Maschio e femmina dio li creò!? Il binarismo sessuale visto dai suoi zoccoli (1)

binarismo sessuale

Pubblico un estratto della lezione su transgenderismo e intersessualità che Lorenzo Bernini ha tenuto il 9 settembre 2008 presso il corso di dottorato di ricerca in Studi Culturali dell’Università degli Studi di Palermo, corredato da fotografie scattate da Giovanni Hänninen agli ultimi gaylesbiantransgender pride di Milano (7 giugno 2008) e Bologna (28 giugno 2008). Il 27 giugno, in occasione del pride bolognese, Bernini era intervenuto sugli stessi temi all’iniziativa “intersex pride” organizzata dal collettivo “antagonismogay” JR.

di Lorenzo Bernini

1. Perché questi punti, perché questi zoccoli: Il titolo che ho scelto per questa lezione è una citazione del versetto 1, 27 della Genesi – “Maschio e femmina Dio li creò” – a cui ho aggiunto un punto esclamativo e uno interrogativo. E per iniziare vorrei spiegarvi il senso di questa aggiunta poco elegante e piuttosto “pop”. Ho aggiunto il punto esclamativo per esprimere un tono imperativo: infatti, dal momento che tutto quello che Dio fa è cosa buona e giusta, le descrizioni degli atti divini contenute nella Bibbia devono essere lette come prescrizioni. In particolare, il versetto 1, 27 della Genesi deve essere letto come una frase che ci ordina: “Tu devi essere maschio oppure femmina – punto esclamativo! – perché così vuole Dio”. Il punto interrogativo simboleggia, invece, la collocazione che ho scelto di assumere di fronte a questa ingiunzione divina. Per illustrarvi questa collocazione, mi è però necessaria una breve digressione.
In un breve saggio del 1950, Hannah Arendt riflette sul proverbio secondo cui “non si può fare una frittata senza rompere le uova”, e per farlo assume il punto di vista delle uova. Il testo si intitola, infatti, The Eggs Speak Up: Le uova prendono la parola. La filosofa ebrea sostiene che al proverbio secondo cui “non si può fare una frittata senza rompere le uova”, le uova preferirebbero il principio enunciato da Clemenceau in occasione dell’affaire Dreyfus. Nel 1894, quando Alfred Dreyfus, capitano dello stato maggiore francese di origini ebraiche, fu ingiustamente accusato di alto tradimento, Georges Benjamin Clemenceau (che sarebbe poi diventato presidente del consiglio francese) ne prese le difese sostenendo che “l’affare di uno è affare di tutti”. Con queste parole, Clemenceau intendeva affermare che nessun cittadino francese poteva sentirsi garantito nelle sue libertà di fronte a uno stato che discriminava gli ebrei, perché la libertà delle minoranze è garanzia anche della libertà della maggioranza. Parole che non dovremmo dimenticare di fronte alle attuali politiche sull’immigrazione del governo italiano, ma che ci saranno utili anche per comprendere l’attuale biopolitica dei sessi.
Con il punto interrogativo ho voluto segnalare che la mia collocazione, nell’analisi che sto per fare, non sarà quella di un soggetto che si pretenda universale e neutrale, ma sarà consapevolmente particolare e parziale. L’oggetto del mio intervento sarà il binarismo sessuale, cioè quel dispositivo biopolitico che impone alla nostra sessualità una divisione netta a due termini: maschio-femmina, uomo-donna. Seguendo la lezione di Arendt, nelle mie riflessioni cercherò di dare la parola a quelle uova che devono essere rotte per fare quelle frittate che sono le identità tradizionali degli uomini e delle donne – ai soggetti intersessuali e transgender che non si conformano a queste identità, che di fronte alle alternative binarie del sesso e del genere non sanno che cosa scegliere e restano perplessi. Per usare un’altra metafora che chiarirò in seguito, potrei dire che vorrei dare la parola a quegli zoccoli che restano piantati, e stritolati, negli ingranaggi della fabbrica della sessualità. Questo spiega il sottotitolo che ho scelto per questo seminario: “il binarismo sessuale secondo i suoi zoccoli”.

