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Liquidazione comunista

Come ad altri indiani, mi è accaduto di scrivere sulle pagine di Liberazione. Un quotidiano importante, le cui pagine sono state aperte, negli ultimi anni, a molte e diverse voci. Adesso Liberazione sta vivendo un momento molto difficile – e la cosa che più colpisce è che, prima ancora delle difficoltà dovute alla nuova legge sull’editoria voluta da Tremonti, è che l’editore e lo stesso Partito della Rifondazione Comunista (che è editore di riferimento) sembrano lasciare andare alla deriva il giornale. Sentire che i giornalisti di Liberazione sono costretti a scendere in sciopero come sola arma di fronte a un comportamento antisindacale della controparte – suona molto, molto amaro.
Qui, il blog aperto dai giornalisti in sciopero – ai quali dò tutta la solidarietà – per informare sulla vertenza in corso.
m.r.
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19 Commenti

  1. Nemmeno io amo i giornali di partito, ma Liberazione si era venuto configurando come un giornale d’area, aperto a voci e innovazioni.
    Quanto ai finanziamenti: la crisi di Liberazione precede la legge tremontiana – la quale ovviamente va aggravando drasticamente. le cose, e in maniera decisiva. In ogni caso, credo che i finanziamenti previsti dalla vecchia legge sull’editoria – al di là dei casi dei giornali fantasma eccetera – sia leggibile come un intervento attivo dello Stato che corregge le distorsioni “naturali” del mercato (dovute alla concentrazione del mercato pubblicitario, alla distribuzione, eccetera): insomma, credo che sia giusto che il pubblico salvaguardi l’esistenza di realtà che rischiano, nella giungla del mercato, di soccombere.

  2. Credo che un giornale, di qualsiasi schieramento politico esso sia, non dovrebbe mai e poi mai, in nessun caso, ricevere finanziamenti dallo Stato.
    Mi spiace per i giornalisti cui va la mia solidarietà, ma i giornali non possono credere di campare grazie allo Stato: se intendono fare informazione grazie ai finanziamenti dello Stato sono allora diramazioni della macchina statale prima che organi di partito e giornali destinati a informare il pubblico tutto. Un quotidiano deve sapere informare tutto lo spettro di possibili lettori, altrimenti affonda. In Italia il giornalismo è purtroppo uno dei tanti talloni d’Achille del belpaese: quasi sempre imparziale. Non sorprende dunque che per sapere qualche cosa del proprio paese bisogna leggere i quotidiani stranieri.

  3. La Mondadori di Berlusconi, Il Sole 24 ore, L’editoriale L’espresso continueranno ad avere decine di milioni di euro l’anno di finanziamento pubblico con buona pace del “Manifesto” o “Liberazione”… Per quanto riguarda “Liberazione” la faccenda è più complessa. Sono un elettore del Prc, ex iscritto: dentro i Prc (sono due almeno i partiti, la destra filoPd, libertinottiana-vendoliana, principale responsabile della deriva governista e conseguente disfatta elettorale e la sinistra di Ferrero e le altre componenti eterogenee) noto una guerra per bande, per spartirsi il nulla… Poveri noi!

  4. Specifico: attualmente non mi piace nessuna rivista e quotidiano italiano: nessuno. Solo qualche articolo fortunato preso tanto dai giornal dichiaratamentei di destra che da quelli di sinistra e di centro…
    Come ho già detto nessun giornale dovrebbe campare grazie ai finanziamenti statali, ciò vale a maggior ragione per Mondadori, Il Sole 24 Ore, l’Espresso, ecc. ecc.
    Un giornalismo che riceve soldi dallo Stato è succube dello Stato, che lo voglia o no, che alzi la voce o no.
    Nessun governo di destra o di sinistra sino ad ora ha pensato a *** togliere i finanziamenti a tutti i giornali ***: chissà come mai! Forse perché gli fa comodo impinguargli le tasche. Comincerò forse a credere che l’informazione in Italia non sia poi tanto pilotata *** solamente quando per miracolo o chissà che altro verranno tolti i finanziamenti pubblici ai giornali ***. Tagliando queste spese spropositate, l’Italia tutta ne trarrebbe grande beneficio.
    Il parassitismo nell’informazione deve cessare: in una democrazia non è auspicabile che i giornali ricevano soldi dallo Stato.

  5. Il qualunquismo è figlio della superficialità. Comunque, schematizzando al limite del semplicismo: non assegnare una indennità ai parlamentari significherebbe consentire l’accesso a ruoli politico/rappresentativi soltanto ai ricchi. Parimenti, negare il finanziamento di stato alla stampa di partito (o comunque di idee) equivale a riconoscere possibilità di circolazione (e di esistenza) ai soli partiti (e idee) ricchi o dei ricchi. Nè la rappresentanza democratica né la politica sono (ancora) merci sottoponibili alla concorrenza e al mercato, per fortuna. Personalmente, sono assolutamente favorevole (salvi abusi, ovviamente), almeno come principi, al concorso ad adiuvandum dello Stato in entrambi i settori. Quanto al comunismo, esso è più grande e necessario di quanto lo siano i comunisti, o certi comunisti nostrani. Come afferma Saramago, alcuni hanno una ghiandola interna che continua a secernere ragioni per essere comunisti. E sono buone ragioni.

