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Ipotesi per la tonnara di Gaza

di Lorenzo Galbiati

Il 17 settembre 1948, mentre era in corso la guerra arabo-israeliana, l’emissario dell’ONU Folke Bernadotte fu ucciso a Gerusalemme da alcuni terroristi israeliani.

Durante la II Guerra mondiale Bernadotte era stato molto attivo nella Croce Rossa svedese per salvare gli ebrei dai campi di concentramento nazisti e per questo motivo Israele lo aveva accettato come mediatore ONU: evidentemente, il governo sionista non si aspettava che si sarebbe prodigato per salvare i palestinesi dalla pulizia etnica israeliana. Bernadotte arrivò in Palestina il 20 maggio 1948 e in breve tempo riuscì a ottenere una tregua nella guerra arabo-israeliana e a porre le fondamenta per l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’assistenza ai rifugiati palestinesi, l’UNRWA. Nell’indifferenza generale degli osservatori ONU, Folke Bernadotte non rimase a guardare con le mani in mano la popolazione civile palestinese minacciata e terrorizzata dai bombardamenti, espulsa dalle proprie case, dai propri villaggi, molti dei quali poi rasi al suolo, e propose alle Nazioni Unite di ridividere la Palestina in due, e di dare il diritto di ritorno ai profughi palestinesi. Fu dopo il suo assassinio che l’ONU, nel dicembre 1948, deliberò la risoluzione 194 sul ritorno incondizionato di tutti i profughi espulsi da Israele – risoluzione che è stata sistematicamente disattesa dallo stato ebraico dal 1948 a tutt’oggi.

Gli uccisori di Bernadotte erano terroristi dei Combattenti per la Libertà d’Israele (Lehi), una formazione paramilitare sionista che si distinse per la sua ricerca di una guerra totale all’impero britannico, tanto che già nel 1941 tentò di allearsi formalmente con la Germania nazista al fine di liberare la terra di Israele dal nemico inglese – i nazisti non risposero alle loro richieste.

Israele condannò alcuni dei capi del Lehi e gli attentatori, ma l’amnistia del 1949 li rese subito liberi. Alla cospirazione per uccidere Bernadotte prese parte anche Yitzhak Shamir, uno dei capi del Lehi, che più tardi ammise di non averla ostacolata. Shamir sarebbe diventato poi Primo ministro israeliano.

Sessant’anni dopo questi fatti, il 14 dicembre 2008 l’inviato speciale dell’ONU nei territori palestinesi Richard Falk è stato arrestato al momento del suo arrivo all’aeroporto di Tel Aviv, incarcerato senza accuse e poi espulso dallo stato ebraico per volontà del Primo ministro Olmert. In un articolo per il «Guardian», Falk ha scritto che: “Israele avrebbe potuto o rifiutarsi di accettare i visti o comunicare alle Nazioni Unite che non mi avrebbero permesso di entrare, ma non è stata presa nessuna delle due misure. Sembra che Israele abbia voluto impartire a me, e in modo assai più significativo alle Nazioni Unite, una lezione: non vi sarà nessuna collaborazione con coloro che esprimono forti critiche sulla politica di occupazione israeliana. Dopo che mi è stato negato l’ingresso, sono stato tenuto in custodia cautelare insieme a circa altre 20 persone con problemi d’ingresso. Da questo momento, sono stato trattato non come un rappresentante delle Nazioni Unite, ma come una sorta di minaccia per la sicurezza, sottoposto ad una perquisizione corporale minuziosa e alla più puntigliosa ispezione dei bagagli che abbia mai visto.
Sono stato separato dai miei due colleghi delle Nazioni Unite, a cui è stato permesso di entrare in Israele, e condotto nell’edificio di detenzione dell’aeroporto, distante circa un miglio. Mi è stato chiesto di mettere tutti i miei bagagli, insieme al cellulare, in una stanza e sono stato portato in un piccolo locale chiuso a chiave che puzzava di urina e di sudiciume. Conteneva altri cinque detenuti e costituiva uno sgradito invito alla claustrofobia. Ho passato le successive 15 ore rinchiuso in questo modo, il che è equivalso ad un corso intensivo sulle miserie della vita carceraria, inclusi lenzuola sporche, cibo immangiabile e luci che passavano dal bagliore all’oscurità, controllate dall’ufficio di guardia.”

Richard Falk è un professore di diritto internazionale della Princeton University che nell’estate del 2008 ha accusato Israele di violare la legge internazionale, le leggi umanitarie internazionali e la convenzione di Ginevra; ha descritto le politiche di Israele contro i palestinesi e l’assedio di Gaza come ” crimini di guerra”, “tendenze genocide”, “risvolti da Olocausto” e ” Olocausto in corso”; ha esortato il Tribunale Criminale Internazionale ad indagare sulla possibilità di incriminare i leader israeliani per crimini di guerra. Falk è insomma una persona non gradita a Israele in quanto “ebreo antisemita”, ossia “ebreo che odia se stesso” – queste le accuse rivoltegli da vari ambienti sionisti, come ha spiegato lo stesso Falk in un’intervista recente.

Quello che ha denunciato Falk all’ONU, sessant’anni dopo Bernadotte, è il continuo del crimine della pulizia etnica del popolo palestinese compiuta dallo stato ebraico, crimine che comprende eccidi cronici come la carneficina appena compiuta a Gaza. Non si possono capire le ragioni profonde che guidano una siffatta politica criminale se non si comprende approfonditamente l’ideologia sionista, che costituisce il movente della nascita di Israele e del suo operato dal 1948 a oggi.

Per esempio, perché Israele dichiarando la “tregua unilaterale” ha affermato – esattamente come fece nel 2006 dopo la guerra di invasione al Libano – di aver raggiunto gran parte dei suoi obiettivi?

C’è da chiedersi innanzi tutto quali fossero questi obiettivi.

Di certo tra essi non c’era la fine del lancio di razzi Qassam. Del resto, la guerra anzi il massacro compiuto da Israele a Gaza non è iniziato come risposta al lancio dei Qassam. È stato infatti inequivocabilmente dimostrato che Israele ha rotto per primo la tregua con Hamas a novembre, con le incursioni militari via terra e via mare nella Striscia di Gaza che hanno provocato l’uccisione di sei miliziani di Hamas (49 palestinesi in totale, tra Gaza e Cisgiordania) e il sequestro di 15 pescatori palestinesi e tre volontari dell’ISM, tra cui l’italiano Vittorio Arrigoni, rapito in acque palestinesi da un’operazione israeliana di pirateria internazionale, condotto in Israele, incarcerato in condizioni al limite della tortura e poi espulso.

