Miserere asfalto (afasie dell’attitudine)# 3

di Marina Pizzi

152.
E’ qui che mi si dà il soqquadro dell’amarezza al tasto che tutto può nei tasti gemelli di genesi con esito diverso. Si formano le parole e le guardo nel leggerle con la fratellanza del mito, con il polso gonfio di evocarle musiche al calendario da stracciare a poco a poco.
153.
Alla bocciofila c’è un’unica donna campionessa di lancio e di stecca quando gioca al biliardo. E’ molto ammirata, ma lei, ormai, è l’ultima rata di donna, un siluro di pianto nonostante nessuno la senta o veda la sua furia. In spirito si sente ragazza e questo la uccide ben più della incipiente vecchiezza. Tutti la sogguardano e la trattano con rispetto un po’ amoroso. Lei lo nota e se ne accontenta in nota, nota di sé, oramai.
154.
Rampe per alienati queste linee inclinate verso l’ospizio dove ridono e si disperano tutti i nati dati per alieni appena dopo.
155.
Era un collo in fato di bambina, era un crollo in fato di ragazza, era uno scorporo in fato di donna.
156.
Lasciami addosso la nuca di piramide che non toccherà dio
157.
Desidero un grande amore felicemente impossibile
158.
oscenamente binario dalla morte alla vita dalla vita alla morte
159.
oscenamente doppio oscenamente triplo
160.
sull’io che correggo incontro tutti, quanti non so, ma sono molti, tutti
161.
di te non restano strutture ossee né pagine ossesse né vanità
162.
si raccolse a feto e tutto escluse per un ritorno di lusso impossibile o addirittura svanente al non essere
163.
con un marsupio da bambino volo al tavolino per scrivere chissà
164.
l’ospizio ti risvegli le pupille e il mare
165.
attore di collaudo questo antidepressivo modo di stare nel mondo l’antidoto
166.
L’archivio delle onde è certo dissolvente
167.
Cristo sta bene nelle poesie, poverocristo
168.
La poesia quale disappartenenza
169.
nella chitarra di te nemmeno un senso sopravive al liceo
170.
aspirantina è una ragazza che aspiri a diventare monaca. in colonia dormiva accanto all’angolo velato della responsabile di turno; era come noi ma diversa. io ero piccola, lei un po’ ragazza. io mi specchiavo nei vetri delle finestre, lei mai. gli specchi erano banditi. una volta feci le scale in ginocchio per chiedere la guarigione di mia madre. ero credente per tumulto. oggi ne ho un ricordo vago, quasi filmico, muco da rincorrere con il fazzoletto nelle cornici vuote.
171.
in un sepolcreto di crisi ho visto l’ombra
172.
era maschio il vento era corallo la femmina lenita da un adempiere di baci, ma non bastò questa felicità al lutto di non arrivare nel vano della porta nel tramestio del cane che sa in anticipo
173.
da una mansarda ho figurato il mondo cellula d’occaso sterminio in via di senso
174.
con le gote paonazze appena in tempo si salva in un portone. non ha commesso niente, ma è terrorizzato. si sente un latitante con un cuore di prigione con una gola di galera. appena in tempo su un altro assalto di panico, apre il portone e corre fuori fingendosi lieto, composto con destinazione. una lapide sul petto sarebbe più lieta. ma deve fingere, fingere per non storpiarsi le mani e i piedi.
175.
in un cantuccio di piazza finge d’innamorarsi. in tasca ha un libro intonso, solo senza occhi. forse non lo leggerà. troppi fogli legittimi, ordinati. il suo, invece, è comunque un tumulto, un rancore in un cantuccio senza requie. si deve ricordare di fingersi o credersi innamorato. questa è forse la resistenza. sua madre se ne accorgerà e tutto finirà senza vendette né vedette d’altro o d’altrove. è bello fingersi di vivere, dopotutto.
176.
c’è un segno di divieto, ma lei se ne frega. vuole gareggiare col purgatorio, vuole essere motoria ben più oltre. atleta, sì! e con il fioretto usato ad arte. non è mica da tutti fronteggiare gli elementi equorei aerei materiali. lei può farlo: è un grido di fioretto. ora si trova nella strada delle ambasciate e i divieti qui si rispettano nonostante il fioretto. torna a casa con un visto appena in tempo senza esecuzione.
177.
sull’asse della voce ho visto la tua felicità cantare la fionda della scoperta
178.
verdetto di elemosina guardarti
dalle centurie del panico dal veleno
così le norme del piangere
l’età cattiva
bandita da una comica arsa
banconota fuoricorso.
179.
in un mondo di percosse, l’attore incorre nella sanzione di figurare amore, le corazze indossate vanno tutte a pennello e la gente è sicura.
180.
nella maestria di una tenebra possa risolversi la mia vita. una bravura da sprecare a caso, una scontrosità di bambina da far tenerezza. in questa strenna non vi saranno veliero né chiave di fortuna. tutto finirà dolcemente senza impronte digitali.
181.
in un far di stoppie il breve di una stasi
182.
in convitto con il lento occiduo
nessun ristorante appello a far di pace
183.
un promemoria per piangere di meno quasi a ricordarselo dal momento che la spezzatura del cerchio correre si arena rotola
184.
salite le montagne da confinati stagni
non fu uscita non fu entrata la stanza del respiro.
in mano alle veneri del sale così senza sorriso
il sorso del vetusto scarabocchio
il solco della scuola da disperdere.
remote le caviglie sul far del moto
e non basta la corsa dietro al cerchio
la perennità dell’orologio
la ninnananna logica del vinto
185.
è lavarsi i denti con la soda caustica, incidente da non augurarsi, ma ritorna medesimo nella scrittura di evocarlo, starlo a sentire a tormento, un’erbaccia invadente. con la mestizia delle forbici controllare di non starci, andarsene alla larga senza né arte né parte, apolide il petto senza battiti. questo scontento non basta ad avere una distanza, una discordia da conquista della fuga. qui si resta in gara con la fotocopia.
186.
domande d’offuscamento, un crepitio di rena senza mare, questo è dato oramai. il gerundio della staffetta senza altri atleti, si sta soli, agende da non sfogliare. un salvacondotto per rimanere condannati.
187.
domani comprerò il detersivo adatto per mantenere più soffice la lana
188.
vieni da me con un inguine di spranga così mi ucciderai in intimità brevettandomi una scaturigine di pace pur con la pece del senza-senza il senza finalmente.
189.
le rupi delle suole, così difficile il giorno
nel prontuario del cerchio
le medesime ragioni sismiche
le medesime origini medesime
ma non parte la ruota
questa taccagna enfasi di niente
190.
un eremo la contentezza del portico, guardare il sole con la lente d’ingrandimento e non averne buio, anzi la solita fanciullezza con il cerchio da correrci
