Il giallo ha cambiato Garlasco

di Franz Krauspenhaar

Stereotipi che resistono nel tempo. Saldano l’evento al luogo dove esso è avvenuto e quel luogo si imprime nella memoria collettiva richiamando in simbiosi l’evento. Lo smemorato di Collegno, la saponificatrice di Correggio, il boia di Albenga, la banda della Magliana. E nel tempo a noi più vicino il mostro di Firenze, i “fidanzatini” di Novi Ligure, il delitto di Cogne, il giallo di Garlasco.
Garlasco è una cittadina della Lomellina, in provincia di Pavia, a pochi chilometri dal confine col Piemonte e non lontana da Milano. Una cittadina del profondo nord, composta da villette perlopiù unifamiliari. Un posto tranquillo, non particolarmente caratterizzato, un posto umido d’inverno e ancor più nelle altre stagioni. Zanzare killer, d’estate, salgono come esercito dalle risaie; il riso, qui, si coltiva da sempre. Garlasco si trova nell’epicentro della coltivazione, come il Vercellese e il Novarese, zone umide e languide, spesse di nebbia d’inverno e di un sole coperto d’estate. Il luogo è provinciale e sonnolento: le giornate si tagliano uno dietro l’altra come le fette di pane bianco della prima colazione. Civiltà contadina; ma i valori tradizionali si sono persi ormai tra i tavolini dei bar popolati, come in altri mille posti, da vecchi superstiti, che biascicano la parlata del luogo, come fosse un milanese più grasso, più unto.
E ‘ trascorso un anno dal delitto che ha fatto “scoprire” Garlasco. Un anno di indagini sula morte di Chiara Poggi, la ragazza buona e irreprensibile. Il volto del fidanzato coetaneo, che sfila diritto davanti a sé sulle auto della polizia, verso interrogatori continui, pressanti, mai risolutivi. Nessuna certezza fino a ora, dunque, ma grandi sospetti. E veleni, in dosi massicce. Un anno. Forse un’eternità, per questo paese abituato al silenzio del resto del mondo, come se esso si fosse nascosto da sempre tra le risaie e le coltivazioni e le industrie, agli assalti dei grandi eventi. E anche ora, forse, non c’è grande evento, non c’è pietra miliare, accadimento da iscrivere nei libri della storia. Ma solo fatto di cronaca nera comodo da mostrare, sfizioso per l’opinione pubblica impicciona, prezioso per la curiosità dei mass media.
Ma il paese come è cambiato? E anche prima del delitto, come era veramente Garlasco? Era la “Las Vegas della Lomellina”. Perché a Garlasco, come in molti piccoli centri della enorme provincia del nord, si pensa molto e da sempre all’apparenza. Di Las Vegas il paese adesso ha ormai tutto: il divertimentificio e un delitto in perfetto stile CSI.
Garlasco – confida una collega che ci è nata e vissuta fino a qualche anno fa – è un paese di abitanti (10.000) ma non di anime, un paese senza cuore, come per molta provincia del nord, come se la vera storia fosse ormai svanita, perduta anche al ricordo. Una volta, nemmeno tantissimi anni fa, c’erano come punti fermi l’osteria dell’Avanti! e la cooperativa Stella Rossa, due cinema, la corsa dei ciclisti in primavera e la parata dei bersaglieri a giugno, la Fgci e l’oratorio. Le storie di corna e di vendette familiari sussurrate negli anni ’70 erano all’ordine del giorno, ma il livello, storia dopo storia, anno dopo anno, si è pian piano spostato: prima il prete che si mormorava avesse avuto una figlia da una fervente cattolica, poi quell’altro un po’ troppo amico dei ragazzini (e trasferito altrove). Quella che non è mai cambiata è probabilmente la voglia di protagonismo delle persone, che si è soltanto declinata in forme differenti. In mezzo, però, sussiste l’incapacità di sganciarsi dagli stereotipi sociali e comunicativi di sempre. Negli ’80 c’era chi – uomini – cedeva senza problemi alle voglie di chi gli potesse garantire un passaggio a Canale Cinque, salvo poi sposarsi con una signorina bene e cornificarla poco dopo con una sua dipendente. E poi quei ragazzi che si facevano di eroina, procurandosi i soldi con il piccolo spaccio e i furti (fu una strage per il paese, ne morirono parecchi). Uno scenario desolante simile a quello di tanti paesi della provincia di tutta Italia, e il tipo di droga che cambia, l’eroina che viene dismessa in favore della socializzante cocaina.
I cinema, la cooperativa rossa e la Fgci sono spariti da molti anni, sostituiti da un numero impressionante di supermercati, affiancati da alcuni esercizi commerciali che solo un bambino innocente non saprebbe riconoscere come “lavanderie”. E’ rimasto sempre lì, invece, il bar dove gli uomini non solo giocano a carte ma, se gli va storta, perdono tutto quello che hanno, facili prede di giocatori professionisti; e dovrebbe essere ancora aperto in fondo al paese il locale “equivoco” come lo chiamava la madre della collega, in realtà un vero e proprio casino. Insomma un bel posticino, fotocopia in scala ridotta del nostro Paese. In un anno non è cambiato quasi nulla, se non forse soltanto nell’ansia di apparire, nel senso che certa gente può dirsi contenta se il paese è finalmente sotto i riflettori di tutt’Italia.“Passare dalla strada transennata davanti alla villetta dei Poggi mette ancora i brividi. E’ l’impatto crudele con la notorietà di un posto acquistata si può dire con la forza, col delitto, col male. E questo male improvviso e duraturo, a questo groviglio di sangue dal quale non si riesce a trovare né il punto d’arrivo né di partenza ha creato nella popolazione una piccola psicosi criminale. Per esempio, mesi fa è morto improvvisamente il figlio del famoso pizzaiolo campione d’Europa. Vista la morte improvvisa è girata subito la voce che il ragazzo fosse stato pestato a sangue, anzi a morte. E invece è morto d’infarto. Faceva uso di droga, di infarto ne aveva subito già uno, è morto così, da solo.
La collega mi saluta, riprende il lavoro. Si allontana con calma, nel caldo di Milano, la città che l’ha accolta e dalla quale, mi ha detto poco prima di finire l’intervista, non si separerebbe per nulla al mondo.”Più che altro perché il male è parcellizzato, e nessuno ti riconosce per strada”. Fa male, la provincia.

