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Una barca in cielo

di Antonio Sparzani

Voi siete su una barca in mezzo a un lago, e su questo lago scorrono delle onde, chiameremo treno d’onde il susseguirsi continuo di molte onde; queste fanno oscilla- re – non molto – la vostra barca, senza però disturbare i vostri maneggi, le vostre misure e i vostri calcoli. Siete soli e non avete di meglio da fare, così vi viene l’idea di misurare la velocità delle onde.
Voi, di preciso, cosa volete intendere con “la velocità delle onde”? Certo vi riferite alla loro velocità rispetto al lago, pensato come un tutto immobile, rispetto cioè alla terra che quel lago circonda. Così come quando si dice che la velocità del suono nell’aria è circa 340 metri al secondo, si intende rispetto all’aria nel suo complesso, ovvero rispetto alla superficie della Terra.
Allora, per fare una misura ragionevole, dovete anzitutto sincerarvi di essere fermi voi rispetto a quel complessivo riferimento, e quindi gettate una bella áncora che vi incateni al fondo del lago, e, una volta che siete certi di essere fermi – sempre rispetto al riferimento che avete in modo naturale scelto, lo chiameremo per intenderci il riferimento del lago – eseguite la vostra misura. Per esempio misurate di quanto si sposta un’onda in 4 secondi (sarebbe meno semplice fare una misura con un secondo solo): se trovate che in quei 4 secondi l’onda ha percorso 2 metri, significa che essa percorre 50 cm (un quarto di 2 metri) in un secondo, cioè la sua velocità è di 0.5 m/s, che, convertita, se più vi piace, in km/h fa 1,8 km/h, un pigro cammino.

Adesso voi fate ricorso a una nozione che avete bene imparato dai vostri studi di fisica: questa vi certifica che in qualunque direzione le onde procedano sulla superficie del lago, esse viaggiano con la stessa velocità, s’intende rispetto al riferimento del lago; questo è vero purché si tratti di onde non burrascose, o che si frangono vicino a riva, ma di onde regolari e non troppo alte, come ad esempio quelle generate dalla caduta nel lago di qualche corpo abbastanza pesante. E potete verificare facilmente la validità di questa informazione misurando la velocità, sempre rispetto al riferimento del lago, cioè di voi che siete ben ancorati, dei vari treni d’onda dai quali supporremo veniate di volta in volta investiti, provenienti da varie direzioni.

Se adesso voi levate l’áncora e procedete con la vostra barca, ad esempio in virtù di un piccolo motore, in una particolare direzione, con una velocità (rispetto al riferimento del lago) che indicheremo col simbolo V, e se da questa vostra nuova situazione volete ancora misurare la velocità delle onde del lago, potete certo farlo, s’intende che si tratterà della velocità rispetto a voi, non più rispetto al riferimento del lago. Cosa troverete? Certamente troverete che a seconda della direzione nella quale procedete, i diversi treni d’onda – che supponiamo sempre siate in grado di attivare a vostro piacimento – hanno velocità che, misurata s’intende dalla vostra barca, sarà diversa a seconda della direzione dalla quale procedono. Per esempio se un treno d’onde vi viene incontro da prua la sua velocità rispetto a voi sarà maggiore di quella che misuravate da fermi, mentre se un treno d’onde vi arriva da poppa la sua velocità vi sembrerà minore, al punto che se andaste esattamente alla stessa velocità del treno d’onda, questo vi sembrerebbe fermo (naturalmente voi sapete che vi state muovendo rispetto al riferimento del lago e quindi sapete che anche le onde si muovono rispetto a questo, ma rispetto a voi, esse appaiono ferme).

Allora avete raggiunto la seguente conclusione: se siete fermi rispetto al riferimento del lago, le onde vi sembrano andare alla stessa velocità in tutte le direzioni, mentre se vi muovete rispetto allo stesso riferimento le onde cambiano velocità, s’intende rispetto a voi, a seconda della direzione.

Allora ecco il rovesciamento di prospettiva fondamentale per capire una cosa molto importante che è avvenuta nella fisica di fine Ottocento.

