Diorama dell’est #11

di Giovanni Catelli


Odessa, albe

Che sapore ha la birra, che sapore ha il fuoco, nella sigaretta il silenzio, la separazione dal vuoto, dalle luci fosforiche.
Solo il gesto dell’alba ti cala, feroce, la distanza, quali piazze del giorno concedi ai poteri del fato.
Nella prima luce nel freddo trema il vero sapere, la misura perfetta, il senso fuggente : ora puoi sciogliere, ai grigi del largo, lo specchio di gelo del bar, che veglia nebbioso le notti di luce, le mobili sabbie del giorno che avanza, muove leggeri plotoni dal mare, irrompe ormai certo sul lido sconfitto, e stupisce negli occhi la tenebra fonda, la notte più antica, le brine del buio : come attendi nel riflesso, il viso che non viene, come frughi nel rovescio delle cose il suo profilo, ti rifugi lungo il molo d’acciaio dell’oblio, vedi navigare lenti panfili di ghiaccio, colorate navi della nebbia, ripeti ogni naufragio nella fredda lastra che t’osserva, e non ti lascia mai l’attesa dei fantasmi, si smarrisce sempre lo sguardo all’apparire, di sottili sagome all’ingresso, nel dubbio che sospende il respiro nella gola : il tuo vero vivere, lo sai, è solo attesa, incanto silenzioso d’una voce, di un gesto delle mani, memoria d’un sorriso, il resto è confusione inganno, immenso corridoio di rumori, buio, volti senza forma, corpi lungo il sonno, ed albe, come segreti appuntamenti, mosse del destino, da spargere nei brevi confini del suo mondo, al futile dominio degli ultimi bicchieri, per l’inganno abituale, dell’ora più tagliente, per quella svagatezza felice che tu sai, che lei depone al vuoto, ad ogni nuovo giorno che tu perdi : a volte, da lontano, mi dicono la vedi, forse pochi attimi, gesti, brevi sorsi ad un bancone, saluti nello sciogliersi d’un gruppo : già ti basta, quel cenno del suo esistere, quel proseguire nella vita ove lei non sia lontana, ove sappiate di vedervi, anche un istante : lei ricorda, lieve, lancia i suoi saluti silenziosi con lo sguardo, segue i testimoni del suo giorno, accoglie l’omaggio delle vite accanto a lei, a volte dona imprevedibile, quel sorridere fatale, quel miraggio d’altre gioie, senza fondo ; ancora tu puoi vivere, non ti consuma lo scialo delle notti, la sospesa inesistenza d’intere settimane, un vacillare del tuo nome sulle targhe del prestigio, sai di vivere con lei, e questo è tutto, solo un dettaglio vano il calcolo del tempo, degli sguardi, la durata dei minuti e degli incontri, le mattine sfortunate, le cattive compagnie, solo vaghe sfumature che il tempo non trattiene, distrazioni e svagatezze che concedi : oggi non arriva, ritarda, come l’alba, le nuvole compatte diffondono nel vuoto un vapore quasi argenteo, forse non ancora è tempo per il giorno, forse si trattiene all’ombra della spiaggia, o quieta sogna giochi d’altre vite, forse ancora brinda per ignote lietezze del mattino, e già non trema la tua mano sul bicchiere, non ti volti vano a troppi lungomari del ritardo, bevi quieto nello specchio la nevosa luce, che soffia come polvere nell’aria intimorita, come annuncio d’autunni o di tragedia, sale un vento caldo senza voce, tu non cerchi ora non attendi non hai pena, ti traspira uno sguardo immobile dagli occhi, forse tace la catena che serbi nella gola, il meccanismo di coltelli che ti vigila il respiro, scendi adagio incontro al tempo, al battito dell’ora che sa futile la vita, non ascolti più i richiami del traghetto, gli ordini che crescono col giorno, senti solo una remota leggerezza, un pallido tepore alcolico, una minima felice irreparabile distanza dalle cose.

Langeron

Come d’un tratto s’accendono le luci sulle navi, morbide, improvvise, quasi palpebre segrete le svelassero, alle ombre, al cielo, ai venti della sera, mentre l’ultima lama del giorno le colpisce, doppia il capo del tramonto, le raccoglie mute nell’incendio, le raggiunge, ad una ad una, con fulminea mano, leste dita passeggere : già la notte pesa, lungo il dorso di colline che raduna l’invisibile, l’attesa, la stagione del partire, del dissolversi, la vena pallida l’autunno, il rapido argento l’imbrunire : noi parliamo, sottovoce, allo stupore della sera, mentre il mare si tende, silenzioso, e si fa ferro, non dà suono la risacca, ruota in volo il tuffo del gabbiano, e l’ora tace, non si china il giorno alla sua fine, un fosforo di luce sparge le sue dita sulle cose, i tavolini vuoti cercano la notte, ma le nostre tazzine li trattengono, biancheggiano serene all’aria fredda, tracciano una riva per il tempo, ancora segrete al nostro viaggio, e non ci lasciano fuggire, ci radunano alle ombre, alla durata immune degli oggetti, mentre tu sorridi a una zaffata di musiche lontane, cerchi nuovo calore nel tè, non ti chiamano bufere all’indomani, puoi tracciare infinite salvezze all’avvenire.

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3 Commenti

  1. prosa musicale e poetica se mai ce n’è una, endecasillabi infilati tra le righe a piene mani, leggerezza e intensità. Mi piace un sacco.

  2. “una minima felice irreparabile distanza tra le cose”.
    è sempre bello aprire NI e trovare un diorama dAll’est.
    “infinite salvezze senza avvenire”.

    bello bello.
    :)
    chi

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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