  6. Ma sì, diamo indennità a parlamentari e sovvenzioni ai giornali, assegniamo parcheggi e scorte, auto blu, e via di questo passo a più non posso. E così i soli a fare la bella vita, ma proprio bella, i parlamentari e pochissimi altri sédicenti comunisti – arrichitisi grazie agli sperperi dello Stato – che caduto un governo si sbattono nell’Isola dei Famosi a cercare la Ventura. E’ proprio la terra dei cachi: da una parte pochi capitalisti con tanti schiavetti, dall’altra pochi comunisti che fanno la Dolce Vita prendendo a piene mani dalle casse dello Stato, che ogni tanto, tirando il fiato annoiati, balbettano che l’operaio guadagna sì e no 1000 Euro al mese, che muore sul posto di lavoro, che non ce la fa a sbarcare il lunario, e blablabla. Ma con il blablabla *** di quanto siamo bravi e belli noi comunisti italiani *** non ci si è riempito mai nessuno la pancia. Un comunismo come quello che c’è in Italia oggi, cioè uno spudorato veltronismo, ha tagliato le gambe all’idea stessa di un comunismo egualitario a misura di popolo.

  7. Sicuramente sono banale, ma mi chiedo perché gli elettori di PRC non acquistano il loro giornale, aumentandone la tiratura e le entrate, invece di lamentarsi che possa essere chiuso perché, con la tiratura che si ritrova, non riesce a campare. Indipendentemente da eventuali aiuti, dei quali eventualmente discutere, mi pare questo il problema di fondo da risolvere e da comprendere: perché in pochi lo acquistano?

    Blackjack.

  8. Di certo non lo acquistano i comunisti, visto che di solito si fa in quattro per illustrarci le qualità della signora Franzoni o a sputare sentenze contro Cuba. Notizia bellissima quella del fallimento.

  9. Liberazione, Il Manifesto, Il Foglio, eccetera.
    Mi pare che il provvedimento colpisca parecchi giornali piccoli, così detti di opinione, talvolta di partito.
    Giornali che di solito non coprono tutto l’arco delle notizie, ma si limitano a selezionare le più importanti (a loro criterio), in modo da usarle come punti di appoggio quotidiano per portare avanti una linea generale di interpretazione della società, del momento politico e culturale, della storia, della realtà, eccetera.
    Difficile che un giornale di questo tipo non sia palesemente e direttamente ideologico e non avrebbe senso che non lo fosse.
    Dico «palesemente» perché tutti i giornali sono ideologici, anche quelli che negano di esserlo.
    La crisi di Liberazione è anche legata alla crisi del movimento neo/tardo-comunista in Italia, crisi di consensi, crisi di obbiettivi, di programmi, crisi ideologica, d’identità: crisi, crisi, crisi.
    Crisi di risposta, ma soprattutto crisi di visibilità, in un sistema mediatico ormai determinante per vincere le elezioni, che è anche il motivo per cui le ha perse, ma di meno, il PD.
    Per un partito in queste condizioni un giornale è fondamentale, è un’ancora, è il sentirsi ancora vivi, è un luogo di visibilità e dibattito.
    Lo dice uno che non compra Liberazione, uno che Il Manifesto lo compra solo il sabato.
    Tuttavia anche quando mi capita tra le mani Il Foglio, provo il sollievo della diversità, di una certa libertà contro-intuitiva di pensiero, non ostanti alcune caratteristiche, per me intellettualmente ributtanti, del giornale.
    Salvare questi ed altri piccoli giornali non è salvare delle «voci libere» – nessuno è libero – è consentire che esista ancora qualcosa al di fuori del campo gravitazionale dei grandi giornali, qualcosa di diverso, qualcosa che funziona in altro modo, che dice altre cose, che siano o meno con-divisibili.

  10. a me dispiace molto perchè sono una lettrice di liberazione e lo trovo uno dei migliori giornali italiani (chiaro che non sono iscritta a rifondazione ne mai lo sarò) Chi dice di non amare i giornali di parito ha ragione forse (io non leggo mai giornali di partito) ma ha torto chi, dicendolo, ci mette anche liberazione. Fa un grande errore o meglio vuol dire che NON legge mai liberazione che è un giornale che da spazio a molte idee diverse e anche a politiche diverse. Condivido quando giorgio dice che sente puzza di guerra per bande, per spartirsi il nulla, ma non condivido certo quando dice che ferrero rappresenti la sinistra … se la sinistra è quella meglio perderla che trovarla. Ad ogni modo a me liberazione com’è ora (e come è da parecchi anni) piace … piace proprio perchè da spazio a tutte le posizioni, cosa che certamente da noia a un segretario come ferrero che vorrebbe trasformarlo in un vero giornale di partito: piatto monolitico unilaterale e che dia sempre ragione al segretario, che poi non circoli altro che fra i burocrati che può mai fregargliene a lui? un tubo direi …. le elezioni si avvicinano e lui vuole essere eletto al parlamento europeo (e lo sarà come capolista) solo quello gli interessa.
    A me non interessa nulla cosa faccia ferrero, segretario eletto dalle pastette dei burocrati visto che la maggioranza nei circoli non l’aveva proprio avuta, anzi anche i voti (di minoranza) andati alla mozione 1 (alla prima mozione 1 perchè poi il documento verrà addirittura cambiato) erano per claudio grassi e non certo per la sua bella faccia da saponetta, Mi dispiace veramente che nella lotta fra galletti, Liberazione venga stritolata e con lei la professionalità dei suoi giornalisti.

