Il caso delle badanti vittime del metanolo in Sicilia

di Stefano Savella

Quello delle badanti in Italia è, aldilà delle apparenze, un universo di storie di sofferenza, di dolore, spesso al di fuori di ogni minima copertura legale (fiscale o assicurativa). Le famiglie italiane, laddove non coinvolte direttamente nella ricerca e nell’affidamento a badanti straniere di un proprio caro, vivono una percezione del fenomeno largamente sottostimata. I mezzi di comunicazione non superano la soglia del singolo caso di cronaca che può riguardare il caso di una badante arrestata perché sorpresa a rubare o di un’altra destinataria di un decreto di espulsione pur avendo salvato la vita alla anziana donna che accudiva: tutto viene macinato nella rotatoria dei quotidiani e dei telegiornali senza essere accompagnato da una minima lettura critica e globale della presenza e del ruolo delle badanti in Italia. Il “rischio” più grande che viene veicolato da programmi di informazione e talk show sembra piuttosto essere quello dei matrimoni combinati tra badante straniera e anziano italiano, laddove la prima viene facilmente identificata con l’immagine della straniera corruttrice e ammaliatrice di “ingenui” nonni italiani.
Una storia che invece non ha, finora, mai interessato l’opinione pubblica nazionale, rimanendo confinata nei redazionali di cronaca nera dei quotidiani locali, è quella di un numero ancora imprecisato (tra le quindici e le venti) delle morti improvvise di persone straniere, in prevalenza badanti romene ma non solo, tra il 2004 e il 2008, tutte avvenute in territorio siciliano, da Trapani a Catania, da Palermo a Ragusa ed Enna. La causa: avvelenamento da metanolo. L’elenco dei casi rintracciabili sugli archivi dei quotidiani on line e delle agenzie di stampa è sicuramente parziale. Il primo caso segnalato è quello dei due romeni Josif Majhart e Campus Yonuth, rispettivamente di 46 e 24 anni, morti nell’agosto del 2006. Il 13 agosto «il manifesto» ne dà notizia con un articolo di Alfredo Pecoraro, che ricorda come i due lavorassero nelle campagne nei pressi di Vittoria «in condizioni disumane». Gli effetti dell’avvelenamento da metanolo vengono ricondotti dal cronista a due possibili cause: l’inalazione di sostanze chimiche pericolose in una serra o l’assunzione di vino adulterato con metanolo. I due vengono lasciati, presumibilmente dal loro datore di lavoro, sui marciapiedi degli ospedali più vicini e la Procura di Ragusa apre un’inchiesta in attesa dell’autopsia. Nel novembre dello stesso anno, un altro episodio simile. Questa volta è vittima un polacco di 44 anni, Robert Pioro, anch’egli lavoratore nelle campagne vicino Vittoria ma nel territorio della provincia di Catania. Abbandonato anch’egli sul marciapiede di fronte al pronto soccorso, muore per avvelenamento da metanolo. Anche la Procura di Catania apre un’inchiesta in attesa dell’autopsia.

Ma è il 2007 l’anno in cui si susseguono con un ritmo vertiginoso le vittime del metanolo in Sicilia, e si tratta quasi sempre di badanti. Il 27 gennaio a Bagheria muore una badante polacca. Il primo febbraio, a San Cono, un paesino in provincia di Catania, muore una badante romena. A fine febbraio un’altra badante romena, Maria Drugu di 47 anni, residente a Gibellina in provincia di Trapani, entra in coma irreversibile dopo aver ingerito del vino adulterato con il metanolo e muore pochi giorni dopo all’ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani. Nel marzo 2007 si ha notizia di un’altra morte per metanolo, stavolta all’ospedale “Umberto I” di Enna, di una donna romena di 46 anni. Il 3 aprile muore all’ospedale Bucchieri La Ferla di Palermo Crina Morosanu, di 30 anni. Arrivata a Palermo appena tre mesi prima, la giovane badante romena assisteva un’anziana donna in viale Castiglia nel quartiere Zisa del capoluogo siciliano. In ospedale ha appena il tempo di dire di aver bevuto un bicchiere di grappa, prima di entrare in coma e spirare. Il 4 maggio muore all’ospedale “Dei Bianchi” di Corleone la badante romena Valeria Abajale, di 49 anni, che viveva a Prizzi, in provincia di Palermo. Anche per lei la diagnosi è avvelenamento da metanolo e il procuratore di Termini Imerese ne dispone l’autopsia legale. Il 21 luglio viene trovata morta nel suo appartamento di Licata la 40enne romena Gedina Corcoz. Ancora una volta causa della morte è l’avvelenamento da metanolo e il sostituto procuratore di Argigento dispone l’autopsia e apre un’inchiesta. Il 15 settembre l’Adnkronos diffonde la notizia di una donna romena di 31 anni ricoverata in stato di coma nel reparto di rianimazione dell’ospedale Papardo di Messina dopo aver bevuto «vino al metanolo» e viene indicato come il primo caso di avvelenamento da metanolo nella città dello Stretto. In realtà la donna si era recata all’ospedale di Sant’Agata di Militello, in provincia di Catania, già il primo settembre, e da lì era stata trasferita a Messina. La donna muore il 16 ottobre.