L’aggressione israeliana alla Striscia di Gaza, per ammissione del ministro della Difesa israeliano Barak alla conferenza stampa di sabato notte, è stata premeditata e giustificata come “guerra di opportunità”. Una chiara guerra elettorale, quindi. Lo aveva già dichiarato il pacifista israeliano Uri Avnery in un suo ficcante articolo del 3 gennaio, in cui tra l’altro scriveva: “qualche tempo fa ho scritto che la chiusura di Gaza è stato un esperimento scientifico progettato per capire in quanto tempo si può far morire di fame una popolazione giocando con la sua vita in un girone dantesco prima di farla collassare. Questo esperimento è stato condotto con il generoso aiuto di Europa e Stati Uniti. Fino ad ora, non ha avuto successo. Hamās è diventata più forte e la gittata dei Qassam è diventato più lunga. L’attuale guerra è la continuazione di questo esperimento con altri mezzi.”

Uri Avnery denuncia cioè le stesse cose che riportava all’ONU Richard Falk, senza fare riferimenti al genocidio della Shoah. Cambiano le parole, ma la sostanza è la stessa: crimini contro l’umanità. Avnery fornisce anche un elenco delle tante guerre elettorali sostenute da Israele, facendo capire come il consenso degli israeliani lo si conquista colpendo e umiliando il popolo palestinese: in questo senso, Barak e Livni non vogliono essere da meno di Netanyahu.

Possibile che vi sia la volontà di uccidere e distruggere a prescindere dall’obiettivo della sicurezza nazionale?

Possibile.

Infatti, il lancio di razzi è stato interrotto dall’aggressione sionista? No, è aumentato e ha provocato subito 4 morti tra i civili israeliani. La minaccia del terrorismo è più lontana ora che milletrecento persone sono state uccise? No, è più vicina. Il consenso ad Hamas si è indebolito? Al contrario, si è rafforzato sia tra la popolazione civile palestinese sia all’estero e, se si fosse indebolito, lascerebbe ora spazio a movimenti terroristici integralisti. Se Israele avesse come primo obiettivo la propria sicurezza, non avrebbe provocato una emergenza umanitaria a Gaza chiudendo i valichi, non avrebbe infranto la tregua con incursioni, uccisioni e rapimenti per provocare la prevedibilissima reazione di Hamas e avere così il pretesto per compiere la carneficina da poco – forse – conclusasi nella Striscia di Gaza.

È possibile quindi che l’aggressione e la distruzione della Striscia di Gaza siano state pianificate da anni, per esempio dal governo Sharon, quello che ha posto fine all’occupazione costringendo al ritorno i coloni. E’ quanto sostiene Michel Chossudovsky in un articolo in cui scrive che: “Fonti dell’establishment della difesa hanno dichiarato che il ministro della difesa Ehud Barak ha ordinato alle Forze Aeree Israeliane di prepararsi per l’operazione più di sei mesi fa, anche mentre Israele iniziava a negoziare un accordo per il cessate il fuoco con Hamas” […]. L’operazione “Piombo Fuso” è intesa, del tutto deliberatamente, a provocare vittime civili. Ciò con cui stiamo trattando è un “disastro umanitario pianificato” a Gaza in un’area urbana densamente popolata. L’obiettivo a più lungo termine di questo piano, come formulato dai funzionari politici israeliani, è l’espulsione dei palestinesi dalle terre palestinesi: “Terrorizzare la popolazione civile, garantendo la massima distruzione delle proprietà e delle risorse culturali… La vita quotidiana dei palestinesi deve essere resa insopportabile: dovrebbero essere bloccati in città e villaggi, impediti ad esercitare una normale vita economica, rimossi dai luoghi di lavoro, dalle scuole e dagli ospedali. Questo incoraggerà l’emigrazione ed indebolirà la resistenza a future espulsioni”. (Ur Shlonsky, citato da Ghali Hassan, Gaza: The World’s Largest Prison, Global Research, 2005). L’operazione “Piombo Fuso” fa parte della più ampia operazione militare e di intelligence iniziata nel 2001 al principio del governo di Ariel Sharon. È stato sotto l'”Operazione Vendetta Giustificata” di Sharon che sono stati inizialmente utilizzati quegli aerei da caccia F-16 per bombardare le città palestinesi. L'”Operazione Vendetta Giustificata” è stata presentata nel luglio del 2001 al governo israeliano di Ariel Sharon dal capo di stato maggiore dell’IDF Shaul Mofaz, sotto il titolo “La distruzione dell’Autorità Palestinese ed il disarmo di tutte le forze armate”.

“Lo scorso giugno [2001] è stato redatto un piano di contingenza, dal nome in codice di Operazione Vendetta Giustificata per rioccupare tutta la Cisgiordania e forse la Striscia di Gaza al costo probabile di “centinaia” di vittime israeliane” («Washington Times», 19 marzo 2002).”

Secondo altri analisti, Gaza potrebbe essere annessa dall’Egitto e la Cisgiordania dalla Giordania, o diventare uno stato bantustan sotto il controllo israeliano.

Come andrà a finire?

Staremo a vedere.

Personalmente, non credo possibili i suddetti esiti, almeno in tempi brevi, né tanto meno ritengo possibile uno stato palestinese in Cisgiordania, viste le numerosissime enclave israeliane presenti e il rifiuto israeliano di cedere Gerusalemme est ai palestinesi – senza contare il problema del ritorno dei profughi.

Allo stato attuale, cioè, non vedo nessuna possibile soluzione a breve termine alla fine dell’oppressione del popolo palestinese; forse, la soluzione di uno stato binazionale, laico e democratico, per quanto a tutt’oggi inverosimile, è la più praticabile “sul campo” oltre a essere, per certi versi, la soluzione ideale per una riconciliazione tra ebrei e palestinesi.

