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Etere 5. Newton e seguaci

di Antonio Sparzani
Isaac Newton, di William Blake, 1795.
Non è forse questo mezzo [etereo] molto più rarefatto all’interno dei corpi densi del Sole, delle stelle, dei pianeti e delle comete, che non negli spazi celesti e vuoti tra questi corpi? E allontanandosi a grande distanza da questi, non diventa forse sempre più denso e più denso, causando così la gravità di quei grandi corpi l’uno verso l’altro

Questa sorprendente citazione newtoniana merita qualche spiegazione, che potrebbe cominciare così.

Perché la fama e i meriti di Newton sono arrivati a noi con tale forza che il suo nome suona come quello del fondatore della fisica dell’età moderna, cioè di quella che ancora porta il nome di fisica classica? Perché un personaggio con ben radicate credenze alchemiche e magiche, arrogante e fondamentalmente misantropo come Newton si impose nella storiografia scientifica come un fondatore di un nuovo paradigma?
Il motivo fondamentale è questo, che rese definitivamente e inesorabilmente la fisica una scienza quantitativa. Inventò addirittura la matematica adatta al raggiungimento dei suoi scopi, inventò quello che oggi studiano tutti gli studenti di biennio universitario, il calcolo differenziale, il cosiddetto calcolo sublime (non parliamo qui della polemica con Leibniz sull’invenzione del calcolo, tra i due non correva comunque buon sangue).
Spero non pensiate che voglia farvi digerire qui anche una minuscola particola di tale delizia che sommamente entusiasmava Bonaventura Cavalieri: così infatti iniziava, questo discepolo di Galileo la sua opera Geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota: «Penso che senza dubbio nessuno abbia mai assaporato la dolcezza delle dimostrazioni matematiche, sia pure sfiorandola solo con le labbra, senza poi cercare con tutte le forze di inebriarsene fino alla sazietà». Frase, credetemi, meno superficiale di quanto possa sembrare.

No, è solo per dire che Newton è stato, con le sue mille facce, anche l’iniziatore di una fisica quantitativa; e per dire anche che la sua opera più importante, la più ricordata, la più letta, furono i cosiddetti Principia (Philosophiae naturalis principia mathematica), pubblicati nel 1687, Newton quarantacinquenne, e che è la più letta e ricordata perché è tutta quantitativamente organizzata, tutto viene dimostrato, ricavato, dedotto con formule e razionali procedimenti.
Quello che il Nostro non si sentì di affermare con la sicurezza che solo la sua nuova matematica gli dava, lo relegò in altre opere, come dire, meno autorevoli. Nell’Opticks – scritta direttamente in inglese, a differenza dei Principia, che egli scrisse in latino e che furon successivamente tradotti in inglese da un suo scherano – Newton si divertì assai di più, si lasciò andare, si permise ipotesi non dimostrate. La cosa forse più interessante dell’Opticks è che si conclude con una serie di domande, in numero crescente con il susseguirsi delle varie edizioni: denominate da Newton Queries sono domande quasi sempre retoriche che Newton rivolge al lettore – e a se stesso – per convincere e per convincersi della plausibilità di ipotesi di vario tipo, non ancora suffragate da alcun esperimento; in queste domande Newton può permettersi quello che nei Principia mai avrebbe osato: abbandonarsi a congetture non provate, ad azzardi senza dimostrazione. E alcune di queste riguardano appunto il mezzo sottile e imponderabile che riempie tutto lo spazio e la cui presenza è richiesta dal fatto che attraverso lo spazio qualcosa pur si trasporta.
Newton motiva l’esistenza di un tale mezzo mediante un’esperienza molto semplice: dentro due recipienti ermetici di vetro vengono sospesi due termometri, che non toccano le pareti dei recipienti; in uno dei due, V, viene tolta l’aria, e nell’altro, P; no; i due recipienti vengono ora trasportati in un luogo più caldo: il termometro in V si porta alla nuova temperatura (superiore) con quasi altrettanta rapidità di quello in P; se poi i recipienti vengono ritrasportati al freddo, il termometro di V si abbassa di nuovo con quasi altrettanta rapidità di quello in P. Ed ecco la formulazione vera e propria della Query 19 di Newton:

«Non è forse il calore della stanza calda trasportato attraverso il vuoto dalle vibrazioni di un mezzo molto più sottile dell’aria, che è rimasto nel recipiente dopo che l’aria ne è stata estratta? E non si tratta forse dello stesso mezzo, mediante il quale la luce è riflessa e rifratta, e mediante le cui vibrazioni la luce comunica calore ai corpi…?[…] E non è forse questo mezzo straordinariamente più rarefatto e sottile dell’aria, e straordinariamente più elastico e attivo? E non pervade forse completamente tutti i corpi? E non si espande forse (in virtù della sua forza elastica) attraverso tutti i cieli? ».

