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Libro della camera triste

    

[ Mario Sironi (1885-1961) Composizione ]

di Paolo Sperandio

__Siamo in undici. Pare un po’ lugubre come sede di una casa editrice, ma forse è un ufficio secondario. Quando sono arrivato c’erano già un giovanotto barbuto e una signora di mezza età dall’aspetto comune. Di lui si poteva pensare che fosse un aspirante scrittore, mentre lei correggeva forse le bozze di sera, dopo le faccende di casa. Nel giro di mezz’ora sono arrivati gli altri, ognuno aveva in mano una copia del libro. Così si è capito che eravamo lì tutti per la stessa ragione, e ci siamo messi a parlare.
__Non ha importanza di quale libro si tratta, non è molto famoso, c’è chi lo ha letto e chi no. In quella sala d’attesa però l’avevamo letto tutti. E non soltanto questo ci accomunava, come abbiamo scoperto. Un anziano ben vestito, col sussiego che è tipico di taluni accademici, è stato il primo a raccontare i dettagli. Ha trovato l’errore a pagina 86, nel suo caso è una sostituzione, c’è scritto “palissandro” là dove doveva esserci “andamento”. Falsava tutta la frase, si è accorto immediatamente dello sbaglio. Il giorno dopo è tornato in libreria e ha fatto la scoperta. Tutte le altre copie del volume avevano a pagina 86 il più consono “andamento”, di “palissandro” non c’era traccia. Come può capitare un errore di stampa in una copia sola? Allora aveva telefonato alla casa editrice (che è della nostra città, e in verità non ha una grande diffusione). Gli hanno dato un appuntamento per questa mattina, così da verificare l’incidente, ringraziandolo per il suo zelo di lettore.
__E’ successo più o meno così a tutti. La ragazza che da più di un’ora è seduta al mio fianco ha scoperto una parola mancante proprio nell’ultima pagina, la 217. Inizialmente non ci si è soffermata, poi l’ha presa la curiosità, quell’omissione alterava il meccanismo della storia. Anche lei si è rivolta alla casa editrice, più che altro per conoscere la parola saltata, ma invece di dirgliela l’hanno convocata qui.
__Abbiamo appurato che manca un “portagioie” (che è poi l’arma del delitto), tutti noi ce l’abbiamo, anche nel caso della ragazza il refuso sembra essere unico e perciò inspiegabile. Un’omissione sta pure a pagina 129 del volume che ci ha mostrato un insegnante di scuola inferiore, è arrivato per ultimo un po’ preoccupato per il ritardo (è un tipo ansioso) ma non ha esitato a entrare nella conversazione. “Ricovero” è il termine estromesso, ci ha fatto caso perché aveva già letto il libro, prestatogli da un collega. Ci siamo complimentati per la sua memoria eccellente.
__In un caso la particolarità riguarda i caratteri di stampa. L’impiegato postale che ne è vittima ha spiegato che la parola “tentativo”, circa a metà del settimo capitolo, è scritta “TENTATIVO”, in maiuscolo. Abbiamo controllato, nei volumi che abbiamo qui c’è un “tentativo” minuscolo, la pagina è la 184. L’impiegato dice di averlo interpretato come un modo di rafforzare l’idea, una specie di sottolineatura dell’autore. In seguito però, trovandosi in libreria nella pausa del pranzo, ha potuto accertare che nelle altre copie le maiuscole mancavano, c’era un ordinario “tentativo” del tutto omogeneo al contesto. Ha chiesto al commesso se non fosse una diversa tiratura, apprendendo così che non ci sono state ristampe, e che tutti i volumi in distribuzione provengono da un’unica partita. Poi il solito contatto con l’editore, l’appuntamento, ed ora quest’attesa che si va facendo enigmatica, oltre che stranamente lunga.