Peraltro, non vedo nemmeno all’opera un piano israeliano lungimirante volto a eliminare ogni possibilità di dare uno stato ai palestinesi, credo anzi che l’agire sionista poggi su basi irrazionali, che non rendono possibile il raggiungimento di obiettivi a lungo termine. È l’effetto della follia morale che pervade la classe dirigente israeliana; ne parla Uri Avnery in un articolo pubblicato su Il Manifesto il 13 gennaio a proposito del massacro di Gaza, in cui si legge: “Nell’atto della morte, ogni bambino si trasformava in un terrorista di Hamas. Ogni moschea bombardata diventava istantaneamente una base di Hamas, ogni palazzina un deposito di armi, ogni scuola una postazione terroristica, ogni edificio dell’amministrazione pubblica un «simbolo del potere di Hamas». Così l’esercito israeliano manteneva la sua purezza di «esercito più morale del mondo». La verità è che le atrocità sono un risultato diretto del piano di guerra. Questo riflette la personalità di Ehud Barak – un uomo il cui modo di pensare e le cui azioni sono una chiara esemplificazione di quella che viene chiamata «follia morale», un disturbo sociopatico. […] Chi dà l’ordine di una simile guerra, con tali metodi, in un’area densamente popolata, sa che causerà il massacro di civili. A quanto pare, ciò non lo ha toccato. O forse credeva che loro avrebbero «cambiato modo» e la guerra avrebbe «marchiato a fuoco la loro coscienza», per cui in futuro non oseranno resistere a Israele. […] Le persone affette da follia morale non riescono a capire le motivazioni delle persone normali, e devono indovinare le loro reazioni. «Quante divisioni ha il papa?» se la rideva Stalin. «Quante divisioni hanno le persone con una coscienza?» potrebbe chiedersi oggi Ehud Barak. Ma, come stiamo vedendo, ne hanno qualcuna. Non tante. Non molto veloci a reagire. Non molto forti e organizzate. Ma a un certo momento, quando le atrocità dilagano e masse di persone si uniscono per protestare, questo può decidere di una guerra. […] Nella coscienza del mondo, resterà impressa a fuoco l’immagine di Israele come un mostro lordo di sangue, pronto in qualunque momento a commettere crimini di guerra e non intenzionato a rispettare alcun freno morale. Questo avrà gravi conseguenze a lungo termine per il nostro futuro, per la nostra posizione nel mondo, per la nostra chance di raggiungere la pace e la tranquillità. In fondo, questa guerra è anche un crimine contro noi stessi, un crimine contro lo stato di Israele.”

“Follia morale”, un disturbo sociopatico. Avnery lo attribuisce solo a Barak, non ha il coraggio di dire che è presente in molti governanti sionisti e in larghi strati della società civile, altrimenti non si spiegherebbe l’appoggio di gran parte dei cittadini israeliani all’operazione “Piombo fuso”, benché occorra considerare anche il condizionamento della censura governativa e della propaganda mediatica sulla formazione delle opinioni del popolo israeliano.

Che cosa sta alla base di questo fenomeno che Avnery chiama follia morale? O, in altre parole, perché Israele fa quello che fa, con il consenso della maggior parte della sua cittadinanza, di molte comunità ebraiche delle diaspora e, in generale, dell’Occidente?

Credo che la radice di questa diffusa distorsione del senso morale sia da ricercarsi nel meccanismo psicologico della negazione del crimine della pulizia etnica, crimine senza il quale probabilmente Israele non sarebbe nato come stato ebraico, visto che la popolazione palestinese residente all’interno dei suoi confini era, alla fine del 1947, il 45% del totale – per poi ridursi a meno del 20% alla fine del 1948, a pulizia etnica completata. Per lo più, l’opinione pubblica israeliana nega, rimuove il fatto che Israele è stato creato distruggendo interi quartieri di città e villaggi palestinesi, per poi edificare abitazioni per soli ebrei e parchi nazionali sulle rovine della civiltà palestinese. Circa ottocentomila persone, gran parte di un popolo inerme è stata sradicata dalla terra in cui viveva da secoli, la sua cultura distrutta o ghettizzata. È quella che i palestinesi chiamano la Nakba, la “Catastrofe”, termine che solo da pochi anni sta diventando, confusamente, patrimonio linguistico dell’Occidente perché la politica e la storiografia hanno commesso, e per lo più stanno ancora commettendo, un crimine contro la storia e la cultura, il suo memoricidio.

Chi sa, per esempio, che le città di Ashkelon e di Sderot, le più colpite dai razzi Qassam, sono state costruite rispettivamente sulle rovine dei villaggi di Al-Jura e Najd, distrutti nel 1947-49 per mano dei sionisti, come documenta lo storico palestinese Walid Khalidi nel suo libro All that remains?

Scrive Ilan Pappe che conoscere “il “trattamento” riservato ai palestinesi in quegli anni è collegato con l’emergere di questioni spiacevoli rispetto alla legittimazione del progetto sionista nel suo complesso. Per gli israeliani è quindi fondamentale sostenere e rafforzare il meccanismo della negazione, non solo per far fallire le rivendicazioni palestinesi nel processo di pace, ma – molto più importante – per ostacolare ogni discussione significativa sulla natura e sui fondamenti morali del sionismo. Per gli israeliani, riconoscere i palestinesi come vittime delle azioni di Israele è fonte di profondo turbamento, almeno per due motivi. Sia perché dovrebbero fare i conti con l’ingiustizia storica che metterebbe Israele sotto accusa per la pulizia etnica della Palestina del 1948 e in dubbio gli stessi miti fondanti dello Stato di Israele, sia perché […] scatenerebbe anche ripercussioni morali ed esistenziali sulla psiche degli ebrei israeliani: dovrebbero riconoscere di essere divenuti l’immagine speculare dei loro incubi peggiori.”

In ultima analisi, alla domanda sul perché del crimine contro l’umanità commesso da Israele nella Striscia di Gaza si può rispondere almeno in due modi, a seconda di quanto si voglia scavare nel presente e nel passato della storia israeliana per trovare le risposte. Le cause prossime del crimine risiedono senz’altro nella ricerca del consenso elettorale da parte dei governanti israeliani. Ma questa causa non spiega la “follia morale” con cui la leadership israeliana ha compiuto questo crimine. Per poter rendere conto di un tale complesso di superiorità morale credo occorra considerarlo come l’effetto di un ossessivo rafforzamento del meccanismo di negazione sul peccato originale che ha contraddistinto la nascita dello stato ebraico, ossia la pulizia etnica del popolo palestinese.

Fonti:

Su Richard Falk:

1) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5479&mode=&order=0&thold=0

2) http://pensatoio.ilcannocchiale.it/post/2132534.html

3) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5391

Sugli obiettivi raggiunti da Israele e su chi ha violato la tregua:

1) http://it.peacereporter.net/articolo/13786/La+reputazione+%26egrave%3B+tutto

2) http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5455

L’articolo di Michel Chossudovsky:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5436

Su Ashkelon e Sderot:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5423

Gli articoli di Avnery:

http://www.peacelink.it/palestina/a/28335.html

http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090113/pagina/05/pezzo/239282/

Lo scritto di Ilan Pappé:

Da Ilan Pappé, La pulizia etnica della Palestina, Fazi editore, pag. 292.

