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I numeri, la pancia, la ricostruzione

malevic

di Leonardo Palmisano

Per una settimana ho smesso con la politica.
Dopo aver passato i giorni a cavallo tra il 12 e il 14 aprile in treno (Torino-Fasano e ritorno, per complessive 21 ore) a correggere le bozze di un manuale di storia moderna per licei, a chiacchierare con elettori migranti e a litigare con passeggeri arroganti (convinti di avere il diritto di guardare l’ultimo film di Verdone al computer con il volume al massimo, in mezzo a settanta persone del tutto disinteressate – ma anche del tutto prive del coraggio di difendere i propri diritti!), ho deciso che mi meritavo qualche giorno di riposo.
Non sono però riuscito a smettere di chiedermi “Perché di nuovo Berlusconi?”, “In che Paese viviamo?”, e dato che le possibili risposte si rincorrevano e si sovrapponevano l’una all’altra, qualche giorno fa ho deciso che l’unico vero rifugio potevano essere i numeri.
Così, sono andato a prendere i resoconti elettorali delle elezioni politiche dal 1994 ad oggi e ho riportato su due fogli di carta ciò che mi interessava: da una parte i voti di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega; dall’altra quelli dell’ex PCI e dei Verdi. Non ho tenuto conto né delle alleanze (se Rifondazione o la Lega correvano da sole o in coalizione) né delle leggi elettorali, ma solo del numero di voti che posso definire di destra o di sinistra.
Per semplificare, ho limitato l’indagine alla Camera e, per gli anni in cui il sistema era misto (uninominale e proporzionale), ho considerato i dati del proporzionale, che mi sembravano i più significativi.
Il risultato dell’indagine è questa tabella.

Ora, la prima considerazione da fare è che in Italia, dal 1994 ad oggi, c’è SEMPRE stata una maggioranza relativa di destra (perché considerare la Lega un partito di sinistra populista è come dire che il Partito Fascista era un partito socialista un po’ troppo autoritario!).
Le vittorie elettorali del centro-sinistra, quindi, non hanno mai coinciso con un effettivo cambio di rotta da parte degli elettori, ma piuttosto con una perdita di consensi di Berlusconi, e con una crescita, nei due schieramenti prodiani, più della sinistra che del centro.

La seconda considerazione significativa è che i risultati di Rifondazione e Lega, fino al 2006, sono perfettamente paralleli: se si confrontano i dati, si vedrà che quando cresce o cala la Lega cresce o cala anche Rifondazione, e che per entrambe l’anno migliore è il 1996 (poi il 1994, il 2006, e infine il 2001). Se si considera, inoltre, che nel 2006 e nel 2001 c’erano anche i Comunisti Italiani, allora si capirà che non c’è MAI stato quel travaso di voti, di cui molti parlano, da sinistra a favore della Lega – almeno fino a quest’anno.
Gli operai che votavano Lega, insomma, ci sono sempre stati ma, fino ad oggi, non venivano né da Rifondazione né dai Comunisti Italiani: erano semplici elettori della Lega che andavano a votare o se ne stavano a casa.

Infine, un altro dato eloquente riguarda le astensioni: gli anni di minore affluenza alle urne, il 2001 e il 2008, sono quelli immediatamente successivi ai governi di centro-sinistra. Soltanto che, mentre nel 2001 hanno perso voti tutti i partiti di sinistra, nel 2008 i voti ex DS sono saliti quasi ai livelli del 1996 (questo sempre secondo una mia stima basata sulla verosimile impossibilità che la Margherita, con Veltroni candidato premier, abbia portato al PD gli stessi voti dei DS).

Fin qui i numeri.
Il punto adesso è: che ce ne facciamo?, da dove vogliamo cominciare?
Per come la vedo io, bisogna capire prima di tutto che cosa porta un paese in cui la maggioranza delle persone diventa sempre più povera e perde progressivamente dignità e diritti, a votare per un uomo che diventa sempre più ricco e potente calpestando la legge e le istituzioni, e che si ripromette pubblicamente di continuare su questa strada.
La risposta che mi do, numeri alla mano, è questa: la capacità di quest’uomo di “allevare” degli elettori che non abbiano la minima capacità critica, e di riuscire, nello stesso tempo, a portare i propri antagonisti sul proprio campo di battaglia, costringendoli a una guerra al ribasso in ogni settore – dalla cultura ai diritti dei lavoratori, dall’informazione all’ecologia, dalla ricerca scientifica alla laicità dello stato. Non c’è uno solo di questi ambiti politici – le cui regole sono, cioè, stabilite dal potere legislativo – nel quale negli ultimi quindici anni non ci sia stato un peggioramento tanto forte da apparire irreversibile o peggio ancora assuefacente.
Se ci sono, oggi, in un piccolo comune come il mio, dei genitori che permettono alle proprie figlie di non andare a scuola per settimane e di passare la giornata nella sede di un comitato elettorale a distribuire bigliettini per pochi spiccioli; se si sorride, non al bar o allo stadio ma sui quotidiani e nei telegiornali, di una disputa tra Alessandra Mussolini e Daniela Santanché su chi abbia il diritto di definirsi fascista, e di sognare l’uomo che ha emanato le leggi razziali in Italia e che ha perseguitato le donne e gli uomini grazie ai quali viviamo in un paese democratico (alcuni ancora vivi!); se il popolo italiano non ha più memoria né senso civico; se si girano film come “L’allenatore nel pallone 2”, “Eccezziunale Veramente 2”, “Grande, grosso e Verdone”, in una sorta di eterno ritorno al qualunquismo e allo yuppismo; se i programmi televisivi cosiddetti “colti” sono quelli in cui, invece di parlare con Gennarino e Maristella di quando si sono fidanzati, si parla con Antonio Scurati di fellatio e con Walter Veltroni di look, sorseggiando birra; se l’encomiabile Beppe Grillo raccoglie consensi da cittadini che, spesso, nei loro commenti sul suo blog, si dimostrano molto più incompetenti e irresponsabili dei politici di cui si lamentano – i quali sono già irrimediabilmente incompetenti e irresponsabili –; se accade tutto questo è perché c’è una classe politica e dirigente che, in maniera consapevole, con costanza e premeditazione, ha deciso di forgiare il proprio elettorato (già di per sé predisposto alla superficialità) per poterlo adoperare ogni volta che ne avesse avuto bisogno, e perché c’è un’altra classe politica che si è illusa che l’intellettualismo accademico da un lato e la povertà precaria dall’altro potessero compensare il suo rifiuto di imbarcarsi in una guerra culturale necessaria, che andava dichiarata davvero, combattuta davvero, e forse anche persa davvero, ma che avrebbe quanto meno creato le condizioni per ricostruire, un giorno, una società fondata su valori altri rispetto a quelli imposti dal “principale esponente dello schieramento a noi avverso”.
Quello che ora ci tocca, quindi, è ripartire da qui – vale a dire da quindici anni fa.
Se non lo facciamo; se non recuperiamo la dignità e il senso civico che furono dei nostri nonni, dei vecchi che ora aspettano di morire per potersi sottrarre allo spettacolo della macellazione dello Stato per il quale hanno combattuto; se non ci costringiamo a sorridere di meno, a smettere di innalzare la pseudo-ironia a canone di esistenza (ché la vera ironia non è mai imparentata con la pavidità, con la superbia e con l’indifferenza), a riprendere con maggior forza quei discorsi che quindici anni fa reputavamo necessari e che ora spesso vengono giudicati “pesanti” e “vecchi”; se non decidiamo, noi, indipendentemente dalla classe politica, di re-interpretare in modo corretto la democrazia, affermando che ciascun cittadino ha il dovere di prendersi cura, ogni giorno, dei propri diritti; se non ci sforziamo, una volta per tutte, di porci davanti al mondo con la curiosità e con l’umiltà di chi è disposto a ripensare al proprio modo di vivere – e di combattere –, in nome dell’unico fine possibile, che è quello di rimettere in piedi un concetto di progresso che contenga in sé il valore della giustizia; se non ci impegniamo, quindi, a trasformare questa ennesima e dura sconfitta (la peggiore, io credo, della nostra vita di elettori) in un’occasione per tornare a scegliere liberamente, senza vincoli tattici o atti di fede, le ragioni per le quali lottare, allora ci restano soltanto l’omologazione, la posa cinica o la pazzia – l’ingenuità, ormai, non ce la possiamo più permettere.
La sinistra di cui facciamo parte è quella che si è tappata il naso per assecondare una mai riuscita e infruttuosa rincorsa al centro – che tra l’altro, se fosse riuscita, avrebbe portato frutti che non ci sarebbero piaciuti. Il risultato è stato la scomparsa di una qualsiasi voce vagamente “di sinistra” – discutibile e screditata ma forse ancora necessaria – dal parlamento, e l’aumento dell’astensionismo.
L’unica ricostruzione possibile, adesso, è perciò una ricostruzione dal basso, che tenga conto dell’esigenza di un cittadino di sinistra di poter votare per un partito di sinistra; che coinvolga le voci libere, le teste pensanti, capaci di convertire il disagio sociale in forza propositiva; e infine che comprenda e interpreti le ragioni degli astenuti, per recuperarli alla vita politica.
Prima, però, dobbiamo essere noi a dichiarare conclusa, con il 2008, l’epoca dei nasi tappati, degli occhi chiusi e della rassegnazione a un indistinto magma politico lontano dalla realtà, e dobbiamo farlo non per stabilire dei confini invalicabili, o per rinfacciare delle colpe – il gioco preferito dalle nomenklature veterocomuniste – ma per difendere le nostre idee e per evitare di svenderle ancora, in futuro, in nome di una sempre meno onorevole sconfitta.

