Noi e loro (più noi che loro)

di Marco Simonelli

Se Pasolini aveva “un’infinita fame/ d’amore, dell’amore di corpi senza anima”, Franco Buffoni in Noi e loro (Roma: Donzelli 2008; Euro 14) nutre la sua poesia con anime dotate di corpi.
Purtroppo, ma alcuni direbbero: per fortuna, nonostante l’abbondanza di voci potenti e storicamente inquadrate, la critica letteraria italiana continua a far benissimo a meno della categoria “poesia gay” (intendendosi, con questa pur parziale etichetta, l’insieme di testi che leggono la realtà omosessuale non soltanto da un punto di vista erotico), e in questo caso ci viene a mancare un essenziale punto di riferimento, in quanto Noi e loro è un libro che parte da un dato esperienziale e letterario omosessuale per esplorare dall’interno aspetti che hanno a che fare con l’identità in genere (non di genere), dimostrando in pratica come l’occhio queer possa inquadrare e raccontare i mutamenti di un’epoca (la nostra) avvalendosi di un punto d’osservazione trasversale. Un tag che sarebbe utile, in questo caso, per dimostrare a coloro che lo ritengono limitante, in quanti e quali modi possa costituire un mero spunto connotativo o principio di catalogazione che viene, dal testo, ampiamente declinato e superato a favore dell’opera e del suo spessore.
Come Gide, ma anche Wilde e Bosie e, più vicino a noi, Dario Bellezza, Buffoni subisce “l’incanto dell’omosessuale europeo in Maghreb”, del luogo in cui “per antica usanza dell’etnia/ Più virile atto è conquistare un uomo/ Che una donna o un bambino,/ E se bianco vale il doppio il suo dono/ Di lussuria e mania”. Buffoni viene però conquistato e sedotto dalle storie dei ragazzi, più che dai loro corpi: una sequenza di musi ispiratori di cui non si limita a cantare le lodi, ma che vengono accuratamente descritti, indagati psicologicamente e tradotti in versi attraverso una continua attenzione a quel dettaglio (a quell’indizio) capace di narrare con la sua presenza una storia dai contorni minimi e massima comunicativa emotiva. Si tratta di una tecnica di cui Buffoni si è appropriato in Suora Carmelitana e altri racconti in versi, uscito da Guanda dieci anni fa, tecnica impiegata successivamente nel polittico memoriale Il profilo del Rosa (Mondadori 2000), nella lunga suite affettivo-avuncolare animata da ispirazione shakespeariana di Theios (Interlinea 2001), nella riflessività bellica e storica del recente Guerra (Mondadori 2005). I singoli testi di Buffoni si aprono spesso con elencazioni: oggetti, colori, profumi dentro cui si affaccia quasi subito la figura protagonista ripresa durante un’interazione, spesso con l’io poetante, che rivela l’intero quadro – un microfilm, una microstoria in cui più che la dinamica conta ciò che di essa resta testimonianza. Punte rappresentative di condizioni umane, esistenziali e politiche, i protagonisti di Buffoni sono qui esteticamente connotati, volti, più che corpi, su cui leggere la realtà di condizioni umane distanti e riconoscersi, specchiarsi nell’identica sostanza degli occhi, “l’acqua degli occhi”, volendo citare il titolo della raccolta con cui ha esordito nel quinto collettivo di Guanda nel 1979.
Nonostante Buffoni dichiari nella nota finale di voler “riconquistare anche in letteratura al sesso omoerotico spazi che per il sesso etero sono consueti”, Noi e loro ha una componente erotica davvero ridotta: sono pochi, anche se incisivi e animati da una piacevole auto-ironia i versi più hot. In compenso all’eros viene sostituita un’abbondante dose di filìa – in aggiunta: più per l’ anthropos che per il vir. Gli amori di Buffoni si presentano continuamente attraverso una materializzazione di oggetti a “connotazione sensoriale”, come in certi testi di Carver, senza che ciò implichi una cesura netta con una certa tradizione italiana o un indugiare sull’apparente vena confessional. La dinamica figurale stralunata ma estremamente controllata, una scansione metrica armonica anche se irregolare capace di creare analogie inaspettate attraverso punteggiatura ed enjambementes, sono solo alcuni degli strumenti tecnici di questo linguaggio.
Ma in Noi e loro gli strumenti più utilizzati ed efficaci sono quelli umani: la necessità di conservare il reale, di inquadrarlo all’interno di una struttura architettonicamente calibrata in tutte le sue parti, esercitando così un dovere civile, più che politico o morale, nei confronti della società d’appartenenza. Perché è proprio quando la poesia di Buffoni parla di loro (extracomunitari? clandestini? omosessuali? emarginati? diversi in senso lato?) che si avverte l’urgenza di una ridefinizione del noi.