Il 24 settembre muore a Palermo la badante romena di 40 anni Liliana A., trovata senza vita riversa a terra nel bagno della sua abitazione. La Procura di Palermo apre un’altra inchiesta e il pm Gaetano Paci dispone l’autopsia, che confermerà l’avvelenamento da metanolo. Nell’ottobre 2007 viene segnalato un altro caso ad Augusta. Il 5 novembre 2007 muore invece a Vittoria la donna romena Lidiea Racu, di 38 anni, che lavorava come bracciante agricola nelle campagne circostanti insieme al marito. Sono i giorni in cui in Italia si scatena la caccia al romeno dopo l’omicidio di Giovanna Reggiani ad opera di un ragazzo rom a Tor di Quinto. Fatica invece a trovare posto tra le notizie quella della morte di Lidiea Racu, e in particolare della donazione, avallata dal marito romeno della donna, di fegato e reni verso tre pazienti italiani in lista d’attesa. Ne dà notizia il quotidiano locale «Il Corriere di Ragusa», con un articolo a firma di Giuseppe La Lota, che scrive: «Una grande lezione di solidarietà. Anche da cittadini romeni. […] Un autentico gesto umanitario che […] ricorda che […] le persone buone sono anche di nazionalità romena […] Della serie: tutto il mondo è paese».

Il 21 novembre muore un’altra donna romena, Dorina Artenie, di 55 anni, ricoverata prima a Licata e poi a Enna. Anche per lei i medici indicano come causa della morte l’avvelenamento da metanolo. Il 6 dicembre muore a Palermo il 55enne romeno Eugene Tiba, bracciante agricolo residente a Castellammare del Golfo in provincia di Trapani. Due invece i casi riscontrati nel 2008 per la stessa ragione legata all’ingestione di metanolo: il polacco Sobolak Matius, di 33 anni, muore infatti a Palermo il 9 marzo 2008 dopo sette mesi di coma. Quando le morti sembrano essersi arrestate, tantopiù che l’avvelenamento del polacco Sobolak Matius risaliva comunque all’agosto del 2007, arriva invece la notizia, il 6 giugno 2008, della morte di Mircea Micu, 41enne bracciante agricolo residente a Calastra presso Agrigento.

