Autoritratto

di Leonardo Palmisano

Io non ho un lavoro. Non ho i soldi per fare la spesa. Non ho i soldi per fare benzina, e quando ce li ho aspetto la sera per andare al distributore, perché dopo le otto la benzina costa meno.
Io non ho una casa mia, e non potrò mai averla. Non ho i soldi per comprarmi dei vestiti nuovi, nemmeno adesso che ci sono i saldi. Non posso più prendere il pesce in pescheria o la carne in macelleria perché costano troppo, e così guardo su internet le offerte dei supermercati e aspetto che le spigole scendano a cinque euro al chilo, oppure mangio pollo perché è meno caro.
Io non ho speranze di vivere in un paese migliore, e non sono d’accordo con nessuno. I miei amici stanno tutti meglio di me e sono felice per loro, ma a volte li invidio, e forse è anche per smettere di invidiarli che spero di avere anch’io, prima o poi, una vita decente.
Io non sto con chi manifesta contro il governo, né con chi vuole dialogarci, dice, “per il bene del paese”. Non voterò più, e non credo più nella democrazia, perché è uguale a tutte le altre forme di governo.
Io non sto con chi protesta contro le discariche e gli inceneritori perché non credo che chi lo fa sia animato da un senso di giustizia. Non credo più nella giustizia, né nella legge, e nessuno potrà mai convincermi che farsi picchiare per impedire la costruzione di una discarica e poi tornare a casa buttando per terra il pacchetto delle sigarette sia un modo per difendere il futuro dei propri figli.

Io voglio avere una vita indifferente.

Quando avrò uno stipendio che me lo permetterà, prenderò in affitto una casa di campagna e andrò a viverci da solo. Non leggerò più i giornali e parlerò con la gente del più e del meno. Comprerò il pesce da un pescatore e i pomodori da un agricoltore. Non m’importerà niente di nessuno e sarò contento se a nessuno importerà niente di me.
Protesterò quando tenteranno di costruire una discarica sotto casa mia; mi arrabbierò quando il governo mi aumenterà le tasse, o quando l’assicurazione della mia macchina costerà troppo. Se mia sorella sarà violentata da un algerino, odierò tutti gli africani, ma nessuno potrà dire di me che sono un razzista. Se mia madre sarà derubata da un siciliano, odierò i terroni, e se il mio migliore amico la ucciderà per rubarle la collana e andare a farsi una pera, allora odierò tutti i tossici bastardi pezzi di merda. Se mio fratello resterà in coma per vent’anni, scriverò al presidente della repubblica per chiedere che sia lasciato morire, e se il prete del mio paese non sarà d’accordo smetterò di andare in chiesa – ma in caso contrario non mi dispiacerà partecipare alle giornate della gioventù e ricevere gli sms di papa B. XVI: «Dio e il suo popolo si aspettano molto da te». Forse, di tanto in tanto, mi capiterà anche di invocare la pena di morte.
Non crederò in niente.
Non avrò idee, quindi non dovrò mai litigare con nessuno. Quando prenderanno le mie impronte digitali per la carta d’identità, non penserò a Orwell, alle bestie marchiate, ad Auschwitz, ma al carabiniere che ieri sera, in televisione, spiegava il provvedimento del governo e godeva come se la giornalista lo stesse masturbando. Mi ricorderò che ogni mia impronta gli farà una sega, e sarò contento per lui.
Quando mi capiterà tra le mani un giornale e vedrò in prima pagina la foto di un calciatore e in ventitreesima quella di un uomo torturato in una prigione cinese, cubana, o statunitense, mi sembrerà una cosa normale. E quando in un film, in un libro, in una canzone, o in una storia che mi racconteranno, sentirò parlare di un uomo diverso da me, che credeva in qualcosa e che ha combattuto per quello in cui credeva, penserò che lo ha fatto per interesse personale, o per protagonismo, o per tutte e due le cose insieme, e saprò di avere ragione.