Recensione apparsa su Il sottoscritto nel mese di giugno 2008

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33 Commenti

  1. Condivido il commento di blepiro.
    Fare ascoltare una voce poetica nel sentimento del desiderio omosessuale è dare libertà a tutti quelli che non hanno le parole per dire l’amore.
    Perché lo penso, anche se l’opinione cambia, è sempre difficile scoprire la sua omosessualità e viverla (dipende molto del luogo).
    La poesia è una grazia che invita a condividere l’amore, a pensare il desiderio, riallaccia con una tradizione antica: dire il fuoco del desirio in una innocenza e un bruciare del corpo.

  2. Grazie, Marco: I am touched by such a reading! Fino ad oggi avete reagito tu e Giampiero Bona – un appena trentenne e un quasi novantenne – e in modo molto simile. Il comune sentire omoerotico annulla le distanze generazionali. Per il resto quasi assordante il silenzio, con le splendide eccezioni di Flavio Santi e Giuseppe Conte. Finché etero e sedicenti tali continueranno a chiamarsi fuori da queste tematiche, la vedo dura per l’evoluzione del costume clerico-fascista italiota. http://www.francobuffoni.it

  3. caro Franco, meglio, forse, chiamarla “involuzione” clerico-fascista,la pericolosa china presa dal costume italico e non solo, se è vero, come lo è che un pericolo oscurantista grava su tutto l’occidente. Ma pure sul tuo oriente “mitizzato”… e uso un aggettivo che poco ha a che fare con la tua arte che ha la ratio a suo fondamento… Bene fa Simoncelli ad aprire la recensione citando Pasolini…”si chiama colore, il futuro del mondo”, scriveva ne La Rabbia, prefigurando scenari e anticipando problemi a cui migrazioni e guerre avrebbero dato la stura…Così, con “Guerra” prima, e “Noi e loro” e “Reperto 74”,siamo a una sorta di passaggio di testimone: il dovere civile di testimoniare questa testimonianza, la (dantesca) “volontà di dire” la differenza nel mondo, la diversità del mondo, colta forse solo un attimo prima del suo irreversibile disfacimento, solo un istante prima del tutto-spento, tutto-parificato,o irredimibilmente globalizzato…Ma questo è un mio tono da Cassandra che francamente rifiuto… Come ho avuto modo di dirti in altra occasione, “Noi e loro”, mi fa inevitabilmente pensare a due titoli omonimi: un’antologia di narratori omosessuali curata con serietà da Francesco Gnerre, e un saggio bellissimo “Noi e loro, l’enigma della diversità nella società francese”, testo dimenticato del grande Todorov: uno che, come te d’altronde, ha sempre un approccio “illuminato” alle questioni.Se con Gnerre sei quasi agli antipodi, questi si affanna in tutti i modi a trovare una via politicamente corretta allaomosessualità letta in unottica di “normalità” sociale francamente ancora non pienamente raggiunta…mentre tu ci risbatti in faccia il senso di una diversità (che è avvertita come tale dagli “altri”) e che è per molti la questione sociale.
    Anche Todorov, nel suo saggio, gioca a rimpiattino con i termini, noi diventano loro,e loro sono noi. In te, Noi,sono ora gli occidentali, ora i diversi. Loro sono gli altri ,il sud del mondo, ma pure i padroni eterosessuali del mondo… come in un gioco di specchi (inevitabilmente ustori per chi, come me, vive le questioni della diversità all’ennesima potenza – gay, di sinistra, origine ebraica -) “Noi e Loro” si semantizzano biunivocamente tesi alla bipolarità. Come Todorov, tu ci aiuti a capire la nostra contemporaneità, come Pasolini, ci aiuti ad amarla. “Guerra” e “Noi e loro” (ma pure Reperto 74) sono, per i temi trattati, per qualità letteraria, per lo stile raffinato e sobrio, per l’eleganza di certe elencazioni, accumulationes, per l’esattezza della lingua, per l’orchestrazione del testo che sopperisce alla irregolarità della scansione metrica col materiale lessicale in coi l’aspetto fonetico garantisce periodicità con corrispondenze e disseminazioni foniche e omofoniche, allitteranti e assillabanti, insistenze timbriche nel ritorno sonoro. Una lingua mai esibita, ti deriva dalla grande lezione razionalista e lombarda che giunge fino a Giampiero Neri (e ne ravviso molte di analogie, specie in “Guerra”) ma pure Raboni e Majorino, ma sempre, con un particolare uso del Climax (specie in “guerra”)e del chiasmo, dritta alla meta. Grazie di esistere,Franco, tu che sei emerso alla distenza con tanto merito e puntualità, più civile (o incivile) di altri, più attuale e meno arreso di tutti!
    Ti lascio, si fa per dire, con una mia cosina che ho scritto per te qualche tempo addietro,e qui lievemente rivista

