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Comizi d’amore o anche Amor ti vieta o anche Il mio ragazzo ha spento il telefono.

[ Il brano è tolto dal blog di lumicino. ]

di Emmanuela Carbé

Ipotesi: sul perché non vorrei sposarmi.

Le mie note preferite sono il do e il sol.
Ho anche una chitarra che si chiamava gipippa prima che i comitati leninisti dopo un’irruzione a casa mia mi hanno fatto notare che la walt disney è una società capitalista e che non potevo chiamare un oggetto con il nome della macchina di indiana pipps. La mia chitarra era normale prima che un mio amico, convincendomi che era capace di accordarla, la fece monca tirando così tanto un piolino da far saltare una corda. La fu mao-gipippa-tung, in ciliegio tutta, giace impolverata vicino alla libreria ed è il simbolo supremo di due cose: il capitalismo, a lunghe distanze, perde sempre; le velleità giovanili, a lunga distanza, si sopiscono. Ho fatto un corso di chitarra spagnola con la signora Zapatera, mi considerava così talentuosa che alla quinta lezione mi ha detto: hai una bella voce, perché al posto di venire qui non vai a farti un bel corso di canto?
Le note sono più importanti dei segni zodiacali per capire le affinità di coppia. Io non potrei mai innamorarmi di uno che dice che la sua nota preferita è il mi. È talmente vera questa teoria che quelli che vanno a sposarsi invece di dire voglio passare la mia vita con te, amore mio, rispondono al sacerdote di turno, o al sindaco, o chi per esso, con un sibilante sibillino SI collettivo. Qualche manciata di minuti prima i due sposini sono entrati in differita con una marcia nuziale, la maggior parte dei casi scelta senza nessuna cognizione di causa, come dire “ci sposiamo sul solco della tradizione, cara, e non sappiamo neanche cosa stiamo ascoltando”. Alcuni sposi fanno anche lo sforzo di cercare un’originale alternativa al classico pa-para-pa—pa-paaa-rapa, come dire “caro, non ci sposiamo sul solco della tradizione, facciamo consapevolmente i diversi, salvo riservarci il resto della vita monotono e uguale come tutti gli altri”. Allegria. Questo è un buon motivo per cui non mi sposerò mai: il si che dovrei pronunciare, come il mi, proprio non lo sopporto.

Tesi: Per un’analisi parziale all’istituzione dell’amore contrattuale.