Le prossime elezioni si svolgeranno tra cinque anni, e Berlusconi, per la prima volta, non sarà candidato. Veltroni dovrà capire che non è al centro che il PD potrà costruire la sua vittoria, sia perché il centro, in Italia, respinge ogni tentativo di rinnovamento (lo dicono i numeri), sia perché i suoi avversari saranno una destra logorata dall’esperienza di governo e un centro “originario”, “indigeno” affamato di riscatto e appoggiato dalle gerarchie cattoliche. L’unico bacino sicuro sul quale Veltroni potrà contare sarà quello della sinistra, e sono i voti della sinistra quelli di cui, d’ora in avanti, dovrà prendersi cura, affinché siano sempre più forti e consapevoli.

La mia idea – forse dovrei dire la mia necessità –, quindi, è quella di dare vita a un laboratorio permanente dal quale vengano fuori proposte che portino, entro pochi mesi, alla stesura di un manifesto in cui si esplicitino le posizioni, le esigenze – le identità – dei cittadini che si considerano “di sinistra” e che si propongono di lavorare alla creazione di un partito o di uno schieramento che sia loro “corrispondente” – in ogni senso.
Bisogna stanare e coinvolgere “le menti migliori della nostra generazione” che abbiano delle idee vive riguardo la strada da percorrere in ogni ambito della vita pubblica – dall’economia all’ambiente al diritto alla politica alla cultura al cinema alla letteratura all’architettura…
Facciamo quello che sappiamo fare meglio: discutiamo, appassioniamoci, pensiamo, e infine schieriamoci – senza vanità, senza presunzioni, senza pose e autocompiacimenti.
E vediamo che cosa ne viene fuori.
Forse è arrivato il momento di smettere di cercare altrove – sui giornali, nei libri, al cinema e persino in parlamento – i nostri Voltaire, i nostri Rousseau, i nostri Diderot e i nostri Robespierre. Forse è a noi che tocca provare a capire se siamo davvero capaci di guardare in faccia la realtà e di prenderci la responsabilità di cambiare almeno un pezzo del nostro futuro.

“Non abbiamo bisogno di buoni politici, ma di buoni cittadini”.
(Jean-Jacques Rousseau)

“Non si giunge mai tanto oltre come quando non si sa più dove si vada”.
(Johann Wolfgang von Goethe)

Leonardo Palmisano ha trentatré anni. Si è laureato in Filosofia con una testi su “Delitto e castigo” di Dostoevskij. Lavora come redattore free-lance per alcune case editrici, ed è stato per due anni web editor per minimum fax. Ha terminato un romanzo, non pubblicato, dal titolo “il soggetto”.

 

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26 Commenti

  1. Soffermandomi sull’ultima parte del pezzo, che è condivisibile e abbastanza lucido nella disamina dei fatti, mi permetto di sottolineare che il problema sta tutto lì, nell’impossibilità, di fatto, di coagulare intorno a un ipotetico tavolo ( o piazza, o forum nazionale o chissà cos’altro ) quelle che dovrebbero essere “le menti migliori”. Prima di tutto perchè bisognerebbe accordarsi su cosa è “migliore” e poi perchè quelle stesse menti hanno già prodotto la stato di cose in cui ci troviamo. Mi sembrerebbe un’operazione di puro narcisismo. L’ho già detto in questo blog e lo ripeto: pensavamo di essere i migliori e non lo siamo. Questo è un fatto, difficile dimostrare il contrario. Di occasioni ne abbiamo avute, le abbiamo sprecate tutte. il “laboratorio permanente” di cui si parla c’era, c’è stato, c’è, e ha prodotto solo vaghe idee che nessuno o pochissimi hanno condiviso. Mentre vogliamo affannarci a spiegare alla gente padana che la sicurezza non è una priorità, che non può essere un alibi per il razzismo, che la politica fiscale non è l’unico interesse da mettere al centro di un programma politico ma che, invece, bisogna occuparsi di questione morale, di immigrazione come risorsa, di diritti civili, di lotta alle disuguaglianze, dei diritti delle minoranze etniche, religiose, sessuali, di lotta alle mafie ed ecomafia, di sviluppo sostenibile, mentre facciamo tutto questo, la gente vota Lega o Berlusconi perchè vuole risparmiare qualche soldo sulle tasse e spera che la sera possa rincasare tranquilla, senza correre il rischio di essere ammazzata, rapinata, violentata.
    Le elezioni sono state perse, e di brutto, perchè la sinistra italiana si è dimostrata incapace di progettare e di governare o di fornire risposte alle domande che venivano dalla base. Le regioni del sud sono governate dal centro sinistra da molti anni. Campania e Calabria sono allo sbando. Le gente non vede più la differenza fra la sinistra e la destra, vota quasi per inerzia o per dispetto. Mentre al nord non ce la fanno più ad ascoltare le stesse parole dalle stesse persone che sanno tanto di presa per i fondelli.
    Il laboratorio permanente delle migliori menti di questo paese dovrebbe soprattutto porsi l’obiettivo di riconoscere con umiltà che gli errori commessi sono tanti e tali da dover considerare seriamente l’idea di passare la mano.

  2. Ho letto il post molto attentamente e quando sono arrivata in fondo e ho letto i cenni biografici dell’autore mi sono favorevolmente sorpresa. Ho svariati anni più di Palmisano e le sue parole potrebbero appartenere alla mia generazione che ancora si lecca le ferite di una politica orfana di valori un tempo condivisi. La sua analisi lucida si accompagna ad un entusiasmo tipico dei suoi anni e questo mi fa pensare, cosa che per fortuna accade sempre più spesso, anche attraverso i post di Nazione Indiana, che in questo nostro povero Paese ci sono tante nuove menti positive, c’è ancora tanta voglia di fare, di cambiare, di lottare. Capisco anche il pessimismo di Bruno, ma penso, ho ancora la presunzione o la speranza di pensare che non si possa e non si debba dare definitivamente in pasto ai politicanti da quattro soldi che si aggirano nelle istituzioni il nostro patrimonio di Paese democratico. Credo che proprio la nostra generazione debba trovare il modo di aiutare e incoraggiare i nuovi fermenti positivi che si affacciano alla nostra società come questi di Palmisano, come chi combatte le sue guerre contro le illegalità di vario genere, le ingiustizie. Ognuno di noi quotidianamete si scontra con qualcosa che vorrebbe abbattere, eliminare. Io ho un figlio autistico e sto cercando di capire come fare per semplificare a lui e a quelli come lui la vita che lo aspetta senza di me, senza la mia voce e il mio supporto. Molti pensano che io sia pazza a pensare ancora di cambiare qualcosa, a me non interessa, io vado avanti e se trovo compagni di viaggio ben venga. Se non si comincia a cercare di smuovere qualcosa, se si perde la speranza di uscirne, saremo condannati ad affogare in questa orrenda palude di mediocrità e indifferenza.