Vedete che è la domanda retorica l’artificio che consente a Newton di rendere plausibile le sue conclusioni. L’etere dunque serve a trasportare il calore e questo è trasportato, mediante vibrazioni, dalla luce; ma non basta.
Una volta introdotta la necessità di un tale Æthereal Medium, Newton ne trova un uso davvero più straordinario di quello di supporto alle vibrazioni connesse con la luce. Così suona l’inizio della Query 21: «Non è forse questo mezzo [etereo] molto più rarefatto all’interno dei corpi densi del Sole, delle stelle, dei pianeti e delle comete, che non negli spazi celesti e vuoti tra questi corpi? E allontanandosi a grande distanza da questi, non diventa forse sempre più denso e più denso, causando così la gravità di quei grandi corpi l’uno verso l’altro, e delle loro parti verso i corpi stessi, ogni corpo tendendo ad andare dalle parti più dense di tale mezzo a quelle più rarefatte?».

Perché, vedete, Newton si arrovellava con il problema di spiegare il perché della gravità, e mentre nei Principia dichiara la sua ignoranza e riconosce i limiti della sua ricerca, qui si abbandona all’avventura di una spiegazione, che assume, nel seguito della Query citata, anche qualche aspetto quantitativo. Una spiegazione della gravità, capite, spiegazione non vuol dire trovare la famosa formula che «la forza con la quale due corpi si attirano è proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza…” vuol dire spiegare perché mai succede una tale stranezza. Spiegazione che dovette attendere il 1916 (Einstein, relatività generale) per fare qualche passo avanti.

Per essere precisi bisognerà ricordare che la frase conclusiva dello Scholium Generale, posto alla fine dei Principia, già ripropone l’esistenza di un «certain most subtle spirit ’, che «pervade e resta nascosto in tutti i corpi materiali; per la forza e per l’azione del quale le particelle dei corpi si attraggono l’una l’altra a piccole distanze» e alla cui azione sono dovute le attrazioni e le repulsioni dei corpi elettrici, le proprietà della luce «ed ogni sensazione viene eccitata, e le membra dei corpi degli animali si muovono al comando della volontà, cioè mediante le vibrazioni di questo ‘spirit’, mutuamente propagate attraverso i filamenti solidi dei nervi, dalle regioni periferiche dei sensi al cervello, e dal cervello ai muscoli.” Ma lo Scholium Generale fu aggiunto nella seconda edizione, del 1713, dei Principia, dopo la pubblicazione dell’edizione del 1706 dell’Opticks.

Inutile dire che di questa possibile spiegazione eterea della gravitazione nulla oggi rimane.

Un altro filone già presente nella riflessione di Bruno sull’etere, è quello della funzione, del resto accennata, se ben leggete, nella seconda parte del citato Scholium newtoniano, di una tale sostanza nel corpo umano. Anche su questo punto la personalità di Newton è stata così forte da influenzare il pensiero scientifico in molte discipline tra loro assai diverse. Come racconta Anita Guerrini in un saggio del 1993, Richard Mead, medico di successo della Londra del XVIII secolo e newtoniano convinto, oltre che antiquario e collezionista di libri, e il suo protetto Henry Pemberton applicarono consistentemente la nozione di etere alla fisiologia muscolare: nell’introduzione scritta da Pemberton ad un libro di fisiologia di William Cowper, Myotomia reformata, pubblicato a Londra nel 1724 (tre anni prima della morte di Newton), si legge: «il fluido contenuto nei nervi non è probabilmente altro che quel sottile, raro ed elastico spirit che sir Isaac Newton conclude sia diffuso ovunque nell’universo». La Guerrini fornisce, nel suo lungo ed informato lavoro, una serie di altri esempi, dai quali si comincia a capire come questo fluido sottile ed impalpabile, che Newton aveva in qualche modo ri-autorizzato nella scienza, incarna l’idea di una sostanza a metà tra il materiale e l’immateriale, la cui funzione nel corpo umano è quella di mediare tra l’anima (o la mente, a seconda degli autori) e il corpo.
Appare qui un aspetto, che sarà sempre più costitutivo della nozione di etere, quello di ente mediatore; aspetto che troverà una nuova e notevole veste nell’opera di Kant.

