Una barca senza più cielo

di Antonio Sparzani

Si chiama ancora Banato 1 una regione al centro dei Balcani che comprende oggi una parte della Vojvodina – regione della Serbia – una parte della Romania, comprendente la città di Timişoara (ungher. Temesvár, considerata la capi- tale del Banato), e una piccola porzione dell’Ungheria meri- dionale. È stato per secoli luogo di incontro – e talvolta di scontro – di almeno una decina di diversi popoli e di migrazioni e meticciato. Era parte, alla fine del XIX secolo, del vasto impero Austro-ungarico e in quanto tale caratterizzato da una efficiente burocrazia e da una certa cura nell’istruzione pubblica. Titel è quella cittadina della parte sudorientale della Vojvodina dove nacque nel 1875 Mileva Marić, figlia dell’agricoltore benestante Miloš Marić: era la primogenita e la preferita dal padre che fu attento alle sue qualità e alle sue esigenze durante tutta la sua esistenza. Mileva era leggermente zoppa e considerata bruttina, ma aveva capacità intellettuali senza alcun dubbio eccezionali. Talmente si distinse nelle scuole elementari e medie inferiori che il padre la mandò al Reale Liceo serbo di Šabac, in Serbia e fuori dai confini dell’impero Austro-ungarico che a quel tempo non ammetteva le donne agli studi superiori.

Dotata di una volontà ferrea, Mileva 2 decise poi, sempre appoggiata dal padre, di proseguire gli studi a livello universitario: dovette a questo scopo andare in Svizzera, a Zurigo, a quel tempo unico luogo in Europa dove le donne erano ammesse a questo livello di studi. Conseguita definitivamente la maturità, nella primavera del 1896, alla Scuola Federale di medicina di Berna, e dopo qualche incertezza, nell’autunno dello stesso anno superò l’esame di ammissione al Polytechnikum 3 e fu ammessa alla sezione VI A, matematica e fisica; nel suo anno di corso era l’unica donna. Tra gli altri iscritti al medesimo corso, sempre nell’autunno 1896, vi erano Albert Einstein (di quattro anni più giovane di lei) e Marcel Grossman.

La passione di Mileva e Albert fu anzitutto una passione intellettuale, ognuno dei due ammirava profondamente l’altro per le sue doti, per le sue capacità e per la facilità nell’apprendere ed elaborare nuovi argomenti; quando questa passione assunse connotati diversi, e quando Albert ebbe un posto stabile all’Ufficio Brevetti di Berna, i due si sposarono, civilmente, a Berna, il 6 gennaio 1903. Nel maggio 1904 nacque Hans Albert, il loro primogenito.

Testimonianze dirette della stima che Einstein aveva per Mileva sono le lettere, di recente ritrovate, nelle quali egli spende parole non equivoche rivolgendosi a lei (“tu sei l’unica al mio livello”, “solo con te non mi sento solo”, ecc.). 4

Sono gli anni della gesta- zione di una teoria, che verrà in seguito infelice- mente denominata da Planck teoria della relatività (in seguito Relatività speciale, per distinguerla da quella proposta sempre da Einstein nel 1916 che sarà detta relatività generale), destinata a cambiare una fase nell’evoluzione della fisica. Non vi è a oggi dubbio alcuno che Mileva Marić abbia letteralmente collaborato con il marito, al suo livello, per dare forma alla teoria, curandone soprattutto gli aspetti matematici, così come al resto della cospicua produzione scientifica, normalmente attribuita al solo Einstein, nel celebre annus mirabilis, il 1905. Va forse ricordato che nella motivazione del Nobel assegnato ad Einstein nel 1921, non si faceva cenno alla relatività, ma alla sua teoria, sempre pubblicata nel 1905, dell’effetto fotoelettrico.

Questa teoria propone una soluzione radicale e in apparenza delirante ai problemi che abbiamo visto nella barca in cielo. La radice della soluzione è questa: che la luce 5 è un fenomeno assolutamente fondamentale nell’universo, che essa riveste un ruolo affatto speciale e che quindi gode di proprietà uniche. Gode tra l’altro anche della seguente strabiliante proprietà: se un osservatore Tizio misura la velocità della luce e trova un certo valore c, un altro osservatore Caio, che si muove rispetto a Tizio con una certa velocità V, misura come velocità della stessa luce lo stesso valore c. Sarebbe come dire che se la velocità di un treno viene misurata rispetto alla banchina e rispetto ad un altro treno che corre sulle rotaie parallele a 100 Km/h, i due risultati sono uguali.

Un vero scandalo, qualsiasi fisico, ma anche una qualsiasi persona di buon senso, allevato nelle idee, che sono quelle intuitive, della fisica classica, si ribella a una tale assunzione e la ritiene indifendibile.
Eppure questa fu l’idea chiave.
Siccome questa idea cozza aspramente contro tutto quel che la fisica classica riteneva come acquisito, è evidente che se si vuol mantenere una teoria complessivamente coerente, si dovrà pagare il prezzo di cambiare qualcosa di piuttosto profondo nella concezione classica. Ma ai creatori della teoria non importava, l’idea di mantenere alla luce il suo ruolo e significato fondamentale era più forte e li spinse a cercare delle modifiche della teoria classica che permettessero di alloggiare in una nuova teoria coerente al suo interno quell’assunzione così strana.