E se tutto questo non accadrà mai, se non saprò mai conquistarmi una camera con vista sul mondo, allora morirò di fame da qualche parte, o sarò arrestato per aver rubato un’aragosta o per aver attentato alla vita di un uomo importante, oppure mi darò fuoco in un garage o mi impiccherò in piazza san Pietro, sotto il colonnato del Bernini – qualunque cosa, pur di non dar fastidio al cittadino medio, all’uomo che avrei voluto essere, quello che prende duemila euro al mese, paga il mutuo, si lamenta del governo, e la domenica pomeriggio, insieme agli amici, prepara il barbecue nel suo piccolo giardino. Il bastardo.

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28 Commenti

  1. Grazie Leonardo, davvero un bel post. Le tue parole sono chiare e dirette, la descrizione è assolutamente reale. I bastardi purtroppo sono tanti e sono incoraggiati e incentivati da questo potere che conta sull’indifferenza per espandersi e continuare a sfornare porcate su porcate quotidianamente. Fortunatamente esistono anche persone che non si arrendono, che resistono e non smettono di far sentire la loro voce, facendo viaggiare le parole come testimonianze. Un abbraccio e andiamo avanti nonostante tutto!

  2. un bellissimo articolo per “Sud”. Mimmo, che ne pensi? ma soprattutto, Leonardo, ti va?
    effeffe

  3. @ff

    Sì, non ci avevo pensato. Anch’io credo che si armonizzi con il numero in allestimento.

  4. Ma siamo davvero così immobili da farci eccitare da questa rettorica del piagnisteo??? Quando chi pensa, scrive, compone, dipinge, costruisce, vive crogiolandosi con una mano infilata nella patta, a masturbarsi perché le cose sono così fascinosamente degradate, vuol dire che deve cambiarsi gli occhiali. O crede che le cose andavano meglio nel dopoguerra, o crede che ci sia stata più felicità negli anni 70, o crede che gli 80 siano stati un sogno di benessere e armonia??? Non so davvero da che parte dell’inferno dantesco vi si potrebbe incontrare, ma so che non mi piacerebbe avervi sul comodino per leggervi prima di dormire.

  5. Un posto che si scrive con ironia disperata.
    Opinione forse sbagliata, mi sembra che gli anni 60-70 erano più felici con un orizzonte per tutti, la libertà di vivere il corpo, la speranza, il peace and love, la creatività, il ritorno alla natura, il piacere.
    Ora velocità, angoscia, denaro, concorrenza: non è la vita che sogno. Per fortuna c’è oasis come Nazione Indiana, luogo dove l’intelligenza, l’attenzione sono vive.

  6. Bellissimo post. Amara ironia. Tutto vero, tutto condivisibile. Mi è piaciuto tanto che l’ho copiato quasi tutto nel mio blog, citando autore, sito e mettendo il link.

  7. Non so che farmene di verità bugiarde
    parole di facciata
    non faccio più domande
    le risposte sono già scontate
    Ho imparato a leggere tra le righe
    a scavare dentro le pieghe delle rughe
    delle parole sopra i comportamenti
    per spogliare dai fronzoli la verità
    ma neanche nuda più mi sembra vera

    Amara constatazione della realtà la tua, rimpiango gli anni della contestazione, è questo adagiarci che mi fa star male: ‘Quando mi capiterà tra le mani un giornale… mi sembrerà una cosa normale’ . purtroppo è così, nessuno si indigna più.

  8. Io c’ero e gli anni ’70 e seguenti non furono migliori: è banale ma furono solo diversi ed allora c’era l’URSS. Nessun rimpianto su questo, solo che era il contrappeso alle forze che ci hanno portato a questo punto. Va bene avere questi dolori ma solo perché dopo bisogna reagire e non possiamo permetterci altrimenti. Forse sbaglieremo ma è anche così che s’impara. Bravo Leo, ci vediamo per una birra.

  9. Dire che “nessuno s’indigna più” mi pare farsi prendere la mano dalle parole.
    Il fatto è che indignarsi non serve a niente.
    Vedi in questo stesso blog il post: “Non aprite quella porta”.

    Non è vero nemmeno, come anche verrebbe da dire, che non si sa cosa fare.
    Perché moltissimi lo sanno: perseguire i propri interessi.
    E questo lo sanno anche molti di noi.

