Amore

di Marco Rovelli

Ho letto, uno dopo l’altro, due libri di Clarice Lispector, senza saperne niente. Trovati in libreria, sfogliando. Uno è “Legami familiari“, una raccolta di racconti. L’altro è “Vicino al cuore selvaggio“, che la Lispector scrisse a 19 anni – e mentre lo leggi ogni tanto ti meravigli di come qualcuno possa scrivere così a 19 anni. Ho scoperto, poi, che è considerata la più grande scrittrice brasiliana del dopoguerra – e anche se le mie parole non aggiungeranno nulla, e forse non coglieranno neppure il punto dell’autrice, data l’esiguità del materiale che ho letto – non posso fare a meno di scriverle.

Anzitutto, a rapirti è la scrittura esplosa, materica, che segue piste misteriose guidandoti con gli odori come un animale. Un delirio trasparente come un guanto rovesciato: la scrittura si fa direttamente sulla pelle interiore dell’autrice. Che racconta il suo sguardo arrovesciato, e dunque la sua distanza dalle cose del mondo. Una distanza quasi mistica, in un’adesione radicale a quella pelle interiore. Ma è proprio per questo che le è permesso di vedere, senza più diaframmi, il cuore selvaggio delle cose. Le cose di disfano, si confondono, trapassano l’una nell’altra. E l’autrice le rivela per quel che sono: ovvero, la sua scrittura te le fa toccare, annusare, nella loro essenza più profonda di ente – di qualcosa che esiste. E che, esistendo, trapassa in altro – qualcosa che è sempre sul punto di scivolare fuori dalla propria esistenza (l’essere è glissant, scivoloso/scivolante, diceva Bataille).

Talvolta, quello sguardo che vede il disfacimento delle cose, come se le cose si mischiassero e perdessero i contorni, ricorda lo sguardo di Dick, la sua ossessione del putrio – il dissolvimento delle cose nell’impossibile Uno/Nulla. Accade, questa esplosione dello sguardo-e-delle-cose, in un racconto come “Amore” (non so, sull’onda dell’emozione mi viene da dire: questo è il racconto perfetto. Se andate su googlebooks lo trovate, è il secondo racconto di “Legami familiari”, a pagina 16: qui). Dove è una disgustosa epifania che consente a Ana, la protagonista del racconto, di sentire finalmente la “salda radice delle cose” quella radice che aveva sempre avuto bisogno di sentire. E’ un uomo cieco che mastica una gomma, un dettaglio inerte che Ana riceve come insulto, e che in lei risveglia quel bisogno di radice – e allora la vita esplode ai suoi occhi, e alla radice Ana scopre l’urlo, il male, il rovescio. Un’oscura bramosia. “La crudezza del mondo era tranquilla. Profondo era l’assassinio. E la morte non era quel che si pensava”. Appunto, ancora, quel cuore selvaggio delle cose – che poi è la purezza dell’Amore – che l’autrice pare conoscere da sempre. E il miracolo è che quel cuore sembra e-scritto in un solo movimento dal gesto scritturale di Clarice.

Del resto, all’inizio – nel primo capitolo del primo libro, quello appunto dei 19 anni – c’è una bambina che non s’accontenta della pelle superficiale delle cose. Non ho niente da fare, si lamenta. E quella bambina, non trovando altro, si mette a scivolare sulla propria pelle interiore – una pelle ancor più superficiale, dove s’immagina mondi, dove visione e pensiero sono tutt’uno, e creano musiche inudibili perché già da superare appena immaginate. A volte Clarice (nei suoi personaggi; ma anche nelle sue foto, in quell’algida e traslucida distanza) appare come una bambina mai cresciuta – meglio: Clarice appare quella bambina mai cresciuta. Che vive come monade nei suoi infiniti mondi, e proprio per questo pare conoscere ogni cosa.

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30 Commenti

  1. che dire Marco, solo che mi viene voglia di avere questi libri in mano adesso, vado a svegliare il libraio a mezzanotte? Ciao.

  2. Sei veloce Marco :-). E bravo. Complimenti.

    Non conoscevo questi racconti, ho letto i primi tre poi hanno cominciato a friggermi gli occhi (quello della gallina mi ha colpito un po’ meno a dire il vero).

    Mi ricorda per certe cose Marie Ndiaye (un’altra ragazzina prodigio, tra l’altro),
    http://www.ibs.it/code/9788889550038/ndiaye-marie/rosie-carpe.html :
    certe epifanie femminili freddamente vischiose, sanguinanti, fradice e cliniche al tempo stesso. O la percezione che esplode da sotto la pelle.

  3. Su di lei hanno scritto moltissimo, Hélene Cixous le ha dedicato riflessioni e pagine così come altre. Dovrebbero ristampare molti suoi libri, ormai difficilmente reperibili.

