idea ragionata su questo problema drammatico.
    Solo ad accentuare la sensazione che sicurezza sia di destra e privacy di sinistra.
    Buscherate.

    Qual è la politica sulla sicurezza della sinistra?
    I lavavetri e i mendicanti di Cioni?
    O a un altro, più dignitoso livello:
    quando D’Alema, noi – e io allora ero d’accordo – partecipammo al bombardamento della Serbia, [senza bombardamento morti = X, con bombardamento morti Y; ( X=Y+a)], era veramente questo che facevamo, oppure, come scrisse sul ‘Manifesto’ la Collotti-Pischel, che se ne intende molto più di me, si stava soltanto aiutando gli americani a sperimentare un loro intervento anticinese, nel caso di una secessione del Tibet?

  4. Un’integrazione, anche se siamo fuori tempo massimo:
    qual è la politica di sicurezza ( e di controllo) della sinistra
    che possa soddisfare anche l’elettorato di destra?

  5. interessante discorso, sicuramente il mio intervento non sarà all’altezza, però, ci tengo a dire “BASTA” alla sindrome-sicurezza, i cui dispositivi si stanno blindando sopra le nostre teste, seminando diffidenza, sospetto, muri, gioco al rialzo, regime del terrore e guerre preventive che conducono solo all’escalation.
    senza bisogno di ribadire a che prezzo paghiamo questa presunta sicurezza, rinunciando ogni giorno di più a una fetta consistente della nostra libertà, che nessun eden in gabbia dorata a sensori luminosi o a raggi x potrà mai rimpiazzare.
    e quanto più si rafforzano e si assimilano i dispositivi di sicurezza, tanto più respingiamo l’altro, tanto più aumenta la distanza che, dagli altri, appunto, ci separa.
    una volta lessi un articolo a proposito della Danimarca dove esiste un Personregister, cui i cittadini avrebbero consegnato la loro identità…non conservo più la copia dell’internazionale, ma trascrissi alcune righe perché non riuscivo a credere, perché francamente non sospettavo nemmeno esistesse una cosa del genere, magari voi sì, ma comunque riporto:
    “Personregister…la registrazione centralizzata dei dati personali di tutti i cittadini. […] Da allora in poi ad ogni danese è assegnato un numero CPR, un codice di 10 cifre valido dalla nascita alla morte. Chi non ha un CPR non può lavorare e difficilmente riesce ad avere un appartamento, allaccio telefono, appuntamento dal medico, prestito bibliotecario.
    Lo stato registra continuamente indirizzi, date di nascita, conti bancari, numeri telefonici, redditi annuali, numero figli, religione…
    I dati vengono archiviati in un enorme computer collocato in un edificio di massima sicurezza alla periferia di Copenaghen.
    Copia del database è custodita in luogo segreto…è il cervello della Danimarca. Ogni giorno le autorità inviano al Cpr info su nascite, traslochi. pagamenti. All’inizio dell’anno i danesi ricevono a casa una dichiarazione dei redditi già compilata che devono solo firmare. I ministeri chiedono al CPR quante donne in età fertile, quanti bambini andranno a scuola nei prossimi anni… tecnicamente il ministero degli interni potrebbe sapere con moltra facilità quali libri legge un cittadino o quante volte si è sottoposto al test dell’Aids…
    se si chiede aun danese di descrivere la società risponde senza esitazione: omogeneità…basata però sulla più rigida esclusione e sul risentimento contro gli immigrati”
    a questo punto il mio foglio s’interrompe, ma ricordo che i matrimoni misti venivano a tal punto scoraggiati da costringere all’esilio.
    l’art s’intitolava la “Danimarca L’isola “felice”(sic!) d’Europa

    ecco, appunto, a che prezzo ci vendano (r)assicurazioni, garanzie e quant’altro.

    il monitoraggio costante è una delle peggiori reclusioni,
    mi pare fosse Boccia Artieri ad assimilare il modello disciplinare delle società cibernetiche non alla disciplina -blocco, ma alla disciplina-meccanismo di Foucault, sul modello del panottimo di Bentham: invece che la reclusione al buio, la condanna alla luce o del monitoraggio continuo che influisce a tal punto sui detenuti, tenuti sotto costante osservazione, da giungere sino al punto di incorporare lo sguardo del secondino, per cui il potere dell’ottica diventa l’ottica del potere che si autoinscrive nei corpi.
    insomma, sempre la stessa domanda: a che prezzo? finché siamo ancora, più o meno, in grado di porci una tale domanda….

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