ANIMAzioni#04: “Kafka” [1991] di Piotr Dumała

«un’immagine della mia esistenza sarebbe una pertica inutile, incrostata di brina e di neve, infilata obliquamente nel terreno, in un campo profondamente sconvolto, al margine di una grande pianura, in una buia notte invernale»

Franz Kafka, Confessioni e Diari (1972), Mondadori, Milano, a cura di Ervino Pocar

[ Piotr Dumala – 1956 – animatore polacco – ci conduce con questo cortometraggio in un’atmosfera da sogno scuro – un incubo a sprazzi di luce da cui emergono particolari realistici minuziosamente incisi – un taglio di viso – di oggetto – di luogo – subito di nuovo inghiottito da un buio – minaccioso e pietoso insieme – tunnel senza uscita – la tecnica di Dumala è bulino meticoloso di antico incisore – gravure su tavola vergine e neutra di gesso dipinto di nero – con aghi e raschietti sottili toglie materia lasciando apparire le linee bianche – quadro per quadro delle riprese in stop motion – poi di nuovo nero a coprire il bianco – tabula rasa per restituire la sequenza successiva di questo mondo pieno di ombra – vuoto e solitudine – con frammenti di realtà – emozione per emozione – sconforto per sconforto

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usando i diari di Kafka – le lettere – i racconti – senza parole – senza ridondanza di parola – Dumala da un’interpretazione e una sintesi per immagini della vita dello scrittore – della sua nascita creativa e della discesa nell’isolamento e nell’alienazione – lavoro di anni nel buio del suo studio sotterraneo per 16 minuti di film – fotogramma per fotogramma -brandello per brandello – trasformando alchemicamente la materia in movimento

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la precisione è la stessa della scrittura di Kafka in cui personaggi e luoghi e situazioni sono descritti con estremo minuzioso attento realismo – a tal punto da trasformare questa qualità concreta – per eccesso e per corto circuito di accuratezza – nelle sue implicazioni emblematiche e simboliche – con lo stesso meccanismo dei sogni in cui le due dimensioni procedono su binari paralleli con imprevedibili sovrapposizioni e focalizzazioni e sfocature (l’eccesso di realtà che finisce per diventare inquietante, colpito e dominato dall’incantesimo di una grande colpa superiore, misteriosa ed invincibile)

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per le animazioni la domenica pomeriggio è il giorno ideale – la domenica è il ricordo del cinema Gnomo – dietro Sant’Ambrogio – Città di Milano – passato che si sente ancora prossimo e non si rassegna a declinarsi remoto come dovrebbe – grammaticalmente – sedie di legno vibranti legate insieme che si muoveva una e ondeggiavano tutte – buio chiassoso di bambini – dove si faceva il tifo per Riccardo Cuor di Leone versus Sceriffo di Nottingham – mentre il fondale azzurro tremava al passaggio dei cavalieri – l’uomo dei gelati con la cassettina a tracolla aveva la giubba rossa con gli alamari e sbucava da un circo con gli orsi in bicicletta e le scimmie vestite con braghe dal cavallo basso da cui spuntavano i piedi/mani – la Bomboniera Algida era sempre mezza sciolta – e cose così ]

 

 

ANIMAzioni#01: “LE NEZ” di Alexandre Alexeïeff e Claire Parker [ 1963 ]
ANIMAzioni#02: “LA MANO” di Jirí Trnka [ 1965 ]
ANIMAzioni#03: “Father and Daughter” [2000] di Michaël Dudok De Wit

 

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46 Commenti

  1. @ orsola

    “cose così” son cose che s’animano di vita per mai dubitare che ove sian cose sia vita e ove sia vita sian cose: grazie.

  2. Amo l’ambiente di oscurità, come tempo passato, come lento lavoro di topolino. Mi rammento un racconto di Kafka “Le terrier” che mostra l’uomo animale affrontando un pericolo misterioso. E’ la tana della scrittura.
    Una vocazione religiosa della scritttura, con la piccola luce che illumina la paura che prova l’uomo nella vita. Questa luce è un alone nel film, viaggia nella camera: l’oggetto si stacca, come si svela l’ombra dell’inconscio in noi.
    Il diario, la corrispondenza è il bagliore che dà chiarezza alla creazione. Si scopre un uomo dedicato alla verità della scrittura, un uomo spaventato davanti il matrimonio: un eterno celibe.
    Amo in Kafka questo fuoco, questo sguardo immenso.