  3. Irene, sono realista più che pessimista. Veltroni ha ricandidato vecchie facce, portaborse, ha dovuto rispettare gli equilibri turandosi il naso. E ha preteso che ce lo turassimo pure noi. E ci siamo ritrovati nelle liste locali gente in odore di camorra, politicanti di professione, giovanotti di belle speranze ma di nessuna consistenza. E in Campania “Bassolino non è il solo colpevole”. Sapessi che soddisfazione saperlo…
    Dall’altra parte, la Sinistra arcobaleno mi veniva a parlare di salario sociale, ancora una volta. Senza minimamente badare che l’ennesimo strumento di sottosviluppo del meridione, è indegno di un paese civile, è una carità inaccettabile che mortifica la dignità di chi la riceve.
    La sinistra ha completamente perso il contatto con la base, sul quale il Pci aveva costruito un modello di partito unico in Europa. Sentir parlare di laboratorio di idee mi fa accapponare la pelle.
    Ricominciamo dai sindacati, se proprio vogliamo ricostruire, dalle associazioni di base, dalle fabbriche, quelle che sono rimaste, dai call center, dai patronati, dalle famiglie, andando magari porta a porta o riaprendo le sezioni chiuse. La Lega l’ha capito e non si è limitata a fare politica dai blog. E’ scesa per strada, è entrata nelle case, ha occupato tutti gli spazi che la sinistra ha lasciato vuoti e ha guadagnato la credibilità necessaria per vincere.

  4. No Leo. Non vedo la soluzione in un laboratorio permanente soprattutto se fa capo al partito democratico. Forse l’unico errore del tuo esame numerico (peraltro encomiabile) è proprio nel considerare ancora e nonostante tutto il pd come una forza politica di sinistra.
    Sono daccordo con te sull’analisi ma non sulla conclusione.
    La disfatta della sinistra, la sua scomparsa dal parlamento può avere un’unico sbocco “positivo”; quello di una rifondazione (questa volta per davvero) dal basso, extraparlamentare, fuori dagli equilibri di ‘convenienza’, veramente estrema. E’ necessario parlare, chiedere, pretendere. Non bisogna più vergognarsi di usare espressioni vecchie ma sostanziali ed efficaci come “equo canone”, “scala mobile”, “ridistribuzione della ricchezza”, “diritto al lavoro e al giusto compenso”, “diritto allo studio” ed è necessario affiancarle a nuove idee importanti e necessarie come “privacy”, “sviluppo sostenibile”, “file sharing gratuito e libero”, “apertura delle frontiere”, “liberalizzazione delle droghe leggere”, “coppie di fatto etero e omosessuali”, “fine dei conflitti”.
    Oggi abbiamo una grande occasione: siamo fuori, non rappresentati in parlamento e pertanto possiamo chiedere il massimo senza preoccuparci di equilibri parlamentari nazionali ed internazionali. Bisogna rifondare una sinistra che pretenda il massimo per le classi che rappresenta.E’ raccapricciante considerare che in Italia i Verdi spariscono nel momento in cui la questione energetica è centrale nella vita di ognuno.

    Leo, bisogna rompere le scatole quotidianamente a tutti. Bisogna reclamare i propri diritti sul posto di lavoro, col vigile che ci multa, negli uffici del comune, nei parchi, nelle stazioni, dovunque. Bisogna fermare le prevaricazioni quotidiane che ci sfiancano e cominciare a sfiancare il nemico (sì… proprio il nemico …non trovo un sinonimo che mi convinca), fiaccarlo, scoprirlo quotidianamente.
    Non ci serve un laboratorio. Abbiamo le nostre città e la nostra voglia di giustizia. Non ci serve neanche Grillo che, ammirevole nell’impegno, pecca di esibizionismo e svuota la sua lotta proponendo troppi fatti e poche vere idee.

    Leo adesso è il momento di agire. Per parlare abbiamo già parlato troppo.

  5. Bruno, io non penso affatto che siamo rappresentati dai partiti o dai politici che sono in circolazione. Penso anch’io che siamo NOI che dobbiamo darci una mossa come cittadini e come esseri umani, mettere insieme le forze sane e cercare un nuovo corso. Ricominciamo dai sindacati, dalle associazioni, ma ricominciamo, cerchiamo e troviamo un inizio che sia davvero il principio di qualcosa di nuovo e di positivo. Quello che ho trovato di positivo nel post di PALMISANO è che ci sono molte persone che hanno voglia di fare e questo è quello che conta. Le chiacchiere stanno a zero, ha ragione Cristò, troviamo la via del fare e non del dire. Quando parlo della “nostra generazione”non intendo i nostalgici della “sinistra-che-non-c’è-più”, parlo di persone che nonostante non abbiano più 20 anni e neanche 30, nonostante abbiano smesso di sentirsi rappresentati politicamente, hanno capito e sentono comunque l’esigenza di andare avanti e non rassegnarsi e cercano una strada, una formula per tentare di cambiare le cose, esattamente come le nuove generazioni. Io non delego niente a nessuno, ho sempre pensato che la politica, quella vera, è ciò che ognuno di noi fa e sceglie quotidianamente di fare, a volte anche in cose che sembrano semplici e scontate. Rimboccarsi le maniche e smettere di farsi seghe mentali sterili, senza per questo archiviare senza appello spunti e proposte che possono avere un qualche interesse o che se non altro tentano di svegliare le persone. Se ognuno mettesse a disposizione le proprie competenze e la propria disponibilità di tempo forse si riuscirebbe ad avviare un discorso più concreto, che superi i tavoli e le discussioni fini a sè stesse.

  6. io credo che il problema non sia di carattere “politico” ma sostanzialmente di carattere “culturale”. Non si può dare una svolta alla situazione che si è venuta a creare avendo in mente progetti di grandi dimensioni, aggregazioni nazionali, nuove forme di associazione poiltica. Bisogna avere, come stabili punti di riferimento, le piccole realtà, disseminate per l’Italia, dal sud al nord, e ce ne sono tante!,che fino adesso, da sempre !, hanno lavorato. Concrete e positive sono riuscite a sopravvivere attivamente nonostante tutto. Piccole case editrici, associazioni, comitati territoriali, gente per bene, onesta che non è andata indietro, non si è fatta trascinare, dalle facili lusinghe del successo e della visibilità a tutti i costi. La sinistra ha avuto quello che si merita:basterebbe soltantoa analizzare il comportamento tenuto in una regione come la Calabria per spiegare tutto quanto, mentre un discorso a parte meriterebbe il sud e la sua nuova “questione meridionale”.

  7. Per favore, non ditemi che il Partito Democratico è ancora considerato “di sinistra”. O almeno lo è quanto tanti prodotti della cultura di massa che volentieri etichettiamo come di sinistra (giornali, atteggiamenti, letture, opinioni.) come status symbol.

    Bisogna essere più morettiani di Moretti: “Dire qualcosa di sinistra” non può essere l’equipollente di un “vedo gente, faccio cose” (di sinistra). E lo dico dalla Toscana: dove lo strapotere del centro-centro-sinistra non permette certo di sondare il disagiante e dilagante destroismo di questi mesi.

    In Italia siamo indietro cent’anni di tempo sulla riformulazione anche concreta di un concetto e di un’influenza di sinistra che sia al passo con altre esperienze europee, dagli estremi opposti della Linke e del Psoe (una variante non certo totalmente di sinistra, ma sicuramente meno riformista e retrograda – vecchia contraddizione italica – del nostro Piddy).

