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Tè e tempo: il tè Pu’er

di Livio Zanini

Il fatto che il tè debba essere consumato fresco è cosa risaputa e pretesa dai cultori della bevanda. Ciononostante, spesso nei negozi e nelle case da tè vediamo disposti in bella mostra sulle scansie enormi caddy ricolmi di tè, i cui pedigree non danno alcuna indicazione sul periodo o addirittura sull’anno di raccolta.
Se possiamo in una certa misura permettere una deroga a tale principio per quanto concerne il tè nero, in quanto essendo stato fatto completamente ossidare in fase di lavorazione teme meno le ingiurie del tempo, non possiamo fare altrettanto con il tè verde. Quale vero e proprio “novello” tra i tè, va di norma consumato entro l’anno di produzione, adottando tutti gli accorgimenti che possano in qualche misura rallentare il suo inevitabile processo di invecchiamento e perdita di freschezza.
negozio di te In Giappone, in Corea e nella maggior parte della Cina, dove i tè verdi rappresentano la tipologia più consumata, in passato come oggi la differenziazione tra “tè nuovo” e “tè vecchio” ha una notevole rilevanza. Persino a livello commerciale, l’arrivo del tè nuovo sul mercato segna il definitivo deprezzamento del tè dell’anno precedente.
Tuttavia, ogni buona regola trova le sue eccezioni. Nel caso di un alimento che si presenta in così tante e differenziate forme come il tè, a fronte di un principio riconosciuto e accettato, cioè che la freschezza sia sinonimo di qualità, c’è chi afferma esattamente il contrario. Per parlare di ciò ci spostiamo ad Hong Kong, il “porto profumato” che si affaccia sul mar della Cina meridionale e centro nevralgico degli scambi commerciali dell’Asia orientale.
Sebbene Hong Kong non sia certamente rinomata per la produzione del tè, esiste tuttavia un considerevole consumo di tale bevanda. Tra le varietà di tè più bevute nella ex colonia britannica, oltre al comune tè al gelsomino, troviamo degli ottimi tè wulong e bianchi prodotti nella contigua provincia del Guangdong e in quella del Fujian. Tuttavia, gli abitanti di Hong Kong hanno sviluppato una predilezione per una tipologia di tè particolare che cresce nella lontana provincia dello Yunnan e che lascia di norma assai perplessi e stupiti tutti coloro (cinesi compresi) che hanno l’occasione di assaggiarlo per la prima volta: il tè Pu’er. Questo tè ha un colore, un profumo e un sapore che sanno indiscutibilmente “di vecchio”.
Con il termine Pu’er (in cantonese P’ou-lei) si designa una famiglia molto ampia di tè che comprende diverse varietà in foglie sfuse o, più tipicamente, compresse in mattonelle o in pani. La materia prima è rappresentata dalle foglie raccolte dagli alberi di tè della varietà a foglia larga che crescono sugli altipiani delle regioni di Simao e Xishuang Banna, nella parte più meridionale della provincia dello Yunnan, al confine con Laos e Birmania. Questa viene considerata il centro dell’area da cui ha origine la stessa pianta del tè e attualmente vi vivono ancora numerosi alberi di tè ad alto fusto pluricentenari, il più vecchio dei quali si stima abbia la veneranda età di 1700 anni.
La prima parte del procedimento di lavorazione dei Pu’er ricalca quella dei tè verdi e comprende le fasi di stabilizzazione (trattamento ad alta temperatura), stropicciatura ed essiccazione al sole. Il prodotto semilavorato viene poi sottoposto a cottura a vapore seguita da una foggiatura con compressione in stampi e seguente asciugatura all’aria. La pezzatura dei pani varia moltissimo per dimensione a forma, va dalle mattonelle di foggia quadrata o rettangolare alle focacce di forma discoidale, dai piccolissimi pezzi di Tuocha (a forma di ciotola) di pochi grammi, per arrivare fino a masse di tè compresso di alcune decine di chilogrammi in forma di zucca o di tronco d’albero.
Anche se oggi lo si può considerare una rarità, anticamente il tè compresso rappresentava la forma più comune in cui veniva confezionato il tè in Cina. In seguito, con l’affermarsi del consumo di quello in foglie sfuse, il tè in pani continuò ad essere prodotto nella parte sud occidentale del paese, quasi esclusivamente come merce di scambio per il commercio di frontiera con i mongoli, i tibetani e le altre popolazioni che vivevano ai margini dell’impero. Il tè Pu’er, tuttavia, veniva apprezzato anche all’interno del paese per le sue riconosciute virtù medicinali. Le farmacopee tradizionali attribuiscono a questo tè proprietà eupeptiche – quali aiutare la digestione e dare sollievo allo stomaco – di sciogliere il catarro e favorire la circolazione dei fluidi all’interno del corpo, nonché di essere il miglior rimedio per smaltire i fumi dell’alcool dopo una sbornia. A queste proprietà, le moderne ricerche mediche sembrano aggiungere anche quella di eliminare i grassi e ridurre il tasso di colesterolo.