    Grazie, Orsola, per il momento di poesia intense, per questo murmuro d’amore nel film

  3. Dimenticavo: il mio racconto preferito è le champion du jeûne.
    E la corrispondenza con Milena: superbe.
    E La lettera al padre.
    Ma amo tutto di Kafka.

  4. la signora malinconia viene
    da mondi lontani a visitare
    la nostra domenica pomeriggio
    e ci trasporta in mondi lontani
    mai così vicini al pomeriggio
    della nostra domenica

    Grazie, Orsola.

  5. @orsola
    era solo una richiesta di chiarimento circa la tecnica.
    ho questo deplorevole vezzo della precisione: finora la plastilina era una materia plasmabile, morbida, per modellare: mi interesso di tecniche grafiche e dalla plastilina non mi sembra possibile ottenere effetti come quelli del film qui sopra.
    (tempo perso, in effetti)
    nota critica:
    da questo film si evince una volta di più che kafka risulta alla fine (seppur magnifico) tautologico: ogni cosa che lo riguarda o è alla maniera di, come questo film pieno di “atmosfere kafkiane”, oppure è indicibile.
    purtroppo il “kafkiano” alla lunga risulta kitsch: berlusconi dichiara oggi che la situazioni della commissione vigilanza RAI è “kafkiana”: cvd.

  6. due note
    la prima per Orsola straordinaria projectioniste a cui chiedo quando parte il cineforum che organizzerà nel giardino di casa
    la seconda per tash
    devo dire che ogni volta che si annuncia una “visione di Kafka” chissà perché sogno qualcosa di gaio, luminoso, raggiante. Come quando – raccontava il suo migliore amico- kafka leggeva le metamorfosi nei pub e la gente rideva
    effeffe

  7. “Dumała incide con aghi sottili la faccia superiore di una lastra di gesso, posta sotto la macchina da presa e precedentemente ricoperta con della pittura nera: graffiando via il colore ottiene linee bianche su sfondo nero. Talvolta vi applica al di sopra una lastra di vetro, sulla quale aggiunge quei particolari che ha necessità di animare in modo separato dal resto della composizione.”

  8. Dire che Kafka è kafkiano (o che Bunuel è bunueliano, o Thelonious Monk monkiano, etc.) non è una tautologia né una petizione di principio, bensì una attestazione che caratterizza i grandissimi: quelli che hanno creato il linguaggio attraverso cui definirsi, e che prima non esisteva. Il film è kafkiano ma avrebbe potuto non esserlo, ed è bello non perché kafkiano ma perché bello (tautologia, questa, dovuta alla bellezza che si spiega unicamente attraverso sé stessa).

  9. il fatto è che kafka non poteva non essere “kafkiano”, mentre il “kafkiano” corrente è quasi sempre la scelta di una maniera di cui lui, ovviamente, non è responsabile.
    un buon esercizio sarebbe provare ad immaginarsi kafka mentre fa un pic nic in una bella giornata di sole, con una ragazza, invece che, as usually, sdraiato al buio in forma di scarafaggio: considerare l’opera in modo autonomo rispetto all’autore che l’ha prodotta, costruita, immaginata, ma non necessariamente, non completamente, vissuta.
    già sarebbe un passo avanti, per dire.
    aiuterebbe a non avere per sempio di kafka, una visione culturalmente “turistica”, come ad essere franco, mi appare quella dei questo film.
    dove per turistisco si intende la ricerca del caratteristico: ristorante KAFKA, piatti tipici kafkiani.

  10. Grazie mille Teqnofobico, hai sempre il gesto delicato che fa piacere.

    Kafka raggiante, forse nello suo sguardo comico. Per esempio nella sua manera di fare avvicinare l’uome e l’animale.
    Kafka raggiante anche nella sua attrazione per le donne di passaggio.
    E’ vero cio che tu dici, effeffe. Riconsiderare uno scrittore è vedere un aspetto sconosciuto del suo arte.