    La cosa sta tutta qua.
    Si riesce a fare qualcosa soltanto quando si perseguono i propri interessi A TUTTI I COSTI.
    Ma noi non siamo più sicuri che i nostri interessi coincidano con l’interesse collettivo, con il bene della comunità.
    [Era facile quando ci inventavamo una figura simbolica – l’operaio massa]

    E nessuno, o pochissimi, sarebbe disposto a lottare a TUTTI I COSTI, oggi, per chi, piccolo e brutto e concreto, liberandosi dalle proprie catene libererebbe tutti noi.

    Vincono quindi quelli che perseguono i propri interessi, a tutti i costi. Fregandosene altamente degli altri.
    Mettendoli sotto.
    Dopo averli convinti che il loro interesse non coincide con il bene della comunità.

  10. Ma davvero tutti credete che si stava meglio quando si stava peggio???
    Avete dimenticato cosa significarono i meravigliosi anni sessanta per i meridionali? Porte chiuse in faccia a muratorie e operai, e cartelli nei bar con la scritta “vietato l’ingresso ai cani e ai terun”. Senza contare che il paese era del monocolore grigio della DC, Rai compresa, nonostante le lacrime amare che tutti oggi versano sulla tv del passato (ma quale televisione degli anni d’oro, ieri si veniva cacciati per molto meno, e quello che oggi vi ammorba con i suoi Padre Pio e Storie della Bibbia è lo stesso Bernabei che fu direttore di viale Mazzini per 20 anni di fila!). Mettetevi degli occhiali e leggete (pasolini e) la catastrofe sociale dell’inurbamento e della cancellazione della campagna del dopouerra tanto rimpianto. E i 70? Carichi di piombo, senz’altro, ma belli, bellissimi, stupendi, perché ogni tanto riusciva di farla qualche manifestazione senza che ci scappasse la scazzottata o il morto. Gli 80 lasciamoli perdere, mi sembra che non li rimpiangete tanto, ma fra qualche anno sarete tra quelli che diranno meglio Craxi che il nuovo millennio. E continuerete a piangervi addosso. E scriverete meravigliosi racconti nostalgici e arrabbiati. Essendo troppo stanchi per fare altro.

  11. @ Franco

    Da dove fai discendere la conclusione che pure attribuisci a tutti? Stai recitando un monologo, scegliti almeno un bersaglio meno distante da Palmisano e da coloro che sono intervenuti.

  12. Interessante apologo satirico. Deprimente documento sull’abbandono del proprio ruolo di Uomo. Aver voglia di conoscere per capire e per poter presentare quotidianamente (a se stessi ed agli altri) un cervello non all’ammasso, continua ad essere un esercizio sgradito al potere. E’ da una singola cellula che si ammala che la malattia diviene irreversibile e mortale. Preferisco leggere “non aprite quella porta”. Mi da ancora una ragione e la voglia di comunicare e di fare. Non abbastanza? Pazienza, intanto non nascondo la testa sotto la sabbia.

  13. mi chiedo come si possa dire che questo è un “bel post”.
    è decadente, fricchettone e molto qualunquista.
    si perchè è pieno di luoghi comuni e non mi stupisce che piaccia ad un certo target di persone: gli ex-sessantottini che vedono il loro mondo di “speranze di miglioramento frikkettone” cadere come pere mature sotto i colpi della realtà socio-economica del 2000.
    gente che nonostante l’evidentte fallimento non abbandona una certa boria e una certa velata superbia.
    sapete cosa vi dico? Io ho 24, e le conseguenza di cioò che accada oggi me lo ciuccero io.
    starò di merda, ma almeno (magra consolazione) starò senza di voi.

  14. io mi associo a uitko, sarà una questione di età. Anch’io ho 24 anni.

    @ Pinto. Se le conclusioni le ho attribuito a tutti, facendo un discorso generale, è perché ho letto solo un coro di lodi di questo post. Non ho bersagli, solo idee vecchie che non mi piacciono, e che voi condividete. Se vuoi, rispondi a questa domanda: si stava meglio nei 60, nei 70, negli 80 o nei 90? Per ogni risposta che darai, guardati attorno, aciugati le lacrime, il mondo è pieno di coccodrilli che piangono.

  15. @Franco

    Il pezzo di Palmisano non fa alcuna analisi comparativa. Delle lodi chiedi ragione agli estensori. Non forzare il discorso verso i tuoi, personali, rovelli.

