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Notti lontane che tornano per sempre

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di Franz Krauspenhaar

Marino Magliani torna sulla scena letteraria con un romanzo, Quella notte a Dolcedo, Longanesi, pagg.262 euro 16.00 che, rispetto ai precedenti, soprattutto a Il collezionista di tempo uscito l’anno passato per Sironi, abbandona certe sperimentazioni (nel libro appena citato si registrava il connubio forma e contenuto tra una scrittura di frontiera con risvolti biamontiani e la fantascienza, come se il Fransé si fosse unito in sodalizio artistico con un autore di science-fiction).

Ora il Magliani, ligure cittadino del mondo (vive da anni in Olanda e ha peregrinato per mezzo globo) confeziona un romanzo che non si può dire “lineare” (non sarebbe da lui) ma certamente con uno sviluppo più tradizionale rispetto ai precedenti.

Il romanzo narra la storia di Hans Lotle, uno di quei personaggi tedeschi di una generazione ormai in via di estinzione che ha combattuto la sua guerra, generale e personale, e l’ha perduta.

Lotle nel 44 era in Liguria, precisamente a Dolcedo, paese natale dell’autore: soldato semplice della Wehrmacht, in un plotone di soldati colpevoli di una strage nel paese. Un’intera famiglia, i Droneri, panificatori, venne uccisa. Una bambina era stata testimone, Hans l’aveva vista. Ma era passato oltre. O indietro. La bambina era stata risparmiata.

Questo è il cardine del romanzo. Attorno, sempre Hans: che non dimentica mai, che vive a Berlino Est facendo il cameriere per decenni – siamo alla fine degli 80, poco prima della caduta del muro- che ha rapporti con la Stasi, che da questa è interrogato per varie faccende, che conserva un forte ricordo della madre, con la quale ha vissuto fino alla morte, e sul loro rapporto nasconde un brutto segreto; e il ritorno a Dolcedo dopo tutti quegli anni, per trovare una vera risposta su quella strage, e su altro.

Magliani conserva il suo passo narrativo lento, circospetto, ma allo stesso modo deciso: il passo di un uomo, di uno scrittore, che vuole spingersi a fondo. Racconta per gradi, poi si ferma, poi si sofferma sui radi ma affilati pensieri di questo reduce tedesco di quasi settant’anni, un uomo per certi versi impenetrabile. L’abilità dello scrittore sta anche nel non fare merce di scambio con il lettore del vissuto interiore del suo protagonista: scegliendo la terza persona, l’autore lascia il timone soprattutto alla storia, su e giù per la montagna ligure, insomma alla vita nuova di quest’uomo straniero non più giovane che cerca una verità, mantenendosi per vivere come manovale e giardiniere per i proprietari tedeschi della zona; e si stagliano, ma senza abbagliare, i ricordi di guerra, di quel tempo, di quella terribile notte del titolo.

E’ un giovane monacense, Manfred, incontrato in quella valle, che gli procura il lavoro e lui, Hans, per mesi e mesi fa e briga, lavora, tra rovi e giardini e impalcature, e per dormire si arrangia. E intanto indaga. Questa è la “musica”, l’”aria” del “film”: che non è certo di sottofondo.

Magliani anche questa volta ci consegna un vero romanzo di vera letteratura. Rispetto al libro precedente, e in qualche modo anche a Quattro giorni per non morire, che anticipa di un anno Il collezionista di tempo, qui abbiamo una costruzione compatta, non posso dire serrata – non sarebbe una cosa di Magliani, altrimenti – ma senza dubbio abbiamo un oggetto pensato che può anche contundere. Che può fare male senza ferire. Sembra un paradosso, questo, ma ogni autore vero ha il suo modo di procedere, con tutto. E anche col genere giallo, ovviamente, che qui si può cogliere qua e là nelle trame del tessuto narrativo fissate dallo scrittore, non nella trama vera e propria. Il colore giallo non è mai pervasivo, non potrebbe esserlo.

Quella notte a Dolcedo (la notte della strage) è un romanzo che, tra il passato remoto della guerra e il passato prossimo della caduta del muro, in sostanza, andando ancora più a fondo nell’analisi, racconta la storia di un uomo che va e che torna attraverso la sua vita e la Storia; una caratteristica di Magliani è questo migrare dei suoi protagonisti ( che gli assomigliano) per il mondo, ma con la testa attaccata alle proprie radici. Sì, come fossero impiantati a testa in giù, con la testa e la mente nel corpo gravido della terra madre. Ma Hans Lotle? Lui è tedesco, certo, fuori Berlino ha pure un appezzamento di terra, ma il suo contatto con la terra, quello vero, fatto di camminate e poi pause nel silenzio di una natura aspra che è soprattutto rifugio e ricerca e indagine, lo fa nella Liguria dei suoi vent’anni di soldato usurpatore.

A questo proposito, non c’è un discorso strettamente politico, nel libro: nazismo e comunismo della DDR – con i dovuti distinguo- sono state sciagure che Hans Lotle ha vissuto come tanti tedeschi della sua generazione: ma il libro non si accanisce sulla Storia, non cerca di rappresentare altro che la migrazione di un uomo nel suo passato remoto, e in questo le vicende storiche hanno un peso per forza di cose fondamentale. Il ritorno ai vent’anni qui è fatto nel luogo di una strage, non nel come eravamo dei belli e dannati. Tenera, certamente, non era la notte, a Dolcedo.
Un romanzo che ha bisogno di concentrazione e di ascolto, come sempre in questo autore: e il protagonista è un personaggio difficile da dimenticare; come certi ricordi di certi momenti lo sono in modo impossibile. Certe notti lontane tornano per sempre.

(Pubblicato su Il domenicale)

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4 Commenti

  1. Libro su cui ho letto almeno tre recensioni e tutte ne parlano benissimo. L’argomento è di quelli che vogliono lettura, spero in questo vortice di lavoro e libri e tutto di trovare il tempo e l’attenzione che certo merita uno scrittore come Marino Magliani.

  2. Perché Hans diventa un eroe senza patria, viene in Italia prima da “occcupante”, poi si ritrova in una Germania Est. Comunista. Che lo espelle attraverso il controllo. L’originilalità di Magliani é che ha saputo dar voce allla ” contraddizione”. Verrebbe da dire alla disperazione.Insomma la storia rivisitata
    Grazie Franz.A Marino un augurio che questa storia dieventi di tutti
    Stefania

  3. Non ho capito il riferimento di Stefania alla storia rivisitata. Può essere più chiara? Grazie.

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