Un mio amico ha criticato il titolo della mia tesina di laurea che iniziava con la preposizione articolata “sul”. Diceva che su e per sono un retaggio degli anni sessanta, che in quegli anni tutti gli scritti accademici apparivano in questa modalità: Sui salmoni che giacciono nelle discariche abusive; Sui pesci neorealisti e le organizzazioni internazionali laiche troppo laiche, Per un commento alla peste bubbonica manzoniana apparsa sui salmoni lombardi nel Seicento.
Non sono in grado di dire se questo sia storicamente vero o no, ma per non essere condannata di attentato all’economia narrativa tralasceremo il problema.
L’istituzione dell’amore, come tutti sappiamo, è arrivata con la rivoluzione francese. Prima le cose erano molto più facili, ci si sposava perché non si poteva fare altro, perché non c’era maria de filippi alla televisione, perché i matrimoni erano combinati. Oggi come oggi abbiamo fatto un grande salto di qualità, i matrimoni se li combinano i diretti interessati, che si costringono da soli alla finzione dell’innamoramento perpetuo, o al comune accordo di tenerezza senza fine, per guadagnarsi una vecchiaia socialmente accettabile. Nessuno si scandalizzi di questo: c’è solo una cosa peggiore della morte, cioè la morte in compagnia della solitudine. Inutile dire che per salvaguardarsi non si deve puntare sulla longevità del compagno. La vedovanza è una questione di statistica e probabilità. In molti casi si punta sui figli, che nel momento in cui ci sono dovrebbero (salvo casi brutali) stare vicino ai genitori.
Credo che sia necessario andare a monte della questione, non basando le nostre tesi su ciò che possiamo dire a proposito del matrimonio in sé, crisi del primo secondo decimo ventesimo anno, calo di desiderio, monotonia della quotidianità, e il marito che non vuole accompagnarti al centro commerciale e la moglie che ti usa troppo la carta di credito e il marito che si fa l’amante e la moglie che si fa l’amante e il dimenticarsi perché si sta insieme e negare negare negare e lasci la tavoletta alzata e non mi aiuti nelle faccende domestiche e i figli che devono fare sport e il mutuo e il lavoro che ti porti a casa e ho sacrificato i miei interessi e ritardi sempre la sera e quante cene di lavoro e i tuoi amici mi odiano e chi è quella segretaria e chi è quel tuo personal trainer eccetera eccetera. Questo è il campo delle possibilità da lasciare ai registi e agli scrittori italiani, ed è soprattutto il campo dell’intimità di ognuno, che non possiamo giudicare da fuori. Anche perché poi arriva sempre quello che dice che nonostante tutto, nonostante queste tristezze di ogni giorno, capita quella volta che ci abbracciamo e allora sento quanto sono fortunato barra fortunata. Certo, anche uno che si martella la testa tutto il giorno e a un certo punto si ferma perché ha il braccio stanco si sente all’improvviso meglio.
La nostra tesi allora, senza scomodare esempi pratici e sparare sulla crocerossa, può essere formulata a partire da una domanda teorica basilare: quante volte ci innamoriamo nella vita?
Io dico almeno una volta alla settimana. Ma per chi lavora a casa, o per chi è più impegnato di me, magari una volta al mese. Allora è bene fare una ricerca sociologica, su un campione di diecimila o ventimila persone, e sapere da loro di quante persone si innamorano per strada, al bar, sul lavoro. Poi c’è quello che dirà ma io non mi innamoro proprio di nessuno, io sono felicemente fidanzato da due giorni e non guardo le altre. Certo, ho contemplato anche questo caso, che avviene quando la persona spegne i suoi occhi, le antenne che spuntano dalla testa vengono riabbassate e non vengono più captati gli stimoli dall’esterno. Noi tutti siamo animali narrativi. Questo vuol dire che chi più chi meno crea delle piccole storie mentali basandosi sul “come sarebbe se…”, “ma se mi comportassi così…”, “cosa avverrebbe nel caso in cui…”.
C’è chi le fa elaborate, con tanto di citazioni letterarie (“ma come può leggere, se l’aria è già sì…”), chi più platoniche (ah, se solo potessi condividere la mia narratività mentale con la sua, in questo connubio di narratività inespresse), chi a luci rosse (censurato).
Se ognuno di noi mettesse in pratica per un attimo tutto quello che gli passa per la testa il mondo sarebbe finito. Nessuno si sposerebbe, i figli non avrebbero genitori e non crescerebbero nella culla perbene e perversa della famiglia. Il mito del ti amo per sempre va alimentato con la fatica di tutti i giorni, con qualche bugia, con qualche film di kevin costner ma più in generale con mediaset.
La pratica di dosare le nostre narratività nel mondo reale è quindi una pratica per salvarci dal caos.
Tutti quelli che non sanno amare in questi modi, che non riescono a pensare che un giorno dovranno lasciare definitivamente le loro narratività a favore di un’unica sola persona, coloro che non si calano nell’illusione che c’è una persona al mondo che se venisse sezionata combacerebbe con la nostra metà. Tutta questa gente fa parte di un limbo pericoloso.
Considerazioni così potrebbero far pensare ai più nichilisti che è l’amore e non il matrimonio il vero problema, perché è l’amore che non conosciamo, il termine sta lì e lo usiamo per tante cose senza sapere mai di cosa stiamo parlando. Sappiamo solo che ci serve a definire qualcosa di nebuloso che unisce istinti bassi a sovrastrutture etiche e sociali. Paure a desideri, palpitazioni di cuore ad altre palpitazioni, necessità individuali a solidarietà tra esseri umani. Chi dice che l’amore salverà il mondo non sa neppure di cosa sta parlando. L’amore, se noi lo conoscessimo veramente, ci ricorderebbe una volta in più quanto siamo pericolosi sulla terra.
Con queste premesse per niente ottimiste l’istituzione del matrimonio in realtà si salva, perché se interpretato in termini seri e meno velleitari, in termini contrattuali voglio dire, risulta un buon compromesso grazie al quale dare un ordine e un significato alle nostre picciole vite.