    Ci sarà tanto da lavorare, in questi cento anni, sulla riformulazione del concetto di “giovane generazione”, abusato diabolicamente dalla Sinistra come valore aggiunto della propaganda. Ma il lavoro è già iniziato accompagnato da un tic tac del conto alla rovescia. Quindi forse inizia male.

    C’è da preferire il collasso subitaneo alla lenta agonia negli anni? Vedremo cosa riuscirà a fare in poco tempo il Pupazzo pazzo del Ventriloco per mandarci tutti a casa. Ma quale sarà a quel punto la nostra Casa? Ci riconosciamo ancora come italiani? Il pupazzo parlerà con la nostra voce di pancia?

    (che non sia anche da riformulare il concetto di nazione Italia? Io ne sono sempre più convinto, cari Indiani.)

    Sarà sicuramente un vile cabaret, tanto per citare V for Vendetta. C’è da sperare nelle persone, anche nei fantasmi, cioé nei giovani di questa Penisola (cioé Isola penosa) cabarettistica, solitaria y final.

  8. Forse, al di là dell’impegno civile di ognuno di noi, che è la base per ripartire, mancano anche i leader in grado di coagulare un movimento intorno a una figura. Ero un ragazzo quando c’era Berlinguer, Amendola, Paietta, Nenni, Ingrao, De Martino. Non mi riconoscevo in loro, seguivo di più Mario Capanna, ma mi rassicurava sapere che c’erano uomini che l’antifascismo, la guerra fredda, le lotte sindacali, il movimento operaio, l’avevano vissuto in prima persona.
    Forse è questo che manca oggi, qualcuno che incarni una memoria storica che si va perdendo e che molti cercano di confutare. La nebbia sui nostri valori cala rapidamente e non c’è vento che fischi che riesca a spazzarla via.

  9. Ho letto i commenti a questa mia analisi-appello, e devo dire che la cosa terribile è che pur trovandomi davvero d’accordo con tutti voi, sono nella situazione di dover difendere la mia – e persino la vostra – posizione. Mi spiego.
    Io non mi sono mai riferito né ho mai pensato al PD come a un partito di sinistra, e non ho mai immaginato un laboratorio permanente che facesse capo al PD. Di più: non ho mai creduto nel PD.
    La dimostrazione di questo sta nel fatto che, nella mia analisi dei voti, ho scisso quelli dei DS da quelli della Margherita (che non ho preso nemmeno in considerazione), e che ho persino azzardato delle ipotesi sui “voti di sinistra” del PD, dividendoli quindi dai voti di centro. Il mio stesso voto, ad esempio, è stato un voto decisamente di sinistra dato al PD nella speranza che servisse quanto meno a evitare il ritorno di Berlusconi – e che purtroppo ha contribuito alla fine della sinistra (a sua volta ormai ridotta a caricatura di se stessa).
    Questo lo dico a Bruno, a Cristò e ad Alessandro Raveggi – coi quali, ripeto, sono d’accordo su tutto, nonostante loro non siano d’accordo con uno che non sono io.
    Dato che non voglio scrivere un altro papiro, risolvo la questione con un esempio, e tiro dentro anche Domenico, Irene e Mauro Gorrino.
    Quando ho scritto questa cosa, la mia speranza era quella di leggere dei commenti del tipo: “Va bene, può essere un’idea. Allora, cominciamo a stilare una lista di quelle che sono le urgenze e le prerogative per un cittadino di sinistra, quello che un cittadino vorrebbe veder rappresentato in un partito di sinistra. Facciamo un manifesto con su scritte cose come:
    VOGLIO VOTARE PER TE, QUANDO SOSTERRAI LE ENERGIE RINNOVABILI
    VOGLIO VOTARE PER TE, QUANDO AFFERMERAI E DIFENDERAI I DIRITTI DELLE COPPIE DI FATTO
    VOGLIO VOTARE PER TE, QUANDO DIFENDERAI CON FERMEZZA IL DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE DELLA DONNA
    VOGLIO VOTARE PER TE, QUANDO RESPINGERAI CON CHIAREZZA LE INGERENZE DELLE GERARCHIE CONFESSIONALI NELLA VITA DELLE ISTITUZIONI POLITICHE
    VOGLIO VOTARE PER TE, QUANDO SARAI ORGOGLIOSO DI DIRTI ANTIFASCISTA
    VOGLIO VOTARE PER TE, QUANDO SOSTERRAI CON DECISIONE LA LIBERTA’ DI STAMPA
    VOGLIO VOTARE PER TE, QUANDO SOSTERRAI LA RICERCA SCIENTIFICA E NE SALVAGUARDERAI LA LIBERTA’
    VOGLIO VOTARE PER TE, QUANDO SARAI BALUARDO DEI DIRITTI DI CIASCUN CITTADINO E DI CIASCUN LAVORATORE.
    oppure anche
    VOGLIO VOTARE PER TE, QUANDO MANDERAI LA BINETTI A FARSI FOTTERE DA BOSSI
    e cose di questo tipo.
    Una volta fatto questo manifesto, lo firmiamo, lo facciamo firmare a quanti lo condividono e quando siamo tanti, lo inviamo alle sedi dei partiti per i quali vorremmo votare senza tapparci il naso, nei quali ci sono i nostri ipotetici referenti, e diciamo loro che questo è il nostro modo di essere cittadini attivi nei confronti di un partito che vuole davvero esserci vicino, e che faremo campagna elettorale per cinque anni per un partito che sia davvero di sinistra – senza essere oltranzista o integralista. E se con noi c’è anche un Wu Ming o un Saviano o qualcuno che muove le acque, allora la cosa comincia anche a diventare seria. Il documento lo diamo anche ai nostri amici che sono nelle amministrazioni comunali, lo inviamo ai giornali, con una bella campagna d’informazione, in modo che si sappia che gli elettori di sinistra vogliono un loro partito fatto in questo modo, e non vogliono passare dalle trafile della gerarchia dirigenziale. La condizione è che se il partito dovesse avere dubbi nel sottoscrivere anche uno solo di questi punti, allora non lo voteremo e ci batteremo affinché non venga votato”.