  11. Articolo molte interessante. Il comico è diverso in Kafka ” acte manqué ” (il personaggio manca il suo gesto), “tratto d’umorismo (mot d’esprit), metamorfosi grottesca, animalità, capovolgimento comico, stranezza burlesca, ironia crudele, scherzi.
    Il riso in Kafka è di una grande diversità.

  12. Il riso di Kafka è mortale.

    Ma non è quello, ancora caritatevole,
    che seppellisce.

    Il riso di Kafka è quello che scava la fossa sotto i piedi.
    All’umanità e a se stesso.

  13. avete ragione, e non può che essere così (mi riferisco ai commenti di effeffe, teqnofobico, Véronique), se si pensa alla relazione tra ebraismo e risata, tra umorismo e cultura yiddish (anche per un ebreo occidentale e sradicato come Kafka)

  14. L’unico umorismo ebraico che può reggere un confronto con quello di Kafka,
    è l’umorismo che mettono in scena a spese di Giobbe: il Signore, Satana e i suoi amici.
    A meno che non si confonda Kafka con Woody Allen o Philip Roth.

  15. [ le categorie kitsch&turismo culturale fanno parte di un 3×2 saldi di fine stagione della critica prêt-à-porter che trovo sempre bassa e buona per tutte le 4 stagioni, secca e triste come i carciofini che campeggiano sull’omonima pizza, in relazione al film di Dumala poi le trovo davvero inessenziali e superficiali – il gesso è quello di Parigi, comunemente scagliola]

    Parlare di comicità di Kafka è simile a rilevare la grande tragicità di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
    Tocca intendersi su cosa si intende per comicità.
    O per tragicità.
    Il riso è giallo, un rire jaune, scuro, contratto.
    Amarognolo.
    Fa prillare un piatto sul dito, da sotto il quale sbucavano veloci scarafaggi, e scivola via dalla sedia trasformato in cane.

    Un comico come qualcuno diceva che si configura come “castigo sociale”,
    come stigmatizzazione di comportamenti contrari alla logica imposta. Come diversità.

    Grazie a tutti.

    ,\\’

  16. mi permetta: tra comicità e umorismo la demarcazione è piuttosto intuibile.
    Quanto alla tragicità (e al grottesco, che alla tragicità e all’umorismo s’accompagna) di Ciccio Ingrassia, ricordo il personaggio dell’onorevole Voltrano in Todo Modo di Elio Petri.

  17. concordo

    la demarcazione è intuibile forse ma sempre sottile

    non ero ironica nel parlare della tragicità di F&C
    li avrei visti come attori ideali per Beckett
    o Thomas Bernhard

    ,\\’

  18. casualmente rileggendo America per altri motivi mi sono imbattuta in un dialogo, che si svolge su balconi contrapposti, di comicità del tipo di cui si parlava:

    «Come?» disse Karl, «di giorno fa il commesso e di notte studia?».

    «Sì », disse lo studente, «non ho altra scelta. Ho già tentato tutto il possibile, ma questo modo di vivere è ancora il migliore. Qualche anno fa studiavo soltanto, giorno e notte, sa, ma sono quasi morto di fame, dormivo in una vecchia stamberga, e col vestito che avevo non osavo quasi andare alle lezioni. Ma è acqua passata».

    «E quando dorme?» gli chiese Karl, guardandolo meravigliato.

    «Già, dormire!» disse lo studente. «Dormirò quando avrò finito gli studi. Per ora bevo caffè nero». E si volse e prese da sotto il tavolo una grossa bottiglia, si versò del caffè nero in una tazzina e lo trangugiò in fretta, come si fa con una medicina per cercare di non sentire il sapore.

    «Che bella cosa, il caffè nero», disse lo studente. «Peccato che lei è troppo lontano perché possa offrirgliene un poco».

    «A me non piace il caffè nero», disse Karl.