(Pubblicato su La Tribuna. Immagine: Gene Davis – Two yellows, 1959.)

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9 Commenti

  1. Il male è parcellizzato. Non ti saluta per strada, si potrebbe parafrasare. Mai letto niente di più triste?

  2. Forse sbaglio, ma leggendo il pezzo, mi tornavano in mente i libri di Pier Vittorio Tondelli, quella provincia che già allora colpiva come un pugno allo stomaco.

    Un saluto

  3. FK mi piace il tono con cui è scritto l’articolo.
    Mi chiedo se esiste ancora una cittadina di provincia a “misura d’uomo”.
    Esente dal male no, impossibile.
    Almeno priva di quelle inclinazioni morbose travestite da curiosità, di quei sistemi identificativi a bassa voce equivalenti ad etichette dai caratteri cubitali, di quei saluti rancorosi come sassate da una parte all’altra del marciapiede, di quei molteplici sguardi che all’unisono si concentrano verso l’unico obbiettivo del forestiero di turno.
    Magari dove c’è il borghetto antico isola pedonale con il profumo di forno che ne attesta le vicinanze insinuandosi tra i vicoli. O il farmacista che ancora lavora di erbe e mortaio. Per l’orecchio, i rumori del ferro battuto dal fabbro. L’aroma del cuoio lavorato in bottega, il pepato del suino che fuoriesce da una cantina. Le lucciole tra i cespugli appena dietro l’ultimo angolo illuminato ai confini del paese.
    Robba da hobbit?
    O da pensionati?
    F.to un cittadino fino al midollo

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