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VivaVoce#05: Juan Gelman [ 1930, Buenos Aires ]

[ Louise Brooks da Lulu (Die Büchse der Pandora) 1929, G.W. Pabst ]

[ mujeres dalla viva voce di Juan Gelman ]


 
donne
 
dire che quella donna era due donne è dire pochino
doveva averne 12 397 di donne nella sua donna/
era difficile sapere con chi si trattava
in quel popolo di donne/ esempio:
 
giacevamo in un letto d’amore/
lei era un’alba di alghe fosforescenti/
quando feci per abbracciarla
si trasformò in singapore piena di cani che urlavano/ ricordo
 
quando apparve avvolta di rose di aghadir/
pareva una costellazione in terra/
pareva che la croce del sud fosse discesa a terra /
quella donna brillava come la luna della sua voce destra/
 
come il sole che tramontava nella sua voce/
sulle rose c’erano scritti tutti i nomi di quella donna meno uno/
e quando si voltò,/ la sua nuca era il piano economico/
aveva migliaia di cifre e il bilancio delle morti favorevole alla dittatura militare/
 
non si sapeva mai dove andava a parare quella donna/
io ero leggermente sconcertato / una notte
le picchiai sulla spalla per vedere con chi mi trovavo
e vidi nei suoi occhi deserti un cammello / a volte
 
quella donna era la banda municipale del mio paese /
suonava dolci Walzer finché il trombone incominciava a stonare /
e tutti stonavano con lui /
quella donna aveva la memoria stonata/
 
tu potevi amarla fino al delirio /
farle crescere giorni dal sesso tremante/
farla volare come uccellino di lenzuola /
il giorno dopo si svegliava parlando di malevic /
 
la memoria le andava come un orologio rabbioso /
alle tre del pomeriggio si ricordava del mulo
che le aveva preso a calci l’infanzia in una notte dell’essere /
donnava molto quella donna ed era una banda municipale
 
la divoravano tutti i fantasmi che poté
alimentare con le sue mille donne /
ed era una banda municipale stonata
allontanandosi fra le ombre della piazzetta del mio paese /
 
io / compagni / una notte come questa che
ci impregnano i volti che forse moriamo /
montai sul piccolo cammello che nei suoi occhi aspettava
e me ne andai nelle tiepide sponde di quella donna /
 
zitto come un bambino sotto gli avvoltoi grassi
che mi mangiano tutto / meno il pensiero
di quando lei si riuniva come un ramo
di dolcezza e lo lanciava nella sera

 

mujeres
 
decir que esa mujer era dos mujeres es decir poquito
debía tener unas 12 397 mujeres en su mujer /
era difícil saber con quién trataba uno
en ese pueblo de mujeres / ejemplo:
 
yacíamos en un lecho de amor /
ella era un alba de algas fosforescentes /
cuando la fui a abrazar
se convirtió en singapur llena de perros que aullaban / recuerdo
 
cuando se apareció envuelta en rosas de agadir /
parecía una constelación en la tierra /
parecía que la cruz del sur había bajado a la tierra /
esa mujer brillaba como la luna de su voz derecha /
 
como el sol que se ponía en su voz /
en las rosas estaban escritos todos los nombres de esa mujer menos uno /
y cuando se dio vuelta / su nuca era el plan económico /
tenía miles de cifras y la balanza de muertes favorables a la dictadura militar /
 
nunca sabía uno adónde iba a parar esa mujer /
yo estaba ligeramente desconcertado / una noche
le golpeé el hombro para ver con quién era
y vi en sus ojos desiertos un camello / a veces
 
esa mujer era la banda municipal de mi pueblo /
tocaba dulces valses hasta que el trombón empezaba a desafinar /
y los demás desafinaban con él /
esa mujer tenía la memoria desafinada /
 
usté podía amarla hasta el delirio /
hacerle crecer días del sexo tembloroso /
hacerla volar como pajarito de sábana /
al día siguiente se despertaba hablando de malevich /
 
la memoria le andaba como un reloj con rabia /
a las tres de la tarde se acordaba del mulo
que le pateó la infancia una noche del ser /
ellaba mucho esa mujer y era una banda municipal /
 
la devoraron todos los fantasmas que pudo
alimentar con sus miles des mujeres /
y era una banda municipal desafinada
yéndose por las sombras de la placita de mi pueblo /
 
yo / compañeros / una noche como ésta que
nos empapan los rostros que a lo mejor morimos /
monté en el camellito que esperaba en sus ojos
y me fui de las costas tibias de esa mujer /
 
callado como un niño bajo los gordos buitres
que me comen de todo /menos el pensamiento
de cuando ella se unía como un ramo
de dulzura y lo tiraba en la tarde /

 

 

 

[ traduzione di Laura Branchini, Juan Gelman DOVERI DELL’ESILIO interlinea edizioni 2006 ]
 

 

VivaVoce#01: Thomas Stearns Eliot [1888–1965]
VivaVoce#02: Gherasim Luca [1913–1994]
VivaVoce#03: Sylvia Plath [1932–1963]
VivaVoce#04: Guillaume Apollinaire [1880–1918]

 

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4 Commenti

  1. Meraviglioso. La lingua fa apparire immagini strani, che sembrano stonare, ma creano una danza di seduzione, di minaccia. La donna sveglia una natura acquatica, torbida, felina/ e anche dà nascita agli animali rabbiosi ( cani) o animali viaggiatori.
    Il poeta osserva il bambino crescere negli occhi della donna, dà il movimento della sua attrazione, sortileggio raccolto nello spazio della sera, la margine che esiste tra il potere dell’amante tremenda e la libertà di fuggire nella scrittura.

  2. Gelman, poeta dell’esilio, un uomo segnato dal dolore e dalla disillusione, perseguitato per il suo pensiero, umiliato e punito negli affetti, eppure la sua poesia sa essere lucida senza perdere le caratteristiche quasi magiche d’incanto e colore, tipiche della tradizione e cultura ispano-americana.

    un altro poeta d’esilio – lui volontario ed in direzione opposta – che amo è Pedro Salinas (Madrid 1891- Boston 1951), trascrivo qui alcuni dei suoi versi tratti da “la voz a ti debida”:

    (versi 1385-1407)

    La forma de querer tú
    es dejarme que te quiera.
    El sí con que te me rindes
    Es el silencio. […]
    Jamás palabras, abrazos,
    me dirán que tú existías,
    que me quisiste: jamás.
    Me lo dicen hojas blancas,
    mapas, augurios, teléfonos;
    tú, no.
    Y estoy abrazado a ti
    sin preguntarte, de miedo
    a que no sea verdad
    que tú vives y me quieres.
    Y estoy abrazado a ti
    sin mirar y sin tocarte.
    No vaya a ser que descubra
    con preguntas, con caricias
    esa soledad inmensa
    de quererte sólo yo.

    ***

    Il tuo modo d’amare è lasciare che io ti ami.
    Il sì con cui ti abbandoni è il silenzio. […]
    Mai parole o abbracci mi diranno che esistevi
    e mi hai amato: mai.
    Me lo dicono fogli bianchi, mappe, telefoni, presagi; tu, no.
    E sto abbracciato a te senza chiederti nulla,
    per timore che non sia vero che tu vivi e mi ami.
    E sto abbracciato a te senza guardare e senza toccarti.
    Non debba mai scoprire, con domande, con carezze,
    quella solitudine immensa, d’amarti solo io.

  3. E’ una poesia magnifica che amo nella purezza semplice, il sentimento che va raggiungere il cuore che ama nella solitudine.

    Grazie Natalia

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orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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