Era necessario modificare la teoria classica in alcuni dei suoi aspetti fondamentali, e per far questo si attaccò l’idea di simultaneità: fino a quell’istante nessuno aveva mai messo in discussione il concetto di eventi simultanei, in quanto aventi luogo nello stesso istante. Ma il punto fu proprio questo, cosa vuol dire allo stesso istante? Se si tratta di due eventi che vedo qui nei miei dintorni, non c’è problema nell’idea di vederli accadere nello stesso istante, ma se si tratta di due eventi lontani tra loro nello spazio, visto che io per avere notizia di eventi lontani ho bisogno della luce, bisogna tener conto del fatto che essa si propaga con una velocità molto alta, ma finita (non infinita, come ancora pensava Cartesio). Di nuovo vedete che il ruolo della luce è assolutamente basilare in tutta la costruzione: l’unico mezzo che considero per conoscere eventi lontani da me è quello di ricevere da essi segnali luminosi, non altri tipi di segnali; e questo naturalmente perché non conosciamo altri tipi di segnali che si propaghino nel vuoto.
Nel vuoto?
Ma non c’era l’etere?
Eh già, ma adesso l’esistenza dell’etere non sembra più compatibile con la nuova teoria: se infatti la luce fosse un’onda nell’etere, essa avrebbe velocità fissa rispetto all’etere, e se io mi sposto rispetto all’etere dovrei rilevare una velocità diversa, e invece non è così. Dunque l’etere viene dichiarato nell’articolo del 1905, firmato dal solo Einstein, come überflüssig, superfluo, gentile eufemismo per dire che non ci può proprio più stare.
Dunque la barca ha perso il suo cielo, l’etere era detto dai fisici medievali di Parigi (XIV secolo) la sostanza del cielo.

Ma allora la luce, se non è più un’onda d’etere, che cosa è? Sentite questa straordinaria risposta che fornì Einstein stesso in un articolo del 1909, scritto per giustificare questa strana situazione nella quale l’etere è stato ufficialmente abolito, ma la luce c’è ancora:

« Oggi però dobbiamo guardare all’ipotesi dell’etere come ad un punto di vista superato [überwundenen], [ … ] Il maggior progresso che l’ottica teorica ha compiuto dall’introduzione della teoria ondulatoria consiste certo nella geniale scoperta da parte di Maxwell della possibilità di concepire la luce come un processo elettromagnetico. Questa teoria prende in considerazione, in luogo delle grandezze meccaniche, quali la deformazione e la velocità delle parti dell’etere, gli stati elettromagnetici dell’etere e della materia, e riduce in questo modo i problemi ottici a problemi elettromagnetici. Quanto più la teoria elettromagnetica si è sviluppata tanto più s’è spostato sullo sfondo il problema della possibilità di ricondurre i problemi elettromagnetici a problemi meccanici; ci si è così abituati a trattare i concetti di campi elettrico e magnetico, densità spaziale di carica elettrica, ecc., come concetti elementari, che non necessitano di alcuna interpretazione meccanica. » 6 Vedete come cambiano le cose nella fisica: le domande cambiano. Le vecchie domande “si portano sullo sfondo”, non interessa più il problema di che cosa sia la luce, essa diventa un primum..

Per quanto riguarda gli sconvolgimenti prodotto da questo nuovo modo di affrontare i problemi di base della meccanica, qualcosa vi dirò, sempre cercando di lasciar stare le formule, anche perché non saprei come metterle in wordpress, nella prossima puntata, nella quale verrà anche spiegato quell’avverbio infelicemente usato più sopra riferito a Planck.
Una barca in cielo si trova qui.

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NOTE
  1. in ungherese bánszág, in serbo, croato e bosniaco banovina, dalla parola bano, che designava anticamente il capo di una comunità, etimologia discussa
  2. una particolareggiata e affettuosa biografia di Mileva è: Desanka Trbuhović-Gjurić, Im Schatten Albert Einsteins. Das tragische Leben der Mileva Einstein- Marić, Paul Haupt, Bern, 1988, trad. francese Mileva Marić, Des Femmes Antoinette Fouque, Paris 1991.
  3. oggi ETH, Eidgenössische Technische Hochschule, il celebre Politecnico Federale di Zurigo
  4. in Albert Einstein Mileva Marić, Lettere d’amore, Bollati Boringhieri, Torino 1993.
  5. quando si dice “luce” si intende una qualsiasi radiazione elettromagnetica: onde radio, luce visibile, radiazione ultravioletta, raggi X, raggi γ, sono tutte radiazioni elettromagnetiche che differiscono solo per la propria lunghezza d’onda.
  6. Einstein Albert, Über die Entwickelung unserer Anschauungen über das Wesen und die Konstitution der Strahlung, Deutsche physikalische Gesellschaft, Verhandlungen, vol. 7 (1909), pp. 482-500..