Supponete di non vedere in alcun modo le sponde del lago, di non avere dunque punti di riferimento sicuramente fermi nel riferimento del lago, e di non avere un’áncora con una cima abbastanza lunga per raggiungere il fondo del vostro profondissimo lago. Non avete dunque un modo diretto per giudicare se vi muovete oppure no rispetto al riferimento del lago. Vero, ma avete un modo per così dire indiretto. Se è sempre nelle vostre facoltà, come supporremo costantemente, di generare treni d’onde nelle più varie direzioni, potete cominciare a misurare la velocità, rispetto a voi, di questi treni d’onde: se essi vanno tutti alla stessa velocità rispetto a voi indipendentemente dalla direzione dalla quale provengono, significa che siete fermi rispetto al riferimento del lago, se invece rilevate delle velocità differenti a seconda della direzione del moto dei treni d’onda significa che vi state muovendo rispetto al riferimento del lago. Non solo, ma, se riflettete un attimo sull’esempio precedente, vi accorgete che la vostra direzione del moto sarà quella da cui proviene il treno d’onde più veloce.

Questa storiella vorrebbe sussurrarvi quanto segue: la Terra è una barchetta nel grande lago, in verità un immenso oceano, dell’etere. L’etere, a differenza del mare, non sciaborda e non profuma, non si frange contro gli scogli e non offre di sé che uno spettacolo silenzioso e astratto ai sensi dell’uomo. Come dobbiamo usare la metafora del lago? I treni d’onda sono le onde luminose, ovvero la radiazione elettromagnetica. Infatti per tutto l’Ottocento si è teorizzato e con gran successo, che tale radiazione fosse un fenomeno di propagazione ondosa di un qualche cosa – i campi elettrico e magnetico – nel mezzo chiamato etere. Perché se una cosa è un’onda deve essere un’onda di qualcosa, ci vuole un mezzo sottostante, un supporto, per poter considerare delle onde. Mica potete dire un’onda di vuoto.

Siccome d’altra parte la concezione aristotelica della Terra come centro immobile dell’universo a questo punto era un tantinello superata, era improponibile pensare che, per un caso di magia astrale, la Terra fosse ferma nell’etere, tanto più che la Terra fa un moto intorno al Sole e il Sole a sua volta ruota nella nostra Galassia e questa si muove nell’ammasso locale di galassie, ecc. E allora ecco che si progettò un esperimento molto astuto per misurare se e in che misura la Terra si muove nell’onnipervadente etere, esperimento basato proprio sull’esempio della barchetta nel lago. Visto che non vi è dove gettare l’áncora nell’impalpabile etere e visto che non ci sono le “sponde dell’universo” alle quali riferirsi per misurare un movimento, l’ideale era ricorrere al metodo indiretto che vi ho raccontato sopra. Bastava cioè misurare la velocità della luce nelle varie direzioni e scoprire come questa variava a seconda della direzione di provenienza della luce stessa: così si sarebbe da un lato avuta la prova dell’esistenza dell’etere come mezzo di cui la luce è onda, e dall’altro si sarebbe saputo in un qualche modo “assoluto” in quale direzione andavano la Terra,e quindi il Sole, la galassia, ecc.

Il risultato di questo esperimento, effettuato in molte fasi dal 1881 al 1887, prima a Berlino dal solo Albert Abraham Michelson e poi negli USA da lui in collaborazione con Edward Williams Morley, noto tra i fisici come esperimento di Michelson e Morley, fu deludente e negativo. Non si riusciva a rilevare alcuna dipendenza della velocità dalla direzione di provenienza dei raggi luminosi. Non c’era verso. Qui non entro ovviamente nei dettagli dell’esperimento, voglio solo aggiungere che si trattava di un esperimento difficile e delicato. La velocità della luce è molto alta (300000 Km/s) e misurare piccole variazioni di questa era ai limiti delle capacità sperimentali di allora, tuttavia si riteneva che se ci fosse stata variazione si sarebbe stati in grado di misurarla.
.
E allora? La velocità della luce sembrava non dipendere affatto dalla direzione di provenienza. Si doveva pensare che la Terra fosse ferma nell’etere? Ma non scherziamo!
Una soluzione arrivò nel 1905, completamente fantastica e demenziale alle orecchie di un fisico classico. Ma fu una soluzione.
Come si vedrà nella prossima puntata.