    trovi sempre dei rabbini a lapidarti
    pensare che per noi
    gli uomini non giudicano
    – poi diciamo
    le ingerenze le violenze il vaticano
    che fine faresti tra gli islamici –

    guarda
    tutti i tuoi consimili giordani
    libanesi bruni palestinesi
    che s’arrischiano a notte
    s’arrampicano strisciano a terra
    per sorrisi complici di locali
    oltre odio oltre guerra
    a sfidare muri innaturali

    prova pure a indire una giornata
    di gay pride a Tel Aviv
    a dire l’orgoglio ai coloni

    vedi
    come si offendono anche quelli
    che non giudicano per dottrina

    ovunque sei sanno scovarti
    trovi sempre dei rabbini a lapidarti

  4. Grazie Manuel, dobbiamo liberarci degli abramitici tutti, intendo delle loro convinzioni dogmatico-desertiche, anche se oggi – temo – almeno in Italia, che si sia già andati oltre: siamo al cinismo allo stato puro, quello che non si può scalfire con i discorsi onesti. Ti mando un grande abbraccio. franco

  5. Ciao Franco, un grande grazie da Anna L.B., quella che si spazzolava il vestito la sera di Amelia Rosselli e tu pensavi fosse un gesto di scena, invece mi toglievo davvero i peli del gatto! Remember? Viva i belli e le belle.

  6. Una curiosità. Se non ho capito male il libro doveva inizialmente chiamarsi Croci rosse e mezze lune. Era molto bello quel titolo, perché in seguito è stato abbandonato?

    Un abbraccio a Marco e a Anna L.B.

  7. Mi sembra importante che nella sua bella recensione Marco abbia sottolineato la cura di Franco Buffoni per l’essere umano, un’attenzione tutta antropologica che lo porta nei suoi libri a partire da un dato biografico (e mai in modo indulgente o compiaciuto) per abbracciare/scandagliare la storia, spesso quella non detta, passata sotto silenzio o troppo in fretta dimenticata. Quando si getta questo tipo di sguardo sulle cose, quando si ha il coraggio di accorciare le false distanze tra passato e presente, (vicino) oriente e occidente il senso di una diversità diventa “pericoloso” ed osteggiato perché ci investe tutti. Perché non è possibile schierarsi contro un “loro” che in modo urticante riflette il “noi”. Allora disobbedire (come ne Le lingue delle madri, poesia che apre la terzultima sezione) è percorrere se stessi fino all’altro – una lingua, un amante, un’autodeterminazione non imposta – diventare consapevoli della propria intrinseca differenza. E’ questo tipo di crudele ignoranza che attanaglia il nostro paese, lo ammorba annullando ogni opposizione. Ignoranza che si traduce nella moda della “sicurezza”. Riguardo all’involuzione, Manuel, non so, siamo in un paese dove l’apologia del fascismo, vietata dalla nostra costituzione, di fatto non è mai stata considerata un reato… Un saluto ed un grazie a Franco per i suoi interventi. E ad Anna e tutti.

  8. Caro Jacopo, hai perfettamente ragione. CROCI ROSSE E MEZZE LUNE è stato fino alle seconde bozze il titolo del libro, poi è diventato titolo di sezione perché mi resi conto che – con quel titolo – delle due branche dell’esclusione (immigrazione/omosessualità) ne passava solo una, la prima. Con NOI E LORO, pur se meno accattivante e meno colorato, invece passava anche la seconda. A Francesca non posso dire che “grazie”, spero di essere sempre degno della sua analisi. Un abbraccio immenso da franco.