  4. lessi vicino al cuore selvaggio qualche anno fa, mentre ero in croazia per qualche giorno di mare fuori stagione / ne conservo un ricordo sanguigno, totale, quasi schiacciante, così forte e selvaggio (ma al contempo elegante e splendido) che non volli leggere altro di suo, vittima dell’incanto stregato di quel suo primo libro
    proverò, adesso, con il racconto di cui segnali il link
    un saluto

  5. Anch’io tanti anni fa, senza sapere niente mi trovai in mano “La mela nel buio” e restai scioccata.

  6. Amo la scrittura irrefranabile. Il senso animale ” annusare”, “guardare” che dà matiera bella, dura al testo.
    Il paragone con tra il volto dolce, misterioso di Clarice Lispector con la scrittura portata alla luna immaginaria ( fantasia, sogni, distacco misterioso della realtà per raggiungere il rovescio del mondo) mi seduce.
    E’ un magnifico articolo.
    Le foto sono lo specchio del sogno iniziato dalla scrittura: magnifico sguardo luminoso come accaturato dalla ricchezza del mondo inventato.

  7. Dal mare sconosciuto della letteratura brasiliana finora ho distillato solo la goccia leggera de La doppia morte di Quincas l’acquaiolo di Amado, davvero piccola perla.
    Ora è il turno del “cuore selvaggio delle cose” della Lispector.
    Preziosa come sempre NI, in queste cose.
    Grazie

  8. Leggere di quel che non si conosce è sempre avvincente.
    Ed esistono le Biblioteche dove avere, almeno in prestito temporaneo, gli Attualmente non disponibile.
    Grazie.

    ,\\’

  9. anna,ma davvero hai la mela nel buio? e me lo presteresti? fotocopieresti?
    io ho letto tutto ciò che sono riuscita a trovare di qst autrice che ho scoperto 4 anni fa, anche cose minori e sinceramente meno riuscite, ma la mela nel buio non l’ho mai trovato…

  10. Faccio un gioco per Rosella. Ho preso La mela nel buio. Ce l’ho qui in mano, anzi aperto a cavallo di una coscia, per potere scrivere. Libro piuttosto corposo, carta giallina, scritto piccolo. Guardo di che anno è. 1988, compravo tanti libri, come adesso ma con più incanto. Fra l’altro non me lo ricordo più, il libro, solo che era bello. Apro a caso e trascrivo: “E così giunse il giorno in cui Vitòria partì per Vila Baixa con il camion pieno di pomodori e di spighe di granturco, e il camion sembrava una festa del raccolto”. Ci siamo no? Bello materico… Adoro quel che presumo un errore di traduzione, dato che il granturco non ha spighe ma pannocchie. Il testo crea così, credo involontariamete, uno lieve scarto dalla realtà. E la natura giustamente esubera.
    Vediamo un’altra pagina. Un attimo, eh, che apro.
    ” – Sono giorni buoni, disse Vitòria apprensiva, proteggendosi gli occhi con la mano.
    ” Erano giorni grandi, chiari, e, finché duravano, minacciosamente infiniti.
    ” – Sono belli! esclamò Ermelinda, – ho già preso persino il mio calmante.”
    Uhuh, luce bellezza e minaccia insieme, dritte sugli occhi e sui nervi… e il tutto in tre righe.
    Ciao a tutti!

  11. un po’ di vacanza e son restata indietro con i vostri post… fai venir voglia di leggerla, annusarla; lo farò presto e ti scrivo. baci,i.

  12. “L’imitazione della rosa” (in Legami familiari) consta di una quindicina di pagine nelle quali non accade nulla. Salvo che la realtà, troppo intensamente fissata dalla protagonista e ipnoticamente decostruita dall’autrice, crolla su se stessa in modo rimediabile, senza fumi né strepito, nell’inconsapevolezza. E’ quello che succede ogni momento senza apparire, è quello che scoveremmo in noi stessi se rinunciassimo a limitare la realtà alla realtà. Clarice Lispector fu una passione di quegli scrittori sudamericani (che personalmente prediligo) che insistevano a scovare le diramazioni inapparenti di quello che di attimo in attimo succede.

  13. LA RINUNCIA E LO SPLENDORE DEL LINGUAGGIO

    (Clarice Lispector, La passione secondo G. H., Milano, Feltrinelli, 1969)

    Io ho, a mano a mano che designo – ecco lo splendore di avere un linguaggio. Ma ho assai più, a mano a mano che non riesco a designare. La realtà è la materia prima, il linguaggio è il modo in cui ne vado alla ricerca – e in cui non la trovo. Eppure è proprio dal cercare e non trovare che nasce la cosa che non conoscevo, e che all’istante riconosco. Il linguaggio è il mio sforzo umano. Per destino devo andare a cercare e per destino torno a mani vuote. Però- ritorno con l’indicibile.
    L’indicibile mi potrà essere dato solo attraverso il fallimento del mio linguaggio. E solo quando la costruzione si incrina io ottengo ciò che questa non è riuscita a ottenere. (…) L’insistenza è il nostro sforzo, la rinuncia è il premio. A questo si arriva solamente dopo aver sperimentato il potere di costruire, e nonostante l’aroma del potere, si preferisce la rinuncia. La rinuncia deve essere una scelta. Desistere è la scelta più sacra di una vita. Desistere è l’autentico istante umano. (…) La rinuncia è una rivelazione”.