    Ecco, quello che speravo di leggere. Piccole battaglie personali, locali, insieme a sforzi collettivi, fatti con la ferma speranza di chi non accetterà più il meno peggio e di chi, però, allo stesso tempo, non chiede la piscina in giardino solo per sé e che gli altri si fottano. Il senso civico che dobbiamo recuperare, secondo me, è questo.
    Invece quello che ho letto mi sembra più un “ma che laboratorio permanente! qui ci vuole il porta a porta come la Lega!”; “ma che laboratorio permanente qui la situazione «può avere un’unico sbocco “positivo”; quello di una rifondazione (questa volta per davvero) dal basso, extraparlamentare, fuori dagli equilibri di ‘convenienza’, veramente estrema. E’ necessario parlare, chiedere, pretendere. Non bisogna più vergognarsi di usare espressioni vecchie ma sostanziali ed efficaci come “equo canone”, “scala mobile”, “ridistribuzione della ricchezza”, “diritto al lavoro e al giusto compenso”, “diritto allo studio” ed è necessario affiancarle a nuove idee importanti e necessarie come “privacy”, “sviluppo sostenibile”, “file sharing gratuito e libero”, “apertura delle frontiere”, “liberalizzazione delle droghe leggere”, “coppie di fatto etero e omosessuali”, “fine dei conflitti”».
    Viene da dire: “Ma chi t’ha detto di no?!”
    Perché, quindi, tanto livore? Perché invece di un “Sì, quindi…” e poi le cose che condividiamo, le proposte, c’è sempre questo “No, ma…”, al quale magicamente seguono comunque le stesse proposte che condividiamo?
    La ragione forse è troppo complicata da spiegare in un commento a un post – e ora non ha nemmeno senso.
    Quello che voglio dire è che c’è almeno una cosa che possiamo fare senza Veltroni e Bertinotti, ed è dire chi siamo e che cosa vogliamo – perché voglio sperare che quanto meno siamo capaci di sperare e di desiderare senza il placet dei politici. Possiamo esigere e reclamare soltanto ciò che siamo disposti a dare: un’identità chiara, la voglia di tornare ad aggregarci intorno a pochi principi chiari, sia etici sia economici sia politici. Se è vero che i politici (per i quali abbiamo votato) non hanno capito la realtà del Paese, è altrettanto vero che la realtà del Paese è fatta anche di persone umiliate che accettano di farsi umiliare, di precari laureati e sottopagati che non hanno la minima intenzione di organizzarsi seriamente per difendere i propri diritti e preferiscono pugnalarsi alle spalle per un tozzo di pane – mentre i loro genitori, molto meno istruiti di loro, trent’anni fa furono capaci di mettere a repentaglio la propria posizione e i propri posti di lavoro, per difendere i diritti del gruppo, della classe alla quale appartenevano.
    (Mi rendo conto che ho scritto un altro papiro!)
    Chiudo con un altro riferimento storico.
    Prima degli Stati Generali che precedettero la Rivoluzione Francese i cittadini compilarono, com’era prassi, i Cahiers de doléances, esplicitando le proprie esigenze. La cosa, per me, notevole è che quei cittadini scrivevano sapendo benissimo che nessuno era tenuto ad ascoltarli, che la politica si sarebbe potuta fare legittimamente senza di loro, lontano da loro. Non avevano neppure un voto da dare ai loro legislatori. Però scrivevano. E forse fu anche per questo che, quando arrivò il momento, si sentirono in diritto di fare la rivoluzione: perché ci avevano provato anche con mezzi più pacifici e non erano stati ascoltati.
    Noi abbiamo la rete, il più grande mezzo di comunicazione della storia dell’umanità, e la usiamo spesso e volentieri per esercizi di autocoscienza, autoindulgenza e autocelebrazione. Forse dovremmo provare a intenderla come un luogo di partenza, non di arrivo, una specie di piazza immaginaria in cui si incontrano gli amici e dalla quale si torna però SEMPRE nel mondo reale, portandosi dietro qualcosa – anche, talvolta, delle ragioni per ricominciare o tornare a lottare insieme.

    Scusate la lunghezza, davvero, ma avrete capito che in certe circostanze mi manca del tutto il dono della sintesi.
    Grazie ancora
    Leonardo

  10. Scusami, ma non sono d’accordo proprio nella sostanza di quelli che dici. Partendo dal tavolo “delle menti migliori” fino alla firma su un manifesto, che è quanto di più inutile possa esistere. Ancora parole? La gente è stanca di chiacchiere e dichiarazioni di principio. Ha votato chi ha promesso di togliere ici e bollo auto e di manganellare gli immigrati, questo mi sembra lampante.
    Non ho proposte precise da formulare, non ho la visione giusta per proporre come rifondare o ripartire.
    Però una cosa la so, e la so da lavoratore, seppur abbastanza ben pagato.
    Se vogliamo tornare ad essere un vero movimento è da lì che dobbiamo ripartire, dal movimento stesso. La scomparsa della sinistra non è dovuta a mancanza di idee. Il problema è che quelle idee sono sempre le stesse a fronte di un nuovo modello di società. Quel manifesto che proponi porterebbe le firme dei soliti noti. A Mirafiori manco lo leggerebbero.
    Ricostruire la cultura operaia, i veri valori del lavoro, le lotte salariali e sulla sicurezza, un nuovo modello di istruzione e di formazione, una nuova forza sindacale. Tutto questo l’abbiamo perso.
    In questo paese è scomparsa la classe operaia ma ci sono ancora gli operai. Qualcosa non torna nella quadratura del cerchio. Sarà che abbiamo dimenticato da dove veramente veniamo?
    La prima battaglia sindacale di Giuseppe Di Vittorio fu detta “la guerra della croce”. Peppino portò in sciopero i braccianti di Cerignola chiedendo al padrone di tracciare una croce con il condimento sul pezzo di pane distribuito a pranzo e non di condirlo con un solo filo d’olio. Da lì nacque la Cgil e tutto il movimento operaio.
    Senza manifesti, senza proclami ma con la fatica e la caparbietà.

  11. Caro Leo, l’idea è meritoria. Ma permettimi di andare oltre. Per vincere le elezioni è necessaria l’astuzia, e non basta più quella della colombe. Quindi prima delle energie rinnovabili ci vogliono gli inceneritori (almeno uno per ogni regione del mezzogiorno), prima delle coppie di fatto dovremmo pensare alle famiglie che non se le caga e non se le cagherà nessuno (se ne accorgeranno quelli che hanno votato per il pluridivorziato Casini), l’autodeterminazione della donna ci mancherebbe ma vogliamo partire dalla difesa dei diritti di quelle donne che non possono neppure sognarli i loro diritti (sappiamo quali, non certo l’aborto, visto lo zerovirgola di Ferrara), ingerenze cattoliche no, certo che no, ma il papa alla sapienza, che dici, magari un discorsetto glielo facciamo fare o siamo peggio degli americani? antifascisti ci mancherebbe, ma a trececentosessanta gradi (cioé anche contro i fascisti che tappano la bocca a chi gli conviene o a chi potrebbe fare troppo casino, penso all’Europa), libertà di stampa, ovvio, ma magari partendo da un modello di network aperto a posizioni contrastanti (un’alternativa all’ufficialità dei republicones, dei manifestini e dei foglianti), libertà scientifica e chi la mette in dubbio, ma il nostro modello è davvero il professor algido Veronesi?, e i lavoratori, i lavoratori, ce ne sono una manica, di lavoratori, così invisibili che neanche Balestrini li avrebbe visti (precari che magari non si lamentano, non vanno in tivvu e tirano innanz). In più, la Binetti ci può stare se rispetta la laicità dello stato (ti invito ad andare a vedere come funziona il Campus biomedico di Roma), e Bossi, e il federalismo, perché non ‘rubiamo’ anche questo, e dal federalismo razzista dei padri padani passiamo alla piattaforma di lancio della solidarietà adriatica di Vendola? L’ho già scritto su questo blog, perché non candidiamo Vendola alle prossime primarie del PD con parole d’ordine fuori dagli schemi come queste? Le tasse, la sicurezza, coniugate in un modo nuovo, veramente nuovo. Insomma io dico che per stanare il Veltronismo la sinistra deve ripartire da zero. Ma ancora una volta, leggendo i commenti, e pensando a quello che penserete dopo aver letto il mio, mi accorgo che siamo divisi e che lo resteremo. Come dice un imprenditore meridionale che ho conosciuto, e che non ha la tigna dei Calearo, e neppure è figlio di come Colannino, beh, “sono di sinistra ma odio questa sinistra”. Perdente, pronta a mollare tutto, nostalgica fino alla fine. Un’ultima cosa, visto che hai lasciato fuori dal manifesto la politica estera. L’altra sera da Santoro c’era Saviano. Be’, con lui tuti d’accordo. Ci mancherebbe. Ma fino a quando non capiremo che il Camorristan e come l’Hamastan le elezioni sarà difficile vincerle. Un saluto, anzi, un caro saluto, perché hai scritto cose coraggiose che meritano più visibilità. Roberto.

  12. Vendola, sì. E’ uno dei pochi che si salvano. Firmo subito.

    @ O.C. L’azione contro il Papa era forse legittima. Dopo anni e anni di ingerenza del Vaticano, non se ne può veramente più. Io sono d’accordo ovviamente sul fatto che ci sia la libertà di pensiero. Che anche, che ne so, il profeta dei Reptiliani o un esponente di Scientology abbiano il diritto di esporre le proprie idee in pubblico (okay, anche la Binetti…). Ma la questione vaticana è molto più grave: il Papa è un rappresentante ideologico con GRANDE influenza politica, grande accentramento di potere, e sopprattuto porta con sé i guasti di una cultura che quella libertà non la promuove affatto.

