Tre ore zero del Novecento

di Stefano Zangrando

Tra le foto di Michael Ruetz sul Sessantotto in mostra all’Accademia delle arti di Berlino fino al 27 luglio ve n’è una che immortala Rudi Dutschke, il più celebre leader studentesco germanico, durante un discorso alla Libera Università di Berlino Ovest nell’autunno 1967. L’espressione del volto è contratta nell’impeto dell’arringa, la bocca spalancata e tesa, e una fonte di luce posta esattamente dietro l’oratore crea intorno al suo capo un’aureola, emblema appena ironico della “santificazione” che lieviterà nei decenni a venire. Trent’anni dopo quegli eventi, Wolfgang Büscher, giornalista e reporter noto ai lettori italiani per la recente uscita presso Voland di Berlino-Mosca. Un viaggio a piedi, pubblica il suo primo libro, Drei Stunden Null, nel bel mezzo del quale un certo Rudi appare bambino sotto i bombardamenti alleati nel marzo 1945, per rivelarsi poche pagine dopo: «Poco prima della costruzione del muro, Rudi va a Berlino Ovest e poco prima della Pasqua del 1968 un uomo sul Kurfürstendamm gli chiede se lui è Rudi Dutschke. Rudi annuisce e l’uomo gli spara, ferendolo gravemente». Dutschke, tuttavia, è solo uno dei tanti personaggi che popolano il libro di Büscher, oggi disponibile anche in italiano grazie all’editore Keller di Rovereto con il titolo Ore zero (trad. di Irene Erminia Russo, pp. 206, € 13,00). Le “tre ore zero” del titolo originale sono i momenti topici della storia tedesca e mondiale del secondo novecento fissati dagli anni 1945, 1968 e 1989. A ciascuno di essi Büscher dedica pagine che, come le immagini di Ruetz, fondono in un unico registro volontà documentaria ed elementi romanzeschi, analisi storica e reportage sociale, per cui la grande Storia si riflette sempre in storie particolari, vicende individuali che trasformano i protagonisti reali in personaggi di un racconto collettivo che esplora l’identità tedesca su più livelli epocali. L’esito può essere un’appassionata restituzione dall’oblio, com’è il caso della resistenza degli abitanti di Breslavia, stretta tra la follia nazista e la brutalità dei soldati russi, o dell’epopea collettiva degli emigrati tedeschi in Kazakistan, con un salto temporale agli ultimi decenni del XIX secolo – gli stessi in cui a Mafferdorf, nei Sudeti, nascono Konrad Henlein, futuro Gauleiter della regione, e Ferdinand Porsche, fondatore dell’omonima casa automobilistica, di cui Büscher narra le vite parallele; a prevalere è allora un’intenzione poietica e politica, volta a restituire senza troppi sensi di colpa la complessità e le contraddizioni del carattere tedesco, come anche nella ricostruzione della vita di Charly Rohn, il dongiovannesco macellaio di Wuppertal che si spacciò a lungo per un ebreo, finché non fu fatto fuori da due skinhead. Storie uniche ed esemplari a un tempo. Del resto è forse parte di quella stessa complessità il fatto che, per diversi anni, il libero giornalista Büscher abbia diretto proprio la sezione reportage della «Welt», la principale testata dell’Axel Springer Verlag, l’editore anticomunista di cui nel 1967 Rudi Dutschke aveva invocato l’espropriazione.

Questo articolo è stato pubblicato su «Alias» del 12 luglio 2008, col titolo «Wolfgang Büscher e tre ore zero del Novecento».

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20 Commenti

  1. Rudi il Rosso.
    Generazione, la mia.
    1968 e dintorni.
    Forse, quando l’ultimo della mia generazione sarà passato a miglior vita, forse e soltanto allora, si riuscirà a parlare di quell’epoca in maniera franca e veritiera. E dei suoi protagonisti.
    Oggi, null’altro che una coltre di silenzio sospetto.
    Perché?
    Perché molti dei miei coetanei, i “piccoli Lenin”, leaders del proprio egoismo, ora come allora, sono finiti nelle stanze del potere. Ad ogni costo. Dimentichi anche delle regole minime della decenza. E dell’etica.
    Questo è il testo che avevo preparato per il libro Rizzoli di Oreste Scalzone sul ’77. Accanto ad una ricca bibliografia e ad una serie di documenti di difficile reperimento.
    Quel libro non è mai uscito.
    Lascio ai volenterosi lettori il piacere d’ogni commento.