E ora una canzone allegra sull’amore nella sua prima fase (da cantare in piedi e pensando ad una coppia qualsiasi dopo quindici anni di matrimonio):

Aspetti signorina le dirò con due parole
chi sono, chi sono e che faccio,
come vivo, vuol?
Chi son, chi son? Son un poeta
che cosa faccio? Scrivo,
e come vivo vivo.
In povertà mia lieta
da gran signore
riverimmi d’amore
per sogni e per vivere
e per castelli in aria,
l’anima mia d’aria…
Dolor dal mio forziere
rubandoti i gioielli
due ladri gli occhi belli
v’entrar con voi pur ora
e i miei sogni usati
e i miei sogni miei
e tosto si dilegua
ma il furto non m’accora
poiché, poiché v’ha preso stanza
la speranza.
Or che mi conoscete
parlate voi
de’ parlate, chi siete?
Vi piaccia dir.

Su Nazione Indiana è stato pubblicato anche il trittico di salmone domestico.

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32 Commenti

  1. “il capitalismo, a lunghe distanze, perde sempre; le velleità giovanili, a lunga distanza, si sopiscono”.

    Avrei detto il contrario, a dire il vero, a giudicare dacome si son messe le cose in Russia, China e Sud America :-) ma forse le lunghe distenza sono più delle mia impazienza.

    Salmoni molto molto piacevoli da leggere.

    ciao!

  2. “perché è l’amore che non conosciamo, il termine sta lì e lo usiamo per tante cose senza sapere mai di cosa stiamo parlando. Sappiamo solo che ci serve a definire qualcosa di nebuloso che unisce istinti bassi a sovrastrutture etiche e sociali. Paure a desideri, palpitazioni di cuore ad altre palpitazioni, necessità individuali a solidarietà tra esseri umani. Chi dice che l’amore salverà il mondo non sa neppure di cosa sta parlando. L’amore, se noi lo conoscessimo veramente, ci ricorderebbe una volta in più quanto siamo pericolosi sulla terra.”

    Detto molto bene.

  3. Tu mi provochi su un argomento decisivo, Emmma-Nuela.
    E dunque rilancio alla cazzo-mannaggia: se ci innamoriamo è per via dell’esistenza della parola «amore», con quei concetti storti che si porta appresso, come spontaneità e autenticità e sincerità e cetera.
    Se usassimo la pur imprecisa parola arrapamento, potremmo dire forse con più esattezza invece che «si sono innamorati e si sono sposati», «si sono arrapati e si sono sposati».
    E se il prete recitasse una formula diversa tipo «Vuoi tu trombare con questa donna/uomo, leccarla tutta/ succhiargli l’uccello, finché noia non vi separi», sarebbe meglio?
    Non credo, resterebbe sempre un deficit di verità.
    Nei sette milioni di anni circa che ci separano da una scimmia di qualche tipo e nei milioni e milioni di anni che separano questa scimmia, ipotetica ma certa, dai suoi antenati pesci, e questi dai molluschi, eccetera, la questione amore si è fatta complessa.
    Le amebe vanno in calore per se stesse, scopano interiormente, si scindono e ciascuno per la sua strada: all’Inizio era così ed era meglio di adesso.