__C’è anche un libraio, un ometto sottile che muove le dita in sincronia coi lineamenti facciali. Ha scovato due sbagli in un’unica copia, che è quella che ha prelevato dal mucchio per leggersela a casa. Si tratta ancora di sostituzioni, ma abbastanza singolari. A pagina 47 “ocra” è diventato “arco”, mentre alla 202 al posto di “irto” si legge “otri”. Magari a un’unica svista del genere non avrebbe dato importanza, invece due ha dovuto notarle per forza. Quante probabilità ci sono che per due volte un termine venga sconsideratamente invertito nel suo letterale contrario?
__Discutendo giorni dopo con un cliente, lo ha avvisato della particolarità, invitandolo a controllare le pagine della copia acquistata. Ma alla 47 un lineare colore “ocra” pervadeva il paesaggio, e alla 202 un certo arbusto era “irto” secondo conformazione naturale.
__Che ci abbiano fatto venire tutti insieme (ammesso che davvero siamo tutti, e non ci sia altrove qualcuno in procinto di intraprendere la medesima trafila) risponde secondo alcuni a un’esigenza pratica: liquidare in una volta sola questa imbarazzante faccenda. Si giustificheranno probabilmente con l’incuria di un tipografo distratto, o col sabotaggio di un autore rifiutato. Qualcuno ritiene che possa trattarsi di errori volontari, attuativi di un’inconsueta forma di marketing o di una strategia pubblicitaria. Secondo il libraio le parole sbagliate (o mancanti) potrebbero essere gli elementi di un crittogramma, e tutti noi, senza accorgercene, i partecipanti a un concorso. E’ pure possibile, come suggerisce la mia graziosa vicina di sedia, che il mistero da svelare sia numerico, racchiuso nella sequenza delle cifre delle pagine alterate. Più semplicemente, altri ipotizzano una ricerca di lettori particolarmente attenti, magari per premiarli o assumerli come correttori di bozze.
__Ragioniamo con una certa foga, che ci ha impedito sinora di fare caso all’arredamento del locale che ci ospita. In verità c’è poco da notare. Le sedie stanno allineate su due lati contigui della stanza, che ha due porte, quella da cui siamo entrati (che si direbbe aperta solo per noi) e un’altra che comincia a apparire minacciosa, dato che nessuno ne è ancora uscito a incontrarci. Su un tavolinetto giacciono delle riviste, neanche una delle quali è di letteratura. La finestra dà su un cortile interno, in cui non si scorge nessuno.
__Ciò che richiama l’editoria è solo la scaffalatura posta a metà parete, su cui poggiano i titoli più importanti pubblicati. Il cristallo che li protegge dalla polvere (e dai furti) gode della tutela vistosa di un lucchetto.
__C’è anche il “nostro” libro, ovviamente, cui ci rammarichiamo di non avere accesso. L’aria è grigia, a causa della poca luce di una giornata opaca ma anche delle ragnatele che coprono i vetri e certi rimasugli di carta negli angoli. Deve essere anche per questo che nessuno alza la voce, l’ambiente ha un che di biblioteca, e del suo necessario silenzio.
__Comunque, dal brusio che abbiamo prodotto finora si sono tenuti fuori due ragazzi che devono essere universitari, e che si limitano a parlottare tra loro. Mi sono accorto che qualcuno li ha guardati di sbieco, quasi biasimandone l’insistita esclusione. Alla fine, interpellati dal signore elegante, si sono scambiati un’occhiata prima di rispondere, che è parsa analoga a una carezza lenta.
__Entrambi hanno il libro con sé, riferiscono di avere individuato per caso le difformità. Uno dei due, incuriosito da un abbigliamento che a pagina 60 era qualificato “disgiunto”, ne ha chiesto all’altro, nel cui esemplare esso era però (con meno impatto) “sconnesso”. Allora si sono messi a cercare altre differenze. Quella di pagina 135 era più banale, come un normale errore di stampa: il gelo di una sera invernale passava da “artico” ad “antico”, e perciò a un’enfasi falsamente poetica.