  16. A me non sembra proprio che questo post sia un piagnisteo nostalgico, tuttaltro: io lo vedo come una provocazione verso l’immobilismo e l’indifferenza rispetto alle tante cose che non vanno nel nostro Paese. Personalmente, nonostante abbia vissuto la mia giovinezza nei “favolosi anni ’70″( che non sono stati poi tutta questa favola, a parte forse la musica irripetibile prodotta in quegli anni) non rimpiango proprio nulla di quel passato tranne la voglia di cambiare tutte le cose che non andavano(perchè anche “i favolosi’70” erano pieni di situazioni orrende).
    Ho invece ritrovato nelle parole di Leonardo una provocazione, una chiara denuncia contro l’indifferenza dilagante, nessun paragone o “si stava meglio…”. Consiglio a Franco e uitko di andare a leggere l’altro post di Palmisano “I numeri, la pancia, la ricostruzione” pubblicato su Nazione Indiana il 28 aprile 2008 e dopo averlo letto forse vi sarà più chiaro l’intento dell’autore: è sempre meglio conoscere le cose di cui si parla e non trarre conclusioni affrettate, parola di una vecchia ragazza dei “favolosi ’70”!

  17. Salve.
    Sono un “cittadino medio” , testa “semplice”, che per arrivare a neanche duemila euro al mese di media fa il doppio lavoro per nove mesi all’anno.
    Chi me lo fa fare? Ma il mutuo, naturalmente. E l’auto, lo scooter e le brevi, italiche vacanze.
    Non credevo affatto che ci fosse qualcuno che voglia essere come me, e di suscitare tanta invidia da prendermi addirittura un insulto pubblico.
    Ricevo e volentieri controbatto i tuoi pensieri, gentile autoritraente.
    “…non sono d’accordo con nessuno. I miei amici…”
    Se non sei d’accordo con nessuno, trovo bizzarro che sia possibile che tu abbia amici.
    “…non credo più nella democrazia, perché è uguale a tutte le altre forme di governo”
    Suggerisco di trasferirti in vaticano, o in arabia saudita, o in transnistria. Forse ti accorgerai che non è così.
    “Quando avrò uno stipendio che me lo permetterà, prenderò in affitto una casa di campagna e andrò a viverci da solo”
    L’avverbio di tempo denota determinazione al raggiungimento dell’obbiettivo: una caratteristica comportamentale non indifferente…
    Il dichiarare di non pensare a… mentre lo scrivi, appare semplicemente poco credibile.
    Porrei alla stessa stregua anche le dichiarazioni a proposito di uomini torturati e di canzoni o libri, o film che raccontano di chi ha combattuto per le proprie idee, o a proposito dei siciliani e dei tossicodipendenti.
    Tu che ti narri, dichiari un’indifferenza che si presenta incoerente e, in quanto tale, scarsamente convincente al cospetto di attrezzature mentali innervate di logica.
    Come se tra le pieghe del tuo volto nell’autoritratto cercassi di inserire tracce di un’espressione non generata dalla tua indole.
    E’ evidente che non ti appartiene ciò che hai scritto, e non hai fatto nulla per nasconderlo.
    Ne è uscita fuori una provocazione poco riuscita, secondo il mio opinabilissimo parere.
    Saluti e salute

  18. E’ che in passato i “non fit” morivano senza troppe pretese, per fame, guerra o pestilenza, mentre oggi bisogna dar loro una casa, un lavoro, la pensione e l’hobby dello scrittore per tenerli su di morale. Chiamatelo progresso.

  19. “Ne è uscita fuori una provocazione poco riuscita, secondo il mio opinabilissimo parere”. Così Plessus.

    Posso non essere d’accordo con lui? Dichiarare che poche volte ho visto una provocazione così riuscita?
    Basta vedere la contradditorietà, tra di loro, dei commenti.

    Per alcuni di questi basterebbe dire, come si diceva una volta: “Eh, sono ragazzi! prendono tutto sul serio”.
    Cercando di fare capire loro che il serio da prendere sul serio non è quello che loro prendono sul serio, ma il suo contrario.

    Ma per altri – più attempati, diciamo – invece il pensiero é: possibile che non riescano più a seguire il gioco perverso della letteratura?

    Che restino immersi, senza più poterne uscire, nel gioco tragico del letterale?