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79 Commenti

  1. gli isreaeliani sono generosi,molto generosi con i palestinesi, tanto da voler condividere con loro il giorno della memoria.
    Non è bello ricordare da soli le proprie disgrazie.

  2. I rapporti tra Lehi e Nazisti sono descritti in maniera forse un po’ sommaria. Detta così sembra che Lehi volesse allearsi con i nazisti. L’accordo e lo scambio proposto invece erano quelli che i tedeschi espellessero i loro ebrei verso la Palestina, visto che li detestavano tanto; in quest’ottica la Gran Bretagna si trovava ad essere nemica sia della Banda Stern, oltre che della Germania.

    La Germania però da un lato aveva scelto di sostenere il Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini, e dall’altro stava già preparandosi alla “soluzione finale” (le prime stragi iniziarono nell’agosto 1941 e la Conferenza di Wannsee è del gennaio ’42), quindi semplicemente ignorò la lettera consegnata alla fine del 1940 ed anche l’ulteriore tentativo di abboccamento della fine del 1941.

  3. Alla domanda:
    “O, in altre parole, perché Israele fa quello che fa, con il consenso della maggior parte della sua cittadinanza, di molte comunità ebraiche delle diaspora e, in generale, dell’Occidente?”

    Risponderei, per quanto riguarda l’occidente europeo, che dipende dalla nostra cattiva coscienza.
    E mi sentirei di dire che per la gran parte della sua cittadinanza e di molte comunità ebraiche della disapora, dipende dalla memoria.
    Nessuno mai, né noi né loro ha considerato Israele uno stato normale.
    Nè gli ebrei un popolo normale.
    Io non parlo liberamente con i miei amici ebrei, scopro di essere prudente e delicata, anche quando dico quello che penso, ci arrivo piano, ognuno di loro ha un morto in casa.
    Se è possibile dire quegli stronzi degli italiani, o dei francesi, o dei tedeschi, o degli americani, sappiamo di non poter dire quegli stronzi degli ebrei.
    Questo tabù non cade, per disgrazia nostra e loro, e come potrebbe?
    Israele è un pezzo di occidente incistato nel mondo mediorientale e un pezzo di occidente che l’occidente ha cercato di eliminare ed espellere.
    E ha imparato bene la lezione che l’occidente ha impartito alla diaspora nel XIX secolo e anche prima, di ghetto in ghetto, di pogrom in pogrom.
    Una ferita orrenda, nata da ferite orrende, che provoca ferite orrende.
    Tra le molte voci che ho ascoltato in questi giorni mi sono sempre sentita di dar ragione a Morgantini.
    Credo anche che un tribunale internazionale dovrebbe poter dire la sua.
    Ma al di là del veto degli Stati Uniti, è possibile formare un tribunale internazionale “imparziale”? Imparziale dopo tutte queste lacerazioni?
    Imparziale nella situazione geopoltica attuale?
    Si può essere imparziali? E intendo davvero imparziali, verso l’una e l’altra parte.
    Si può esserlo senza onorare la memoria, quella che riguarda gli ebrei e quella che riguarda i palestinesi, vittime in fondo nostre anche quelle?
    C’è stata mai una pacificazione come è accaduto in Sud Africa, tra NOI e LORO. O la pacificazione degli stati europei con le loro comunità ebraiche è basata su un silenzio ipocrita?
    E su questa domanda che io mi fermo sempre quando uno come Furio Colombo, che ho sentito a 8 e mezzo e di cui non ho condiviso niente – a parte questo: – parla di antisemitismo ancora presente nel nostro paese. Credo che una vera pacificazione non ci sia stata, al di là delle scuse ufficiali alla comunità ebraica, credo che in Europa la gente comune, l’unica che conta, a un certo punto, per poter andare avanti, abbia messo da parte il problema passando da un antisemitismo strisciante e praticato con inconsapevolezza a una comoda e automatica posizione ufficiale filoisraeliana che ha ficcato la sporcizia sotto il tappeto.
    Qui sta, a mio avviso, la ragione del nostro consenso a Israele, la cattiva coscienza in nome della quale offriamo una solidarietà di bandiera e frasi fatte. A scapito di un altro popolo e di altre morti.
    In questa situazione io spero solo che esistano negoziatori, e tempo, e intelligenze aperte e coraggiose e critiche, se non innocenti, perché si smetta di morire, almeno adesso, che sul futuro non sono ottimista.
    Sono filopalestinese, mi chiedo? Sì
    E sono antisemita? No.
    E sono antiisraeliana? No.
    Da questa contraddizione non so come uscire.

  4. concordo con tutto, ma vorrei andare più a fondo. Se il “filoisraelismo” è radicato anche nella colpa mai risolta e, di conseguenza, l'”antisemitismo strisciante” è l’altra faccia del filoisraelismo acritico, come sciogliere questa mortifera connessione che paralizza i cervelli di tanti? (MI pare che qualcosa di simile avvenga quando ci si permette di giustificare il massacro di “arabi” perchè c’è Hamas: un latente desiderio di “vendetta” , censurato a lungo, si può finalmente esprimere, realizzare e giustificare come pezzo delle più selvagge fantasie ).
    E’ vero, gli ebrei ricordano a tutti noi la più orrenda immagine dell'”occidente” , che NON si può nè si deve cancellare. Solo assumendola si può esercitare critica anche radicale nei confronti di Israele. Ma forse questa operazione richiede una trasformazione radicale del modo di pensare/essere/sentire e non sappiamo come praticarla , trasformarla in comportamenti e in politiche.

  5. Che l’antisemitismo esista e sia strisciante e forte in Europa lo prova una semplice osservazione. Nessuno ha mai tirato vernice rossa contro una chiesetta protestante in Germania per protestare cotro l’invasione USA dell’Irak. Invece si aggrediscono ebrei francesi, ad esempio, o sinagoghe italiane per protestare contro le politiche di Israele, e questo sembra normale.

    Mentre i protestanti vengono distinti secondo nazionalità e cittadinanza; di israeliani ed ebrei invece si fa un tutt’uno.

  6. @alcor
    “Nessuno mai, né noi né loro ha considerato Israele uno stato normale.
    Nè gli ebrei un popolo normale. Io non parlo liberamente con i miei amici ebrei, scopro di essere prudente e delicata, anche quando dico quello che penso, ci arrivo piano, ognuno di loro ha un morto in casa. Se è possibile dire quegli stronzi degli italiani, o dei francesi, o dei tedeschi, o degli americani, sappiamo di non poter dire quegli stronzi degli ebrei.”