  9. Cara Francesca, innanzitutto grazie per i suggerimenti bibliografici sulla Guidacci (non avevo specificato,ma mi riferivo alla assenza dalla grande editoria…spesso distratta… come pure alla critica…pensa che nelle più recenti antologie, da Testa a Piccini, passando per l’infelice Manacorda Minor, fino alla sosselliana Parola Plurale, non solo mancano la sopracitata, la Bettarini, la Annino, ma persino la Insana,pur editata da Garzanti… e la questione non è che siano donne, quanto piuttosto che scrivano in una lingua altra, e da un’oltrelingua… mentre si canonizzano tromboni e trombonesse che più che poesia fanno araldica, un nome per tutti: la Spaziani),ciò detto, e sperando di non sollevare un inutilepolverone di commenti, penso che siamo d’accordo. Ora, che si tratti di evoluzione o di involuzione, importa poco. Quello che è grave, ed è importante dare l’allarme, è che non ricordo un’altra fase della nostra vita repubblicana in cui il Vaticano sia, così prepotentemente, sceso in campo nell’agone politico… interferisce su tutto, tiene in pugno destra e una parte molto pusillanime della sinistra… mai, se non agli albori del dannatissimo Ventennio, la comunità ebraica italiana ( e in particolare quella romana che ha aperto le braccia al manganellatore Alemanno…)ha “salutato con gioia” l’ennesimo avvento del Messia Sbugiardoni. una cosa abominevole… e che dire della signora Fiamma Nirenstein che convive con fasci e figli di fasci, con gente che non ha mai abiurato, con Alessandra Mussolini, proprio lei che il giorno stesso della visita di Fini in Israele ruppe con AN perché per lei gli ebrei erano e sono mortalissimi nemici… e tutti i segnali di varia quotiniana intolleranza, la chiusura all’altro e al diverso, così endemici ormai, e ti parlo da un osservatorio particolare quale è la Roma in cui vivo… ma forse siamo andati oltre, e forse anche questo sta nella forza degli scritti di Buffoni, ti portano inevitabilmente su un terreno di confronto, e di scontro inevitabile. Ritengo,poi, che un libro come “Guerra” (su “Noi e loro”, occorre che passi un po’ di tempo, ora la mia lettura è troppo empatica), accanto a pochi altri, penso a “Con testo a fronte” di Volponi, “Istmi e chiuse” di De Signoribus, ad esempio, sono tra le raccolte capitali dell’ultimo trentennio. un caro saluto.

  10. DEDICATO A MANUEL:

    Una lunga sfilata di monti
    mi separa dai diritti,
    pensavo l’altro giorno osservando
    il lago Maggiore e le Alpi
    nel volo tra Roma e Parigi
    (dove dal 1966 un single può adottare un minore).
    Da Barcellona a Berlino oggi in Europa
    ovunque mi sento rispettato
    tranne che tra Roma e Milano
    dove abito e sono nato.

    franco buffoni

  11. Mi hai letto nel pensiero. Pensa che la prima volta che l’ho letta, mi sono commosso. Ed avevo da qualche tempo deciso di inserirla, a mo’ di citazione, nella mia raccolta (chiusa nell’ennesimo cassetto, almeno finché non avrò il coraggio di propormi a uno straccio di editore…che dici,dal mio libretto del ’90,ne è passata di acqua…). Mi sono immedesimato. Penso sia inevitabile, è tanta e tale la solitudine sociale ( pur vivendo col mio compagno da oltre 5 anni),che quei pensieri tu sei riuscito a esprimerli per tanta parte di noi…tra Roma e Urbino…baci baci… ma perché quella volta a Pesaro non mi sono fermato?…

  12. Salve,
    volevo innanzitutto ringraziare gli Indiani per l’ospitalità, la Francesca per l’incoraggiamento, tutti i lettori e Franco per aver accettato d’inserirsi nei commenti.

