Diorama dell’est #10

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di Giovanni Catelli

Stazioni

Bratislava, Autobusova stanica

E di nuovo le strade sono vuote, la piazza reclama l’aria dei respiri, accelera la corsa degli affanni, verso il buio che preme le mura del tramonto, insegue la caduta della luce, morde quell’incendio d’esili finestre, quel perduto fremere di foglie ai transiti del cielo :

si rincorrono le carte del silenzio, le polveri del sonno, le minute scaglie dell’assedio, senti un limite nel corpo, nella sera, una misura d’oblio e fuga, uno smarrirsi delle cose incontro a te, non si colmano i gesti dentro l’aria, non si muovono i passi lungo il mondo, le voci verso i volti, le parole tra i pensieri, si rincorrono ignote lancette nei quadranti, silenziose ombre sui selciati, rapide corriere verso i viali : come cancellare la distanza che nutre, le separazioni gli addii, propaga lo smarrirsi, del calore fra i respiri, quel deviare fatale, degli sguardi oltre gli sguardi : ora non cerchi, più, quel tram che si dissangua, lento, nelle periferie, vigila rami d’ombra lungo i ponti, annega in viali di chiarore, spegne lame d’orizzonte, segue il passo della pioggia, cade nell’impero vuoto dell’istante : voga, fra i minuti dello sguardo, e già svaniscono stazioni dalla vita, ad uno ad uno i viali, colmi di viaggi e di valigie, remoti crepuscoli e ritorni, nomi serrati al fondo di un telefono, abitudini quiete avvolte dagli autunni : sempre più orfane le tue città, mentre s’allarga il dubbio tra le corriere, si muove il buio nell’autostazione, una cifra della sorte s’allontana da te, col diroccare serale d’esaurite destinazioni, si popola il silenzio d’altri addii, con la fermezza definitiva dei tabelloni spenti, l’ultima tua riva già polvere nella mano, sillaba tracciata su biglietti di gelo : no, non credere ad arrivi, già s’appanna la trina delle mete, l’orario stagionale dei tragitti e delle ombre, la corolla di banchine in cui riponi ogni silenzio, ti si dà forse il partire, l’ordinato abbandonare, il quieto viaggio dei biglietti nelle tasche, sei sospeso nel vanire, aspetta, che si districhi nell’aria, quella trama di voci desolate, ancora vigili al destino, pallide scie di luce lungo il tempo, mai davvero tradite perdute nella vita.

Dnepropetrovsk, notte

Ha una bella voce la signora che parla, da sola, e a tratti canta, nella sala notturna delle biglietterie, alla stazione di Dnepropetrovsk, in questo marzo che improvviso ha serrato i suoi spiragli di primavera, e di nuovo impone le sue temperature di pena : il sonno inclina i viaggiatori sulle poltrone dell’oblio, e lei richiama le cose all’ordine perduto, sa di ricordare il giusto luogo, degli oggetti nel tempo, dei volti nella vita, degli anni lungo il vuoto, chiama, l’incanto irraggiungibile del mondo conosciuto, la regola smarrita per disporre le sue ombre, conosce ancora i nomi, depredati dal giorno, dalla fuga infinita dell’ignaro presente ; un uomo si scuote, mormora un insulto, controlla con il piede persistenze del bagaglio, le cassiere muovono invisibili finanze, digitano tasti silenziosi, nella cruda luce delle gabbie, frulla il tabellone degli arrivi, ad aggiornare manovre solitarie, la notte sparge i suoi balsami di sonno, per la grande sala quieta, che naviga oltre il gelo, e le smarrite cifre rosse, che pulsano nell’aria immobile, sommerse dalla fonda vastità del buio : non si spegne mai nella sua voce il rimpianto, corrono i giorni e gli anni tra le sillabe, fra i marmi rosati della sala, si muovono braccia incontro a chi riappare, scoccano nel vuoto nomi e remote città, quel canto interroga ed implora le penombre, a tratti sale in un lamento inconsolabile, per cedere ad inquieti dialoghi di sogno : ha più senso e direzione ora il silenzio, nelle pause del suono, si discende insieme verso l’alba, nell’ampia galleria sorpresa dalla vita, si dimentica il dissolversi d’ogni gesto nel gelo, resistono ancora i nomi delle cose, questa voce a difendere nell’aria ogni parvenza.

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3 Commenti

  1. sentirsi come Bratislava
    con la differenza di viverla dentro
    verso il buio che preme le mura del tramonto, insegue la caduta della luce, morde quell’incendio …

  2. se pure questi diorama fossero bidimensionali. fotografie appena di luoghi lontani e passati. sarebbero belli lo stesso. nostalgici e sonori. bravo catelli.
    chi

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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