    NOTA

    Alta sui naufragi
    dai belvedere delle torri
    china e distante sugli elementi del disastro
    dalle cose che accadono al disopra delle parole
    celebrative del nulla
    lungo un facile vento
    di sazietà di impunità

    Sullo scandalo metallico
    di armi in uso e in disuso
    a guidare la colonna
    di dolore e di fumo
    che lascia le infinite battaglie al calar della sera
    la maggioranza sta la maggioranza sta

    Recitando un rosario
    di ambizioni meschine
    di millenarie paure
    di inesauribili astuzie
    coltivando tranquilla
    l’orribile varietà
    delle proprie superbie
    la maggioranza sta

    Come una malattia
    come una sfortuna
    come un’anestesia
    come un’abitudine

    Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
    col suo marchio speciale di speciale disperazione
    e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
    per consegnare alla morte una goccia di splendore
    di umanità di verità

    Per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
    e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
    con improbabili nomi di cantanti di tango
    in un vasto programma di eternità

    Ricorda Signore questi servi disobbedienti
    alle leggi del branco
    non dimenticare il loro volto
    che dopo tanto sbandare
    è appena giusto che la fortuna li aiuti

    come una svista
    come un’anomalia
    come una distrazione
    come un dovere

    Fabrizio De André,
    Smisurata Preghiera

    (tratta liberamente dalla Summa di Maqroll il Gabbiere di Álvaro Mutis)

    Mi invitano a scrivere una nota sul lavoro di ricerca che ho svolto in queste giornate. Che non considero affatto un lavoro, nel senso classico del termine, con tutto il suo carico di pesante alienazione.
    Mi sono mosso perché è stato Oreste Scalzone a chiedermelo. Oreste, uno dei migliori della mia generazione, senza alcun dubbio. I migliori della mia generazione, in un modo o nell’altro (e mai nessun organo d’informazione se ne occuperà per raccontare il vero), li hanno messi tutti a tacere. In che razza di mani è finita la cosiddetta cosa pubblica, in Italia e altrove? Il dibattito, come al solito, è aperto.
    Non dimenticherò mai le parole dell’avvocato Tommaso Mancini. Oreste non è la prima volta che mi chiede “cortesie” come quella che sto per raccontare. Da quel lontano 1968, non ha mai smesso. Non ha mai cessato di adoperarsi per la costruzione d’una società migliore. Studente alla Sapienza di Roma, lui ternano d’origine, ha vissuto da protagonista tutta l’onda lunga del movimento nato appunto nel ’68 e mandato in frantumi nel 1978 dalle follie lottarmatiste e dalla violenza dello Stato. E dalle derive neospiritualiste. E da allora non s’è fatta più attività politica, almeno nel senso in cui la intendevamo noi. I meravigliosi perdenti. I mai apprezzati beautiful losers. Speriamo nel regno dei cieli, se ne esiste uno…
    Bene, tornando all’avvocato Tommaso Mancini, da me incontrato perché Oreste m’aveva chiesto la “cortesia” di fargli avere i suoi interrogatori in fase d’istruttoria (un lavoro da certosini. Povera l’avvocatessa, la collaboratrice di studio dell’avvocato Mancini e povero anche il sottoscritto… Lo dico sorridendo, e con quella punta d’ironia con la quale affronto la mia povera vita. Che non è certo facile. Ché non è facile per nessuno), a un certo punto della nostra conversazione Tommaso ha detto, con la massima serenità: “Li ho difesi tutti, quelli del 7 aprile, ma ho conosciuto un solo vero rivoluzionario: Oreste Scalzone”. Io ne ho conosciuto più di uno, dei vecchi leaders d’un tempo ma, anche solo per una questione d’istinto, non posso che essere d’accordo con lui. Immagino già le sue reazioni, le reazioni d’Oreste (al quale staranno già fischiando le orecchie), quando leggerà queste parole. Una volta gli ho detto: “Che ti piaccia o no, sei un pezzo della storia d’Italia”. E lui, con malcelato imbarazzo: “Sì,… della storia e pure della geografia!”. La modestia è virtù rara, oltre che rivoluzionaria. E lui è un modesto. Per temperamento e per scelta ideale. E soprattutto di vita.
    Cos’è più la virtù, cosa sono più le virtù nella società nella quale ancor oggi siamo costretti a vivere? In un mondo in cui, nella migliore delle ipotesi, se va bene, si agisce quasi esclusivamente sulla base della regola della cosiddetta “sana presunzione”? Che dire poi dell’interesse privato? Peggio, dell’egoismo?

    “Siamo figli delle stelle, pronipoti di sua maestà il denaro”, Franco Battiato.