Le pagine di cronaca di giornali e telegiornali nazionali si occupano solo in rari casi di queste morti, di un numero complessivamente ancora imprecisato. Tra il marzo e il maggio 2007 se ne occupa il portale on line Repubblica.it, mentre della morte di Crina Morosanu il 3 aprile 2007 ne parla anche il tg5. Tutti i restanti casi rimangono confinati in brevi articoli della pagine di cronaca dei quotidiani regionali o provinciali in Sicilia, quasi tutti dello stesso tenore. Qualcuno ricorda la morte di 19 persone nel 1986 per il vino adulterato al metanolo in Piemonte e Lombardia e lo scandalo che ne seguì. La maggior parte associa la morte di queste persone alla presunta abitudine consolidata dei cittadini dei paesi dell’Est di aggiungere del metanolo ai liquori per aumentarne l’effetto alcolico, creando così il famigerato alcolico “spirito di legno”, tipico della Transilvania. Lo “spirito di legno”, invece, altro non è che un altro nome col quale è conosciuto l’alcol metilico, o metanolo, che può prodursi in proprio solo durante il processo di fermentazione, e tenendo sempre sotto controllo la temperatura, in modo che la quantità di metanolo possa superare la soglia oltre la quale causa gravi danni alla vista e finanche la morte: ed è dunque evidentemente implausibile che il processo di fermentazione possa svolgersi abitualmente nelle case di badanti o in quelle di lavoratori nelle campagne. Eppure questa teoria è riportata, ad esempio, dal servizio del tg5 del 3 aprile 2007: «Lo producono in casa. Un liquore letale. Alcool adulterato mischiato al metanolo […] sono già tredici i morti uccisi dall’intruglio che provoca sballo a buon mercato […] L’appartamento è stato perquisito da cima a fondo dagli inquirenti che hanno trovato diverse bottiglie contenenti strani liquidi».

Repubblica.it, in un articolo del primo aprile 2007, è l’unica a porre in rilievo, seppur senza convinzione, il dato peculiare, e centrale, della vicenda: «Questa volta però le vittime sono solo romene, e i casi accertati tutti in Sicilia». Subito dopo però si riporta la versione più comune, veicolata dalle forze dell’ordine: «Una delle ipotesi, secondo gli investigatori, sarebbe da attribuire alla pratica consolidata di miscelare il metanolo con vino e liquori, per aumentarne la gradazione alcolica». Si tratta, in sostanza, della versione riportata, in quei giorni e non solo, da tutti gli altri quotidiani nazionali e locali in merito a questa vicenda: «Killer: il metanolo aggiunto nelle bevande alcoliche» (Quotidiano.net, 4 aprile); «L’aggiunta del metanolo agli alcolici è una pratica abbastanza frequente tra i romeni» (Corriere.it, 1 aprile); «Secondo una prima ipotesi la donna sarebbe morta per aver bevuto un liquore “casalingo” che molti immigrati dell’Est sono soliti preparare in casa o un cocktail di alcoolici» (Agrigento notizie.it, 21 luglio); «La loro ‘febbre’ del sabato sera è il metanolo, aggiunto al vino o ad altri alcolici. La droga dei poveri la consumano in Sicilia immigrati dell’Est europeo, romeni, polacchi…» (A Marsala.it, 2 aprile); «Numerosi cittadini stranieri, però, soprattutto romeni e polacchi, usano aggiungerlo alle sostanze alcoliche al fine di aumentarne la gradazione» (TrapaniOk.it, 27 novembre); «Pratica consolidata, soprattutto per problemi economici, sarebbe quella di miscelare il metanolo con vino e liquori, per aumentarne la gradazione» («La Sicilia», 17 novembre).

Si pensa, cioè, abbastanza sbrigativamente, che le vittime abbiano addizionato al vino o al liquore che si apprestavano a bere del metanolo puro, una sostanza che non è presente in commercio e che è ricavabile appunto solo durante la fermentazione. Un altro quotidiano locale si spinge oltre, ipotizzando che «le giovani donne avrebbero bevuto vino o whisky adulterato, forse acquistato a poco prezzo nei paesi d’origine, oppure comprato in Sicilia da qualche connazionale senza scrupoli». (A Marsala.it, 6 marzo 07). Qui si dà, cioè, per scontato, che il vino addizionato al metanolo provenisse direttamente da Polonia e Romania (circostanza non facile da supportare, considerando la distanza tra i due paesi e la provenienza delle vittime da diverse regioni della Romania) oppure che vi fosse una compagine di romeni e polacchi che in Sicilia si compiacesse a mescolare a diverse tipologie di alcolici (vino, whisky, grappa) una consistente quantità di metanolo (ma in quale forma, e da quale provenienza?). Anche una direttiva del Dipartimento Prevenzione dell’Azienda Sanitaria Locale di Chieti riporta, riferendosi a un caso di intossicazione in Sicilia, che «Il caso confermerebbe quindi l’ipotesi del consumo nelle comunità straniere presenti in Sicilia di bevande alcoliche contenenti metanolo»: non si precisa, cioè, in che modo il metanolo possa essere stato addizionato alle bevande alcoliche e soprattutto perché, se si tratta di una consuetudine delle «comunità straniere» (in realtà solo di romeni e polacchi), gli effetti disastrosi del metanolo si ritrovano solo in vittime residenti in Sicilia.