2. Premesse di metodo. Ma prima di parlarvi dei soggetti intersessuali e transgender, vorrei soffermarmi sui tre criteri diagnostici, sulle tre coppie di concetti opposti – di concetti binari – con cui oggi psichiatri, psicologi e sessuologi classificano le identità sessuali delle persone. E ancor prima vorrei fare qualche precisazione sul mio metodo: nella mia analisi seguirò l’impostazione inaugurata da Michel Foucault nel primo volume della sua Storia della sessualità, intitolato La volontà di sapere (1976). In questo libro, il filosofo francese sostiene, contro le teorie della “rivoluzione sessuale” che erano molto in voga nei movimenti della contestazione degli anni settanta, che la relazione che lega potere e politica non è principalmente la repressione: a suo avviso il potere, piuttosto che reprimere la sessualità, la produce. Agendo attraverso la cultura, la socializzazione, l’educazione, il potere produce dialetticamente tanto la norma sessuale, quanto le identità perverse che le sono correlate. La sessualità per Foucault, lungi dall’essere un nucleo di desideri originario e naturale come volevano le teorie della “rivoluzione sessuale”, è un dispositivo della biopolitica – è uno dei meccanismi attraverso cui il potere esercita la sua presa sulla vita biologica della specie umana plasmandola in una specifica forma di vita. Nell’analisi di Foucault, che poi è stata ripresa dal pensiero femminista e dalla rielaborazione che di quest’ultimo ha operato Judith Butler, il dispositivo di sessualità è un meccanismo culturale complesso attraverso cui convenzioni linguistiche, religiose, morali, scientifiche, giuridiche si applicano all’individuo condizionando i suoi rapporti con gli altri e con se stesso. Gilles Deleuze ha sostenuto che uno dei grandi insegnamenti di Foucault consiste proprio nell’aver messo in evidenza che “il dentro” altro non è se non “un fuori ripiegato” – che il modo in cui il soggetto pensa la propria interiorità deriva da significati culturali che provengono dall’esterno. Ognuno impara infatti a nominare se stesso, a interpretare i propri desideri, a relazionarsi alle altre persone attraverso l’educazione, la cultura, la morale: attraverso un mondo esterno che lo determina, e che gli offre i sostantivi, gli aggettivi, tutti gli strumenti linguistici e teorici con cui gli è possibile pensarsi come dotato di un’identità.

3. La recente storia degli invertiti. Affermare che la sessualità non è legata alle profondità della natura, significa aprire la possibilità di analizzare la sessualità nella superficialità dei suoi eventi, tratteggiandone una storia. Secondo le ricostruzioni di Foucault, ad esempio, l’omosessualità non è esistita da sempre: l’omosessuale è, piuttosto, un personaggio che appare soltanto nell’Ottocento. Presso gli antichi, nel Medioevo e ancora all’inizio dell’età moderna, la sodomia designava infatti una tipologia di atti vietati, ma non un’identità: solo a partire da uno studio del 1870 dello psichiatra Karl Friedrich Westphal (Die Konträre Sexualempfindung) l’omosessuale maschio è diventato invece un «tipo umano». Da quel momento in avanti, l’omosessualità ha cessato di essere un problema di atti ai quali il soggetto può decidere se abbandonarsi o no, ed è diventata una questione di desideri, di fantasie, di personalità che richiede tutto un lavoro di comprensione e di decifrazione che il soggetto può condurre nel confessionale con il prete, sul lettino con l’analista, o attraverso un silenzioso dialogo con se stesso. Questo lavoro coinvolge non solo gli omosessuali, ma anche gli eterosessuali: anch’essi sono costretti a confessare i loro desideri omosessuali, a riconoscerli per allontanarli da sé e per accedere così all’identità eterosessuale.
Ne La volontà di sapere, Foucault rivolge però la sua attenzione al solo concetto di omosessualità, trascurando di ricostruire la genealogia del concetto di transessualità. In realtà la categoria di könträre Sexualempfindung (sensibilità sessuale invertita), coniata da Westphal e a lungo utilizzata nella letteratura medica, non faceva differenze tra omosessualità e transessualità, e le comprendeva entrambe in quanto inversioni tra gli elementi maschili e femminili della psiche. Soltanto nel 1953, nel saggio Transvestitism and Transexualism di Harry Benjamin, l’identità dell’invertito si è “sdoppiata” nelle due identità dell’omosessuale e del transessuale come le conosciamo oggi. È stata così concettualizzata la differenza tra sesso, genere e orientamento sessuale con cui oggi medicina e psicologia pensano non solo l’omosessualità e la transessualità, ma anche l’eterosessualità.