    Se è questo che vedo capitare sotto i miei occhi – e spero proprio di sbagliarmi – allora sotto i miei occhi sono capitati i segni che preannunciano una catastrofe antropologica.
    Ma dopo che è già avvenuta.

  20. Dal terreno del letterale alle iperboli nelle volte celesti?
    “Segni che preannunciano (o già avvenuta?) una catastrofe antropologica” che sembrano avvistati dall’alto dei cieli da un buon padre seriamente preoccupato per i propri figli.
    Bah.
    Indossare i panni altrui dell’indifferenza per provocare i lettori credo costituisca un esercizio letterario di grande valore.
    Salta alla mente il tremendo attrito tra le figure di Daniel1 e Daniel25 di Houellebecq. L’uno tormentato da guai esistenziali, l’altro che ha raggiunto l’atarassia come forma perfetta di (soprav)vivenza.
    Coglierei invece qui l’attrito tra il personaggio autore e il personaggio autoritratto nell’altrui veste dell’indifferenza. L’impressione è di un testo presentato con convinzione insufficiente, privo delle caratteristiche dell’invettiva e puntellato da un sarcasmo agro-dolce che sempra preso in affitto solo per far presa sui lettori.
    Nulla a che vedere con il post citato del 26 aprile.

  21. Ho visto dall’alto dei cieli. Da buon padre ho notato e annotato.

    Come mi ero augurato: sbagliavo: nessuna catastrofe antropologica tra gli attempati.

    Solo un leggero ritardo, nel prendere atto della differenza tra autore e personaggio.

  22. Perchè, al di là dei comprensibili messaggi di adesione, compare nel dissenso tanto livore, tanta acredine, tanto risentimento? Io suppongo si tratti di una semplice reazione autoconservativa; come si spiegherebbe altrimenti una così esplicita presa di distanza? Essa si spiega evidentemente con il fatto che il post in questione ha violato una “zona sensibile” che le anime belle custodiscono, proteggono e agitano come un vessillo. Come tutte le persone ragionevoli e di buon senso, come tutte le persone che si compiacciono di avere ogni tanto qualche buona idea, come tutte le persone che ritengano esserci un senso ed una ragione per tutte le cose, e si ostinano a volerglielo strappare, come tutte le persone che mitizzano la costruzione, il progetto di vita, il fatto che “sono riuscita/o nel corso della mia esistenza a combinare qualcosa di buono”, come tutte le persone estroflesse ed autocentrate, come tutte le persone ambiziose, come tutte le persone che si esprimono in termini di “ho una buona casa, un buon lavoro, una bella famiglia…che posso volere di più?”, come tutte le persone che pensano che l’io e la coscienza si trovino al centro del nostro campo d’azione ed orientino da quella postazione privilegiata i comportamenti umani, come tutte le persone che dicono agli altri quello che andrebbe fatto e come andrebbe fatto, come tutte le persone che non sanno che la prima cosa da imparare, assolutamente la prima, una volta entrati nell’età della ragione è che siamo già cibo per i vermi, come tutte le persone che chiamano la morte Aldilà, come tutte le persone che si sentono tirate in ballo ogni qualvolta entrano in contatto con una forma di esistenza diversa dalla loro, e considerano il mero esempio dell’alterità una forma di implicita accusa, come tutte le persone che tesaurizzano-ammonticchiano-conservano, come tutte le persone che intendono la curiosità come ricerca costante della conferma, come tutte le persone che si adirano se vengono contraddette, come tutte le persone che ironizzano sulle ironie altrui, come tutte le persone che considerano retorico un punto di vista diverso dal proprio, scivolando così nella “retorica dell’antiretorica”,
    come dunque tutta quest’orrida genìa di persone responsabili, le anime belle hanno bisogno di specchi.
    Essi oscillano fra il proselitismo e l’intolleranza, ostaggi di questa isocrona alternanza che governa tutta la loro vita. Non ce la fanno proprio a leggersi un autoritratto di chissàchi senza diventare competitivi, senza sentirsi precettati per un battaglia a favore dell’ Universo del senso, senza considerare che un post è semplicemente un’opportunità che si lascia incontrare, come un colore. Non si può e non si deve “essere daccordo” o “non essere daccordo” con un colore…

    e

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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