    Ricordo ancora le parole, a me indirizzate, da un ricco & simpatico & affabile farmacista, un progressista/regressista in politica: “Sei disumano, a pretendere il contrario!”. Parole che rischiano di giustificare l’illecito e il facile arricchimento di pochi disonesti, a danno dei tanti onesti. E ingenui. Come è sempre avvenuto sulla faccia della terra. Da che mondo è mondo. La parola d’ordine, motrice della Storia, in quello che si pretende “il migliore dei mondi possibili”, anzi, “l’unico, possibile”, tanto cara all’ideologia liberale, quella dell'”Arricchitevi punto esclamativo” (lo scrivo a questo modo, per esteso, per rafforzare il concetto), si traduce, nella dura materialità del vivere di tutti i giorni, ridotto così com’è a pura sopravvivenza, in quella che chiamano “lotta per la vita”.
    Traduco in termini volgari (perché volgare, oltre che drammatica, è la faccenda). Pochi senzascrupoli s’arricchiscono veramente; un’infima minoranza. Ai più viene lasciata la lottasenzaquartiere appunto per la sopravvivenza. Per grandi ricchezze? No, per quattro baiocchi. La vita non vive. Ché la vita, quella vera, non sappiamo nemmeno minimamente cosa possa essere. Ha ragione Goethe quando ne “I dolori del giovane Werther”, dice: “Offre uno spettacolo monotono il genere umano”. Monotono e tragico.
    Scrivevo con un sms, giorni fa, a Roberto De Caro, figlio di Gaspare De Caro, che sono tra i pochi veri intellettuali a costringermi ad amare ancora, e nonostante tutto, il mio Paese: “Il darwinismo sociale, la ben nota teoria protonazista, è applicato ogni giorno che iddio ha creato. Anziani abbandonati a se stessi con pensioni da fame”. E lui: “Giovani abbandonati a se stessi senza più pensione che invece di sfasciare tutto si preparano alla competizione, ché uno su mille ce la fa e gli altri pazienza”.
    Oreste Scalzone e Lucia Martini, da quel lontano, fatidico, epico, epocale, cruciale, osannato, demonizzato e cos’altro non so, 1968, non hanno mai abbandonato l’impegno. Uno stile di vita che ha dei tempi e dei ritmi a dir poco intensi, serrati, non comuni, sempre faticosi. Si dedicano agli altri. Come si dice comunemente, essi si occupano del sociale. E di tempo ad Oreste, per scrivere, per farci sapere come la pensa su questo e su quell’altro argomento, ne rimane ben poco. Per scelta. Altri, invece, hanno preferito l’essere intellettuali di professione, con tutto il privilegio che è assegnato alla condizione, alla casta. Ed è ben difficile farli scomodare dal loro trono… “Che si son visti mai, per caso, a qualche corteo?”. Poco o niente, nemmeno per errore. Facile, troppo, il pontificare da dietro una scrivania, abbandonati su una comoda poltrona…
    Che anche lo Stato cosiddetto democratico, all’atto pratico, sia organizzato in forma corporativa è cosa ben nota ed evidente. Che dire della continuità dei regimi, all’insegna della dittatura del ricco sul povero? Della dittatura di classe?… Cari teorici della scomparsa del proletariato? Basta osservare, e nemmeno con tanta attenzione, quello che si scatena nel tessuto della società, ogni anno, quando si tratta di affrontare il tema della distribuzione delle risorse e degli oneri, che vengono stabiliti centralmente dalla legge Finanziaria. Un autentico tiro alla fune. Chi tira di qua e chi tira di là. Tutti, e indistintamente, affermando però di aver presente null’altro che il “bene comune”. Abituale comune ipocrisia. Ma è meglio sorvolare… Purtroppo, il genere umano non conosce altra forma organizzativa che quella mafiosa. A cominciare dalla famiglia.
    A Parigi, i compagni paragonano Oreste a quell’esule della Rivoluzione sociale di Spagna del 1936, che a scrivere, scriveva ben di rado. Preferiva occupare il suo tempo dedicandosi agli altri. E il dedicarsi ai problemi degli altri, spesso autentici drammi, ha i suoi tempi. Con questo non voglio dire che mi trovo sempre d’accordo con quel che dice. Tutt’altro. Neanche lui, con certe mie uscite: “Sergio!… Che ti metti a fare la critica della critica?”. Ma almeno abbiamo il buon cuore di ascoltarci. Per me, il confronto con chi dissente, a volte, è faticoso. Pessimo carattere, il mio. Come tutti gli ipersensibili. Per lui, invece, è una cosa naturale. Prende in considerazione tutti (o quasi,… non esageriamo!). Ascolta (… quanto è difficile il saper ascoltare…), dialoga, indaga, prende appunti, risponde. Certe mie osservazioni, per esempio, sono rimbalzate in un suo lungo intervento, pubblicato dal quotidiano Liberazione qualche mese fa. E mi sono accorto che le ha fatte sue. Come è giusto che sia, quando si condivide un’opinione. Ma anche questo quasi mai avviene. Anche la modestia è diventata virtù rara.
    Mi sono mosso, in questo mio andare in giro a cercar documenti, animato dalla solita, costante, testarda ricerca della verità. Ben sapendo che la verità è sempre rivoluzionaria. E scomoda. E che, quindi, non la troverò mai (o quasi) sulla carta stampata. I media? Tutti al servizio di una qualche burocrazia. Delle burocrazie. Sì, perché, a differenza di tanti della mia età, io non ho mai abbandonato l’idea della necessità e della possibilità della costruzione d’una società differente. Anzi, l’esperienza non ha fatto che radicalizzare le mie posizioni politiche. Per scelta, o per vocazione, oppure per incapacità (… per indole?), non sono mai stato militante d’organizzazione. Pur avendo avuto, di volta in volta, delle simpatie, c’era sempre qualcosa al fondo che non convinceva e che mi portava fatalmente altrove. E non sbagliavo, se consideriamo com’è andata a finire. Una tragedia. Lo psicodramma della Sinistra, in tutte le sue frammentazioni. Al gran completo.
    Il famoso giornalista, i famosi giornalisti televisivi, uno, fondatore de la Repubblica e militante di Lotta Continua e membro della redazione romana del periodico underground Re Nudo (e fu allora che conobbi Andrea Valcarenghi & Marina Valcarenghi & Piero Verni), ricco di famiglia, alta borghesia romana, alta e acculturata, casa piena di libri, mentre per me i libri erano un lusso, lui, ricco e ammanicato e col destino segnato fin dalla nascita, l’altro, finito, fulmine a ciel sereno, prima nella redazione de Il Popolo, che se non erro era l’organo della vecchia Democrazia Cristiana, duro e puro di Potere Operaio, ora mezzobusto imbalsamato, là dentro, nel piccolo schermo, a leggere le veline del ministero degli interni, loro due, nemmeno mi salutano più.
    Un altro, diventato criticocinematografico suo malgrado, famoso per il suo linguaggio difficile, spesso incomprensibile, criptico, l’ho sentito l’altra sera alla radio. Ha cambiato anche il tono della voce.
    A Roma si direbbe che “hanno fatto i soldi”.
    Ha ragione Marx, Karl Marx, il profeta, ma potrebbe essere benissimo Groucho, quando afferma: “Se non vivi come pensi, finirai col pensare come vivi”. Stendiamo il classico velo pietoso, su una generazione perlopiù da mettere tra parentesi. Con le dovute eccezioni. Ma le eccezioni non son la regola. Il pentitismo di lusso, a suon di incarichi milionari, è male diffuso tra le vecchie classi dirigenti del gauchisme nostrano.