4. Criteri diagnostici della sessualità contemporanea. Come sapete, per “sesso” si intende la dotazione genotipica e fenotipica di un individuo: essere maschi significa avere nella propria dotazione genetica un cromosoma X e uno Y, avere pene e testicoli, e poi avere spalle larghe, barba baffi e un po’ di peli, il pomo d’adamo e la voce profonda; essere femmine significa invece avere due cromosomi X, avere vagina ovaie e seni, avere fianchi larghi e meno peli, e una voce sottile e possibilmente aggraziata. Per “genere” si intende invece l’adesione al modello culturale di mascolinità e femminilità che agisce nella propria società di appartenenza. Non basta essere maschi per essere uomini, né essere femmine per essere donne. Ad esempio un maschio che indossi abitualmente minigonna e tacchi alti difficilmente dirà di sentirsi uomo nella nostra società. Il sesso quindi è una dimensione fisica, il genere una dimensione psicologica e assieme culturale. L'”orientamento sessuale” designa invece la direzione prevalente dei propri desideri: è eterosessuale chi desidera persone di sesso opposto al proprio, omosessuale chi desidera persone del proprio stesso sesso.
Nelle società del nostro mondo globalizzato, attraverso la psichiatria, la psicologia, la medicina, ma anche e soprattutto attraverso la cultura e – come vedremo – attraverso il diritto, sull’identità sessuale agisce quindi una sorta di «operatore logico», che possiamo chiamare binarismo sessuale. Questo operatore logico impone alle identità sessuali alternative a due termini che riguardano il sesso, il genere e l’orientamento sessuale. Combinando i concetti del binarismo sessuale si possono comporre differenti identità: uomini etereossesuali, gay, bisessuali; donne eterosessuali, lesbiche, bisessuali; donne transessuali o transessuali MtF (male to female: persone nate maschi che vogliono diventare donne) che possono a loro volta essere eterosessuali, lesbiche o bisessuali; uomini transessuali, o transessuali FtM (female to male: persone nate femmine che vogliono diventare uomini) che possono a loro volta essere eterosessuali, gay o bisessuali. Ci sono poi le persone transgender, di cui vi parlerò tra poco, che possono desiderare uomini, donne, o altre persone transgender. Se consideriamo tutte queste soggettività nella prospettiva teorica di Foucault, se li consideriamo come prodotti di quel dispositivo di sapere-potere che è la sessualità, appare evidente come i concetti di sesso, genere e orientamento sessuale, messi a punto negli anni cinquanta del secolo scorso, definiscano ancora oggi tanto la norma sessuale quanto la “perversione”. Non si tratta, infatti, di categorie puramente descrittive, ma di concetti che servono per istituire una gerarchia: per classificare gli esseri umani attribuendo solo ad alcuni di essi, considerati “normali”, e non ad altri, considerati “anormali”, lo statuto di un’umanità “piena” – di un’umanità pienamente meritevole di godere dei diritti umani, pienamente tutelata giuridicamente.