  11. tuttavia, georgia, difficile oggi per chiunque intravedere una via d’uscita da questo sprofondamento, non soltanto elettorale, ma di pensiero, analisi, proposte, azione.
    questa è la fine del pensiero comunista in Italia.
    forse è un bene.
    ma lo è soltanto se da questa fine qualcuno avrà coraggio, forza, intelligenza per ri-definire radicalmente, per poi ri-costruirla politicamente, una sinistra.

  12. rifondazione e tutto quello che sta alla sua sinistra, alla sua destra, sotto, sopra merita davvero ben pochi commenti. quello che è capitato alle ultime politiche non è altro che il risultato di un processo di inarrestabile “deperimento” iniziato almeno dalla metà delgi anni novanta. in alcune zone del sud, ad esempio nella calbaria,il partito è stato gestito più che da un gruppo di dirigenti da un combricola di piccoli affaristi che per detenere il potere hannno utilizzato metodi tra il paramafioso e il neostalinista.E’ davvero preoccupante però che a questa crisi di rappresentanza,crisi ideologica, di idee e contenuti segua addirittura la difficoltà di sopravvivenza di giornali come Liberazione e il Manifesto. Liberazione e il Manifesto sono comunque, con tutti i loro limiti e le contraddizioni molto evidenti, il punto di sintesi ed espressione di un mondo variegato, ricco, vivo, ancora in movimento. se dovesse concretizzarsi la peggiore delle ipotesi mi chiedo, a chi dovrebbe rivolgersi quel mondo?basta il web?dove trovare nuovi canali di scambio, incontro?certo esistono delle riviste importanti,di grande spessore, ma un conto è un quotidiano un altro è un mensile, un settiminale ecc.

  13. Dal grido d’aiuto del manifesto:

    “I tagli ai finanziamenti per l’editoria cooperativa e politica non sono misurabili «solo» in euro, in bilanci che precipitano nel rosso, in giornalisti e poligrafici che rischiano la disoccupazione. Sono lo specchio fedele di una «cultura» politica che, dall’alto di un oligopolio informativo, trasforma i diritti in concessioni, i cittadini in sudditi. Non sarà più lo stato (con le sue leggi) a sostenere giornali, radio, tv che non hanno un padrone né scopi di lucro. Sarà il governo (con i suoi regolamenti) a elargire qualcosa, se qualcosa ci sarà al fondo del bilancio annuale. Il meccanismo «tecnico» di questa controrivoluzione lo abbiamo spiegato tante volte in queste settimane (e continueremo a ricordarlo), ma il senso politico-culturale dell’operazione è una sorta di pulizia etnica dell’informazione, il considerare la comunicazione giornalistica una merce come tante altre. Ed è la filosofia che ha colpito in questi ultimi anni tanti altri beni comuni, dal lavoro all’acqua.”

  14. concordo, per quello che può valere, con l’analisi riportata da plessus.
    e però azzardo un paio di postille.

    la prima recita così: quello che sta accadendo la destra ci ha sempre provato a farlo e, nel mondo da cui provengo, ci era pure riuscita.

    dunque non sarebbe tanto questo il problema, perché è annoverabile nella lotta politica per la democrazia, che è democrazia essa stessa, voglio dire che la forma della democrazia è una continua ridiscussione e lotta attorno al suo statuto.

    il problema è che NON C’E’ NESSUNO che si opponga efficacemente alla strategia della destra di lesione democratica, già robustamente avviata e ben pasciuta.

    e problema più grave è il motivo per cui non c’è nessun vero oppositore: perché quello che accade non interessa nessuno.

  15. con l’intero mercato della pubblicita’ nelle mani di una sola persona parlare di liberta’ di stampa e’ ridicolo.

    le sovvenzioni di stato erano un misero espediente per mascherare questa realta’.

    ora, senza questa maschera, semplicemente si vede il volto del potere. l’alleanza dei cattolici con la mafia, col fascistume e con gli sfruttatori.

    ma il problema non sono loro (loro fanno il loro sporco mestiere) ma chi si ostina a legittimarli sproloquiando di istituzioni e democrazia.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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