__Quel che è sembrato strano è che i due non abbiano preteso di esaminare le altre copie. Sono rimasti seduti senza mai intervenire, come temendo di esteriorizzare (e in qualche modo perdere) il loro oscuro legame tipografico. Naturalmente c’è stato chi ha provveduto per loro. Sui libri che abbiamo qui l’abbigliamento è soltanto “bizzarro”, mentre il gelo è tale e basta.
__Questo si spiega ancor meno, come pure che i due siano rimasti svagati, oltre che seduti vicino.
__Nella prosecuzione dell’attesa è lecito ravvisare un progetto, o uno sviluppo guidato. Al mistero degli studenti, uniti sino alla (o persino dalla) collocazione ed esclusività dei refusi, si è aggiunto quello della donna dall’aria trascurata che non smette di fumare e si mantiene discosta. Le è capitata un’inversione delle coppie di righi, secondo lo schema b-a, d-c, f-e, etc., per cui la pagina 151 è illeggibile. Nei turni di notte in ospedale (è infermiera) ha pensato a un disturbo degli occhi, prima di realizzare l’oggettività del fenomeno. Tutti i righi. Di tutta una pagina, e una sola. Troppo curioso come accidente casuale.
__E’ stato l’insegnante, chiamandomi in disparte, a farmi notare come, per effetto dello spostamento, una stessa parola venga così ad essere (come invece non è) la prima e l’ultima della pagina in questione. Probabilmente per caso quella parola è “tabacco”. Salvo che l’infermiera ne sia stata in qualche misura influenzata, e non sia per questo che seguita ad accendere una sigaretta dopo l’altra.
__Il cielo si va oscurando, finirà per piovere. Abbiamo dovuto accendere la luce, che non è bianca come si addirebbe a un ufficio (o a un ufficio moderno) ma gialla e appannata di macchie. L’impiegato è il solo ad avere l’ombrello, con ciò prospettando di andar via se continuerà a non succedere nulla. Magari deve presentarsi al lavoro, o il suo interesse sta cedendo alla noia. Ai colleghi, c’è da giurarci, non racconterà niente.
__La mia vicina, nonostante discorra con tutti, sembra rivolgersi di preferenza a me. Non si è ancora alzata, ma anche seduta ha movimenti liquidi, e caviglie che attraggono per la fragilità inusuale. Comincia a trasparire l’impazienza, più voci lamentano l’assenza di caffè. Ho insinuato che la lunga attesa serva a verificare quanto siamo coinvolti, una specie di selezione preliminare. “Io non ho fretta” mi ha sorriso lei, mostrando un candore al contempo di spirito e di conformazione dentale. Al contrario l’insegnante sembra inquieto, ha preso a calcare da una parete all’altra il pavimento lungo una diagonale immaginaria. Ho offerto alla ragazza una mentina, per vederla sorridere di nuovo.
__Nello stallo che si è determinato, i due studenti hanno preso un’iniziativa inattesa. Furtivi si sono avvicinati ai ripiani, mettendosi a armeggiare col lucchetto per forzarlo. La giovane donna ha incoraggiato il tentativo, fornendo una forcina che si è tolta dai capelli con una certa grazia. La ciocca che le è ricaduta sulla tempia mi ha commosso, svelandola più giovane e più fragile.
__Non è stato possibile però consultare quella che può definirsi la copia autentica, l’originale di cui le nostre sono riproduzioni (evidentemente) imperfette. Il catenaccio ha retto, al che uno dei ragazzi ha fatto per frantumare il vetro, ma l’altro l’ha provvidenzialmente trattenuto.
__Magari hanno ragione, la spiegazione di tutto è proprio lì. Però allo stesso modo potrebbe trattarsi di una trappola, e quel volume contenere inganni ulteriori. L’uomo anziano ha condannato il loro gesto, rimarcando il carattere di esca che la scaffalatura assume a questo punto, mentre la mia vicina li ha difesi (“Ci stanno maltrattando. E’ giusto che ci ribelliamo”). Per parte mia approvo tutto ciò che può indurla a animarsi, e a respirare più forte.