Nel lungo viaggio che portava le carovane dalla prefettura di Pu’er verso le diverse destinazioni, le mattonelle di tè subivano una naturale trasformazione favorita dal clima particolarmente caldo e umido di quell’area. Forse è da questo che ha origine il particolare “gusto invecchiato” dato come acquisito dagli estimatori del Pu’er e divenuto uno dei suoi tratti caratteristici, così come il processo di stagionatura funzionale all’ottenimento di tale sapore.
Durante l’invecchiamento – chiamato post-fermentazione, per distinguerla dalla fermentazione a cui sono sottoposte le foglie fresche nella produzione dei tè wulong e neri – per effetto di processi di ossidazione e fermentazione, le mattonelle di tè passano dal loro originario colore tendente al verde ad uno marrone-nero tendente al grigio, dalle quali si ricava un infuso di colore marrone scuro estremamente carico e velato. Le note erbacee del tè verde lasciano lentamente il posto ad aromi terziari molto complessi con sentori di muschio e terra, mentre il sapore eccessivamente spigoloso, astringente e amaro che caratterizza le foglie del Pu’er fresco si ammorbidisce sempre più, acquisendo dolcezza e corpo. Oltretutto, il tè – che nella medicina cinese viene classificato come cibo che toglie calore al corpo – con la stagionatura perde la sua carica raffreddante, risultando particolarmente adatto alle persone anziane e deboli di stomaco. Quindi sembrerebbe valere la regola che: più vecchio diventa e meglio è!
Tradizionalmente la stagionatura dei Pu’er viene eseguita lasciando riposare il tè in luoghi asciutti e ventilati per diversi anni. La regola vorrebbe che fossero almeno venti, riservando il titolo di prodotto d’eccezione solo a quelli che superano i quaranta. Tuttavia, tempi così lunghi mal si sposano con le esigenze del mercato e per questo motivo si è data vita ad una tecnica di “maturazione” artificiale per cercare di ottenere in tempi brevi un tè con le caratteristiche di aroma e gusto sopra descritte. Questa consiste nell’inumidire e sistemare i pani di tè freschi in un ambiente chiuso con temperature elevate per accelerare i processi fermatativi. Il risultato finale non è necessariamente inferiore a quello dei tè invecchiati naturalmente: alla fine del trattamento il tè perde il suo gusto astringente e diviene dolce e morbido, mentre il profumo assume il tanto apprezzato carattere vetusto – anche se a volte con eccessive note di stantio o ammuffito.
Secondo i puristi del Pu’er, la differenza principale tra i pani di tè “crudi” (ovvero non trattati) stagionati naturalmente e quelli “maturati” artificialmente sta nella diversa attitudine all’evoluzione del gusto nel corso del tempo. Il sapore di tè non trattato diventerà sempre più dolce e pieno con il passare degli anni, continuando lentamente a trasformarsi grazie ad un processo di invecchiamento naturale. I tè “maturati”, invece, sono subito pronti da bere ma si evolvono solo fino ad un certo punto e poi non godono di alcun beneficio da una ulteriore stagionatura.
Mentre ad Hong Kong il consumo di massa dei tè Pu’er gravita attorno ai ristoranti specializzati nella preparazione degli squisiti dimsum e altre specialità della cucina cantonese, ed è rappresentato principalmente da tè “maturati” di bassa qualità, sovente serviti mescolati con fiori di crisantemo bianco dolce di Hangzhou, i tè di qualità superiore e invecchiati naturalmente sono disponibili nei numerosi negozi specializzati o nelle case dell’Arte del Tè. In questi locali è spesso possibile vedere – vicino al frigorifero per i tè verdi! – grossi quantitativi di pani di Pu’er avvolti nei loro originali imballi di foglie di bambù, lasciati per anni a prendere polvere sulle scansie e a impreziosirsi sempre più.
Questa particolare passione per il Pu’er degli hongkonghesi ha già contagiato gli appassionati del tè di Taiwan e degli altri paesi dell’area. Inoltre, è curioso notare come la mania per l’invecchiamento tipica del Pu’er si stia diffondendo anche ad altre varietà. Nelle case da tè e tra gli appassionati cresce infatti l’interesse per il Dahongpao, lo Shuixian e gli altri tè di rupe (yancha) dei monti Wuyi fatti invecchiare. Si tratta in questo caso di tè wulong a tostatura forte prodotti nella provincia del Fujian, il cui originario carattere aspro e forte sembra smussarsi e migliorare dopo una stagionatura di alcuni anni.