5. Una nuova Bibbia che fabbrica zoccoli. Nel DSM (Diagnostical and Statistical Manual of Mental Disorders), l’elenco ufficiale dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association che dagli anni cinquanta del secolo scorso è considerato una sorta di Bibbia della psichiatria, l’identità sessuale viene definita appunto attraverso quei tre “criteri diagnostici” che sono il sesso, il genere e l’orientamento sessuale. Ma in questa definizione, la Bibbia della psichiatria contemporanea ha ereditato il punto esclamativo della Bibbia ebraico-cristiana. Infatti, sulle pagine delle quattro edizioni del DSM, l’eterosessualità non è mai comparsa come malattia mentale, mentre vi sono comparse altre identità prodotte dal dispositivo binario della sessualità. L’omosessualità è stata definitivamente depennata dal DSM solo il 17 maggio 1990 – e questa è la ragione per cui la data del 17 maggio è stata scelta come “giornata mondiale contro l’omofobia”. Mentre ancora oggi transessualità e transgenderismo sono considerate affezioni psichiatriche e catalogate come GID: Gender Identity Disorder, disturbo dell’identità di genere – definizione rispondente all’imperativo che impone coerenza tra sesso, genere e orientamento sessuale. Quindi: se nasci maschio ma ti senti donna, o se nasci femmina e ti senti uomo, per il DSM sei affetto da un disturbo psichiatrico. L’intersessualismo invece non compare nel DSM – non perché l’associazione psichiatrica americana non lo consideri un malattia, ma perché non lo considera un malattia mentale. Come dirò più avanti, dalla medicina contemporanea l’intersessualismo è infatti considerato una malattia fisica, e quindi una malattia da correggere con il bisturi prima che con gli psicofarmaci.
Nella prospettiva costruttivista di Foucault, quindi, anche transessualità, transgenderismo e intersessualismo sono prodotti del dispositivo di sessualità – ma prodotti difettosi, scarti, malfunzionamenti. Io vorrei invitarvi, appunto, a porvi nella prospettiva di questi malfunzionamenti, a cercare di immaginare la loro perplessità, il punto interrogativo che è la loro reazione di fronte agli imperativi del binarismo sessuale. Vorrei invitarvi a seguire il principio di Clemenceau e di Arendt (“l’affare di chi viene patologizzato dall’attuale dispositivo biomedico di sessualità è affare di tutti”), dando la parola alle uova che servono per cucinare la frittate delle identità di genere – a quelle uova che però preferisco chiamare zoccoli – e ora vi dirò perché.
Provate a pensare al dispositivo binario della sessualità come a una fabbrica di zoccoli, che con i suoi ingranaggi produce soprattutto zoccoli “normali” – zoccoli maschi e uomini e zoccoli femmine e donne – ma che ogni tanto, con gli stessi ingranaggi  produce per errore anche “zoccoli difettosi”: gay, lesbiche, transessuali, transgender, intersessuali… In francese zoccolo si dice “sabot”, e dal sostantivo “sabot” deriva il verbo “saboter”, che significa “fabbricare zoccoli”, ma anche “sabotare”! Lo zoccolo era infatti, un tempo, la calzatura dei poveri, e quindi degli operai. Calzatura che all’occorrenza poteva diventare un efficace strumento di lotta politica: lo zoccolo poteva infatti essere incastrato ad arte tra gli ingranaggi di una fabbrica, anche della stessa fabbrica che lo aveva fabbricato, per arrestarne la produzione. Questa è la ragione per cui ho scelto di utilizzare questa poco elegante metafora degli zoccoli. Nella prospettiva interpretativa di Foucault, o almeno nella mia lettura di essa, le identità perverse, le minoranze sessuali – e in particolare le soggettività transgender e intersessuali -, non sono situate “prima”, “fuori”, o “oltre” il dispositivo binario della sessualità (come vorrebbero le teorie della rivoluzione sessuale): esse stanno, semmai, piantate (e stritolate) come zoccoli tra le sue ruote dentate. Ed è proprio da questa posizione, e non da un immaginario “fuori” (“prima” o “oltre”) della fabbrica, che le minoranze sessuali possono sabotare il sistema che le produce, senza pretendere di farlo saltare in aria, ma cercando di rinnovarlo per renderlo più accogliente, cercando di assumere al suo interno una posizione più confortevole. Si tratta sicuramente di un progetto riformista, e non rivoluzionario, che oggi potrebbe scontentare un certo pensiero queer, ma a me sembra un progetto autenticamente libertario e soprattutto mi sembra l’unico progetto realmente praticabile. Anzi mi sembra che questa sia la strada fino ad ora percorsa, più o meno consapevolmente, dal movimento lesbico gay trans – una strada tutt’altro che conclusa che occorre continuare a edificare.
La mia proposta è quindi di abbandonare ogni progetto di fuoriuscita dal dispositivo binario della sessualità, per tentare di mobilitare le categorie del dispositivo dal suo interno. Per tentare di reinterpretarle, di renderle più vivibili per tutti senza pretendere di sussumere l’identità di tutti sotto un’unica categoria – come a volte mi sembra accadere in una certa vulgata queer. Judith Butler utilizza a questo proposito il verbo “to displace”, dislocare. Per Butler è possibile dislocare i significanti del binarismo sessuale, senza illudersi si dislocarsi al di fuori di essi. Come una lingua parlata evolve nel tempo a opera dei parlanti, così è possibile modificare i significanti culturali dell’identità mediante la stessa ripetizione delle pratiche che li generano. È quello, mi pare, che è successo nel movimento lesbico-gay-trans quando è stato coniato il termine “transgender”: categoria che non pretende di designare un oltre del binarismo sessuale, ma che opera una risignificazione fluida e non esclusiva della sua logica binaria. È, appunto, di questa categoria che vorrei parlarvi ora…