Nel novembre del 2007 interviene finalmente il Centro Anti Veleni (CAV) di Milano, con uno studio inoltrato al Ministero della Salute, dove viene fatta chiarezza sulle sostanze contenenti metanolo che hanno causato la morte di questi lavoratori polacchi e romeni. Il CAV pone l’attenzione, cioè, su due prodotti, dall’apparente confezione dell’alcool denaturato utilizzato come disinfettante. In realtà, in questi due preparati, si era verificata una concentrazione di metanolo superiore, rispettivamente, del 70% e del 20% a quella prevista per legge. La relazione del CAV segnala come «nella Regione Sicilia sono prodotti e commercializzati due preparati contenenti metanolo, denominati nello stesso modo e con etichette simili»; in un altro punto si parla della «libera commercializzazione» di questi prodotti in tutta la Regione Sicilia, come dimostra del resto il gran numero di province interessate dal fenomeno. «Un ulteriore elemento da evidenziare – si legge ancora nella relazione del Centro Anti Veleni di Milano – è quello dell’adeguata informazione e protezione della popolazione generale dal rischio di esposizioni accidentali di particolare pericolosità in relazione alle modalità di etichettatura e confezionamento con cui vengono commercializzati i prodotti in questione».
Quello che ne deriva è molto chiaro: le persone romene e polacche coinvolte nell’intossicamento da metanolo hanno utilizzato un prodotto dall’apparente etichetta comune, e commercializzato tranquillamente nei negozi al dettaglio. Non si trattava perciò di metanolo puro, come volevano far credere le cronache dei giornali, né si poteva parlare di uso comune, da parte delle comunità di quei paesi, di un utilizzo scriteriato del metanolo in quanto tale. Il prodotto in questione era commercializzato in negozi alla portata di tutti, quando andava invece, per la sua particolare composizione, adibito alla vendita solo in esercizi commerciali di articoli professionali e industriali. Inoltre, le confezioni delle due tipologie di alcool riportano etichette fuorvianti: così si legge in una informativa del Ministero della Salute: «è da ritenersi fuorviante il disegno di una casa su una delle due etichette e l’indicazione di “prodotto per accendi fuoco” quale informativa indirizzata ad un ambiente domestico su una delle due etichette. Se pur fatto divieto di utilizzo come solvente per colori e vernici nella etichetta di uno dei preparati è indicato l’uso per “diluire smalti e vernici”». Infine, cosa più importante, è «fatto divieto di utilizzo di metanolo in prodotti di uso domestico».
Il 27 ottobre 2007, i Carabinieri del NAS di Palermo, in esecuzione di un provvedimento di perquisizione domiciliare, emesso dalla Procura della Repubblica di Termini Imerese, nei confronti della locale società “G. e M. Chimica” s.r.l., hanno proceduto al sequestro di 9 silos contenenti, complessivamente, 700 ettolitri di metanolo puro e 600 ettolitri di metanolo mescolato con altre sostanze; 32.000 etichette relative al prodotto denominato “Sanital”; varie attrezzature utilizzate per il confezionamento finale del prodotto. Il prodotto viene inoltre sequestrato su tutto il territorio nazionale. I casi di intossicamento avvenuti nel mese di novembre 2007, gli ultimi in ordine di tempo, sarebbero dunque riferibili a confezioni di quel prodotto acquistato prima del sequestro su tutto il territorio nazionale.