191.
un cane smilzo, picchiato e tardo
così è tutto il fatto della carta
nonostante l’accademia e l’epica delle giostre.
amanuense adesso la stamberga chiami
le stanze nude delle rese intese
dal bavero del fagotto.
un lusso di detersivo per la lana
questo l’inverno di chi in pista
è doppiato da nugoli asprigni.
192.
singhiozzo d’eremo voglio la giostra
scampata dalle ronde dei millenni
spampanata a mille a mille petali
per la stranezza d’un notturno nomade
193.
era l’autunno il vuoto della siepe
194.
i libri stanno in cantina ma non la svelano né la soffitta in apice leggera
195.
il frammento del frammento ed è il numero
rapacissima cometa di finito
196.
a cottura ultimata la minestra
nella scodella fuma per felice
questo coltello mite di bisaccia
197.
un fatto, un’alienazione da urto tra le somme della spesa
198.
attendere è più forte del tormento proprio.
199.
i prezzi li hanno raddoppiati e la pace è nera.
200.
è finita la sintonia, è finita la simpatia in una pagliuzza di cimelio.
201.
è un perpetuo ordigno d’acqua marcia, un acrobata da guardare con lo sforzo della resistenza.
202.
le persiane hanno il colpo della rondine. le misure di un guizzo.
203.
dal pomeriggio alla notte il passo è brevissimo, di pozza in pozza con un canovaccio di sterpi.
204.
in un cantuccio di elemosine ho visto il senso, la premura cortese sul far del vero. nessuna tristezza, anzi, una raucedine di sorriso.
205.
accanto al più mansueto dei cipressi e nessuna noia
206.
truffa geniale sedersi in poltrona con il petto in pace
207.
quale un muso in punta di pesticida, sto attenta a non somigliarmi troppo
208.
in un mucchio di vapori ho chiuso l’indice: tutto s’intuisce senza leggere il contenuto, questo vuol dire che è tutto riuscito
209.
queste, mi dite, le ultime sembianze di un cuore curvo.
210.
in un mazzo di crisantemi ho visto nascite di api, mieli sfacciati, timbri intonsi, palloncini al polso
211.
le torri innamorate di rondini e pipistrelli
212.
il dolore è l’equivalente di una lente d’ingrandimento: il corpo è tutto nell’arrossamento degli occhi, nel fiato in gola del petto a tamburo, nell’insonnia e nella drammaturgia del canto a bocca chiusa.
213.
c’è stato un giorno in cui la divisione fu la saetta del male, il controllo assoluto da parte della fine che oggi mi tocca sopportare e portare a compimento.
214.
si parla di due cose diverse e si crede d’intendersi, una logica dell’ingenuità questo scarto che dà inganno o solo creduta voglia di comunicare verso un intendersi che in un cristallo è il vuoto e la luce un lampo di fosfeni.
215.
e poi è qui che ci si stordisce per poter sopportare la curva del lacrimare, la sciatta scempiaggine del vero.
216.
da ragazzina si giocava ai banditi e facilmente si fingeva di morire, da adulta sono stata bandita e duramente l’opacità del vero
217.
il disadorno è davvero l’affascinante, mai sciatto davvero parlante, dicente quasi benedicente in un angolo, in una crosta di formaggio che non avrà morte né noia mai
218.
molti palazzi sono tumefatti, partigiani resistono alle intemperie.
219.
in una sciatteria di condanna i libri del disavanzo. a testa bassa, in ascensore, guardo le scarpe. nulla s’impara nulla si può insegnare. con le marette infelici nella vasca da bagno ho chiuso la giornata.
220.
dalla finestra la furia del mare invernale, penzoloni le lanterne del lungomare le stracche luci con alone e gocce hanno l’affanno della perplessità dell’ultimo pescatore, il torto del fulcro di notte quando un pendolo stordisce nell’eco del vuoto
221.
nel semolino della sera mio padre cesurava la furia della morte. i peli bianchi della barba tremolavano sotto il peso del boccone liquido. per un po’ la tregua guarniva il ruzzolone nella notte.
222.
la riva sul crepuscolo del logico
foto del senso, foto del segno
223.
i non-luoghi non portano amore ma sorprese di sopportazione. si guardano le merci come cosette d’anima.
224.
in un boccale di birra l’arenile del bello, il cosmetico miracoloso al pari delle docce collettive o del silenzio.
225.
il rimorso asperrimo di una natalità sgarbata, sbadata in un angolo di terz’ordine, in sordina dietro l’angolo di un circo.
226.
con la norma del cortocircuito sto nell’infernetto odierno della milizia dello stento
227.
ho riammesso il bendaggio sulle ortiche, non voglio più toccare terreno né nominare.
228.
le curve acidule del tempo, questo gomitolo di gomiti dove l’occhio nero del boxer è la bellezza, la normalità accerchiate del letto sfatto o fatto.
229.
con uno scambio di occhiate tutta la capienza del mondo si fa esaurita.
230.
chiamami col calcio del fucile, rendimi impossibile
231.
il rumore della moto è la prepotenza di un esistere senza udito
232.
la contaminazione della smorfia di dolore in tutta l’aria attorno e dopo e prima e per sempre. nulla sarà bazzecola, una maculetta sul lapidario del finito l’immenso dolore immenso
233.
su quale arcano finirà la voce passata per le armi?
234.
un sillabario di rovine questo stordire di vino in palio al nulla di capirci niente
235.
le donne stanno dritte e monocordi verso il sistema che le dà per vinte
235.
al call center, in fila in fila, teste che compiangono la nascita
236.
era un portento da figurare in gioco
237.
con un chiavistello d’inedia ho tratto il tratto
238.
quale intuito apporrà manopole al dislivello del giorno?
239.
in uno scenario di vento ho appeso l’abaco
contratto sotto il peso dell’aria forte
240.
con un commiato latente si sprigiona il sole
241.
con le nocche perdenti non osa bussare presso la porta dell’ultima casa
242.
la lancinante apatia chiude la salute in un post-it che si scolla e che ricordava di comprare il detersivo per gli indumenti di lana. il telecomando ha la polvere così come la tastiera del pc. la tana non basta più ad arginare la pena, la noia morde, le lamentele tolgono lo sterno dal petto in un buco di voragine.
243.
in un lettino di figlio ho visto il mondo
dotarsi di comandi di forca.
244.
la giovinezza succede in un far di straccio
un vellutello sgualcito alla nomea del tempo.
245.
in un giaciglio di cornucopie ho spinto il sonno ben sistemando le bisacce del ritorno per le calamitose enfasi di chi conosce il vero: sacchetti di sabbia l’anfiteatro tutto intorno
246.
in un gioco di penombre la breccia della leccornia (la tavola imbandita) per convincere il sole a farsi dominante così da poter sbattere le coperte in piena pace dal balcone.
247.