Testo di Lorenzo Bernini (lorenzo.bernini@unimi.it)
Foto: © Giovanni Hänninen< 2008 all rights reserved.

fine prima parte – leggi la seconda parte in uscita mercoledì 17 settembre

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18 Commenti

  1. Un lungo articolo che ho molto apprezzato per l’intelligenza, la riflessione.
    Penso che in una persona ci sono molti aspetti ( femminile, maschile). E’ molte delicato trovare un luogo preciso per definire i tratti ( femminile, maschile). Invece non condivido pienamente la frase di Simone de Beauvoir: “on ne naît pas femme, on le devient.” Di una manera generale, mi sento femminile pienamente. vale per me, ma forse per un’altra persona non vale.
    Articolo interessante perché fa apparire una cosa importante. Si puo essere omosessuale e vivere pienamente il suo sesso. per esempio, una donna puo essere femminile e scegliere l’omosessualità. Stessa cosa per un uomo omosessuale. Non sopporto vedere sempre l’immagine della lesbica maschile ( camionneuse, odio!)
    Non corrisponde alla realtà!
    Non sopporto anche la diagnosi di malattia mentale per una scelta personale.

  2. Articolo molto interessante in cui l’autore ben si destreggia tra concetti e definizioni assai scivolose. Il movimento femminista, che pure aveva avuto il merito indiscusso di sfondare il muro dei generi e delle identità di genere, o almeno, di aprire un ricchissimo filone di ricerca e analisi, si è invece, a mio parere, successivamente incagliato proprio nel concetto di identità di genere.
    Le nuove prospettive aperte dai movimenti “transgender” riaprono una querelle assai interessante dal punto di vista filosofico e restituiscono alla riflessione sull’identità di genere un respiro più ampio (anche e soprattutto a prescindere dai singoli orientamenti e pratiche sessuali).

  3. Condividi con l’idea di Bianca Madeccia. Penso che ci sono tratti femminili
    (genere), manera di vivere il mondo, di sentire con il corpo sessuato.
    Ma ringrazio nel cuore le femministe che hanno cambiato le cose, anche se penso che c’è una natura femminile e maschile che fa la bellezza del mondo.
    Come si dice in Francia: ” Différents mais égaux.”