    @Manuel: l’espressione solitudine sociale mi tocca sempre sul vivo. Purtroppo in un commento internettiano si rischia sempre di scivolare e di far di tutta l’erba un fascio (nel senso di fascìna, senza riferimenti politici), si dovrebbe avere il tempo, la pazienza e la volontà di conoscere i singoli piuttosto che tirare medie statistiche. Ma se c’è una cosa che credo di aver appreso tramite il lavoro di Franco Buffoni (e mi riferisco soprattutto a Più luce, padre – una vera illuminazione, di nome e di fatto) è la possibilità di uscire da una solitudine sociale iniziando a riconsiderare lo stato individuale in un’ottica di diritti. Nel momento in cui ho iniziato a pensarmi non come residuo e/o residuato marginale della società bensì come parte di essa, è uscita la spinta a occuparmi in prima persona, con i miei mezzi, con quello che può essere il mio contributo al riconoscimento dei miei/nostri diritti. In quel momento non v’era più solitudine ma un senso di comunanza (con chi, ancora, non lo sapevo, l’ho scoperto dopo). Credo inoltre che da ora in avanti mi firmerò MariLù e un giorno calcherò di nuovo le scene interpretando la versione drag della Spaziani.

  13. Caro Marco, non ci conosciamo, e poco importa. Sì, hai ragione, si rischia sempre di impoverire, di fare discorsi da treno… solitudine sociale… intendendo comunque che socialmente, legislativamente, non si è riconosciuti… poi, certo, c’è la rete di relazioni, amicizie, affetti, associazioni… e per fortuna, c’è anche la letteratura (non tutta, non quella omofoba di certi critici bolognesi, o di certi poeti… ma non importa, pensassero pure di essere nel giusto, anch’essi cattolici, e bolognesi)… puntare le proprie energie verso un’idea di comunanza, e di comunità, è oggi molto, più di quanto si possa immaginare… anche se può apparire una piccola, suggestiva, utopia. Condivido ogni tua parola. Anche su “Più luce…”… quanto alla tua bella ironia, no, per favore, la vulpecula no! meglio Priscilla… o, se sei dotato (di buona voce), Barbra Streisand mi sa di più… MariLù, decidi tu! shalom e bacioni

  14. etero o non etero
    questo è il problema: se sia più nobile d’animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell’iniqua fortuna, o prender l’armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli.

    « etero or not: that is the question:
    Whether ‘tis nobler in the mind to suffer
    The slings and arrows of outrageous fortune,
    Or to take arms against a sea of troubles,
    And by opposing end them? »

    effeffe
    ps
    un saluto e un grazie a tutti per la questione “post”

  15. Caro Buffoni, non ho letto il suo libro, lo farò, se e quando mi verrà. Tuttavia, mi preme una cosa, che cosa? Che di straforo sfiora la question.
    Ecco: io non ho mai compreso la chiamata a raccolta, l’orgoglio, il manicheismo del “noi e loro”. La dignità di essere passa anche nel e per l’indistinzione. Questa è la ragione per cui, a furia di porre l’accento sulle diversità, resta netto l’accento e si enfatizza solo il furor identitario, che fa casta.

  16. @arendo: oddio, proprio di furor identitario io non parlerei, e nemmeno di manicheismo. in questo libro salta subito agli occhi che quei due pronomi, il noi e il loro, non sono una provocazione, non sono due entità distinte. E’ un libro che – si potrebbe immaginare dal titolo – vorrebbe affrontare una distinzione ma una volta letto ci si ritrova a chiedersi se siamo noi i loro o viceversa. Io non le saprei dire in quale categoria pronominale inserirmi, in questo caso. E il libro vale anche per questo, nel senso che una volta terminato è assolutamente necessario porsi delle domande. Lei non è orgoglioso di potersi fare delle domande? Di essere egodistonico? D’avere magari un mondo interno caleidoscopico, da indagare? Disastro sarebbe fermarsi prima, chiudere. Secondo me, se lo leggesse, avrebbe dei sani dubbi anche lei. Ma non mi riferisco ad etero o omo o bi o dominatrix o fetish vari, anzi. Ho parlato di amore per l’anthropos più che per il vir. Amore per l’essere umano più che per il maschio/uomo.

  17. Caro Marco, di Buffoni lessi “Il profilo del Rosa”, anni fa, una autobiografia dal lirismo imponente e sapido, scrittura tersa e composta, indubbia maestria nel maneggiare un verso carico di rimandi alla tradizione, per me alla lunga noiosa, squadernata.