  4. annosissima questione che si può liquidare con canzonette e asserzioni rapide??
    amore formula magica da far deflagrare come una bomba:
    che ci si occupi dei frammenti esplosi

  5. su questo argomento, uno dei discorsi che più mi è rimasto impresso è il brindisi al matrimonio di un famoso film:

    “Io non credo nel matrimonio. Voglio essere ben chiara su questo. Lo considero al suo peggio un gesto politico ostile.
    Un metodo usato dagli uomini dalla mente ristretta per tenere le donne in casa e fuori dai piedi;
    un gesto ammantato di una parvenza di tradizione e pervaso del conservatorismo più ripugnante.
    Al suo meglio, è una beata illusione: sono 2 persone che si amano sul serio e che non hanno idea di quanto stiano per rendersi infelici a vicenda,
    ma…ma…quando 2 persone sanno questo e decidono, con gli occhi bene aperti, di guardarsi in faccia e di sposarsi lo stesso, allora non mi sembra né un gesto conservatore, né un’illusione.
    Lo trovo anzi radicale, coraggioso e molto, molto romantico. A Diego e Frida”

  6. @tashtego. Sei sposato?
    Un appunto. Ciò che contraddistingue l’amore matrimoniale è ágape. Ágape ≠ Eros, i.e. “si sono innamorati e si sono sposati” ≠ “si sono arrapati e si sono sposati”. Se gli Esseri dell’inizio fossero stati forniti della ragione per cui tu puoi dire *all’Inizio era così ed era meglio di adesso*, probabilmente all’Inizio avrebbero detto “alla fine sarà così e sarà meglio di adesso”.

  7. Come farsi una cultura mostruosa

    Agape:

    1) genere di piante monocotiledoni, appartenenti alla famiglia delle Agapacee, originarie delle zone tropicali e subtropicali. Produce un solo fiore dopo circa 50 anni, dopodiché muore. («Guarda che bell’Agape che abbiamo in giardino!»)

    2) forma di dermatite cronica, che si presenta con papule e placche eritematose ricoperte di scaglie marroni. («Sto curando una bruttissima agape con il cortisone»).

    3) fratello del dio della mitologia nordica Wotan. Fuggendo dal Walhalla, dimenticò la tavoletta con le rune di cui si impossessò Wotan. In questa venivano descritti in caratteri runici le prodezze sessuali delle Walkirie, e in particolare della relazione a tre fra Brunnhilde, Fricka, la moglie di Wotan, e lo stesso Agape. («Benedici, sorridendo all’amore,
    all’amplesso di Brunnhilde, Fricka e Agape!»)

    Indicare la risposta giusta.

  8. @aditus
    non ho capito niente del tuo appunto.
    forse vuoi dire che amore e arrapamento sono una cosa sola?
    se è così, perché usare il simbolo”#”?
    e, se è così, resterebbe comunque un deficit di verità.
    allora ha ragione tedoldi: ci si occupi dei frammenti.

  9. @tashtego. Volevo dire che fai di tutta l’erba un fascio. E che parli per conto delle amebe che, poverine anche loro, non hanno mai potuto dirti le complicanze psicofisiche delle loro solitudini sessuali.
    Ma la domanda fondamentale era: Tashtego, sei spossato?