12 Commenti

  1. Grazie per l’articolo. Mi piace questa passione intellettuale. Un amore nella complicità del pensiero. Donne che sono les pionnières del legamo amoroso intelligente.

  2. Caro Antonio, sempre grazie per questi densi e allo steso tempo ‘eterei’ saggi divulgativi. Hanno il pregio di semplificare all’osso lasciando intatta la sostanza scientifica. Virtù rarissima. Ora però ti pongo un quesito: a chi dobbiamo il riconoscimento della natura insieme corpuscolare e ondulatoria della luce? Credevo, sbaglianfo, che essa risalisse proprio a Einstain. Ma forse occorrerà attendere la meccanica quantistica, o no?

  3. grazie macondo, per quante volte rilegga un lavoro, scappa sempre una qualche minuzia, in questo caso, un secolo di differenza.
    Per Carlo: Einstein nel 1905, nell’articolo detto “dell’effetto fotoelettrico”, in realtà ben più vasto di così — articolo per il quale prese il Nobel — mise le basi per quest’idea. Ma solo Bohr enunciò il principio di complementarità col quale si dava una veste un po’ ufficiale alla doppia natura della luce. “Solo una nuova parola” commentava Schrödinger.

  4. Quello che è piacevole, almeno per me, nell’articolo di Antonio Sparzani è che – al contrario della pressoché la totalità della divulgazione che riguarda Einstein e la relatività – presenta un paesaggio mosso.
    In questo senso: Einstein non viene rappresentato come un’unica montagna la cui cima è immersa nelle nubi, al di sopra di una pianura piatta. E la sua scoperta come Minerva che nasce dalla testa di Giove, senza bisogno di nessun’altro.

    Iniziando dalla sua prima moglie, di cui, malgrado la polemica secolare imbastita da pro-einsteiniani e contro-einsteiniani, con iniziative non tutte limpide, come contraffazioni di documenti e di testimonianze, ancora non pare chiaro se sia stata di “supporto” o abbia dato qualche “apporto” alla relatività.
    Lo stesso Einstein sembra aver contribuito a quast’opera di non chiarificazione, con la distruzione del primissimo manoscritto in cui la relatività veniva elaborata in modo completo.

    Necessario il riferimento di Sparzani a Maxwell, ma forse, a parer mio sarebbe interessante citare anche altri precedenti.
    Per esempio per la parte matematica della relatività:

    *

    Dovendo essere c = costante, le leggi di trasformazione di spazio e tempo non potranno più seguire le regole dettate dall’esperienza quotidiana. Dobbiamo abbandonare i concetti di spazio e tempo come di entità assolute, separate. Dobbiamo addirittura modificare il concetto stesso di simultaneità.

    Le trasformate che soddisfano le condizioni suddette furono trovate fra ‘800 e ‘900 da Poincarè e da Lorentz (ma vengono universalmente attribuite a Lorentz e formano la base matematica della teoria della relatività ristretta (RR). Esse legano matematicamente le misure di spazio e tempo relativi a due sistemi di riferimento inerziali partendo dal presupposto che la velocità della luce sia costante nei due sistemi.

    E-school di Arrigo Amadori

    *

    Resta invece, a parer mio, da chiarire quanto Sparzani dice in queste poche righe:

    “Era necessario modificare la teoria classica in alcuni dei suoi aspetti fondamentali, e per far questo si attaccò l’idea di simultaneità: fino a quell’istante nessuno aveva mai messo in discussione il concetto di eventi simultanei, in quanto aventi luogo nello stesso istante.”

    Chi mise in discussione il concetto di eventi simultanei, non fu affatto Einstein, ma Jules-Henri Poincaré, e ben prima di allora.
    L’articolo, il saggio: “La misura del tempo” venne pubblicato nel 1898 su “Revue de métaphysique et de morale”.

    Einstein e i suoi amici dell'”Akademia Olympia” ne poterono leggere [1904!] la parte più significativa nell’edizione tedesca della “Scienza e l’ipotesi” che la riportava alla conclusione del libro, come risulta da una lettera di uno di quelli [Solovine].

  5. Qualcuno conosce un plugin per inserire formule in wordpress? Altrimenti lo sparz ci lascia a naso insù a guardar la barca senza cielo…

  6. E’ meraviglioso, caro Antonio, che il tuo iniziale tributo alle doti teoretico-scientifiche di Mileva giunga il giorno dell’anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti umani.
    Purtroppo è di là da venire il tempo in cui verrà scritta la storia delle donne nella scienza: all’epoca della Mileva, molte vivevano la loro vita intellettuale all’ombra di spalle e nomi maschili.
    Il tuo intervento mi pare dia un segnale fondamentale e di questo ti ringrazio.

  7. A Napoli, Facoltà di Ingegneria, negli anni venti trenta la cattedra di chimica era della Bakunin, figlia del famoso. Donna coltissima e intransigente costituiva un vero spauracchio. C’è gente che non si è laureata a causa di quell’esame.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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