    “Tra dieci anni sarete tutti notai!”, Eugène Ionesco.

    Non intendo, con questo, mettere in discussione la possibilità che è data a tutti e a ciascuno, quella di cambiare anche radicalmente le proprie opinioni. Tutt’altro. Ma queste scelte mi sembrano dettate unicamente dal più basso (e consueto) dei calcoli opportunistici. La “Sconfitta”? E come poteva andare a finire con questo “ceto politico”? E il vecchio mondo ha preso il sopravvento. Il popolo di Mosè ha attraversato il Mar Rosso e subito dopo le acque si son richiuse.
    L’unica vera, grande eresia è essere se stessi. Tutti cercano di reclutare l’altro a sé. Di inglobarlo. Di fare proseliti. Di collocare il malcapitato di turno nei propri schemi. Ed anche questo è fascismo. Riuscireste mai a rinchiudere il vento in una gabbia?
    Nessuno potrà mai perdonare chi tenta anche solo di sussurrare: “Esisto e sono io”. La valorizzazione dell’individuo è l’unica, vera, grande eresia. Una delle poche strade che che rimangono all’umanità. Di salvezza. Per evitare altri olocausti, simili all’Olocausto che qualcuno cerca meschinamente di negare, di occultare… povero Primo Levi. (Il revisionismo storico, il pensiero debole, i vecchi, antichi “nuovi filosofi”, sostegno del Potere, ci stanno togliendo il respiro). Per impedire che le guerre locali, che si sono scatenate dopo il crollo del socialismo reale, che meglio sarebbe chiamare “irrealizzato”, e del Muro di Berlino, in primis quelle “umanitarie” (!), tanto care alla Sinistra di sua maestà, assumano le caratteristiche d’una guerra permanente. Di un altro conflitto mondiale. Le cui conseguenze sono ora imprevedibili. E che potrebbero diventare irreversibili.

    “Muro di Berlino. Nel muro c’è una crepa, nella crepa c’è un muro”, sergio falcone.

    Il pensiero va ad una delle più famose poesie di Gregory Corso, autentico manifesto di un’epoca, “Bomb”. Il vero assassino dell’umanità è l’odio.
    In Italia non esiste la cultura dell’individuo. Per apparire, devi essere strutturato. Organizzato. Sempre, comunque e ovunque. E immediatamente riconoscibile in un gruppo. In una struttura collettiva. E non è una buona cosa. Perché, io che sono il signor Nessuno (e tale voglio restare, vista l’indegnità morale e l’ipocrisia di tanti, tra quelli che son diventati famosi), ho verificato, con amarezza e delusione, che riesco ad essere più efficace se agisco da solo. Eppure l’organizzazione dovrebbe fungere da moltiplicatore di risorse, di energie, di intelligenze, di capacità. Invece, e troppo spesso, la struttura paralizza. La struttura della società italiana? Un monoblocco. Una sommatoria di sottili equilibri, per mantenere i quali viene snaturato l’agire politico. Quando, invece, la politica, quella vera, sincera, autentica, disinteressata, dovrebbe essere la cultura che diventa azione. Come diceva il povero Cesare Pavese. Un ingenuo.
    I partiti? Loculi mortuari. La Sinistra d’opposizione? Ammalata di “realismo radicale”. L’espressione è di uno dei suoi leaders. Che ha cessato d’essere un oppositore sul serio. E da quel dì. Difficile dare torto a Luigi Galleani, quando scriveva: “Mandateli lassù!”. Non si può trasformare, riformare, cambiare, rivoluzionare, senza mai mettersi in gioco in prima persona. Senza spirito di iniziativa. Senza esporsi. Senza onestà intellettuale. Senza un’etica. Senza regole. Senza il coraggio delle proprie azioni. Di uscire allo scoperto. Di lottare per le proprie opinioni. Di scendere per strada.
    Provate a vivere in una qualsiasi situazione istituzionale e troverete un esercito di addetti, ai vari livelli, che, pur di far carriera, s’arrabbattano, rinunciando alle proprie responsabilità. A prendere la benché minima iniziativa. Sopravvivono, scegliendo la via dei boschi. Nascondendosi. Paura della vita.
    Evidentemente c’è bisogno di troppo coraggio per svolgere davvero i propri compiti istituzionali. Quelli che sono scritti sulla carta e che rimangono carta scritta. La forma burocratica statale diffusa è anche questo. A proposito, che fine ha fatto il dibattito sulla sfera pubblica non statale?