  10. L’arrapamento dura poco se viene soddisfatto e la donna si sente sicura di arrivare senza problemi alla fonte quel seme che ha deciso che le serve per avere prole sana, dura di più se la donna è incerta di poter attingere alla fonte a suo piacimento.
    Il seme, per farsi bello anche quando è un seme debole, si traveste da potente seme non solo fisico, come tutti sappiamo, ma sociale, psicologico, estetico, economico eccetera
    Poi alla donna serve anche un maschio che l’aiuti a crescere i frutti di quel seme.
    Difficilmente le due tipologie maschili (donatore di seme/donatore di sicurezza) coincidono, perciò le donne sono spesso insoddisfatte e sentono che manca loro l’amore (detto anche tranquillo e appagante reciproco accudimento) se stanno con il tipico generoso democratico dispensatore di seme, e il sesso, se stanno con il tipico pater familias.
    Le due tipologie maschili possono anche incrociarsi, ovviamente.
    Poi c’è la cultura, cioè noi, che per me è più divertente in quanto più varia sia nella tipologia che nelle combinazioni e soprattutto non immediatamente riducibile allo schema e come si sa gli schemi semplici sono chiari ma noiosi.
    Infatti, da questo schema manca l’omosessualità.
    Da cosa è mosso lì l’amore, visto che la continuazione della specie non c’entra? Come nascono le pulsioni, i bisogni, le fantasie, i richiami, gli innamoramenti e gli amori?
    E dove lo mettiamo l’amore amicale? Che pure è capace di sacrificio? A cosa corrisponde?
    Ne sapremo di più nelle prossime puntate generazionali.

  11. In un testo per me fondamentale, “La regina rossa” di Matt Bradley, Edizioni Instar, sono analizzate le due figure del maschio con cui si mette su casa e si alleva la prole e del maschio seduttore col quale fare sesso e basta.
    Pare che in tutte le specie animali di costumi sessuali monogamici, tra cui ci sono certi rondoni e mi pare gli albatri, la percentuale di figli apocrifi, cioè non generati col seme del genitore ufficiale, sia quasi di tre su dieci.
    Insomma un 30% di prole è illegittima.
    Per la specie umana (sono dati statistici che provengono dai prelievi di DNA) è lo stesso.
    Il maschio allevatore non sempre coincide col maschio inseminatore, ma è il maschio allevatore quello che tiene in piedi la baracca, che garantisce la sicurezza della femmina di cui parla Alcor.
    Ovvio che la questione amore non può esaurirsi con sesso e procreazione.
    Per questo parlo di un deficit di verità.
    Tuttavia non si può negare che amore ha un aspetto naturale grosso almeno come l’aspetto culturale.
    Amore è idea coltivata socialmente, ha una sua consistente modellistica, cui ciascuno di noi fa riferimento per orientarsi quando è il momento, sempre rischioso, di fare un investimento affettivo.
    In fondo anche il pezzo di Lumicino, qui sopra, si impernia sulla differenza tra idea di amore e prassi amorosa, nell’accezione matrimoniale.

    @ aditus
    Sono appena tornato dalle vacanze, non mi sento affatto spossato.
    Se fai fatica a capire potrebbe dipendere da te.
    Ci hai pensato?

  12. Risolvere l’amore nella somma di arrapamento + sedimentazione culturale + un deficit di verità dalle dimensioni oscure ed elastiche (come se si volesse dire che per il resto la verità è conquista) mi sembra per lo meno riduttivo. Certo, questi sono discorsi che, se detti con quel certo piglio risoluto, quella volgarità raffinata, e quel virile nerbo sedu o sedi -cente, fanno un altrettanto certo colpo. Ma ci dicono poi qualcosa di più sull’amore?

  13. Lumicino si avvicina all’argomento col distacco della letteratura e con l’arma magica dell’ironia. Qui invece si vuole farne teoria. E così che nasce il comico.

  14. “Questo è il campo delle possibilità da lasciare ai registi e agli scrittori italiani”: touché!

  15. Ai cari e ai carissimi:

    “Che cos’è l’amore?” chiede Falstaff. “Può forse riattaccare una gamba? No. Può forse riattaccare un braccio? No. Ergo è una fantasia, una parola, uno stemma dipinto.” No, quest’ergo è sbagliato; giacché, sebbene l’amore non possa fare nessuna di queste cose quando lo conquistiamo, può tuttavia, quando lo perdiamo, fare l’opposto; può amputare una gamba o un braccio, anzi può maltrattare un uomo peggio di quanto non facciano in Russia, e spedirlo in Siberia. Se può far questo, non è certo una fantasia. Perché avrai un bell’andare sul campo di battaglia, a considerare i caduti; un bel visitare l’ospedale degli invalidi a studiare i feriti: non troverai mai un morto, o un mutilato, maltrattati come chi è stato spacciato dall’amore.