  4. Che noia! parla come un 68ttino, con quello stile parigino alla moda. Ma Foucault ha fatto una brutta fine e ormai è stato stritolato dall’ermeneutica di questo tipo, ampiamente diffusa. C’è l’inflazione. Come storico poi non lo considera più nessuno, Carlo Ginzburg, uomo di sinistra ma col cervello in testa l’ha stritololato.
    Certo è che a sentir parlare ancora del sesso con questo linguaggio e stile non viene la voglia di sfiorare più nessuno.

  5. <<<Certo è che a sentir parlare ancora del sesso con questo <<<linguaggio e stile non viene la voglia di sfiorare più nessuno.

    Io invece quando sento questi discorsi non penso mai al sesso. Di solito penso alla filosofia. Che strano. ;-)

  6. <Come una lingua parlata evolve nel tempo a opera dei <parlanti, così è possibile modificare i significanti culturali <dell’identità mediante la stessa ripetizione delle pratiche che <li generano.

    Il pensiero di Platone è vivo e vegeto da millenni. Chissà, magari in futuro la filosofia potrebbe allearsi con le ibridazioni genetiche (scienza) e produrre evoluzioni del corpo, del pensiero e del costume che non si realizzeranno certo in 20 o trenta anni. Magari saremo tutti un po’ più liberi se ci liberiamo dalla convinzione che l’identità profonda di un individuo sia legata al sesso anagrafico o al colore della pelle. Ma d’altronde io amo immaginare un futuro migliore.
    ;-)

  7. Non vedo perché una persona dovrebbe passare la vita a “curare” il suo modo di essere che non risponde a regole che non sono scritte da nessuna parte. Se nella bibbia ci fosse un passo che attribuisse al rosso o al verde la supremazia nei colori, l’umanità dovrebbe curare tutti quelli che preferiscono il blu? Molto ben scritto il post, chiaro, dettagliato e con affermazioni circostanziate. E pervaso di buonsenso, che aiuta sempre quando si affrontano le libertà personali.

  8. Ricordo a tutti che questa è la prima parte dell’intervento, molti temi emersi nei commenti saranno affrontati nella seconda parte.

    Alle critiche sull’impostazione filosofica, ben accette, aggiungo che sarebbe bello vedere delle proposte, altrimenti si riduce alla Sandra Mondaini di “uffa Foucault che noia che barba”.

    Il sesso, la sessualità, il genere, l’identità non sono solo qualcosa che “si fa” per qualche momento, ma qualcosa che si è tutta la vita, noi, gli amici, i nostri genitori, i nostri figli (sì, pure loro dai primi mesi di vita alle prese con tutine rosa o celesti, Gormiti o Winx). Ho pubblicato questo materiale (testi e le bellissime foto) appunto per la sua impostazione filosofica di pratica politica diretta.

  9. @ reister: E hai fatto bene. In tempi di manipolazione globale, informare con competenza è già controinformazione, prospettare punti di vista non scontati è quasi rivoluzionario. Anche questo dovrebbe fare N.I.

  10. Come è stato ben detto il discorso biopolitico sul sesso è stato ampiamente confutato, il rapporto sapere-potere da molti storici. Le proposte si possono andare a leggere nei libri estesamente.
    Ricavalcare foucault senza tenere conto dell’evoluzione della ricerca successiva senza confrontarsi con la critica fatta a foucault non ha proprio nessuna sembianza di controinformazione. sa solo di vecchia ideologia senza nessuna base argomentativa.

  11. Ottimo pezzo. Credo via sia una grande necessità di riflessione documentata in questo ambito di studi. Quanto a Foucault: lo studioso muore – come Mari Mieli – nei primi anni 80. Sono passate ere geologiche: Aids e procreazione assistita hanno radicalmente mutato molte prospettive. Ma i loro meriti rimangono altissimi. Anch’io sto scrivendo un libro su questi argomenti e mi accorgo di citarli spesso.