__Il libraio e l’infermiera denotano, negli ultimi minuti, un avvicinamento. Confabulano, gesticolano dissimulando una segretezza che in realtà pare un richiamo. Il vecchio infatti non ha tardato a unirsi al gruppetto, ho capito che si vanno formando degli schieramenti. Sono deciso a rimanerne fuori, così come il barbuto e la massaia, il cui interesse non supera qualche cenno sporadico di assenso. Non vorrei, però, che il non parteggiare finisca per aggregarci in una coalizione ulteriore. Se devo stare in un gruppo, voglio rimanere accanto (in tutti i sensi) alla mia deliziosa compagna di posto.
__Ho sentito che hanno preso di mira l’insegnante. “Dice di avere scoperto l’errore a memoria – bisbigliavano – Come è possibile? Non lo conoscerà mica parola per parola… Chi è in realtà?”. Di questo passo ci accuseremo l’un l’altro, ci sarà più colpa nel palissandro o nel ricovero? Nelle pagine pari o in quelle dispari?
__L’altra compagine insisteva nel progetto di effrazione. Sulla copia originale si verificherà, asserivano, l’esatta portata di ogni sbaglio, ma non si decidevano a forzare la mano. Vorrei che fosse lei a provare, per vederle i polsi nervosi che la camicetta ricopre.
__Poi, senza nessun preavviso, il primo schieramento è andato via. “Torniamocene a casa, c’è un imbroglio qui sotto” ha fatto torvo il libraio. L’accademico ha lanciato un’occhiata di minaccia, e aggiunto “Già. Non piove ancora…”. Quanto all’infermiera, se ne è uscita silenziosa lei pure gettando la sigaretta al centro della stanza, senza darsi la briga di pestarla.
__Sarebbe stato opportuno controllare se veramente sono andati via. Se hanno potuto lasciare questo palazzo che, sebbene stia nel cuore della città, pare occupare sempre di più uno spazio erratico. Dalla finestra non si vedono che muri, alcuni frammenti di aiuole senza fiori ed un vuoto che è forse più un’idea di vuoto. Comunque, una volta chiusa la porta di ingresso, non abbiamo udito più nulla.
__Chi è rimasto non ne ha tratto sollievo. Anzi, una simile uscita di scena è fuori luogo, una sorta di errore nell’errore. Si è osservato, pure, che potrebbe esistere da qualche parte un libro in cui è narrata la storia del libro che ha interessato noi (e delle sue incongruenze), e che potremmo esserne noi i personaggi. In questo caso sparire così, dall’uscita principale, sarebbe un’incongruenza aggiuntiva.
__Visibilmente, il nostro addetto alle poste non accetta di stare in un’opera che ignora. Piuttosto pare che stia riepilogando mentalmente tutti i romanzi che ha letto. Nella voce denota un fondo di paura. Ha rievocato quella situazione teatrale i cui protagonisti si ritrovano, non si sa perché, in un vano non diverso da questo, in attesa di un nulla che non capita perché è già capitato. Scoprono, dopo ricapitolazioni incessanti, di essere morti, e di attendere solo la fine di ogni attesa. Nessuno dei presenti ha dato segno di reagire, la nostra situazione è ben diversa, crediamo.
__Per esserne certi non c’è che da tornare all’aperto. Abbandonare i libri e questa camera triste, nonché l’eventualità (ormai remota) di ottenere una qualche spiegazione. E’ quello che hanno fatto, lui e l’insegnante. “Arrivederci” hanno detto, senza estendere ad altri il riparo costituito dall’ombrello. Dalla trama connessa al nostro testo, a quanto sembra, è possibile agevolmente depennarsi.
__Dopo poco sono balzati su i due studenti. Pensavo che si fossero decisi a rompere la vetrina, invece hanno provato ad aprire l’altra porta, quella interna, che potrebbe immettere in un altro ufficio vuoto così come in una dimensione paradossale ed estranea. Più realisticamente, la porta è rimasta chiusa, è di quelle che, senza chiave, si aprono da un lato soltanto.
