Urbanità 1

di Gianni Biondillo

[Da qualche tempo a questa parte, da più parti, mi vengono richieste opinioni su temi urbani e territoriali. Mi accorgo, di volta in volta, di annotarmele come su un ipotetico taccuino, quasi fossero gli appunti di un discorso del quale, in realtà, non ho ancora chiara la forma. Li deposito qui su NI più come stimoli di una discussione che come testi definitivi. G.B.]

Lo slogan in effetti suona bene: “prima le case agli italiani”, pare persino razionale. Ovviamente non lo è. Anche perché se davvero escludessimo per decreto le domande degli extracomunitari dalle liste per le case popolari, non risolveremmo un bel niente. Lo slogan successivo diverrebbe: “ prima le case ai residenti in Lombardia”, per poi diventare “le case ai residenti a Milano”, “nel mio quartiere”, “a quelli con tutti e quattro i nonni nati fra la Bovisa e la Comasina”.

Il vero motto dovrebbe essere, più logicamente: “una casa per tutti”. Perché la casa è un diritto inalienabile, da garantire a chiunque. Ma da oltre venti anni a questa parte di edilizia pubblica – che sia a Milano o a Roma, indifferentemente dalle giunte di destra o di sinistra – non s’è ne è costruita affatto. Colpevolmente.

Si è lasciato il mercato a se stesso, con la vana speranza della sua autoregolamentazione. Ma il mercato non è morale, mettiamocelo bene in testa, e non ne ha il dovere. La politica dovrebbe esserlo. Ma non lo è di certo questa politica dello struzzo, che si vergogna addirittura di parlare di case popolari, fa così poco chic, e oggi bercia di “social housing”, ché in inglese è molto più trendy. Nel frattempo neppure un decimo delle richieste di abitazioni in affitto fatte ai comuni trova una risposta, scatenando una vera e propria guerra dei poveri.

Io che ci sono cresciuto in una casa popolare (e me ne vanto) trovo immorale che ci si ritrovi nel ventunesimo secolo con le baraccopoli ai margini delle nostre città, identiche alle favelas sudamericane. C’è da rimpiangere le vituperate “case Fanfani”, che diedero un tetto alle decine di migliaia di ex contadini inurbati che, col sudore della fronte, misero le loro braccia a disposizione del boom economico.

Siamo un popolo dalla memoria corta. Ma l’Expo 2015, non dimentichiamocelo, lo costruiranno i muratori magrebini, gli operai rumeni. Se devono costruirlo, il nostro futuro, hanno anche il diritto di abitarlo. Insieme a noi.

[pubblicato su Costruire n. 302, luglio 2008]

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8 Commenti

  1. ecco sì, hai detto bene: parli come se le case popolari venissero assegnate unicamente a quella categoria di popolazione e cioè gli extracomunitari. che poi è brutto anche parlare di “categoria di popolazione” ma se si vuole dare un senso al ragionamento è così che bisogna parlare.
    sedici anni fa ho cambiato casa andando ad abitare in una zona residenziale molto molto borghese (cioè all’epoca lo era verosimilmente, adesso direi che è più che altro popolare o giù di lì): per un compromesso tra comune e aler, ai margini di questo posto venne costruita una palazzina cosiddetta “ex iacp” abitata da: qualche pensionato, un camionista e famiglia, la parrucchiera separata dal marito con figlia, signora separata che faceva l’ausiliaria all’ospedale dotata di doppia prole, famiglia di ubriaconi. Questa palazzina è proprio di fronte a casa mia. Ho annotato in maniera abbastanza sistematica, e quando ovviamente ero a casa, gli “Incidenti” accaduti all’interno di questa palazzina: la cosa più drammatica fu l’impiccagione di un tizio scoperta dall’amichetta di lui accompagnata dalla figlia di lei.
    Generalmente in questi luoghi vivono persone in grande difficoltà o ristrettezze ma anche persone che lavorano e che si accontentano come avrebbero fatto – e come in realtà hanno fatto – i nostri migranti.