    «Neanche a me», disse ridendo lo studente. «Ma non posso farne a meno. Senza il caffè nero Montly non mi terrebbe neppure un giorno. Dico sempre Montly, anche se lui naturalmente non sa neppure che esisto. Non so proprio come mi comporterei al negozio se non tenessi sempre pronta nel banco una bottiglia grossa come questa; non ho mai osato interrompere quest’abitudine, ma mi creda, se non bevessi il caffè mi stenderei subito dietro il banco e mi addormenterei. Purtroppo credo che al negozio lo sappiano, mi chiamano “caffè nero”, ed è uno stupido scherzo che certo ha già danneggiato la mia carriera».

    «E quando finirà i suoi studi?» chiese Karl.

    «Ci vuole tempo», disse lo studente a testa bassa. Si allontanò dalla ringhiera e si sedette di nuovo al tavolo; quindi appoggiò i gomiti sul libro aperto e passandosi le mani tra i capelli disse: «Ci vorranno ancora da uno a due anni».

    «Anch’io volevo studiare», disse Karl, come se questo fatto gli desse diritto a una confidenza ancora maggiore di quella già dimostratagli dallo studente, che ora si era ammutolito.

    «Ah», disse lo studente, e non si capiva bene se leggeva di nuovo il suo libro o se guardava distrattamente nel vuoto, «si rallegri di aver abbandonato gli studi. Io in realtà studio da anni solo per costanza. Soddisfazione ne ho poca, e prospettive per il futuro ancor meno. Che prospettive potrei avere? L’America è piena di falsi dottori».

    «Io volevo diventare ingegnere», disse ancora in fretta Karl allo studente, che sembrava già pensare a tutt’altro.

  19. Ok, sto film sarà pure kafkiano, ma è un kafiano di ottima qualità, mi pare. Forse perché, oltre al tratto bellissimo e alcuni scarti rispetto alla kafianità (il pezzo di praticello, ad esempio) trasmette uno sguardo trattenutamente partecipe, una pietas, come diceva Orsola.
    Mi è piacuta molto la battuta di Soldato Blu, ma fra Kafka, Giobbe e Woody Allen ecc. ci sono state varie manifestazioni di umorismo ebraico piuttosto inquietanti. Anche la poesia di Celan ne contiene, di quella stessa specie che è insieme esilarante e una spinta secca nel precipizio.
    In ultimo, a tempo perduto, mi arrovello sulla traduzione del “caffé nero” che in tedesco, inglese e francese (se non sbaglio) sarebbe il modo naturale per dire “senza latte”, ma in italiano suona un po’ così. Non so, io un po’ di “nero” proverei a levarli, voi che ne dite?

  20. kafka per me è la Legge.
    tu sai che c’è la Legge.
    ma non sai, non saprai mai, cosa dice, qual è il suo dettato.
    tu sai, perché li vedi e più spesso li immagini, dei guardiani della legge, dei giudici, dei funzionari, di tutti coloro che sanno ciò che tu non sai e non saprai mai.
    loro sanno tutto di te, tu nulla di loro.
    eccetera.
    kafka per me è il messaggero che da tempo immemorabile sta viaggiando per raggiungerti, ma non ci riuscirà mai.
    il messaggio contiene le verità di cui hai bisogno, naturalmente.
    ma non lo leggerai mai.
    kafka è la muraglia di cui nessuno sa con certezza se sia infine completa, oppure no: anzi, è statisticamente certo che vi siano ancora dei varchi dai quali è statisticamente certo che prima o poi irromperanno i mongoli.
    kafka è il portone su cui ha dato due colpi di nocche, a causa dei quali non passerà il pomeriggio e ti verranno a prendere, per punirti.
    anche questo è kafkiano, certo.
    meglio andare alla fonte, allora, piuttosto che produrre cose kafkiane.
    anche belle, certo.
    (io, di default, rompo, lo so)
    eccetera.

  21. come nel “Processo” di Orson Welles, insomma, la scena del tribunale, per intenderci…
    effeffe
    ps
    Ho a volte l’impressione – ma non qui di certo- che si confonda kafka con kafkiano, come quando una lettrice chiese al libraio:
    “vorrei il processo di kafka” ma non mi ricordo l’autore
    @ Helena
    http://it.youtube.com/watch?v=AYbcM4LkOnI
    chi scriverà a Fiorella Mannoia :-)

  22. nel retrobottega di NI c’era un commento in moderazione che, per un mio errore, ho involontariamente cancellato (mentre, in realtà, volevo “sdoganarlo”). Chiedo scusa all’autore e gli chiedo, se gli va, di replicarlo.