    Dal limite che mi si prefigurava leggendolo a quella altezza, mi sembra ora si sia passati al milite. Nella nota conclusiva a “Noi e loro”, infatti, Buffoni scrive “[…] il motivo che mi ha indotto ad essere tanto “fisico” in questo libro: riconquistare anche in letteratura al sesso omoerotico spazi che per il sesso etero sono consueti.”

    Che dire, la dichiarazione di Buffoni, sopra, è una lagnanza (non so, tra l’altro quanto rispondente a realtà), c’è poco da riconquistare. Ognuno ha il proprio sesso. Penso vi sia una apertura che stia a monte delle preferenze sessuali.

    Per ultimo: Buffoni si lamenta di un silenzio assordante, sscrivendo e facendo intendere a chi legge di essere stato recensito da Bona, Zecchi, Santi e Simonelli e stop. Non dice che di “Noi e loro” hanno scritto pure Marzaioli, Tuzet, Raimondi, Carabba, Marchiori e Seri. Bah…

  18. Caro Arendo, grazie dell’attenzione. Ebbene sì, sono convinto che oggi in Italia un po’ di militanza sia più che mai necessaria. E in svariati campi. A ciascuno il suo. Io scrivo libri di poesia. E anche con quelli cerco di non arrendermi al clerico-fascismo.

  19. @anton: sodomiti fa tanto vecchio testamento. ci sono lemmi anche più etimologicamenti interessanti. “Finocchio”, ad esempio, mi piace molto, riporta alla mente quando ti bruciavano e per non sentire il puzzo ci aggiungevano i semi di foenicula vulgaris. Oggi, secondo lei, sarebbe più indicata la maggiorana o il rosmarino?

    @arendo: non me ne voglia Buffoni ma, dal mio punto di vista, il suo libro ha l’erotismo di un’educanda. Ergo, non si aspetti, nel caso andasse a comprarlo, di incontrare qualcuno che la guarda come se avesse in mano una copia di Anal Sex. Il rimando ad una tradizione letteraria c’è anche in questo libro, mi sembra, credo sia inevitabile. E non penso sia dannoso. Anzi. Dal mio punto di vista è propedeutica ad un discorso antropologico. Se c’è militanza (e c’è, ci mancherebbe altro: non vedo come scrivere poesia oggi possa non coinvolgere questo aspetto), io non la ravviserei in un discorso tipo: “gay contro etero”. Bensì in un pro-antropòs. E, guardi, io sarei pronto a scommettere che se si liberasse dalla paura pregiudiziale, vedrebbe che in questo libro l’apertura che sta a monte delle preferenze sessuali c’è. A me sembra macroscopicamente evidente. Ora, non vorrei correre il rischio di sembrarle Mastrota che cerca di venderle le pentole. Inoltre lei mi dice che questa scrittura, tecnicamente parlando, la trova tersa e composta e nel caso delle compagini precedenti al Profilo del Rosa credo di capire cosa significa per lei. Credo però che da Guerra in poi la problematica si rifletta significantemente in un’organizzazione più complessa che solo in fin di libro appare chiarificata. Chiarificata ma non risolta, ovvio, un poeta scrive dentro la Storia e se la risolvesse sarebbe un essere sovrumano, una divinità, anzi, no, Matzinga.

  20. Simonelli, continui pure e da solo, oppure applauda clap clap con claque appresso. Sono stato molto chiaro nei miei due commentini precedenti. Permettimi però di ridere dinanzi alla frase di Buffoni sopra riportata.
    Vi aggirate nel campo ruminato della moda, e la chiamate militanza, incapaci di sfondare il genere, state nel fretum delle distinzioni. Noi e loro e voi. Io e mammete e tu.

    Saluti

  21. Scusi, arendo, lei non crede che l’italia sia attualmente un paese omofobo e razzista? E che uno, magari anche maggiormente per il fatto che lo collega alla propria esperienza, possa sentire l’urgenza di affrontare questa cosa coi propri mezzi che in questo caso sono quelli della poesia?
    Perché di che cos’altro dobbiamo parlare visto che il libro non l’ha letto (“non l’ho letto e non mi piace”, giaggià, conosco)? Di clique e claque e recensioni ecc. O di quel “noi e loro” che non va affatto inteso nel senso identitario e manicheo che si ostina ad attribuirgli lei, pur non avendo letto il libro. Io sì, e per inciso sono femmina ed etero. Un po’straniera però magari, l’ammetto….