    Brutti, tristi (triste ricordare), settari, il fogli del movimento del ’77 che ho avuto la sorte di sfogliare, alla ricerca di quello e di quell’altro documento. Settari e ideologizzati. Le ideologie? Falsa coscienza esterna & massificata & astrattizzata & ossificata. Le nuove catene. Ideologizzati ed elitari. Nonostante le migliori intenzioni. Quando il quotidiano comunista il manifesto, per esempio, parla di “estremo riformismo prampoliniano”, pensa di arrivare alla comprensione di tutti?
    Brutti esteticamente. Con qualche eccezione, forse il quotidiano Lotta Continua. Sicuramente le fanzine di movimento. Quelle che facevano capo all’ala creativa. Anche se, comunque, mi hanno riportato ad una tragica divaricazione.
    Da un lato, il vecchio. Dall’altro,… il vecchio. Spacciato per nuovo di zecca. Divergendo nei programmi ma, nella sostanza, convergendo in quella che definisco un’autentica fuga dalla realtà.
    Mi spiego.
    Da un lato, le organizzazioni della Nuova Sinistra. E la Nuova Sinistra di nuovo aveva ben poco. Grande, l’intuizione dei gruppi della Sinistra rivoluzionaria! La novità “novissima” del ’68? Il partito comunista, marxista & leninista (mi raccomando), per l’insurrezione!
    Leggo sul Quotidiano dei Lavoratori, un piede nelle istituzioni, l’altro nel movimento, brutto & triste & settario al pari di altri giornali di quel periodo (ma non è un’attenuante), tutti comunque al servizio d’una qualche casta burocratica, la dichiarazione d’un noto esponente del Movimento Studentesco, che andava fiero della costruzione di un non meglio identificato “partito comunista per il combattimento”. Sic! E che dopo qualche anno s’è ficcato nelle istituzioni. Ad alto livello. Classe dirigente. Ora come allora.
    Solo che ora ha aggiustato il tiro.
    I leaderini, i piccoli Lenin d’allora, gli intellettuali tutti, al (quasi) gran completo, sono maestri. Specializzati nell’arte del trasformismo. Antico vizio italiota, avvinghiato devotamente al crocifisso cattolico… “Scusi, ma non era lei quello che fino a ier l’altro inneggiava a Lenìn?”…
    Sarà che, come diceva un attempato signore, che ha indubbiamente dei grossi meriti, quando gli hanno attribuito un premio, grosso e ambito, al giornalista che provocatoriamente gli faceva notare che altri l’avevan rifiutato: “I tempi sono cambiati”…
    Dall’altro lato, coloro che sono fuggiti sulla via delle Indie, dell’arte, dell’introspezione, della ricerca interiore. Del repechage di splendide forme di espressione artistica. Del passato. Novità “novissima”. Riviste e corrette, certo, ma che rimandano alle sperimentazioni delle avanguardie storiche. Revisited, remixed & remastered.
    Chi è scappato in per di qua, cercando scorciatoie militariste. Guadagnandosi al massimo degli ergastoli. Chi in per di là, smarrendo nella maggior parte dei casi il senso della realtà. Della realtà sociale e della situazione, tragica, che abbiamo ancora sotto gli occhi. Fissa. Immutata. Che peggiora a vista d’occhio. L’Ingiustizia.
    Abbandonando, e tutti assieme, la questione sociale e la critica della vita quotidiana. Il confronto con le strettoie della quotidianità. Nuove alienazioni, nuove miserie. Crescita esponenziale della povertà sul pianeta intero.
    Con questo non voglio dire che “in medio stat virtus”. Che la soluzione andava cercata nel mezzo di quelle due ipotesi. Troppo facile. E la faciloneria non si addice a chi aspira a un mondo migliore.
    Oggi, i capi delle organizzazioni armate, militari a tutti gli effetti, dicono di essere stati degli ingenui. Di aver sopravvalutato le potenzialità “rivoluzionarie” della classe operaia. Coloro che, invece, si son fatti santoni, hanno abbandonato completamente l’idea della possibilità della realizzazione di una qualche giustizia in terra.

    Mi guardo attorno e trovo il deserto.