    A distanza di sedici anni cos’è cambiato in questa palazzina?
    Le famiglie che appena se lo sono potuto permettere, hanno cambiato casa.
    Sono rimasti gli anziani, sempre più anziani, e gli extracomunitari. Anzi, una di queste famiglie se n’è andata facendo richiesta all’aler di sistemazione più grande perché sono arrivati tanti figli e le stanze non sono più sufficienti.
    Ripensando davvero a questo cambiamento in un lasso di tempo realativamente breve (cosa sono sedici anni per la vita di un piccolo paese della bassa padana?) mi viene da pensare che è davvero piuttosto vergognoso che nessun governo si sia occupato di questo genere di problema.
    Sono d’accordo su questa critica.
    Case, strade, autostrade ma anche insalata e pomodori e meloni.
    Cosa sarebbero queste cose senza la mano di un extracomunitario?
    Non è populismo e non sono, questi, luoghi comuni.
    Sono le cose che si vedono ogni giorno a guardarsi intorno un attimo.
    ciao.

  2. case per tutti, certo, però è difficile per gli extracomunitari convivere con gli italiani.
    Sempre più casi di cronaca mettono in luce la nostra natura spesso violenta e intollerante.
    Due gay massacrati a Roma e passanti accoltellati a caso a Milano, notizie di oggi.
    Bisognerà che gli extracomunitari organizzino delle ronde per difendersi

  3. Un inciso sul tema.
    Negli italiani esiste un “patologico” bisogno della casa di proprietà. Il mercato si è fatto portatore di questa istanza. L’economia stessa, in larga misura si fonda sul mattone “di proprietà”: tutti vogliono essere padroni del luogo in cui abitano, quando, perchè no trarre un reddito sicuro dalla seconda, terza, quarta casa. Tutto questo, come hai ben sottolineato, a scapito delle fasce più deboli e indifese.
    Lo stato non si è scordato della questione, anzi, noto una scelta pericolosa e precisa: la casa vista non più come un “diritto” ma un “investimento”: libero mattone in libero mercato.
    Forme di interventi fondati sul principio di solidarietà sono una “distorsione del mercato” e quindi vanno messi al bando (l’Italia non ha pressochè politiche di edilizia sociale).
    Alla fine l’anello debole sono gli extracomunitari, le giovani coppie, i lavoratori precari, gli studenti fuorisede, i pensionati: il vero motore dell’economia del mattone sono loro. Chi non investe o non ha potere di investire non solo subisce il mercato ma, allo stesso tempo, lo tiene in vita. Per uno stato governato da un governo “liberale” che senso ha fornire un aiuto alle uniche categorie sociali in grado di pagare (faticosamente) un affitto a prezzo di mercato? Se venissero meno le categorie deboli la pacchia finirebbe per molti, e forse tanti di loro sarebbero costretti a cominciare a pensare a trovarsi un lavoro (sacrilegio) con cui campare…

  4. il Piano Fanfani non è vituperato affatto, che io sappia.
    era un’altra epoca, esistevano le classi sociali, e si riconoscevano come tali.
    la politica della casa non è mai stata facile, ma quasi tutti i governi del novecento ne hanno avuta una, anche negli anni Venti e Trenta, col fascimo, eccetera.
    poi questo tema è semplicemente scomparso dall’universo del politico, mentre i prezzi aumentavano a livelli ignobili e nessuno faceva nulla.
    oggi ho amici che vendono qui per comprare a new york, a berlino, a londra.
    incredibile che un paese in de-crescita come il nostro abbia prezzi così alti per la casa.
    oggi se guadagni meno di 1.200 euro, sei virtualmente (spesso praticamente) un sensa casa.
    il consenso maggioritario oggi come oggi lo si ottiene da quella pappa di egoismo, ignoranza, conformismo, razzismo, para fascimo, che costituisce il Grande Ripieno.
    loro la casa la vogliono solo in proprietà, ce l’hanno, o se la stanno pagando, dunque il tema non interessa, dunque a noi checcefrega? pensa il politico (metti un Veltroni).

  5. Tash, molti di quei proprietari di case che tu citi (e molti degli architetti che gliele progettano) “vituperano” le “case Fanfani”, fidati.
    Sul resto concordo con te.

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gianni biondillo
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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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