[la prima immagine è “Isaac Newton”, di William Blake, 1795]

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11 Commenti

  1. Nelle mie storie (sentieri accidentati e confusi che talvolta portano a niente, ma che possono anche portare a godere di squarci inaspettati e deliziosi del paesaggio) il problema della critica al sistema di Newton – dei cui limiti lui si rendeva ben conto, quando cercava di spiegare il perché della forza di gravità – si apre (oltre che con Leibniz: il mio personale “angelo della conoscenza”) in periodo più vicino a noi con Heinrich Hertz.
    Il suo *Die Prinzipien der Machanik” rivestirà infatti, anche al di fuori degli ambienti direttamente scientifici, un’importanza difficilmente sopravvalutabile.

    *

    I “Principi” di Hertz sollevano il problema dell’esatta comprensione dell’oscuro concetto di “forza” quale viene usato nella fisica newtoniana.
    La soluzione proposta da Hertz è quella di non cercare una risposta diretta alla domanda “Che cos’è la Forza?.

    Scrive Hertz: “Se ci sbarezzeremo di queste tormentose contraddizioni, non risponderemo ovviamente alla domanda relativa alla natura della forza; in compenso, però, la nostra mente, finalmente liberatasi, smetterà di porsi delle domande indebite.

    *

    Oltre a quello che viene detto, è importante dove viene detto quello che abbiamo letto. Perchè si tratta di una biografia di Wittgenstein, il cui autore Ray Monk, documenta come la lettura di Hertz – nel 1911, a Manchester – abbia colpito Wittgenstein.
    Ma non si tratta di semplici congetture.
    In una nota a pagina 129 di: Ludwig Wittgenstein, Vostro fratello Ludwig, Archinto 1998 – un carteggio con i fratelli – viene riportata una lettera a Engelmann che dice:
    “Così mi hanno influenzato Boltzmann, Hertz, Schopenhauer, Frege, Russell, Kraus, Loos, Weininger, Splenger , Sraffa”. [1919].

    Così, nelle mie storie, nella limitazione del sistema newtoniano, posso ora vederci anche la fonte di una ruscello che porterà al “Tratactus”, ruscello che, a parer mio, può anche essere quello la cui musica risulta la più orecchiabile:

    *Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere*.

  2. ops! etere 4 era forse la parte immaginaria di etere 3, questo potrei rispondere per buttarla in matematica, ma la verità è che ho fatto un errore di numerazione nei file della mia cartella “nazione indiana” e ciò ha provocato il salto. Pazienza, per ora tenetevi questa numerazione avec les trous.
    Al soldato nostro affezionato direi che sì, Hertz eliminò le forze dalla fisica, pagando tuttavia un prezzo pesante assai, quello di introdurre le “masse nascoste”, finzione che esplicitamente ritenne preferibile a quella delle forze. Sulla personalità di Hertz non c’è ovviamente discussione, purtroppo morì troppo giovane per sviluppare e arricchire completamente il suo punto di vista sulla meccanica. Resta che il suo approccio non trovò proseliti se non a livello metodologico, come appunto Wittgenstein.

  3. Grazie Sparz.

    Ma è proprio su quel terreno metodologico che si sono svolte le mie più felici escursioni.

    Per esempio: passando dal concetto di forza a quello di massa:

    *
    siamo ridotti alla seguente definizione, che non è che una confessione di impotenza: *le masse sono coefficienti che è comodo introdurre nei calcoli*

    *
    Hertz ha colpito ancora più in alto – se mai fosse stato possibile – che con Wittgenstein.