    E’ proprio questo “statuto speciale” che li condanna e li segrega. Li assolve nell’immediato, permettendogli le peggiori nefandezze, e li condanna a lungo termine, perché quelle stesse nefandezze in futuro non potranno che alimentare ulteriormente l’odio nei loro confronti, a tal punto da rendere evidente che il vero antisemita, oggi, è chi difende e giustifica l’eccidio di Gaza arrampicandosi sugli specchi della retorica. In un delle sue Bustine di Minerva, tempo fa Umberto Eco invitava a sospettare delle concessive iniziali, che in America sono riassunte dall’espressione proverbiale “some of my best friends” (“alcuni fra i miei migliori amici sono negri, ebrei, omosessuali ecc., però…”). Diceva che nascondono sempre il veleno nella coda (introdotto dal “però”). Per me il vero pericolo non sta in ciò che viene detto successivamente (in cauda venenum), ma proprio in quella concessiva iniziale, e tanto più è lunga, ed elaborata, e cautelosa questa premessa, quanto più li pone al di fuori del normale consesso civile. Ecco, il vero razzismo si manifesta lì, in quel paternalismo bonario e assolutorio che ti attribuisce lo statuto speciale tipico di chi è gravato da qualche handicap penoso. Guardate per es. quanto è lunga e patetica la concessiva in questo articolo di Moresco e Baratto (http://www.ilprimoamore.com/testo_1293.html). Una decina di paragrafi su 25. Il popolo eletto per eccellenza è diventato il popolo negletto per eccellenza. Quando ci rapporteremo a Israele come a un soggetto normale, ossia con i parametri di giustizia validi per tutti, sarà un gran giorno.

  7. Il Lehi, Irgun e la Banda Stern appartenevano alla destra sionista, non al sionismo in quanto tale. Al cosiddetto sionismo revisionista di V.Jabotinski. Non mancarono, scontri anche armati tra l’Irgun e l’Hagana: ricordo il caso della nave Altalena con 15 morti. Per criticare anche ferocemente la politica israeliana non serve appiattire la storia a proprio uso e consumo. E poi forse che in Europa non si e immediatamente messa in atto l’amnistia sui peggiori collaborazionisti e fascisti? Riciclitati opportunamente nelle nuove alleanze in funzione anticomunista.

  8. @ alcor,
    “cattiva coscienza”? Ma che dici? Per gli altri, forse, non certo per la politica italiana. Ma se proprio oggi, appena c’è stato il cessate il fuoco (vabbé, dopo qualche settimana di immobilismo, ma quando sparano là è pericoloso, non vale mica la pena), il nostro Presidente del Consiglio è volato a Gerusalemme (mi dicono anche se non invitato espressamente, ma che c’entra? lui non va mica a far la controfigura!), e il sempre nostro Ministro degli Esteri sta volando laggiù, ad “aiutare il popolo palestinese” (con la sua sola presenza? mah, così ha detto il tg). Sai che ti dico? Sono davvero contento di essere italiano e di non soffrire di “cattiva coscienza”.

  9. @macondo
    non ho capito una parola di quello che hai scritto, forse perchè tu non hai capito una parola di quello che ho scritto io.

  10. @Alcor
    “Sono filopalestinese, mi chiedo? Sì
    E sono antisemita? No.
    E sono antiisraeliana? No.
    Da questa contraddizione non so come uscire.”
    Non vedo nessuna contraddizione.
    Non ci sarebbe nessuna contraddizione neanche se tu dicessi che sei antiisrealiana. Significherebbe che sei contraria a uno stato ebraico, identitario cioè in senso etnico-religioso (anche se gli ebrei appartengono a varie etnie), così come potresti essere contraria all’Arabia, a uno stato musulmano: questo non vorrebbe dire che sei per la distruzione di Israele o dell’Arabia. Oppure, ancora più soft, significherebbe che sei contraria all’ideologia politica israeliana egemone, come dispiegatasi nella storia (lo stesso discorso si potrebbe dire per il concetto di antiamericanismo).

    @gabriella
    Condivido le tue riflessioni. Ma in fondo, è sempre necessario parlare di antisemitismo quando si discute di Israele? Direi di no.

    @itzik
    Sul Lehi è chiaro che ho semplificato, ma tanto per riportarti uno dei link da cui attinto:
    “Nel 1940 e nel 1941, il Lehi propose d’intervenire nella Seconda guerra mondiale accanto alla Germania nazista per ottenere il suo aiuto nella cacciata della Gran Bretagna dalla Palestina sotto Mandato e per offrirle assistenza nell'”evacuare” gli Ebrei dell’Europa in base all’argomento che “comuni interessi potrebbero esistere fra l’insediamento di un nuovo ordine in Europa in conformità con le concezioni della Germania, e le reali aspirazioni nazionali del popolo ebraico.”
    Alla fine del 1940, il rappresentante del Lehi Naftali Lubenchik fu inviato a Beirut dove incontrò il funzionario tedesco Werner Otto von Hentig cui consegnò una lettera in cui il Lehi offriva di “prendere parte attiva alla guerra dalla parte della Germania” in cambio del sostegno germanico per “l’instaurazione di uno storico Stato ebraico su una base nazionale e totalitaria, connesso a un trattato con il Reich germanico”. Von Hentig spedì la lettera all’ambasciata tedesca ad Ankara, ma non v’è traccia di alcuna risposta ufficiale. Il Lehi provò a stabilire contatti con la Germania ancora nel dicembre 1941, ancora una volta senza successo.”
    Da qui
    http://it.wikipedia.org/wiki/Lohamei_Herut_Israel

    Sull’antisemitismo. Si aggrediscono anche arabi, omossessuali, neri. C’è un partito, la Lega Nord, che è attivo in modo pubblico in varie città per evitare che si costruiscano moschee. Ma nessuno definisce questo un atto di antiarabismo o antiislamismo.

    @sergio garufi
    Quoto in toto.

    @mordecaj
    L’Irgun e la Banda Stern parteciparono attivamente, a fianco dell’Haganà, alla pulizia etnica della Palestina. Le loro azioni non erano coordinate con quelle dell’Haganà e controllate dall’Agenzia ebraica, ma erano convergenti con i suoi obiettivi e per lo più (fonte: Pappe, libro citato), tranne qualche eccezione, venivano considerate approvate a posteriori.