  12. Franco,

    Quando il tuo libro uscirà, leggero. Sono argomenti che trovano interessanti. La società cambia con lentezza, ma per fortuna cambia.

  13. Come ha scritto Jan, credo che il senso (filosofico-politico, e non semplicemente filosofico) di questo mio intervento emergerà con maggior chiarezza quando sarà pubblicata anche la seconda parte.
    Per dovere di cronaca, vorrei però ricordare fin d’ora che Foucault è oggi uno dei filosofi del Novecento più studiati (il numero di pubblicazioni che escono ogni anno sul suo pensiero è davvero incontrolllabile!), che il “paradigma biopolitico” da lui inaugurato è stato oggi ampiamente sviluppato (ad esempio da autori quali Giorgio Agemben, Toni Negri e Michael Hardt, Roberto Esposito, Judith Butler), e che il metodo costruttivista è uno dei più utilizzati nei cultural studies e nei gender studies in tutto il globo.
    Questo non implica, naturalmente, che si debba essere d’accordo con lui e con me: Ermanno fa bene a ricordare che Foucault è stato ed è anche oggetto di critiche severe (tra l’altro, anche se Ermanno non se ne è accorto, nel mio intervento neppure io sono d’accordo con Foucault, e gli muovo un’obiezione piuttosto importante sulla coincidenza della categoria di inversione con quella di omosessualità; inoltre la metafora degli zoccoli, assieme alla scelta di riportare storie di vita – nella seconda parte -, credo vadano proprio nella direzione indicata da Ginzburg nella sua polemica con Foucault in “Formaggio ai vermi”: dare la parola ai soggetti coinvolti nei processi che si studiano senza farne preventivamente i portatori di un’azione rivoluzionaria).
    Però, ecco, forse quanto si contesta un testo sarebbe buona educazione argomentare le proprie obiezioni in modo che gli atri partecipanti alla discussione possano capirle. Che cosa, del metodo che propongo (e che senza dubbio è parziale e contestabile), non convince Ermanno? Che cosa sarebbe “superato”? Quale altro approccio è preferibile nell’analisi della sessualità? Perché, ad esempio, il punto di vista del sapere medico-psichiatrico dovrebbe essere preferibile a quello delle minoranze sessuali?
    A Giuseppe vorrei invece chiedere se ha mai letto il Simposio. Se lo ha letto, ricorderà che il tema del testo platonico è proprio l’eros, e in particolare l’eros omosessuale. Nel dialogo, già Aristofane, uno dei commensali, attraverso un divertente mito sull’origine dell’umanità, sostiene di fatto la superiorità dell’amore tra uomini su quello tra un uomo e una donna; concetto che viene poi ribadito da Socrate, che però inaugura – appunto – la tradizione dell’amore platonico, prescrivendo un amore tra uomini (o meglio, tra un uomo e un ragazzo) che non contempli il sesso. In quel testo, Platone inaugura quindi quel modo di pensare il soggetto come slegato dal proprio corpo sessuato, ma in realtà come coincidente con il soggetto maschile, che è arrivato alla modernità attraversando il medioevo cristiano, e che io appunto vorrei contestare con il mio contributo (come già molte autrici femministe, come ad esempio Adriana Cavarero, hanno fatto prima di me e meglio di me).
    Sono molti i modi di praticare la filosofia: il mio – che è debitore a Foucault ma che, vi assicuro, non si appiattisce su Foucault – è in effetti diverso dal metodo platonico! Ognuno ha le proprie preferenze e fa le proprie scelte. Io credo di aver motivato le mie con ragioni che ho mutuato da Clemenceau e da Arendt. Immagino che anche Giuseppe abbia buone ragioni per preferire Paltone a Foucault, Arendt e Bulter (e soprattutto a me!): potrebbe allora, per favore, renderle pubbliche?

    P.S. Anche Ginzburg, comunque, riconosce a Foucault i suoi meriti: http://excerpter.wordpress.com/2006/10/06/carlo-ginzburg-on-foucault/

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