__Così si sono dileguati anche loro, senza parlare. Lo sguardo che hanno rivolto alla ragazza, e che lei ha ricambiato brevemente, non so se contenesse un appello: a unirsi a loro finché c’è ancora tempo, oppure a sorvegliare attentamente gli eventi. Deve essere proprio ciò che intende fare, perché ha voltato la testa e non si è mossa.
__Mi fa piacere che siamo rimasti in pochi e che, per l’immobilità silenziosa dell’uomo con la barba e della donna matura, io possa quasi considerarmi solo con lei, con la mia sorridente compagna. Si è alzata, finalmente. Ho apprezzato la sua leggerezza, e che mi abbia sfiorato prendendo la borsetta. Ho apprezzato pure che non abbia esclamato “Ora cosa facciamo?”, ma accondisceso a una complicità che è tratteggiata in muti segni di intesa, nelle sue ciglia, o nel tacito unisono al cui battito siamo rimasti qui.
__Mi sono tirato su per sgranchirmi, o per accostarla di nuovo. Guardandoci non ci siamo detti niente, quegli altri due ci osservavano senza darlo a vedere. Con un cenno lei me li ha indicati per avvertirmi del pericolo. Poi mi ha invitato nell’angolo più buio della stanza.
“Ci stanno ascoltando” ha mormorato, il suo fiato era lieve di erbe, così vicino al mio. “Non ricordo di quali errori hanno parlato”, mi sono girato a guardarli, la barba dell’uomo versava nella stessa inerzia dei suoi occhi. Della massaia era plausibile che stesse riflettendo, dentro il recinto di pochi pensieri obbligati. “E se fossero della casa editrice?” ha paventato la mia dolce amica.
__Mi ha intenerito la sua ingenuità, sostenuta dalla speranza tenue che io potessi proteggerla. Non avevo in animo di farlo ma non ho potuto non dirle il mio nome, come dandole un bacio a tradimento. Anche la mia speranza era tenue, ed entrambe avviate a cadere. “Così è lei – mi ha apostrofato – Lei è…”, ci siamo vergognati tutti e due di quel che ero, e ho preso a fissare il pavimento.
__Ancora per qualche istante è durata l’illogica possibilità che lei mi perdonasse, di vedere spuntare dalla borsa l’astuccetto del trucco per carpire un altro poco di tempo, e ripensarci. Invece la borsetta si è chiusa, i suoi passi sono risuonati di rabbia e io sono rimasto a occhi bassi. Non ho provato a trattenerla, né a guardarle un’ultima volta le caviglie.
__E’ sicuro, oramai, che l’uscio da cui è sparita sia realmente tale, che nessun baratro (o nessuno striminzito cunicolo) ne sia dislocato al di là. E’ sicuro che sia andata via solamente. Quei due mi scrutavano, in virtù di un distacco impercettibile dalla loro morte apparente. Insomma, è certo che non ci siano altri disguidi in questa trama irrealistica. Quando si sono alzati insieme, come automi, ho compreso che hanno udito il mio incauto approccio alla ragazza. I loro gesti nell’afferrarmi erano definitivi, più che davvero malevoli. “Burocrati” ho pensato.
__“Ora finalmente ci berremo un caffè” ha fatto la donna con calma, estraendo da non so dove una chiave. Mentre credevo che le servisse a prendere il libro dallo scaffale, si è fermata, come se l’ultimo paragrafo mancasse. “Sa bene che l’errore di cui dobbiamo occuparci è a pagina 21” ha detto, senza aggiungere “Perché, poi? Cosa sono questi stupidi trucchi?”, come temevo facesse. Mi hanno buttato contro la porta interna, accingendosi a usare la chiave per aprirla. E’ curioso che proprio ora io non riesca a ricordare che cosa c’è oltre la soglia, e nemmeno (sebbene sia l’unico a doverli conoscere tutti) quale sia l’errore di pagina 21. Nell’essere risospinto all’interno, nel buio, ho udito ancora la loro risatina, “Ma davvero ha creduto che siamo solo impiegati? Soltanto di una casa editrice…?”