  11. Trovo il post di Galbiati uno scritto importante, per molti aspetti essenziale.

    Allo stesso modo, ritengo il commento di Alcor una riflessione improntata a intelligenza storica e sensibilità individuale, che mette il dito, con grande acume, in parecchie facili rimozioni e omissioni.
    E la trovo, oltretutto, assolutamente in linea con quanto può immediatamente scaturire, sul piano dell’analisi e della rielaborazione, dal senso complessivo del post.

  12. Il 4 dicembre 1948 alcuni intellettuali ebraici residenti negli Stati Uniti pubblicarono sul New York Times una lettera di protesta contro l’arrivo negli USA di Menachem Begin, definendolo, assieme al partito nato dal Lehni, fascista e terrorista. Tra i firmatari Albert Einstein ed Hannah Arendt. Ecco il testo (l’originale è legginile qui: http://www.rense.com/general27/let.htm):

    AGLI EDITORI DEL NEW YORK TIMES

    Fra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi emerge quello relativo alla fondazione, nel nuovo stato di Israele, del Partito della Libertà (Tnuat Haherut), un partito politico che nella organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti Nazista e Fascista. E’ stato fondato fuori dall’assemblea e come evoluzione del precedente Irgun Zvai Leumi, una organizzazione terroristica, sciovinista, di destra della Palestina.

    L’odierna visita di Menachem Begin, capo del partito, negli USA è stata fatta con il calcolo di dare l’impressione che l’America sostenga il partito nelle prossime elezioni israeliane, e per cementare i legami politici con elementi sionisti conservativi americani. Parecchi americani con una reputazione nazionale hanno inviato il loro saluto. E’ inconcepibile che coloro che si oppongono al fascismo nel mondo, a meno che non sia stati opportunamente informati sulle azioni effettuate e sui progetti del Sig. Begin, possano aver aggiunto il proprio nome per sostenere il movimento da lui rappresentato.

    Prima che si arrechi un danno irreparabile attraverso contributi finanziari, manifestazioni pubbliche a favore di Begin, e alla creazione di una immagine di sostegno americano ad elementi fascisti in Israele, il pubblico americano deve essere informato delle azioni e degli obiettivi del Sig. Begin e del suo movimento.

    Le confessioni pubbliche del sig. Begin non sono utili per capire il suo vero carattere. Oggi parla di libertà, democrazia e anti-imperialismo, mentre fino ad ora ha apertamente predicato la dottrina dello stato Fascista. E’ nelle sue azioni che il partito terrorista tradisce il suo reale carattere, dalle sue azioni passate noi possiamo giudicare ciò che farà nel futuro.

    Attacco a un villaggio arabo

    Un esempio scioccante è stato il loro comportamento nel villaggio Arabo di Deir Yassin. Questo villaggio, fuori dalle strade di comunicazione e circondato da terre appartenenti agli Ebrei, non aveva preso parte alla guerra, anzi aveva allontanato bande di arabi che lo volevano utilizzare come una loro base. Il 9 Aprile, bande di terroristi attaccarono questo pacifico villaggio, che non era un obiettivo militare, uccidendo la maggior parte dei suoi abitanti (240 tra uomini, donne e bambini) e trasportando alcuni di loro come trofei vivi in una parata per le strade di Gerusalemme. La maggior parte della comunità ebraica rimase terrificata dal gesto e l’Agenzia Ebraica mandò le proprie scuse al Re Abdullah della Trans-Giordania. Ma i terroristi, invece di vergognarsi del loro atto, si vantarono del massacro, lo pubblicizzarono e invitarono tutti i corrispondenti stranieri presenti nel paese a vedere i mucchi di cadaveri e la totale devastazione a Deir Yassin.

    L’accaduto di Deir Yassin esemplifica il carattere e le azioni del Partito della Libertà.

    All’interno della comunità ebraica hanno predicato un misto di ultranazionalismo, misticismo religioso e superiorità razziale. Come altri partiti fascisti sono stati impiegati per interrompere gli scioperi e per la distruzione delle unioni sindacali libere. Al loro posto hanno proposto unioni corporative sul modello fascista italiano. Durante gli ultimi anni di sporadica violenza anti-britannica, i gruppi IZL e Stern inaugurarono un regno di terrore sulla Comunità Ebraica della Palestina. Gli insegnanti che parlavano male di loro venivano aggrediti, gli adulti che non permettavano ai figli di incontrarsi con loro venivano colpiti in vario modo. Con metodi da gangster, pestaggi, distruzione di vetrine, furti su larga scala, i terroristi hanno intimorito la popolazione e riscosso un pesante tributo. La gente del Partito della libertà non ha avuto nessun ruolo nelle conquiste costruttive ottenute in Palestina. Non hanno reclamato la terra, non hanno costruito insediamenti ma solo diminuito la attività di difesa degli Ebrei. I loro sforzi verso l’immigrazione erano tanto pubblicizzati quanto di poco peso e impegnati principalmente nel trasporto dei loro compatrioti fascisti.

    Le discrepanze

    La discrepanza tra le sfacciate affermazioni fatte ora da Begin e il suo partito, e il loro curruculum di azioni svolte nel passato in Palestina non portano il segno di alcun partito politico ordinario. Ciò è, semza ombra di errore, il marchio di un partito Fascista per il quale il terrorismo (contro gli Ebrei, gli Arabi e gli Inglesi) e le false dichiarazioni sono i mezzi e uno stato leader l’obbiettivo.

    Alla luce delle soprascritte considerazioni, è imperativo che la verità su Begin e il suo movimento sia resa nota a questo paese. E’ maggiormente tragico che i più alti comandi del Sionismo Americano si siano rifiutati di condurre una campagna contro le attività di Begin, o addirittura di svelare ai suoi membri i pericoli che deriveranno a Israele sostenendo Begin. I sottoscritti infine usano questi mezzi per presentare pubblicamente alcuni fatti salienti che riguardano Begin e il suo partito, e per sollecitare tutti gli sforzi possibili per non sostenere quest’ultima manifestazione di fascismo.