    E l’ingiustizia che incancrenisce. I poveri che si trasformano man mano in miserabili. Gli errori di allora, anche se commessi in perfetta buona fede, hanno rafforzato il disegno di restaurazione che, dalla fine degli anni ’70, la borghesia imperialista sta portando avanti. Di ridefinzione dei confini del suo “ordine” sociale. A piccole dosi. All’italiana. Un pezzetto alla volta. Col supporto della Sinistra istituzionale e delle sue appendici sindacali. Destra e Sinistra si accapigliano null’altro che per gestire la miseria dell’esistente. La Sinistra d’opposizione non fa che blahterare, attestata com’è, per paura del peggio, sul già citato “reaiismo radicale”… (Carneade! Chi era costui?). Si ha più notizia della pratica dell’ostruzionismo parlamentare? Cos’è più l’antagonismo di classe? I tribuni del popolo, all’atto pratico, tacciono ed acconsentono. Come il Popolo tutto. Narcosi collettiva.
    I gruppi della Sinistra rivoluzionaria hanno funto, consapevolmente ed inconsapevolmente, da supporto del vecchio, oramai dissolto Partito Comunista Italiano, che non ha mai abbandonato la sua natura di organizzazione stalinista. Il Partito Comunista Italiano ha distrutto coscientemente il dissenso comunista che s’era organizzato alla sua sinistra e si è suicidato, moralmente ancor prima che politicamente, diventando liberale. Cioè sposando l’ideologia dell’avversario di classe. Una tragicommedia. In analogia con le burocrazie dei paesi a capitalismo di stato. Oggi, il Partito Comunista Cinese sta imponendo il neoliberismo alla popolazione. E a marce forzate.
    Traetene un po’ voi le conclusioni.

    “Io non sono marxista!”, Karl Marx.

    E la mente corre, noi giovani vittime dello stalinismo, ai giorni tragici e irripetibili della Rivoluzione di Spagna. Una rivoluzione cancellata dagli stalinisti che provocarono la vittoria di Franco.
    Tutte le organizzazioni storiche e non del movimento operaio hanno subìto la stessa involuzione. La politica, che tradotta in soldoni non è nient’altro che l’arte della medietà, della mediazione e dell’intrallazzo, ha denaturato la Sinistra. Una quasiasi aggregazione non è un’entità astratta. È chi la compone. Che dire degli esseri umani? Strano il destino che è assegnato all’umana specie. Quello di pensare in un modo, di parlare in un altro, di agire in un altro ancora. Una scissione schizofrenica di tutto rispetto.
    Il Potere. Sì, la colpa di tutti quel che di negativo accade è di chi ha responsabilità pubbliche. Ma anche del Popolo che tace ed acconsente. Per opportunismo.
    Avete mai visto la ruling class, quelli che contano, finire in galera? E, se pure c’è finita, restarci a lungo? Anche il fascismo ed il nazismo, al pari dello stalinismo, ebbero una base di massa. O no? Piazza Venezia, quando parlava il “duce” era stracolma di gente. E Carlo Pisacane, chi l’ha ammazzato? La milizia avversaria o il Popolo che voleva andare ad emancipare? A Gesù di Nazareth, la gente ha preferito Barabba.
    Non ho mai ascoltato ancora un dibattito libero, vorrei dire “laico”, su quella che i militanti residuali chiamano “Sconfitta”. Ognuno, a partire dagli organizzati in partiti e partitini, rimane abbarbicato alla proprià verità.

    Noi, quelli della ragione ideale e del torto storico.

    E lotte feroci, come sempre, anche all’interno della stessa struttura. Per chi ha ragione, per chi possiede la verità, per l’egemonia, per il Primato. Scimmiottando quello che avviene abitualmente nel vecchio mondo: la lotta di tutti contro tutti. La Rivoluzione sono io!

    “La realtà è un uccello che non ha memoria
    devi immaginare da che parte va”, Giorgio Gaber.

    Alzo lo sguardo dalla mia scrivania. È notte. E accarezzo il mio gatto che mi vuole stare sempre in braccio. Nessun quotidiano, visto che c’è libertà d’informazione e che tutti gli organi d’informazione fanno a gara a chi è più libero, parlerà mai di quando Oreste Scalzone mi chiede di fargli un massaggio alla base del collo perché gli duole la schiena o di quando lo accompagno a comprare le banane, le più mature, quelle che la gente spesso rifiuta. Notizie artefatte, quelle che leggo comunemente. E tutte finalizzate a un qualcosa che non è mai alla nostra portata. Che sfugge ai più. Di una notizia, abilmente manipolata, capiamo solo quello che appare. Che ci lasciano intendere. La superficie. Cosa si nasconde dietro agli avvenimenti d’attualità? Dio solo lo sa…
    Apro il giornale e vedo le foto dei possibili prossimi estradandi dalla Francia. Gli esuli italiani della mia generazione. Ma dietro ogni foto c’è una vicenda umana, ci sono stati d’animo, emozioni, drammi.
    Chi se ne ricorda più del senso d’umanità che c’è in ognuno di noi? Ognuno rinchiuso nella sua cella, costretto anche all’inimmaginabile, pur di riuscire, come si dice abitualmente, a mettere la pentola sul fuoco. Per sé e per la famiglia.
    E non t’aiuta nessuno.
    A cominciare da chi dovrebbe.
    Le democratiche istituzioni.

    “Povera patria! Schiacciata dagli abusi del potere
    di gente infame, che non sa cos’è il pudore,
    si credono potenti e gli va bene quello che fanno;
    e tutto gli appartiene.
    Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni!
    Questo paese è devastato dal dolore…
    ma non vi danno un po’ di dispiacere
    quei corpi in terra senza più calore?
    Non cambierà, non cambierà
    no cambierà, forse cambierà.
    Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali?
    Nel fango affonda lo stivale dei maiali.
    Me ne vergogno un poco, e mi fa male
    vedere un uomo come un animale.
    Non cambierà, non cambierà
    sì che cambierà, vedrai che cambierà.
    Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali
    che possa contemplare il cielo e i fiori,
    che non si parli più di dittature
    se avremo ancora un po’ da vivere…
    La primavera tarda ad arrivare”, Franco Battiato.