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26 Commenti

  1. Una meravigliosa idea, Antonio, poetica. Non avevo mai pensato a misurare la velocità di un’onda. Mi rammento solo la felicità all’ orla del mare, quando la frangia d’acqua fa piccoli solletici sulla punta dei piedi; o allora, grande festa per il corpo, quando una vasta onda viene accarezzare il mio corpo o mi sferza la schiena. Puro piacere della velocità dell’onda che prende a sorpresa.
    La fisica puo essere poetica, quella buona notizia;
    Se avevo avuto lezioni di fisica come questa…

  2. @véronique vergé
    “il congiuntivo”, già alle elementari mi faceva tanta tenerezza, spodestato dal condizionale o dall’imperfetto.
    “Se avevo avuto lezioni di fisica come questa…”
    “Se avessi avuto lezioni di fisica come questa…”
    scusami, ma non non ho potuto farne a meno.

    matteo

  3. beh, già l’esperimento di Michelson-Morley mi aveva fatto sognare quando lo avevo letto per la prima volta. e divertire quando l’avevo rivisto all’università nel corso di esperimenti di fisica. ma spiegato coì sparz, scomposto e ricomposto in mezzo a rovesciamenti di prospettiva e navi che volano. beh, così… mi sento propio peter pan. già già. super.
    chi

  4. @ sparz

    affascinato dalla chiarezza e freschezza dell’onde luminosonore della prima puntata, resto in attesa della seconda

    @ matteo x véronique

    “Complicatibus: C’era un tempo un tempo finalmente finito.
    Simpliciter: Finito un tempo in cui c’era tempo? E come? Se c’era tempo, com’era possibile che fosse finito? Se c’era, ce n’era ancora; se finito, non ce n’era più. Com’era possibile allora?
    Complicatibus: Forse era un tempo senza possibilità, forse era un tempo senza possibilità di tempo, o senza possibilità di tempo ulteriore; o forse era un tempo solo e soltanto imperfetto.
    Simpliciter: Un tempo imperfetto?
    Complicatibus: Era è un tempo impereftto.
    Simpliciter: Era – è?
    Complicatibus: Non proprio: era imperfetto, ma è stato perfetto, se bene in modo improprio.
    Simpliciter: I suoi modi sono sempre impropri: c’era tempo, ma era finito, era imperfetto, ma è stato perfetto. Non sono certo dei modi propri di dire questi, né sono indicativi. Lei non è indicativo; i suoi modi di dire non sono indicativi di qualcosa, di qualcosa che abbia una certa proprietà. Non le è proprio nessun modo indicativo di qualcosa che abbia una certa proprietà congiuntiva? ”
    da “tempo libero”

  5. Dunque, grazie a un rovesciamento di prospettiva, la velocità delle onde è misurabile. Ma quale rovesciamento di prospettiva occorre per misurare la velocità del sogno?
    (La farina non è mia, ma proviene dal sacco zapatista)

  6. “completamente fantastica e demenziale alle orecchie di un fisico classico.”
    mi piace, aspetto la prossima puntata.

    @ véronique
    scusami, è stato più forte di me, ha ragione teqnofobico:
    “i tuoi commenti non hanno niente di cui vergognarsi”
    e poi l’italiano non è la tua lingua madre, e la mia è il dialetto.

    @teqnofobico
    touché, mi toccherà leggere tutto il dialogo per trovare la citazione, ma sarà un piacere.

  7. caro Carlo, se fai attenzione al linguaggio giornalistico, quando si parla di distribuzione delle frequenze tra i vari operatori delle diverse trasmissioni, l’etere è continuamente nominato, si dice talvolta perfino “la spartizione dell’etere”. Dunque nell’immaginario collettivo l’etere è ancora lì. Nella fisica, vedremo.

  8. Ciò che più mi piace è lo stile, l’eleganza dello stile.
    A parte il contenuto, che è divulgativo ma suona un “tantinello” troppo arido per i miei gusti.
    La materia trattata, del resto, non avrebbe consentito di fare diversamente.
    Lo stile però a me pare “espressionista” e scientifico nello stesso tempo.
    Un misto fra Thomas Bernhard e Italo Calvino, quello di “Ti con zero”.
    Non amo particolarmente questi due scrittori – della serie: ma la vita dove sta? – ma in quanto a stile (uso cosciente delle ripetizioni e precisione) hanno molto da insegnare.
    A me almeno.

  9. Tecnofobico: grazie, sei molto gentile. Ero vergognosa, perché maltrattare una lingua, è una mancanza di cortesia, il segno della negligenza o di uno spirito pigro.