    ISIDORE ABRAMOWITZ, HANNAH ARENDT, ABRAHAM BRICK, RABBI JESSURUN CARDOZO, ALBERT EINSTEIN, HERMAN EISEN, M.D., HAYIM FINEMAN, M. GALLEN, M.D., H.H. HARRIS, ZELIG S. HARRIS, SIDNEY HOOK, FRED KARUSH, BRURIA KAUFMAN, IRMA L. LINDHEIM, NACHMAN MAISEL, SEYMOUR MELMAN, MYER D. MENDELSON, M.D., HARRY M. OSLINSKY, SAMUEL PITLICK, FRITZ ROHRLICH, LOUIS P. ROCKER, RUTH SAGIS, ITZHAK SANKOWSKY, I.J. SHOENBERG, SAMUEL SHUMAN, M. SINGER, IRMA WOLFE, STEFAN WOLFE

    New York, Dec. 2, 1948

  13. @Alcor,
    condivido l’opinione di Tino S. Fila sul tuo commento, quindi non credo che ci sia questa incomprensione di linguaggio. E’ solo sul pezzo finale tuo che non capisco la contraddizione.

    @Girolamo
    In effetti il New York Times è stato uno dei pochi giornali che ha dato un certo spazio ai fatti avvenuti in Palestina nel 1948, non a caso Pappe riporta la foto di una pagina del NYT nel suo libro.

  14. L’analisi di Alcor è perfettamente condivisibile e raffinata ( come è informato e rigoroso il pezzo di Galbiati), spero che mi perdonerà se do una risposta più grossolana all’interrogativo da lui posto sul perchè l’occidente appoggi indiscriminatamente Israele. Infatti l’analisi di Alcor è perfetta per spiegare l’incertezza di una piccola parte colta e consapevole della popolazione occidentale; per la gran massa la risposta è più semplice: sono proisraeliani perchè i massmedia rappresentano Israele come un piccolo stato di 7 milioni di abitanti assediato da 1 miliardo di arabi assetati del loro sangue ( come mi diceva l’altra sera un taxista) e i massmedia lo rappresentano così perchè Israele rappresenta gli interessi economici, militari e politici dell’occidente e in particolare degli Usa in quell’area. Infatti il paese più proisraeliano d’occidente sono gli Stati Uniti che hanno una storia in larga parte libera da quelle ipoteche antisemite a cui faceva cenno Alcor. Per questo motivo penso che buona parte delle accuse di antisemitismo oggi correnti nei confornti degli oppositori di Israele siano propaganda che non dovrebbe sollevare alcun dilemma di coscienza.
    Ciò non significa che rischi di antisemitismo non ci siano in europa e che su questo si debba vigilare con attenzione. E’ indubbio che segnali preoccupanti vengano anche dal vaticano, la cui posizione di questi giorni è ipocrita e del tutto strumentale, visto che il nuovo papa non ha mancato mai di esprimere apprezzamento per la strategia americano in medio oriente di cui Israele è una pedina fondamentale, per tacere poi degli stati baltici nei quali sembra prendere corpo un antisemitismo istituzionale. Ma il dovere come cittadini europei di vigilare su queste forme risorgenti non può tradursi in un silenzio sulla politica israeliana antipalestinese perchè in questo caso non è in questione una diversità ebraica ( anzi Israele e il suo governo si comportano nei confronti dei palestinesi secondo una modalità imperialista tipicamente europea e occidentale), ma la banale constatazione che finchè non ci sarà una situazione minimamente equilibrata non ci sarà pace.

  15. Cosa aspetta il mondo a fare la pace con Hamas, o con chiunque vinca le elezioni fra i palestinesi, sulla base delle risoluzioni dell’ONU, e costringere gli israeliani ad adeguarsi? Cosa aspetta l’Europa a fare l’offerta che già l’ONU ha deliberato nel tempo?

    “La legge internazionale che vuole per lo stato indipendente di Palestina i confini del 1967, Gerusalemme capitale, il rilascio dei prigionieri politici e il ritorno dei profughi. Storicamente la Palestina è dei palestinesi, ma noi a queste condizioni accettiamo un compromesso con la politica”. Questo dice Hamas e lo dice anche la maggior parte della gente nel mondo, mi sembra, se l’ONU rappresenta la maggior parte della gente del mondo. Anche molti pacifisti israeliani, e non solo, chiedono cose simili.
    “In fondo basterebbe che un premier israeliano ripetesse quello che l’attuale premier Olmert ha detto in settembre in un’intervista, ma in modo formale e ufficiale in un messaggio ai palestinesi: la pace avverrà solo con la restituzione delle terre occupate nel ’67”, riporta Franceschini in un articolo.
    E per risarcire parzialmente i palestinesi della mancata applicazione delle risoluzioni dell’Onu, bloccate per decenni. E anche per ricostruire il sistema educativo e le scuole distrutte in gran numero dall’inizio dell’offensiva israeliana, come riferisce il Guardian.

    http://it.peacereporter.net/articolo/13715/Parla+Hamas

    http://franceschini.blogautore.repubblica.it/2009/01/14/il-precedente-dellira/

    http://www.guardian.co.uk/world/2009/jan/10/gaza-schools

    “La legge internazionale che vuole per lo stato indipendente di Palestina i confini del 1967, Gerusalemme capitale, il rilascio dei prigionieri politici e il ritorno dei profughi. Storicamente la Palestina è dei palestinesi, ma noi a queste condizioni accettiamo un compromesso con la politica”. Questo dice Hamas e lo dice anche la maggior parte della gente nel mondo, mi sembra, se l’ONU rappresenta la maggior parte della gente del mondo. Anche molti pacifisti israeliani chiedono cose simili.
    “In fondo basterebbe che un premier israeliano ripetesse quello che l’attuale premier Olmert ha detto in settembre in un’intervista, ma in modo formale e ufficiale in un messaggio ai palestinesi: la pace avverrà solo con la restituzione delle terre occupate nel ’67”, riporta Franceschini in un articolo.
    Cosa aspetta il mondo a fare la pace con Hamas, o con chiunque vinca le elezioni fra i palestinesi, sulla base delle risoluzioni dell’ONU, e costringere gli israeliani ad adeguarsi? Cosa aspetta l’Europa a fare l’offerta che già l’ONU ha deliberato nel tempo? E a impegnarsi seriamente?
    Per risarcire parzialmente i palestinesi della mancata applicazione delle risoluzioni dell’Onu, bloccate per decenni. E anche per ricostruire il sistema educativo e le scuole distrutte in gran numero dall’inizio dell’offensiva israeliana, come riferisce il Guardian.

    http://it.peacereporter.net/articolo/13715/Parla+Hamas

    http://franceschini.blogautore.repubblica.it/2009/01/14/il-precedente-dellira/

    http://www.guardian.co.uk/world/2009/jan/10/gaza-schools

  16. Condivido largamente l’analisi di Lorenzo.

    Devo però pormi, e porvi, una domanda piuttosto scomoda: posto che i dirigenti palestinesi siano in grado, e lo sono, di compiere un’analisi analoga e posto che siano in grado di rendersi conto che Israele sia militarmente ed economicamente incommensurabilmente più forte e che ha in essere rapporti diplomatici di gran lunga più favorevoli, perchè “semplicemente” (badare alle virgolette) non volgono alla resa?