    A volte, qui dalle nostre parti, rimpiangiamo che la Breccia di Porta Pia non sia andata fino in fondo. Mancavano i bulldozer, si dice.

    Mettendo da parte la boutade, dire che il Cammoristan è come l’Hamastan spero non giustifichi, se rigirata, quella volgarità di qualcuno che non ricordo – mi pareva di centro-sinistra – che se ne uscì dicendo che i bombardamenti in Afghanistan erano legittimi perché si combatteva il fondamentalismo islamico così come si deve combattere la mafia (se ci scappava il condizionale c’era da ridere davvero.)

    Più cose concrete quindi – le coppie di fatto verranno dopo al problema del fine-mese per le famiglie, certo; il problema della mafia sicuramente più impellente di quello delle condizioni dei cpt, la sicurezza molto più della buona gestione del flusso migratorio – meno ideologie campate in aria, meno opposizione a tutti i costi, ma che questo non significhi Realpolitik. Perchè il verso di questa medaglia dal recto così risolutivo e fermo non mi pare altro che l’ignorare il cittadino e il suo senso di cittadinanza: un cittadino che se ne rimane solo, “bamboccione” (Padoa Schippa, 2007, sic.), alla fine del mese, coi suoi due spiccioli in tasca, e magari ti vota pure Lega.

    Ps. mi scuso per gli interventi confusi, ma rispecchiano il mio stato d’animo. Vorrei avere veramente la forza di tornare ad interessarmi attivamente alla politica, una politica di sinistra, contestuale, non ideologicamente vecchia, pragmatica, ma anche valoriale. Che risolva i problemi, ma ne capisca anche le cause. Che sia capace di costruire narrazioni e non solo soluzioni immediate, che sia di sangue e carne e non solo di belletto e pugno duro. L’esperienza del PD per me è stata disastrosa – potrei raccontarvi altri aneddoti divertenti – perché ha portato il niente di questi anni al cubo, un niente al cubo che si spacciava per nuovo. Mi veniva da rimpiangere i vecchi infoiati comunisti paonazzi per il vino delle Feste dell’Unità, bestemmiatori, e invece, grazie al tam-tam mediatico e all’appiattimento dell’opinione e della cultura pubblica promosso dal quasi inarrestabile Pupazzo del Ventriloquo tutti sono andati come capre verso il tricolore del Democratico, per poi accorgersi che stavano sbattendo il muso contro il tricolore del PDL.

  13. la mediocrità del popolo italiano non ha limite…questo e’ il dogma sul quale si fonda la politica italiana tutta.
    L’ultima tornata elettorale è stata la conferma di quanto il subdolo progetto politico iniziato una quindicina di anni fa abbia privato gli italiani non solo della capacità intellettuale del giudizio, ma anche della voglia di capire.
    Siamo stati vittime di un processo di rincoglio-apprendimento fra i piu’ sottili della storia, in pochi si sono salvati e quei pochi hanno la voce troppo bassa per farsi sentire.
    Cio’ che mi ha sconvolto non e’, pero’ la bassezza culturale di chi ha vinto, ma la pseudo innovazione che dall’altra parte e’ riuscita a zittire una sinistra che purtroppo, come svantaggio primo, ha quello di un elettorato leggermente piu’ critico.
    l’ultima campagna elettorale personalmente non l’ho vissuta con enfasi, e mi fa male dirlo visto che a 24 anni l’enfasi stessa non dovrebbe mancare, ma cio’ che ho avvertito, ancor prima dell’esito infausto e’ stata l’esaltazione del NULLA da parte dei 2 partiti maggiori.
    Ho sentito parlare molta gente in università, per strada…gente schierata, gente preparata immaginavo…beh, in realta’ non era proprio così..
    i partiti preparano i giovani a parlare, non a pensare.
    Veltroni ha creato un mostro come ha fatto Berlusconi..un mostro che non reagisce di fronte ai problemi che realmente affliggono il paese…un mostro capace di esaltare l’uso di un termovalorizzatore, mettendo nelle bocche dei propri rampolli frasi del tipo “bruciando i rifiuti facciamo l’energia”..FACCIAMO L’ ENERGIA…
    Questa e’ il livello di chi chiede un voto in italia..
    la politica non istruisce, la politica prepara (come cepu che ti fa passare gli esami ma non ti insegna a studiare).
    L’Italia emarginata merita ascolto…la scienza merita ascolto,il vaticano dovrebbe dir messa…i presupposti per lo sviluppo di un paese non possono che nascere dalle persone capaci di pensare…merce rara ormai..
    per quanto le mie possibilita’ dialettali e le mie conoscenze storiche possano essere limitate, cerchero’ di affacciarmi quando potrò e perche’ no, contribuire attivamente al tuo progetto…
    Marco Sampietro

  14. “la mediocrità del popolo italiano”
    “il subdolo progetto politico”
    “vittime di un processo di rincoglio-apprendimento”
    “la bassezza culturale di chi ha vinto”

    “in pochi si sono salvati”, con la modestia che lo contraddistingue, chi mi precede a quanto pare si mette nel conto dei salvatori.

    Solo una cosa: in Germania, la patria dell’ambientalismo, ci sono così tanti termovalorizzatori che riciclano anche la merda campana (Remondis pensava addirittura di costruirne uno apposito per Bassolino). Così i tedeschi guadagnano il doppio. E i napoletani pagano. (Ovviamente in Germania c’è anche la percentuale più alta di differenziata, per questo i verdi tedeschi hanno accusato l’ex ministro pecoraro scanio di mullturismus, turismo dei rifiuti).

    Giacché sto, un’altra cosa, ma proprio di poca importanza: ma la redazione di NI ne parlerà della vittoria di Alemanno, o nicchiamo, e ci accontentiamo di dire che il 50% e passa dei romani sono degli sporchi fasci ignoranti?

  15. Carissimi,
    la voglia di non commentare i vostri interventi è tanta, ma credo che un’alzata di spalle servirebbe a poco.
    Quello che non capisco proprio è la dittatura del disfattismo e questa smania di cercare sempre e comunque la cosa da NON condividere.
    Io, lo dico soprattutto a Bruno e a Roberto, non ho fatto nessun proclama, e nessun manifesto. Mi sono solo chiesto “Che cosa posso fare?” ed è venuto fuori quello che ho scritto. Non sono un sindacalista, né un operaio, né un affermato professionista, né un uomo di spettacolo. Però sono un cittadino a cui non sta bene che la colpa della merda sia sempre degli altri. Questo vostro atteggiamento è e sarà, a mio modo di vedere, l’esempio di come la democrazia possa suo malgrado condurre al fatalismo. Siete cacciatori di eccezioni e di divergenze. Se uno scrive, PER ESEMPIO, “energie rinnovabili”, voi vi attaccate alla parola e tirate fuori “gli inceneritori”. Se uno scrive, PER ESEMPIO, che si potrebbe fare un manifesto dei cittadini di sinistra, voi tirate fuori Giuseppe Di Vittorio. Ma se io avessi scritto degli inceneritori e di Di Vittorio avreste tirato fuori qualche altra obiezione.
    Mi sembrate dei mistici, in attesa dell’arrivo del redentore. Sono sempre gli altri, i potenti, quelli che devono risolvere la situazione, e quando lo fanno o provano a farlo, per voi lo fanno comunque male.
    Ora, io non voglio convincere nessuno. E non ho nemmeno tempo da perdere. Però non mi sta bene che la vittoria di Berlusconi o di Alemanno passi come quelcosa di ineluttabile, che non si può combattere.
    Il livoroso Bruno mi perdonerà se dico che la sua frase “Se vogliamo tornare ad essere un vero movimento è da lì che dobbiamo ripartire, dal movimento stesso” non ha molto senso. Perché, al momento, non c’è nessun movimento. E perché se questo luogo virtuale fosse una riunione in una sede di sindacato o di partito e io avessi esordito dicendo “buonasera”, qualcuno mi avrebbe detto “c’è ancora luce, fuori, perciò devi dire buongiorno”.
    Qui si tratta, semplicemente, di capire che cosa ci unisce, e se ciò che ci unisce è l’idea che gli esseri umani, nel 2008, possano ancora vivere la propria vita condividendo dei valori e delle priorità – che possono essere la giustizia, il rispetto per l’ambiente, l’uguaglianza dei diritti – in opposizione a chi invece vive e governa secondo altre priorità – che sono il privilegio del più ricco, il profitto a tutti i costi, lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali ecc.
    Per fare un altro esempio – che siete, come sempre, liberi di contestare – a me non dispiacerebbe che, al ministero dell’istruzione un giorno ci fosse Stefano Rodotà – e non credo che tra lui e Mariastella Gelmini non ci sia nessuna differenza. Però non è di questo che avremmo dovuto discutere, perché non sta a noi scegliere i ministri. Sta, però, a noi esprimerci e rendere note le nostre esigenze e le nostre identità, per evitare che altri, nei prossimi anni, facciano delle campagne elettorali in nostro nome senza essere affatto i nostri rappresentanti. Sta a noi, però, capire che la sconfitta e la caduta delle forze politiche che avrebbero dovuto rappresentarci è l’ultima occasione che abbiamo per poter partecipare alla creazione di qualcosa che ci assomigli.