  22. Trovo il noi e loro di “Noi e loro” tanto manicheo quanto il guardarsi in uno specchio. Detto ciò, in questo libro non c’è una volontà di rivalsa (parlare di un’esperienza identitaria a scapito di un’altra), ma proprio di indagine tramite il proprio vissuto. Quando si scrive di “grandi temi civili” per sentito dire, giustamente scatta l’indignazione. Ma che debba scattare anche quando l’autore si mette in gioco ed in discussione non per affermare un “io”, ma per cercare un noi che possibilmente abbracci il loro, mi sembra davvero un po’ troppo…
    Poi i libri certo si possono anche smontare, non amare, non apprezzare, etc etc. ma prima leggiamoli, no?
    @arendo citi Il profilo del Rosa –
    allora, prendo due poesie, una da questo libro e una da Noi e loro:

    Vorrei parlare a questa mia foto accanto al pianoforte,
    Al bambino di undici anni dagli zigomi rubizzi
    Dire non è il caso di scaldarsi tanto
    Nei giochi coi cugini,
    Di seguirli nel bersagliare coi mattoni
    Le dalie dei vicini
    Non per divertimento
    Ma per sentirti davvero parte della banda.
    Davvero parte?
    Vorrei dirgli, lasciali perdere
    Con i loro bersagli da colpire,
    Tornatene tranquillo ai tuoi disegni
    Alle cartine da finire,
    Vincerai tu. Dovrai patire.

    ***
    CADONO FOGLIE ROSSE

    Cadono foglie rosse, crocchieranno
    Come patatine anche loro tra un po’
    Sul vialetto smorto
    Dove si incontrano bestie di satana
    Non andate a scuola,
    Mentre mia madre
    Dopo avermi ascoltato apostrofare
    Padre indegno di tre figli il cugino puttaniere,
    Dice disprezzi critichi lo insulti,
    Ma almeno lui permette che continui
    Il ciclo della vita.

    (Quando eri ancora adulta
    Prima di rimpicciolire
    Ti lasciavo sola volentieri,
    Dovevi espanderti e io non mi vedevo
    Nei tuoi spazi.
    Poi per davvero ebbi l’occasione
    Di fare attenzione alle tue forme,
    Al loro chiudersi, e i tuoi spazi
    Presi a difendere, meno li occupavi
    Più li presidiavo. Finché non mi è restato
    Che un batuffolo con voce da proteggere
    In una ipotesi di spazio.)

    Così per un assaggio di lettura. A me è capitato di riconoscermici molto. Eppure non sono omosessuale e non ho un cugino puttaniere, almeno a quanto mi risulta. E’ l’esperienza di un altro essere umano diverso che tocca la mia propria diversità. Per me si tratta di uguaglianza.

    @Marco – decisamente maggiorana.

  23. Buffoni, Helena, Francescsa, è una fissa, allora, quella sul libro non letto. Se dobbiamo fermarci a questo, ditelo!

    A me, personalmente, il fatto che a uno piaccia uno, ad una una, non mi pare rilevante, è in natura, dicevo.
    E’ Buffoni che con l’aratro fa risaltare un confine nella nota conclusiva a “Noi e loro”. Scrive “[…] il motivo che mi ha indotto ad essere tanto “fisico” in questo libro: riconquistare anche in letteratura al sesso omoerotico spazi che per il sesso etero sono consueti.”
    Le rivendicazioni, gli orgogli credo a nulla giovino. Portano al risultato contrario.

    Helena, ognuno può fare ciò che vuole, io esprimevo il mio parere, opinabile.

    Noto, però, che un uomo adutlo più che rinnovellare l’esistete marcio, potrebbe fiondarsi, fondando, verso lidi meno saturi e triti, ricercare una trasposizione, uno scarto.

    Francesca, non ti allarmare, non mi indigno, rifletto.