Foto: un negozio di tè a Canton (Livio Zanini)
Pubblicato originariamente in Sloweek 10/12/2001

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15 Commenti

  1. :-)
    che bello svegliarsi così, con un bel tè puer ricostituente, in foglia verde, tiepido (freddo lo lasciamo per l’estate) da sorseggiare con calma ammirando l’interno di quel negozietto…
    Ma, queste “case dell’Arte del tè”, ci sono anche da noi?
    Molto interessante la spiegazione minuziosa di Livio, credo che dopo questa lettura farò più largo consumo di questa benefica preziosa bevanda…
    Ciao:-)
    p.s., io credo che questo tipo di tè, bevuto nella sua zona, nel suo clima, nella sua collocazione geografica, abbia un sapore più buono, che lo spostamento modificherebbe…non so perchè ma mi viene da pensare che sia molto delicato l’equilibrio della sua composizione.
    magari sbaglio…

    Buona domenica

  2. Queste mattine gran tazze di pu’er, complice l’intensa convivialità delle ultime serate: ne confermo le virtù taumaturgiche.
    Piuttosto, ieri ho riesumato un pezzo di tuocha dimenticato in una scansia di casa da almeno 6 anni e non era niente male, incredibilmente dolce e morbido. Si vede che l’invecchiamento barbaro in negozio e nella credenza funziona lo stesso.

  3. cha-o Livio, grazie di queste preziose istruzioni e guide nel mondo affascinante e profumato del tè… Antonello.

  4. ho capito perché il pu’er comprato nel vecchio negozio di coloniali che hanno smantellato nel mio paesino era quello che era… che bello tè e tempo. :-) chi

  5. Esiste persino un Libro sacro del del Té il Cha King, in tre volumi e dieci capitoli, attribuit a Lu Wuhe, che risale alla metà dell’ottavo secolo.
    Un capitolo è dedicato ai 24 strumenti necessari alla preparazione del tè; un altro ai metodi e all’acqua.
    Tre stati nell’ebollizione: il primo quando le prime bollicine, come occhi di pesce, nuotano in superficie, il secondo quando le bollicine sembrano perle di cristallo in una fontana ed il terzo quando le onde salgono dal fondo del recipiente.
    Durante il primo stadio si aggiungeva un pizzico di sale, nel secondo si metteva il té.
    Dopo il terzo stadio si versava infine un po’ d’acqua fredda per ridare la giovinezza all’acqua

    • Cappuccetto » il tuocha è un tè da invecchiamento e in teoria più passano gli anni e meglio è; in pratica quello che ho comprato io è un prodotto corrente, anche se personalmente lo apprezzo molto;
      luminamenti » il Chajing è un “testo classico” del tè, non un testo sacro in senso religioso; vedi Marco Ceresa (a cura di ), Lu Yu, Il Canone del tè, Milano, Leonardo Editore, 1991 (fuori commercio);

  6. Io ricordo che Ceresa lo definisce sacro. Sacri nella cultura cinese sono anche i classici di medicina; è evidente che la parola sacro non ha la stessa connotazione e semantica che noi occidentali vi attribuiamo ( e anche presso di noi ha varie connotazioni). Il rito del Té, in tutte le sue componenti, ha poi complesse valenze simboliche che rimandano ad altro. Sacro in senso religioso? Non saprei, anche il significato di religioso rimanda in cinese a una semantica complessa.
    Non ricordo tutti i 24 strumenti, se riesco a trovare nella mia biblioteca il testo, li scrivo, ti do volentieri l’informazione. Ricordo il tripodel per le braci fino allo stipetto di bambù dove si ripongono i vari oggetti. A giudizio di Lu Yu ( poeta e filosofo della dinastia T’ang, 68-907 ) le tazze più indicate sono quelle smaltate in azzurro, un colore che risalta il colore della bevanda. Alla stessa maniera, sempre per voce di Lu Yu, occorre citare la preparazione del tè, affermandosi sempre in contrasto con gli ingredienti usati nell’epoca T’ang ( ad esclusione del sale ). Sull’acqua ha definito la migliore quella che sgorga da una sorgente di montagna.

  7. Grazie!
    e poi sarebbe bello anche vederli questi oggettini così particolari legati all’arte della preparazione del tè…
    sono tutt’occhi e ‘orecchie’…:-)

  8. certo che portarsi dietro 24 strumenti per preparare un tè magari in mezzo a un prato….non lo trovo pratico!:-)

    il pezzo di Tuocha si mangia direttamente, almeno…

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