  23. Bella e di raffinata fattura l’animazione trasmessa. Ma senza profonde relazioni con l’opera di Kafka, di cui si limita a riproporre, in termini visivi, la superciale impressione che essa da sempre suscita nei superficiali lettori. Il suo difetto principale sta nel realismo, basato evidentemente sulla convinzione – trita e ritrita – che l’opera di Kafka si spieghi attraverso la sua biografia.

  24. mah… non credo proprio fosse nell’intenzione dell’autore in 16 minuti di animazione di fare “profonde relazioni con l’opera di Kafka ecc… ecc… ”
    ma forse il dare una sua visione, una sua suggestione visiva su Kafka.
    Molte cose inoltre si ritrovano nei Diari e se non son biografia quelli…
    La percezione di “trito e ritrito” è soggettiva e dipende dai polpettoni che si masticano o si scrivono.

    ,\\’

  25. potenza della tecnica “per levare”, dove non si deve raggiungere il nero per accumulazione di segni (vedi gb piranesi), ma si procede in senso contrario, a partire dal nulla/tutto del buio e andando verso la luce: levando nero, qui e là.
    esistono quadri famosi che usano una tecnica simile, di solito partendo da un bruno di fondo, procedendo a schiarire e lasciando lo sfondo intatto dove si vuole il massimo dello scuro, dell’ombra.

  26. @ orsola puecher

    Mi pareva di esser stato chiaro sul valore dell’animazione proposta che, lo ripeto, nel suo genere è bella e godibilissima, come del resto hanno affermato tutti quelli che sono intervenuti. Per questo trovo eccessiva la sua risentita reazione al mio commento che voleva solo mettere in luce il superficiale rapporto del video con l’opera di Kafka, rapporto basato evidentemente sulla vulgata che spiega la produzione del praghese con la sua particolare biografia. Tra l’altro il suo argomento a difesa dell’autore – che non abbia potuto o voluto rapportarsi al senso profondo dell’opera kafkiana, ma solo dare di questa “una sua visione…una sua suggestione visiva” – suona come un’accusa per l’autore stesso, che, in quanto artista, è tenuto a tenersi al massimo livello delle sue possibilità espressive, e di quelle delle opere cui si ispira.

  27. – per me non è superficiale affatto il rapporto del video con l’opera di Kafka: ricalca pari pari nella struttura dei fotogrammi, nei gradi delle angolazioni, nel procedere della sintassi narrativa, la struttura formale della sua scrittura, l’ordito psicologico. Principalmente la natura simbolica del suo “realismo”.
    – non ho nessuan spocchia verso un’interpretazione biografica di un autore, anzi credo fermamente che ogni romanzo degno di questo nome sia sottilmente “autobiografia altrui”
    – nel passaggio dalla scrittura alle arti visive, dalla carta al tridimensionale dell’animazione, del teatro, del cinema, dell’opera lirica mi pare legittima anche la vulgata quando confina virtuosamente con la divulgazione e il non essere “tenuti a tenersi” a nessun fantomatico massimo livello critico e filologico ma alla propria interpretazione, parziale e pregevole proprio in quando parziale e magari “infedele”.

    ,\\’

  28. @ orsola puecher

    E’ il mio ultimo intervento su questo argomento. Le rispondo.

    – Non c’è alcuna natura simbolica in ciò che lei chiama “il realismo di Kafka”. Non ci sono simboli nella sua opera.

    – La vita dell’autore non spiega l’opera, ma ne è solo l’ovvio presupposto naturale. L’opera è indipendente dalla vita empirica e dalle intenzioni del suo autore. Ciò vale in generale, ma in particolare per Kafka.

    -Non si tratta di tenersi “a un fantomatico massimo livello critico e filologico” ma semplicemente di capire che un’opera d’arte, e massimamente quella di Kafka, ha una sua legalità, una sua obbiettività, alla cui disciplina bisogna sottoporsi per capirla e penetrarla. L’opera non è relativa, per cui sarebbe liberi di interpretala come si vuole, ma vincolante e univoca attraverso la legge obbligante della sua forma.

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