    Io, comunque, incasso le vostre critiche e prendo atto che c’è una parte di coloro che probabilmente vorrebbero un mondo simile a quello che vorrei io che preferisce leggere in quello che ho scritto l’ennesimo “proclama” inutile e l’ennesima utopia.
    Prima di salutarvi, però, voglio dirvi un’ultima cosa.
    Tempo fa un mio amico mi disse che secondo lui lo sport nazionale, in Italia, non era il calcio ma “il commissario tecnico della nazionale di calcio”.
    Leggendo molti dei vostri commenti, ho ripensato a lui, e mi è venuta voglia di dirvi che il modo che avete di essere cittadini è immaginarvi presidenti del consiglio.
    Se foste al posto di Berlusconi probabilmente, anzi sicuramente, le cose andrebbero meglio. Infatti pensate quasi da presidenti del consiglio: NON bisogna fare questo, NON bisogna fare quest’altro.
    Però siete dei semplici cittadini, ed è con questo che dovete fare i conti. Stando così le cose, come ho già scritto, non ci sono molte possibilità: l’omologazione, la posa cinica o la pazzia.
    Oppure il tentativo di mettersi l’uno accanto all’altro con in mano il proprio pezzo di pane e la propria idea di futuro, a condividere almeno una battaglia.
    Anche perché non so se sia più utopico ipotizzare un manifesto del cittadino di sinistra da consegnare a una classe politica che mai come ora ha il dovere di essere ricettiva, oppure continuare a consumarsi il fegato sognando che Berlusconi non sia mai esistito e che arrivi un altro Giuseppe Di Vittorio che, con la sua sola presenza, cambi in un attimo non solo la mente dei sindacalisti ma persino quella dei lavoratori!

    Adesso vi lascio, ringraziandovi comunque per avermi letto e commentato.
    Un caro saluto
    Leonardo

  16. Caro Leonardo, io la penso come te e credo si capisca dalle mie parole. se è utopia pensare che non passerò il resto della mia vita affogata nella palude delle affermazioni tipo “speriamo che facciano qualcosa” (il nuovo governo) o “ma perchè se mi offrissero 10.000 euro non li dovrei votare? cosa mi hanno dato gli “altri”?” o ancora “Rutelli è quello dei parcometri, ….acci sua!” allora morirò abbracciata alla mia utopia. Invece sono convinta, e lo sono sempre stata, che ognuno di noi DEVE fare qualcosa, deve tentare di trovare una strada per recuperare una dignità democratica in questo Paese. Io ci sono, Leonardo, magari ho anche qualche idea. Avrei piacere di continuare il discorso con te e con quanti siano interessati. come posso raggiungerti?

  17. Il mio indirizzo è
    leonardo.palmisano@libero.it
    Mi piacerebbe davvero che questa cosa non finisse qui. Lo dico a tutti. Magari continuiamo a scannarci, ma alla fine qualcosa ne verrà fuori.
    Alcuni miei amici mi hanno scritto, altri mi hanno telefonato. Alcuni per dire che sono stanchi e che non ce la fanno più, altri per dire “io ci sto”.
    Ho mandato il link dell’intervento anche ai wu ming, alla segreteria di Nichi Vendola e ad alcuni uomini politici che credo potrebbero sentirsi stimolati dalla cosa. Spero che qualche voce autorevole si dica interessata, sia perché da soli non andremmo lontano.
    sia perché non voglio assolutamente vestire i panni del rivoluzionario.
    Però qualcosa bisogna fare – e chiedo a Bruno, a Roberto, a Mauro, a Cristò, ad Alessandro e a Domenico di esserci. Anche per dire “questa cosa è esagerata”, “questa cosa è poco efficace”.
    Irene c’è già.
    Pepecchio e Marco ci sono, da sempre.

    L.

  18. Come dicevano su Totem, “perché tanto odio”? Non mi sembrava di essere stato così livoroso. Mah, sarà l’età ormai avanzata. In ogni caso seguirò la discussione iniziata dal buon Leo ovunque voglia continuarla, augurandogli una volta ancora buon lavoro.

  19. Roberto, non sei stato livoroso ma forse hai posto dei distinguo prematuri. Noi – intendo noi “scontenti, stanchi, disillusi, arrabbiati” – non siamo un partito. E, benché i nostri punti di vista su alcune questioni siano diversi, ci unisce il desiderio di essere rappresentati. Se cominciassimo a dirci che cos’è che ci manca, ciò che vorremmo dai nostri potenziali politici di riferimento, credo che non ci scopriremmo poi irrimediabilmente divisi. Quanti di noi, ad esempio, vorrebbero Zapatero al governo?
    È la direzione del discorso che, a mio parere, deve essere invertita: non dall’identità (di ciascuno) alla distinzione, ma dall’identità (di ciascuno) alla condivisione.
    Comunque, ci stiamo già scrivendo e – lo dico soprattutto a Bruno – non abbiamo nessuna voglia di entrare in una terapia di gruppo infinita e autoindulgente – del tipo “come siamo belli e intelligenti e sfigati”.
    Questa cosa, se va fatta, va fatta al massimo entro un mese. Il punto è riuscire a sfruttare questo momento di crisi dei nostri ipotetici partiti di riferimento per ricreare un contatto tra politici e cittadini. Se riusciamo a farci sentire, e a convincere tanto il PD quanto Rifondazione a rifare ORA, dopo la sconfitta, il loro giro porta a porta, circoscrizione per circoscrizione, per incontrare ORA i cittadini, votanti e non votanti, per ricostruire veramente quello che Bruno definisce “movimento” (che poi è un rapporto vivo tra persone che condividono valori e progetti), allora avremo fatto la nostra parte. Se perdiamo quest’occasione, al massimo tra due mesi ci ritroveremo coi soliti politici che, con la solita spocchia, andranno a 8 e mezzo per cinque anni a dire che un terzo dell’Italia è col PD. Sai che vittoria!
    Scriviamoci e facciamo in fretta. Il mio indirizzo ce l’avete.
    L.