[Immagine: James Rosenquist – The Swimming in the Econo-mist (painting 3) 1997-1998]

miserere asfalto 1 miserere asfalto 2

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3 Commenti

  1. In spirito si sente ragazza e questo la uccide ben più della incipiente vecchiezza.

    si. leggere il (proprio) futuro in questo bilico è facile.
    belle queste letture-oggetto. queste fiamme fredde
    di puro intervallo tra corpo d’occhio e zodiacali
    somatici. tu (mi riaccorgi allo specchio diabolico del presente
    – il passato è un nervo produttivo – il futuro delle tue
    salme hanno già compiuto tutta una rotazione –
    ciò che sognammo, vediamo, le donne.

    un caro saluto,Marina
    paola

  2. Una grazia offerta in questa domenica grigia.
    Si legge con lentezza, scoprendo il cammino poetico e raccoglie ciascuno verso, come quando ero bambina raccoglievo le conchiglie.
    mettero nella mia collezione:

    155, 163 ( non ho resistito al marsupio), 164, 174, 198, 203, 205 ( mi ha dato speranza nella vista tranquilla), 212 ( conosco), 220 ( in amore per il mare nel gioco acqua, luce, notte, maghia, 240 ( perché al momento di lasciare una persona negli occhi tu vedi tutto l’amicizia, la tenerezza (il sole brilla, tu vuoi custodire nel cuore questo sorriso, questa tristezza, quaesta speranza di rivedersi), 241 ( per la paura di no essere accolta( accueillie).

    Grazia a Franz e a Marina Pizzi.

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