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13 Commenti

  1. Il labirinto degli errori… Ho amato questo cammino strano nella grotta sura di una casa editrice. E’ un racconto che rammenta l’universo di Kafka: personaggi condannati a andare alla caccia degli errori, chiusi nel lavoro brutto.
    Strano il titolo. Prima di leggere, pensavo a un libro sull’amore, abbandonato alla prima bozza. Un libro che non arriva alla luce.

  2. Una stanza poco illuminata, undici sconosciuti accomunati dalle anomalie di uno stesso (?) libro, e in poche pagine si scatena un gioco delle apparenze che si sviluppa fino all’estremo. Anche il rapporto tra il protagonista e la sua “graziosa vicina di sedia”, che nasce da una delle più potenti forze di attrazione, quella tra un uomo e una donna, si smarrirà nel caleidoscopio di tali apparenze.
    Il “Libro…” è un “Lost” – non me ne voglia Paolo per l’uso del paragone attuale e profano con lo sceneggiato TV – costruito da chi si è formato con la migliore letteratura di sempre. Poi confermo la mia convinzione che egli abbia capacità non comuni di trovare e assemblare parole e frasi in una scrittura perfetta.

    Aldo Bontale

  3. E’ piaciuto anche a me, per la libertà di (non) interpretazione che lascia al lettore.
    La stoffa dell’assurdo su cui cammina il racconto è stesa su un tappeto di specchi. Instabile. Basta sollevarne un lembo e facciamo il gioco degli altri, riflettendo i nostri orrori.
    E ci difendiamo chiedendo conto agli altri dei loro errori, sorgenti di parole della nostra immaginazione.

  4. troppo lungo, mi spiace, da non letterato l’ho scartato…..perché non ho tempo e, anche a stamparlo, la sera sarei troppo stanco.

  5. Grazie a chi ha avuto (o avrà) la cortesia di intervenire. Pur non amando le dediche, mi piacerebbe (insieme con Orsola) che la pubblicazione di questo racconto possa essere di augurio ad Antonio Sparzani, perché torni presto alle sue belle attività.

  6. Stavo per farmi spaventare dalla lunghezza. Per fortuna qualcosa di misterioso, qualche impulso che probabilmente è fuoriuscito da quella misteriosa stanza, mi ha spinto a leggere e a non perdere una deliziosa pagina.

  7. Certamente Kafka. Per l’ispirazione nobile.

    Ma là si tratta di Novecento.
    E’ la metafora assoluta, irrisolvibile.
    Si continua a sfiorare [a sfidare] la “trascendenza”.

    Qua è il Secondo Millennio.
    Tossica la metafora, passata la data di scadenza.

    Pur essendo d’accordo con Plessus, che parla di “libertà di (non) intepretazione” lasciata al lettore, mi sono lasciato sfuggire tale libertà e mi sono messo a pensare a un possibile significato.
    Rinunciando alla metafora e leggendo il racconto come se fosse l’illustrazione di un “modello”, senza minimamente pensare che
    all’autore sia mai venuta in mente una cosa simile.

    Ma è verosimile:
    ciò di cui il racconto parla è il modello perfetto dell’Evoluzione.
    I refusi, di cui “i più adatti” faranno testo, non sono altro che le variazioni
    genetiche individuali che rendono possibile la varietà infinita delle forme di vita.

    Nessun Assoluto, nessun Creatore. Altro che Kafka.

  8. L’originalità della trama si accompagna ad un ritmo sempre sostenuto, privo di cadute. Bravo Paolo, continua così!

  9. All’originalità della trama si accompagna un ritmo incalzante privo di cadute. Bravo Paolo continua così!

  10. [ La dedica ha funzionato egregiamente! ]

    Questo filo d’Arianna nel raccontare, il non dire tutto/troppo, il non dire sempre di se con lo sguardo fisso all’ombelico, il dirlo per vie laterali, come “autobiografie altrui” non è facilmente praticato ed amato nelle patrie lettere.
    A rileggerti presto.

    ,\\’

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orsola puecherhttps://www.nazioneindiana.com/author/orsola-puecher/
,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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