  20. Rispondo all’appello perché ne ho bisogno: bisogno di capire, bisogno di condividere, e anche di sfogarmi. Sono anni che ci diciamo delusi dalla sinistra, essendo di sinistra. Oggi mi chiedo: cosa significa essere di sinistra?Fino a ieri riuscivo ad abbozzare una risposta. Oggi mi risulta più difficile. Le parole antifascismo, legalità, giustizia sociale, pari opportunità, diritti civili, libertà, risuonano nella mia mente, ma non mi convincono.
    Perché dovrebbe esserci più bisogno di sinistra oggi? Per chi, soprattutto? Chi è l’interlocutore della politica di sinistra? La classe operaia? Quale lo scopo di una politica di sinistra? La lotta di classe? Credo che questa domanda sia fondamentale: la sinistra nel 2008 che lettura dà della società capitalistica? Quale modello sociale propone? Qualcuno starà sorridendo, leggendo queste parole del passato o starà ribollendo sulla sedia stringendo il mouse ansioso di rispondere. Finché non daremo una risposta onesta e chiara a questa domanda, credo che non convinceremo nessuno. Ad esempio in questi giorni sento i politici di destra blaterare di globalizzazione, come se fosse un mostro che sta aggredendo dall’esterno il nostro sistema economico, e non un processo di sviluppo del sistema stesso. C. Rhodes, protagonista dell’espansione imperialistica del capitalismo inglese dell’ inizio del secolo scorso , disse: “L’espansione è tutto. Annetterei i pianeti, se potessi”ed esortava a rendersi conto “che il vostro commercio è il mondo, e la vostra vita è il mondo, non l’Inghilterra”.
    Credo, inoltre, che si debba ripartire dall’egemonia culturale. Secondo Gramsci la supremazia non si manifesta solo attraverso il dominio e la coercizione, ma anche e soprattutto attraverso l’egemonia, cioè la capacità di direzione ideale, intellettuale e morale; l’egemonia, secondo Gramsci, si conquista attraverso una guerra di posizione condotta nella società civile, attraverso apparati come la Chiesa, i sindacati, la stampa, la scuola, i partiti, ecc. L’affermazione dell’egemonia consiste nel formare un blocco sociale di forze tenute insieme dalla visione del mondo proposta dal nuovo soggetto politico in ascesa. Bene, Berlusconi in questi 15 anni è stato più bravo di noi ad imporre la sua egemonia: dunque non si tratta solo di potere economico, conflitto di interessi, controllo di televisione, stampa, case editrici e giornali, ma di imposizione di un nuovo modello culturale: il modello del disimpegno, del gioioso chissenefrega, del revisionismo, del disprezzo della cosa pubblica in nome dell’interesse privato. Si, ci piaccia o no il berlusconismo è un modello culturale che ha raggiunto l’egemonia, perché di fronte a sé ha trovato solo una politica diventata tecnocrazia, gestione burocratica finalizzata a sanare i conti, ma che non propone più una visione del mondo. Dobbiamo chiederci perché la sinistra non ha più la forza di proporre una visione del mondo e se gli strumenti culturali tradizionali della sinistra, a partire dall’ideologia marxista, siano ancora validi, o, come molti si affrettano a dire oggi, siano stati irrimediabilmente sconfitti dalla storia. E se “Marx è morto”, e non ha più senso parlare di classi sociali e di critica del capitalismo, quali strumenti concettuali vogliamo usare per decifrare la realtà e per trovare delle risposte che non appaiano scimmiottate o disorganiche?
    E’ ovvio che io ci sono
    Stefania

  21. Evviva Stefania!
    Certo, è un po’ dura tenere il passo e mettere in ordine tutte le tematiche che ha tirato fuori, ma io credo che a questo punto si debba essere semplici, diretti e allo stesso tempo seri e intransigenti.
    La cosa più importante, oggi, è riuscire a sfruttare la caduta delle gerarchie partitiche, la disillusione, la sconfitta, per ricreare la possibilità di uno scambio vero tra cittadini e partiti. È solo in questa fessura, in questo spiraglio che si è aperto dopo la sconfitta, che può avere senso una discussione sul significato di “sinistra”. Se resta fuori dai partiti, dalle stanze di chi dovrebbe, tra cinque anni, poter ambire a governare l’Italia, ogni dibattito è quasi inutile – benché stimolante.
    E voglio essere ancora più chiaro. L’inconsistenza dei partiti usciti da queste elezioni è la condizione stessa del rinnovamento.
    Il mio suggerimento – lo ripeto da giorni – è quello di stabilire dei riferimenti, dei valori, dei principi ai quali, da elettori di sinistra, non siamo disposti a rinunciare. La nostra fortuna – se così possiamo dire – è che le forze politiche per le quali abbiamo o avremmo voluto votare, OGGI non sono altro che scatole vuote. Perciò, anche ribadire la laicità dello stato, la difesa dei diritti dei lavoratori e delle persone, il rispetto per l’ambiente (concetti che non dovrebbero aver bisogno di essere riaffermati) è una necessaria novità.
    Detto ancora più chiaramente: facciamo in modo che questi politici così smarriti e in crisi prendano delle posizioni chiare su questi temi, imponiamo loro questa resa dei conti con i loro (effettivi e possibili) elettori, e poi non molliamo la presa e continuiamo a tenere vive le discussioni. Ma partiamo dalle fondamenta – per poi, quando sarà il momento, quando e se la nostra voce potrà di nuovo essere ascoltata, ridiscutere tutto. Per quanto mi riguarda, già portare queste persone a schierarsi con chiarezza nei confronti di una Chiesa quanto mai invadente e di una Confindustria che difende le aziende assassine nelle quali, ogni giorno, si muore di lavoro sarebbe un buon risultato.
    Vostro
    L.

  22. solo per fare un po’ di chiarezza sull’uso di un termovalorizzatore…

    the OC ha tirato in ballo la questione dei termovalorizzatori affermando (giustamente) che la germania ( e non solo) fanno largo uso di queste tecnologie con enormi profitti socio-economici.
    I cittadini delle nazioni nordeuropee pero’, da decenni attuano giornalmente un sistema di raccolta di rifiuti ben lontano da quello che ha causato i recenti “disturbi” in campania.. l’Italia e’ un paese dove se c’e’ un problema, non lo si risolve, ma si mettono le toppe…
    I termovalorizzatori (anche se preferirei chiamarli inceneritori) visti all’ italiana sono un opportunita’ per togliersi davanti la massa storica dei rifiuti che il sistema, in decenni di totale menefreghismo e disinformazione, ha accumulato.
    Cio che avviene in Germania e’ quindi la vera e propria valorizzazione del rifiuto, solo il meglio viene bruciato..e per meglio si intendono sostanze la cui combustione non provoca emissioni rischiose per la salute dei cittadini…Il sistema italiano propone di creare queste strutture per smaltire un quantitativo enorme di “eco” balle che di “eco” hanno ben poco …dato che come popolo siamo parecchio avvezzi a fare cazzate, immaginiamo cosa potrebbe esserci in quel quantitativo di spazzatura che necessiterebbe una decina di anni per SCOMPARIRE…
    hanno tolto il PIOMBO dai carburanti (almeno cosi’ dicono) ma il piombo stesso e’ reattivo d’elezione in molti processi chimici di produzione degli oggetti di uso quotidiano…Lo stesso dicasi per il CADMIO…come questi 2 altri metalli pesanti sarebbero sicuramente rilasciati per anni nell’aria e nel suolo del nostro BEL PAESE dalla combustione indiscriminata di ogni forma di rifiuto,per non parlare di DIOSSINE e co.
    Cio che serve all’Italia non e’ in questo momento l’installazione di inceneritori (che sicuramente inizieranno a spuntare come funghi) ma un riciclaggio spinto, una politica differente sugli imballaggi.
    Servirebbe un servizio in ogni telegiornale per insegnare agli adulti prima che ai bambini l’importanza della raccolta differenziata, cosa significa separare l’umido organico (in germania lo sanno bene), la plastica , il vetro…sono questi i passi indietro che un paese deve fare, capire di aver sbagliato strada e tornare dal negoziante con la bottiglia vuota a comprare il latte e smetterla di pubblicizzare prodotti che devastano l’ambiente come unico mezzo per mantenere la freschezza di un prodotto (vedi caso TETRAPACK) …
    La mia sara’ una utopia, e’ molto piu’ semplice bruciare che progettare un futuro diverso (i politici per primi l’anno capito) ma francamente bruciare i nostri rifiuti mi sembra solo la strada piu’ semplice per respirarli. Organizzazione Mondiale della Sanita e principio di Precauzione…proviamo ad iniziare da qui.

    Marco Sampietro

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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