La vicenda tuttavia non si ferma qui. Il 7 febbraio 2008, dunque più di tre mesi dopo il sequestro del prodotto, si mobilita anche l’Assessorato alla Salute della Regione Sicilia, che invita la Protezione Civile a mettere in guardia, si cita il comunicato stampa, da «una bevanda ad alta gradazione alcolica, probabilmente un liquore auto-prodotto che conterebbe metanolo. […] La bottiglia, in alcuni casi, è denominata “Sanital”». Il modo in cui è riportata la notizia è chiaramente confuso: il Sanital non è la bevanda alcolica che i romeni producono nelle proprie case, bensì è l’alcool denaturato, prodotto in Sicilia, che contiene illegalmente un’altissima percentuale di metanolo; questo viene sì aggiunto, talvolta, in minime quantità ad altre bevande alcoliche, ma se non contenesse metanolo i suoi effetti non comporterebbero grossi rischi per la salute dell’assuntore. Il sito internet Bagheriainfo.it, organo web del periodico «Il settimanale di Bagheria», si spinge più in là: «Una bevanda alcolica a base di metanolo dagli effetti devastanti è stata messa in circolazione in Italia e probabilmente anche in Sicilia. Il super alcolico è denominato: sanital […] La bevanda, secondo la Protezione Civile, sta circolando fra le comunità rom». Il Sanital è invece prodotto in Sicilia e commercializzato esclusivamente in Sicilia; la bevanda alcolica non è il Sanital; il fatto che circoli tra le comunità rom (in realtà tra romeni e polacchi, non sono mai segnalati casi di esposizione da parte di persone di etnia rom) sembra automaticamente, ed erroneamente, avallare il liquido contaminato sia «stato messo in circolazione» da costoro o comunque da stranieri.
Sul sequestro del “Sanital”, che scioglie definitivamente i dubbi sulle cause degli avvelenamenti e che “scagiona” le comunità dell’Est europeo in Sicilia dalle accuse di chissà quali traffici, cala tuttavia un certo silenzio. Ancora il 5 gennaio 2008 la cronaca di Palermo del quotidiano «la Repubblica», riportando la notizia del ricovero in ospedale di una badante romena di 47 anni residente a San Giuseppe Jato, scampata alla morte, titola con la parola «L’allarme» il contributo redazionale, che si chiude così: «è ormai accertato che si tratta di una bevanda dagli effetti allucinogeni, utilizzata come una sorta di droga dalla comunità rumena in Italia». Siamo a quasi due mesi e mezzo dal giorno del sequestro dei silos dell’azienda produttrice del Sanital, a Termini Imerese, e i quotidiani locali continuano a fornire notizie del tutto errate e fuorvianti: il metanolo non è contenuto in una «bevanda» e nel resto d’Italia la comunità romena non fa uso di questa cosiddetta «droga». Soltanto il giorno dopo lo stesso inserto locale, in un articolo di Salvo Palazzolo, dà notizia della risoluzione del «mistero che inghiottiva solo badanti rumene, e solo in Sicilia», ovvero del sequestro del Sanital. Ma non senza accusare un’ultima (?) volta la comunità romena e «l’omertà che avvolgeva ogni caso. Amici e parenti delle vittime avevano sempre timore di testimoniare, chissà per quale ragione». Il cronista siciliano finge di non sapere che fino a pochi mesi prima un cittadino romeno in Italia sprovvisto di permesso di soggiorno poteva venire chiuso in Cpt e successivamente espulso.

A oggi nessuno risulta iscritto nel registro degli indagati per la morte di circa venti cittadini dell’Est europeo in Sicilia negli ultimi anni. La Procura della Repubblica di Termini Imerese, diretta da Alberto Di Pisa prima del suo trasferimento a Marsala, sta compiendo un’inchiesta per omicidio colposo ma il fascicolo è ancora contro ignoti. Non è stato indicato, né sequestrato, sul territorio nazionale il secondo prodotto che il Centro Anti Veleni di Milano indicava come possibile causa dell’intossicamento da metanolo, e che sarebbe causa dell’avvelenamento della badante romena a San Giuseppe Jato riportata dai giornali locali nei primi giorni del 2008; infine, non è ancora noto se le procure della Repubblica interessate negli anni dai casi di avvelenamento (sostanzialmente in tutte le province siciliane) stiano compiendo altre indagini, se siano giunte a nuovi sviluppi o se abbiano inviato alla Procura di Termini Imerese tutti gli atti delle inchieste da loro effettuate.

Stefano Savella

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1 commento

  1. Complimenti per quest’articolo che raccoglie con precisione i fatti e cerco a indagara con preoccupazione di verità.
    La vicende fa rabbrividire.

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