  16. Francamente preferirei le pene d’amore, che poi passano, al ritrovarmi con una gamba in meno.
    Amore è solo un nome che si dà a una condizione emotiva, se ne potrebbero usare altri, come fa Falstaff, che vince ai punti.
    Mi spiace Aditus.

  17. Sempre dal Colpevole? Non colpevole? di Kierkegaard un’altra curiosa storia d’amore. Quella di Charlotte Stieglitz, moglie del poeta romantico tedesco Heinrich Stieglitz, a cui lascia il 29 dicembre del 1834 questa lettera:

    “Non saresti potuto essere più infelice. Mio amato!
    Ma nondimeno più felice di fronte alla vera infelicità!
    L’essere infelice spesso comporta una meravigliosa
    benedizione che sicuramente ti arriverà! Entrambi soffriamo
    della stessa afflizione, sai come soffro in me;
    non incolparti, tu mi hai amato moltissimo! Starai
    molto meglio, molto meglio ora, perchè? Lo sento,
    senza avere le parole per esprimerlo. Ci incontreremo
    di nuovo un giorno, più liberi, meno inquieti! Ma tu
    ancora godrai qui della vita, e dovrai viaggiare e
    vedere il mondo. Ricorda me a tutti quelli che ho
    amato e a quelli che mi hanno amato!
    Per tutta l’eternità, Tua Charlotte”.

    Dopodiché, la sera stessa, manda Heinrich a un concerto di Beethoven, riordina un poco la casa e si infila un pugnale nel petto, nella speranza che il trauma desse nuovo slancio all’ispirazione del marito.

  18. Lumicino dice del matrimonio, mi pare.
    Più che dell’amore.
    La sua tesi, che per esempio è sostenuta con forza dalla mia compagna, mi sembra sia: meglio il matrimonio combinato che il cosiddetto matrimonio d’amore.
    Non so.
    Un matrimonio riuscito può anche durare pochi mesi, purché siano belli et coniugalmente felici.
    Il matrimonio non fallisce quando non dura.
    Fallisce quando dura ma fa soffrire.

    Dopo questo tronfio enunciato, aggiungo una cosetta.
    Darwiniana, certo, ma in soldoni.
    L’emozione che chiamiamo amorosa probabilmente si è evoluta con la necessità di allevare una prole, quella umana, così tragicamente e lungamente inabile da aver bisogno di un lunga e intesa coesione parentale.
    Naturalmente si tratta di un tratto imperfetto, di una funzione imprecisa, intermittente, biologica, quindi scrausetta per definizione.
    Ovviamente tra queste «imprecisioni» c’è l’amore omosessuale, che non inficia la tesi, ma ne costituisce una consistente eccezione.
    Questa secondo me è «La verità, vi prego, sull’amore».
    Le imperfezioni dell’amore di coppia sono in parte compensate dai legami parentali estesi, ma in alcune società l’allevamento dei figli è sottratto completamente alla coppia e affidato ad altri soggetti.
    Lèvy Strauss riferisce di una qualche società, mi pare di area himalaiana, che affida tutte le funzioni paterne esclusivamente al fratello della madre.
    Tutti scopano con tutti (come normalmente accade in tutti i contesti), ma i figli miei sono quelli di mia sorella, chiunque sia il padre biologico.
    Mi sembra una soluzione geniale.
    Ma qui abbiamo il family day, il papa, la ditta veltroni/binetti, eccetera.

  19. Perché mettere sul titolo la citazione dell’indagine pasoliniana? che c’entra con tutto il testo? nei comizi di ppp si cerca di cogliere il passaggio di una/più generazioni, attraverso la messa in parallelo di opinioni sull’aborto, il divorzio etc di gente comune, e no, di tutte le età. ma che ha che fare tutto questo col pezzo non è chiaro. mah!

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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