    Matteo: niente problema dalla mia parte. E’ una buona lezione per me. Non ho mai imparato niente con rigore. Mi hai fatto riflettere;

    Sparz: aspetto la seconda parte. Il testo non lo trovo troppo scientifico.

  10. Trovo l’italiano di Veronique tenero e davvero poetico..Ogni volta che leggo i suoi commenti mi pare di poter vedere anche l’espressione del suo viso, tanta è l’urgenza emotiva che sollecita la sua scrittura..Trovo quelle imperfezioni gradevolissime, vorrei non le correggesse mai..

  11. Grazie Anna e Madeleine: penso che devo essere corretta. Amo la lingua italiana e spero non troppo maltrattarla. Essere straniera non è una scusa. La lingua deve arginare l’emozione, non il contrario. Ammiro molto la lingua classica francese per la sua sobrietà, il giusto ritmo. Immagino il mio italiano tutto sgangherato: non è come vorrei…

  12. Aggiungo per Anna e Madeleine che mi hanno fatto tenerezza. Mi sono sentita apprezzata e accolta. Belle l’amicizia e la delicatezza.
    Che significa mandi biele?

  13. Cara Véronique (tra l’altro anche io sono una di quelle che trova – spesso – amabili i tuoi commenti), significa “ciao bella”.
    “Mandi”, in friulano (il Friuli è una regione d’Italia, tra l’altro bellissima) è un saluto, come “ciao”: e letteralmente, così mi hanno spiegato, significa “nelle mani di Dio”.

    Dalla fisica al friulano il passo è breve…

  14. non capisco rispetto a quale fonte si ripromettevano di misurare la velocità della luce.
    una stella esterna al sistema solare?
    insomma la fonte delle onde mi pare essenziale.
    o no?

  15. caro Tash, la fonte delle onde non è importante: nell’esempio della barca non è importante da chi siano state provocate, ovvero emesse, le onde, perché si sa che le onde sulla superficie si muovono tutte sempre alla stessa velocità, s’intende rispetto al lago. Del tutto analogamente ci si aspettava che le onde luminose provenienti da stelle lontane o da fonti vicine, andassero sempre alla stessa velocità rispetto all’etere e dunque fossero riscontrabili dalla Terra velocità diverse a seconda della direzione. Ma ciò non fu.

  16. chiedo solo un altro chiarimento:
    “si sa che le onde sulla superficie si muovono tutte sempre alla stessa velocità,”
    ok, ma vale per tutte le onde provocate da un determinato evento, oppure per tutte le onde di tutti gli eventi?

  17. funziona così: dato un generico mezzo (l’aria, l’acqua, il vetro, ecc., o l’etere) le onde si possono propagare attraverso di esso ad una velocità che dipende solo dal mezzo, e precisamente dipende dalla sua densità e dalle sue caratteristiche elastiche. Quindi anche per l’etere si supponeva che le onde (in questo caso elettromagnetiche e non sonore, come nel caso dell’aria o dell’acqua) si dava per buono che qualsiasi onda elettromagnetica (luce tipicamente) si propagasse attraverso l’etere con una fissata velocità, dipendente solo dalle caratteristiche di densità e di elasticità dell’etere stesso. Il che naturalmente era molto arduo da controllare, data l’impossibilità di “toccare con mano” questo supposto mezzo, che sfuggiva a qualsiasi indagine.

  18. Tash, il fatto è che le onde del lago sono onde superficiali, molto più complicate da descrivere che le onde che si propagano all’interno di un mezzo, come ha fatto Sparz qui sopra. Le onde superficiali hanno luogo “all’interfaccia” tra due mezzi, acqua ed aria nel caso del lago, e sono influenzate dalle caratteristiche della superficie, la differenza della media delle velocità all’interno dei mezzi (cioè il vento, nel caso del lago), dalla gravità.

    In pratica, se il lago è “sufficientemente” profondo, la velocità delle onde è proporzionale alla radice quadrata della lunghezza d’onda. Wikipedia mi dice che il fattore di proporzionalità è circa 1.25 metri alla mezza per secondo.

    Per rispondere alla tua domanda, quindi, solo onde con la stessa lunghezza d’onda si muovono alla stessa velocità. Onde con lunghezza d’onda diversa avranno velocità diversa.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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