  14. ma che uomo di gusto:)
    la passione secondo gh è grandioso (nn so se è ancora introvabile, anni fa cmq l’ho passato allo scanner, se ti serve non hai che da chiedere)
    quanto alla critica, affianco alla lettura di cixous quella di braidotti (in metemorfosi). Vicino al cuore selavaggio segue a ruota. ottimi anche i racconti

  15. gent.ma gina,
    mi piacerebbe moltissimo poter leggere la passione secondo gh.
    sono anni che non riesco a leggerlo.
    grazie (ahhhhhh)
    chiara valerio

  16. stavo per sperticarmi in righe cenciose su “l’imitazione della rosa” che è forse il mio racconto preferito in “legami familiari” (anche se pure “la donna più piccola del mondo” per la quale “il privilegio di tutta una vita è non essere mangiati” è assai bello).
    poi ho letto le righe di niky lismo e mi sono detta che va bene così. ha già detto. il personaggio di laura e del vaso di fiori, comprsenti e pulsanti col medesimo battito stanno bene nella realtà in cui non accade che la realtà e quindi per certi vesi è impercebipibile.

    il pezzo di rovelli ci voleva proprio! a sì. brava clarice. bravo marco.
    e questo.
    chi

  17. Bella questa efflorescenza, sembra un po’ di essersi seduti a tavola attorno a una buona bottiglia di vino ed esserci scambiati sensi e consigli… Gina, se hai il file a portata di mano mandamelo, sicuro!

  18. PARLANDO DI CLARICE LISPECTOR

    João Cabral de Melo Neto

    Un giorno Clarice Lispector
    scambiava con amici
    diecimila aneddoti di morte,
    quel che c’è di serio e di circo.

    Ecco che spuntano altri amici
    di ritorno dall’ultima partita,
    commentando il gioco, raccontandolo,
    rivivendolo goal a goal.

    Quando il calcio si spegne,
    apre la bocca un enorme silenzio.
    Si sente la voce di Clarice:
    Allora, torniamo a parlare di morte?

    Io cammino alle corde
    sino al limite del mio sogno.
    Le viscere torturate dalla voluttuosità
    mi guidano,
    furia degli impulsi.

    Prima di sistemarmi
    devo disorganizzarmi internamente.
    Per sperimentar il primo e passeggero
    stato primario di libertà.

    Della libertà di
    sbagliare,
    cadere
    e
    alzarmi.

    Clarice Lispector

    due ricordi
    c.

  19. @lambertibocconi
    la “pannocchia” del granturco (mais) è sostanzialmente una spiga (cioè l’infiorescenza femminile del mais)

  20. @Prodan: hai ragione, però io prestando orecchio al linguaggio comune avrei tradotto “pannocchie” e non “spighe”, anche se è improprio. Mi è parso bello che qui il traduttore, facendo un uso molto preciso della lingua, abbia invece creato (almeno per alcuni lettori, fra cui me, abituati a pensare “spiga” quella del grano e “pannocchia” quella del mais) un effetto particolare quasi di invenzione.

  21. Coincidenze curiose, pochi giorni fa ho riletto Legami familiari. ma guarda un po’ te la vita.
    Per ROSELLA: io ho La mela nel buio solo è in lingua originale, se ti può andare lo riceverai entro domani.

  22. Cara Rosella, io ce l’ho in italiano, dimmi come possiamo accordarci…
    Prosegue l’indagine sulle mille facce del mais. Leggo dalla Garzantina: “… Ha foglie parallelinervie; le infiorescenze maschili sono a pannocchia; quelle femminili a spiga, avvolte da brattee verdi da cui fuoriescono gli stimmi; i frutti sono cariossidi gialle o bianche, che, macinate, danno la farina gialla…”. Veramente quelle bianche macinate danno la farina bianca, dico io.

  23. “alb” tu sei fortissima!!!

    gostaria muito de poder conversar com voce sobre todas as coisas que interessam para voce

    c.

  24. anche secondo me l’imitazione della rosa è il racconto migliore della raccolta.
    cara anna, ti chiamo presto. caro ettore, grazie.
    per chi avesse bisogno, io della lispectori ho, dei meno trovabili:

    il segreto
    la passione secondo g.h.
    un apprendistato o il libro dei piaceri
    la scoperta del mondo
    dove siete stati di notte?

    apriamo uno scambio? ;-)

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marco rovelli
marco rovelli
Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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