    Natale è alle porte e ogni anno il commercio che si fa attorno a questa ricorrenza impone luci, addobbi e lustrini con sempre maggiore anticipo. Arriverà il giorno in cui le feste di fine anno inizieranno già dal sedici d’agosto?
    Intanto è notte fonda. Riesco a vedere, offuscata dal chiarore delle luci artificiali, qualche vaga stella.
    Non sono che un modesto viandante, con il vizio dell’autenticità.
    Solitudine pubblica.
    Tutti dicono di adoperarsi per il povero, ma il povero rimane tale.
    E la Storia, lo scandalo che dura da diecimila anni, continua…

    da casa, venerdì 22 dicembre 2006

  2. Ho un vago sospetto che Sergio Falcone porti lenti distorte.
    E che nel cercare documenti, si dimentichi di girare a piedi.
    Perdendo l’occasionedi farsela raccontare dai protagonisti, quella stagione.
    E la loro vita di adesso.
    Quelli che hanno continuato, i più, senza accedere a stanze o a teleschermi.
    Quelli che non avrebbero bisogno di dedicarsi ai poveri perché lo fanno con se stessi. Ma che lo fanno comunque.

    *

    I leaderini, i piccoli Lenin d’allora, gli intellettuali tutti, al (quasi) gran completo, sono maestri. Specializzati nell’arte del trasformismo. Antico vizio italiota, avvinghiato devotamente al crocifisso cattolico… “Scusi, ma non era lei quello che fino a ier l’altro inneggiava a Lenìn?”…

    *

    Ma dove?

    Il mese scorso è morto Michelangelo Caponetto, il leader del movimento studentesco fiorentino prima e di Potere Operaio poi.
    La chiesa valdese prestata per l’occasione in cui si è svolta la cerimonia laica di commiato era piena di compagni di PO che magari erano trent’anni senza incontrarsi.
    Non ne ho visto uno la cui vita possa essere censurata.

    Sono sicuro che lo stesso Oreste – a cui mando i più cari saluti – sia infastidito da tanta adorazione che lo trasforma in qualcosa che non è.

    Lo cita pure Pavese, Sergio Falcone. Ho paura si tratti di un incoscio desiderio di liberarsi di ciò che nemmeno a Pavese riuscì:

    *
    Per scelta, o per vocazione, oppure per incapacità (… per indole?), non sono mai stato militante d’organizzazione. Pur avendo avuto, di volta in volta, delle simpatie, c’era sempre qualcosa al fondo che non convinceva e che mi portava fatalmente altrove. E non sbagliavo, se consideriamo com’è andata a finire. Una tragedia. Lo psicodramma della Sinistra, in tutte le sue frammentazioni. Al gran completo.

    *

    Facile, dopo. Quando non si è osato prima. E facile salire sulle spalle dei nani, da giganti, quandi si tratta soltanto di parole.

  3. Caro Soldato Blu,

    ho avuto un coraggio ben maggiore. Ho osato, in quegli anni, quel che oso ancora. Essere me stesso. Contro tutti gli intruppamenti. E, come vado ripetendo spesso, l’essere se stessi è l’unica, vera, grande, imperdonabile eresia.
    Oreste non lo incenso. Ha tutti i suoi limiti, umani. Come tutti. Ed abbiamo anche i nostri bei contrasti di vedute. Ma, nella palude del militantismo residuale, brilla di una grande luce. Vorrei dire… rara. Perché è umano. Lui soltanto, non altri. Li ho conosciuti, i vecchi leaders e so bene quel che dico.

    Cordialmente.

  4. Sei un confusionario, Sergio, e ti rode qualcosa che impedisce una scelta precisa delle parole che usi.
    Che ti impedisce di usarle nella maniera giusta.
    Non hai parlato soltanto dei tre o quattro leaders che tu conosci: se avessi fatto i nomi, magari sarei stato d’accordo con te.
    Hai generalizzato, proponendo un soggetto: “gli intellettuali tutti, al (quasi) gran completo”.
    Che si sarebbero ‘intruppati’, prima, nella militanza.
    E rispetto ai quali tu avresti avuto coraggio maggiore a non farlo.
    E che ora sarebbero agenti e complici di non so quali, tante, ‘malefatte’, per cui tu, oggi, Falcone, puoi guardarli dall’alto.
    Sai come ti sei tradito, mostrandoti quale sei veramente?
    Con questa frase: “A Gesù di Nazareth, la gente ha preferito Barabba”. Lo dici rammaricandoti.
    Ma la verità è che la “gente” ha fatto bene: era Barabba, il rivoluzionario combattente, dalla parte loro.
    Quell’altro, un logorroico senza alcuna coscienza di ciò che stava mettendo in moto.
    Sulle cui parole sono stati imbastite due millenni di oppressioni e di assassinii.
    Se, poi, vuoi sapere chi non sopporta il modo con cui ti proponi, chiedi ad Oreste chi, mentre gli calava l’armadio sulla schiena, ha portato via, da in mezzo ai fascisti – assieme a due altri compagni fiorentini – l’allora vicesegretario del M.S.I. Almirante.
    E che pur avendo voglia di vendicare la sua schiena rotta, impedì al suo compagno di spaccargli la testa con un manico di vanga. Anche questo strappato ai fascisti. Accontentandosi di un paio di sberle.
    Perché amavamo la vita.
    Perché siamo stati, sempre, noi stessi.
    E non sopportiamo falsi ritratti collettivi fatti da certi volatili – allora, sicuramente, più perdigiorno di noi – che, a ben vedere, nemmeno oggi, sanno del vero sé, in quale nido stia.
    Cuculi.