    Si tratta infatti di Jules-Henri Poincaré [La scienza e l’ipotesi, Bompiani 2003, pag. 163] all’inizio del discorso metodologico – chiamando in causa Hertz – che lo porterà, più tardi, ad accusare la relatività di Einstein di essere “metafisica”.

    E’ possibile che ci sia qualcosa di ancora più alto di questi giganti. Un altro lettore di Hertz e di Poincaré

    Certamente. Anche se si tratta di una valutazione semplicemente soggettiva.

    *

    La massa è un concetto duro da digerire: essa si presenta come un coefficiente di indugio o di resistenza tra la forza e l’accelerazione: confina con l’idea di materia platonica, cioè di bruta resistenza ad una elaborazione, ad un movimento. Henri Poincaré (cito a memoria) disse ‘les masses sont des coefficients qu’il est commode d’introduire dans les calculs’ e credo volesse con questa concisa frase dire che il senso o l’intepretazione della realtà filosofica del concetto di massa sfugge per ora alla nostra comprensione.

    CARLO EMILIO GADDA. Meditazione milanese, Einaudi 1974, pag. 141.

    *

    La cosa che succede a questo punto è che tutti i ruscelli che siamo andati a seguire, confluiscono in quel grande, immenso fiume che sarà il “Pasticciaccio”.

    Rendendomi pienamente consapevole del rischio che corro, nell’affermare che

    *tutto ciò che sul “Pasticciaccio” è stato detto dai critici, sin dalla sua pubblicazione, è massa di inutile crusca.

    che una vera lettura del “giallo” come “giallo della comprensione filosofica”, non è ancora stata fatta*,

    Perchè i letterati sono i meno adatti a leggere quell’opera, per la quale io non ho ancora una definizione.

  4. Ringrazio Sparz per l’ospitalità.
    Che il suo articolo mi abbia dato l’occasione di fare affermazioni il cui tono può apparire provocatorio, non lo rende minimamente responsabile di questo.

    Ringrazio anche Dario, ma considero il suo commento eccessivamente generoso nei miei confronti.

    Gli statalini che io ho frequentato [ 1969-1970: nelle mie peregrinazioni universitarie diedi con loro l’esame di “dottrine politiche”, 30 e lode, sul “Manifesto” di Marx-Engels] avevano ben altri interessi.

    Sono d’accordo invece sul fatto che se in un ambiente come “secretum”
    avesse possibilità di maturare tutto quello che mi frulla in testa, che giudico presente in Gadda, avremmo possibilità di vedere onorato il nostro “maggiore” con teorie e con letture all’altezza della complessità, non ancora pienamente percepita, della sua opera.

  5. Gentilmente, quale è il saggio di Anita Guerrini? Conosco solo due testi in inglese della Guerrini

  6. caro soldato ti sono molto grato della gaddiana citazione, dato il mio grande amore per il Carlo Emilio. Volendo dire una parola sulla massa, ancora su terreno classico, e prima dunque di infilarsi negli astratti meccanismi di rotture di simmetria e altri ammenicoli, la migliore definizione di massa proviene da Mach e prescinde completamente dall’idea di forza e proviene dalla seguente ottima formulazione del cosiddetto terzo principio della meccanica: dati due corpi, molto distanti da tutto il resto, essi si muovono con accelerazioni a1 e a2, legate tra loro da una formula del tipo a2=-ma1, dopodiche` si dimostra che quel coefficiente m e` un numero positivo che puo` sempre essere visto come il rapporto di due numeri m1/m2; questi due numeri sono le masse dei due corpi. Se vuoi dettagli e bibliografia scrivimi sulla posta di NI e io ti mandero` quello che vuoi.
    a duceremultimodisvoce chiedo di pazientare due giorni perche` sono fuori casa e non ricordo a mente l’indicazione: si tratta comunque di un volume collettivo in onore, credo, del terzo centenario dei principia (1987)

  7. caro Duceremultimodisvoce, ecco la citazione giusta dello scritto della Guerrini, in verità ottimo a mio avviso:
    GUERRINI Anita, Ether madness: Newtonianism, religion, and insanity in eighteenth-century England, in Theerman Paul and Seef Adele F. (eds.), Action and Reaction, Proceedings of a Symposium to Commemorate the Tercentenary of Newton’s Principia, University of Delaware Press, Newark, 1993, pp. 232-254.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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