  24. @arendo: non mi allarmo, sono piuttosto tranquilla. Credo che stiamo girando attorno allo stesso punto senza capirsi, a volte succede. Sinceramente non credo che nessuno ti stia rimproverando per non aver fatto i compiti, solo che dato che si parla di un libro averlo letto per comprenderlo (e anche per comprendere la nota di chiusura che riporti tu), mi pare il minimo… Se i testi non si leggono è molto facile poi fraintenderli.
    Non credo che stabilire una parità (sesso omoerotico/sesso etero) sia un atto di orgoglio sterile o una rivendicazione.
    Se uno non è libero di parlare della sua condizione, perché è meglio sopportare in silenzio, allora non avremmo neppure “Una stanza tutta per sé” di Virgina Woolf, per dire.
    Ti chiedo però a questo punto quali sarebbero nel nostro panorama i lidi meno saturi e triti, dato che siamo in un paese che si è bloccato in modo penoso e ridicolo sulla questione PACS, DICO, etc etc. Mi spiace anche un po’ che l’altro tema forte del libro – l’immigrazione, l’islam, stia passando inosservato.

  25. Può darsi (ma non ne sono affatto convinto) che a nulla giovino le rivendicazioni e gli orgogli. Se così fosse a nulla giovano comunque l’indifferenza e le mortificazioni. Su cosa significhi “rinnovellare l’esistete [sic] marcio” necessiterei chiarimenti, anche se temo d’averlo intuito.
    Inoltre: mi colpisce lo scarto fra il “lei” e il “tu”, di qualche commento sopra. Rimanendo in area pronominale, immaginavo fosse più propenso a dare del “voi”.

  26. Francesca, constatavo un abito mentale, fine. Prima e oltre il libro.

    Trovare lidi meno saturi e triti, chiedi? Guardati dentro, ti dico.

    Simonelli, va tutto bene. Prendi forza e fatti coraggio. Sei vivo.
    M’era cascata la “n”:”rinnovellare l’esistente marcio”.

    Vi saluto.

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La regina del fuoco

di Maria Gaia Belli
Molto molto tempo fa, quando il cielo era più alto della dorsale, la bambina Pauni viveva in un villaggio sulla montagna. Suo padre cacciava nei boschi per la lunga estate, portava a casa carne e pellicce in abbondanza.

Pietre da taglio

di Anna Franceschini
Il quartiere si dipana in cortili interni portoni d’entrata   numeri civici i fili da stendere senza fiducia corde antiche che non servono a nulla Con le amiche ci si nascondeva si andava un po’ fuori di casa erano deserti di persone Avevo un’amica senza colpa   e senza casa

La società degli uomini barbagianni

di Emanuele Kraushaar
Io sono A. Una volta ho chiesto a mia madre perché mi avesse chiamato così. Non ha detto niente ed è scoppiata a ridere. Ricordo la sua bocca che si apriva e i suoi denti bianchissimi.

Il Mondo è Queer. Festival dei Diritti

Il Mondo è bizzarro, imprevedibile, queer. Le sue stranezze ne costituiscono la ricchezza. Con queste iniziative vogliamo tenere vivo il dialogo sull’idea di persona, collettività e famiglia planetaria, promuovendo attenzione e consapevolezza verso questioni di genere, fragilità invisibili e il nostro rapporto con il pianeta in un momento critico degli equilibri conosciuti.

Morire, un anno dopo

di Rebecca Molea
Mi sono chiesta a lungo cosa sarebbe successo: come avrei reagito alla notizia – piangendo? con sollievo? –, come sarebbe stato il dopo – un senso di solitudine perpetua o, a un certo punto, un’abitudine? – e, sopra ogni altra cosa, che significato avrebbe avuto, per me, per noi, per tutti, la morte.

Reincarnazioni

Spalancò la porta di metallo sbatacchiandola senza riguardo; la lucetta della sauna che aureolava Samstag sembrava accecante vista dal fondo del corridoio angusto e buio; lo chiamano effetto Brocken: così che appena emerso dalla nuvola di vapore,
francesca matteoni
francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Sono nata nel 1975. Curo laboratori di tarocchi intuitivi e poesia e racconto fiabe. Fra i miei libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Acquabuia (Aragno 2014). Ho pubblicato un romanzo, Tutti gli altri (Tunué, 2014). Come ricercatrice in storia ho pubblicato questi libri: Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014) e, con il professor Owen Davies, Executing Magic in the Modern Era: Criminal Bodies and the Gallows in Popular Medicine (Palgrave, 2017). I miei ultimi libri sono il saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ, 2019), il testo di poesia Libro di Hor con immagini di Ginevra Ballati (Vydia, 2019), e un mio saggio nel libro La scommessa psichedelica (Quodlibet 2020) a cura di Federico di Vita. Il mio ripostiglio si trova qui: http://orso-polare.blogspot.com/
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