    Smettila di volare – te l’ho già consigliato – vai a piedi, al massimo in bicicletta, procedendo con calma vedrai che Oreste non è il solo, che ce ne sono migliaia, e non sono usi a stilare classifiche.
    La militanza, almeno a questo, è servita.

  5. La rivoluzione non è un fatto di qualche giorno con spari e discussioni, la rivoluzione è un processo lungo, lungo e continuo, capace di condurre alla creazione di uomini nuovi che rinucino a sostituire una banda con un’altra banda dopo la rivoluzione, una democratizzazione di massa dal basso…

  6. domenico, che emozione rivedere quell’arringa
    la definizione della rivuoluzione di uno che, dopo essere scampato miracolosamente a un attentato, andò a trovare in carcere l’attentatore, lo ascoltò e gli parlò, ne capì la confusione e lo condusse finalmente tra i suoi.
    che palle ce c’aveva uno così… magari lo avessimo avuto noi, a Trento o alla Statale di Milano!
    grazie per averlo ricordato alla NI

  7. @Alcor

    Scusa, ma, tu, non eri fiera delle tue belle tette, da ragazza – se le hai avute belle – e non sei ancora fiera di averle avute – se le hai avute ?
    Oppure ti imbarazzavano perché troppo piccole?
    O troppo grandi: che petti gonfi?

  8. No, niente lavoro, Alcor.

    Mi è venuto così, felicemente, appena ho letto il tuo commento distruttivo e sprezzante al mio commento che tentava di adeguarsi al tono di un altro commento ancora.

    Ognuno utilizza il piumaggio da parata che può.
    Quando il gioco è stabilire l’ordine di beccata.

  9. Per quanto possa dire uno che frequenta “blog” soltanto da qualche mese, senza mai averlo fatto prima.

    L'”educata finezza” nei commenti, alcune volte, non è soltanto finezza e non è soltanto educazione: è l’ennesima retorica che – assunto quel particolare abito – cerca comunque di distruggere ciò che non gli piace. Che considera “sbagliato” secondo la sua ideologia o la sua sensibilità. Sempre soggettive.

    Attaccare, in quel modo è, sempre, voler affermare una preminenza, senza prima aver convenuto con l’altro un terreno comune
    di possibile intesa.

    A nessuno, penso, piace – per lo meno a me non piacciono – le classifiche, le gerarchie, gli ordini di beccata.
    Ma se uno viene tirato per le penne con un colpo inaspettato di fioretto e si trova per le mani una daga, con quella risponde. Soltanto se si fosse convenuto che di duello si trattava, ci si sarebbe potuti mettere d’accordo sull’arma.

    Non ho però nessuna difficoltà ad ammettere di essere stato impulsivamente maleducato, volgare, con una signora.
    E quindi sentirmi in dovere di porgerle le mie scuse.

  10. Ma insomma poi a qualcuno alla fine il Büscher interessa o no? Perché io le recensioni mica le scrivo per far salotto, eh.

  11. Il Buscher, caro Zangrando, interessa ben oltre quello che, sembra, tu ti aspettassi.
    La tua segnalazione è infatti un efficace invito a una lettura di un libro che parla dei tre momenti fatidici della storia tedesca più recente: si potrebbero avere commenti pertinenti [come quelli che, sembra, tu ti aspettavi] soltanto da parte di chi quel libro lo ha già letto.
    Molti non lo hanno fatto e pochi (per la mia esperienza di libraio, ma posso sbagliarmi) lo faranno.
    Capita allora che, proprio per non fare salotto, e per avvicinarsi a quelli che i temi più generali del libro (per quel poco che se ne può sapere, senza averlo letto) indicano come nodi in comune con la nostra storia,
    alcuni incauti commentatori hanno tentato, balbettando, di accennare a trame e personaggi di uno di quei nodi: il 68, che lo stesso recensore aveva messo in primo piano.
    Capita poi che, non essendo questa un’Accademia, vengano alla superficie idiosincrasie, protagonismi eccessivi, errori tipici di chi si mette continuamente in gioco, sperando di far parte di un processo, ancora in corso, benché sotterraneo, di miglioramento della vita civile del proprio paese.
    E che perciò si sono interessati a un libro che tenta di farci capire ciò che è avvenuto in un altro paese. E alla recensione che ce lo indica come degno di esere letto.

  12. Io vi ringrazio sinceramente e comprendo le ragioni nobili illustrate da Soldato Blu, ma un po’ scherzavo, anche:-)

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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