    Ammettere la sconfitta e dichiarare la resa è l’atto più difficile, più coraggioso e più responsabile che un governante sia chiamato a fare.

    Scusate se non parlo di ragioni e di torti, ma, purtroppo, realisticamente la storia non la decidono i buoni motivi e le buone intenzioni, ma, più prosaicamente e crudelmente, i rapporti di forza.

  17. Non direi che gli Stati Uniti abbiano una storia così libera dall’antisemitismo, visto che, fra l’altro,”vantano” ancor oggi varie organizzazioni naziste e para-naziste. L’idea di usare uno Stato ebraico artificialmente costituito per stabilizzare un’area “calda” all’interno di un sistema coloniale era già inglese e gli Inglesi meditarono per qualche tempo di attuarla alla fine dell’Ottocento, trasferendo gli ebrei nei loro possedimenti in Africa orientale, al confine con i possedimenti dei Belgi in Congo e dei Tedeschi in Tanganica. Gli Stati Uniti hanno semplicemente riciclato quest’idea di usare gli ebrei come enclave occidentale in un progetto egemonico in medio oriente, una volta che gli stessi ebrei misero di fronte al fatto compiuto gli alleati (da principio per niente persuasi dell’installazione degli ebrei stessi in Palestina). Tuttavia l’azione estrema della politica di destra in Palestina ha fatto affiorare, di quando in quando, perplessità e dubbi persino negli USA, e dunque vorrei ribadire quello che si evince già da altri interventi qui inseriti a commento, cioè che anche l’atteggiamento filo-israeliano di Washington sembra fortemente strumentale. Certo è che Israele sta levando parecchie castagne dal fuoco, ai fautori più o meno striscianti di un determinato progetto egemonico: sta “sistemando” una volta per tutte “il problema ebraico” nelle nazioni occidentali, sta “normalizzando” un’area instabile della costa mediterranea dell’Asia tramite un’operazione volta a rendere uniforme, omogenea e occidentale la Palestina, sta contribuendo a radicalizzare l’opposizione fra occidente e mondo islamico, legittimando l’escalation della cosiddetta guerra di civiltà, che potrà essere condotta in nome della difesa delle identità religiose contro la religione fanatica e intollerante per eccellenza…

    Nel frattempo, l’atmosfera si fa effettivamente sempre più greve, e foriera di ulteriori legittimazioni della barbarie. Piccolo aneddoto personale (di cui parlo qui solo a fini chiarificatori, non essendo mia intenzione ammorbare gli altri con i fatti miei…): durante una delle tante, ipocrite, manifestazioni in nome del giorno della memoria tenutesi in una scuola dove ho insegnato, una superstite dei campi di concentramento, riferendosi all’ennesimo attacco israeliano alle popolazioni palestinesi dei territori occupati, ha asserito che ancora oggi “Israele combatte per la libertà”. La cattiva coscienza dell’occidente veniva solleticata in pieno…

    Nel frattempo gli stessi ebrei si vestono dell’aura di chi si concede una lucida autocritica sull’orma della reinterpretazione delle fonti storiche, nella persona di Ariel Toaf, autore di un libro non proprio limpido come “Pasque di Sangue”, in cui si ritiene di non escludere che ci sia un fondo di verità, nelle fanatiche accuse di sacrificio cruento ai danni di bambini cristiani, che l’inquisizione moveva agli ebrei ashkenaziti: accuse che venivano provate con l’efficace pratica investigativa della tortura…

    Storie di ordinaria postmodernità.

  18. @Marco Bega
    Che cosa vuol dire volgere alla resa? Hamas ha avuto ministri uccisi e incarcerati da Israele: i suoi leader avrebbero dovuto consegnarsi per finire in carcere?
    Proprio non l’ho capita questa della resa.

  19. Il Servizio Civile Internazionale – La Città dell’Utopia

    in collaborazione con

    Associazione per la Pace e Aktivamente presentano

    GAZA: UN DISASTRO PROGRAMMATO?

    Roma – Giovedì 22 Gennaio 2009
    h. 19.30
    Prima presentazione Italiana del libro
    “PROGRAMMARE IL DISASTRO” l’ultima pubblicazione di Michael Warshawski, Shahrazad Edizioni, 2009.

    L’autore sarà presente in videoconferenza

    Michael Warshawski è un intellettuale israeliano da sempre impegnato nella ricerca di una pace giusta in Palestina e Israele. E’ membro dell’Alternative Information Center, ong israelo-palestinese. Il suo testo scritto dopo le elezioni legislative palestinesi del gennaio 2006 (con una prefazione per l’edizione italiana) è un instant book che spiega l’intreccio delle dinamiche che hanno portato Hamas a vincere le elezioni. Ma a fianco a questo Warschawski esamina il dibattito in atto in Israele e le diverse forme di aggregazione politica tra la gioventù israeliana e della sinistra anticolonialistica israeliana che si batte contro la guerra e l’occupazione anche in rapporto con il movimento sociale internazionale.

    Parteciperà al dibattito Luisa Morgantini, Vice Presidente del Parlamento Europeo, tornata di recente da una visita nella striscia di Gaza

    h. 21.30
    Proiezione del film GAZA STRIP (di James_Longley, 2002, Arabo e Inglese, sottotitolato in italiano)

  20. garufi scrive:
    “Quando ci rapporteremo a Israele come a un soggetto normale, ossia con i parametri di giustizia validi per tutti, sarà un gran giorno”.
    è questo che non è possibile.
    palesemente israele non è un ente politico normale.
    anormali sono le sue origini: nessuno stato moderno è nato da una migrazione di massa da molti luoghi in un lugo solo e in così poco tempo.
    con il particolare non trascurabile che il luogo di approdo era già abitato da qualcun altro.
    anormale e singolarmente ancestrale, rispetto ad un mondo che vive un assetto territoriale abbastanza stabile, è la fase storica che sta attraversando di costruzione del proprio territorio attraverso un processo di conquista militare.
    io trovo ci sia una contraddizione tenacemente sottaciuta e repressa, tra l’essere filo palestinesi e riconoscere ad israele il diritto di esistere.
    gli si riconosca piuttosto la forza di esistere e si smetta di invocare una pace imòossibile e ingiusta, che a questo punto sarebbe solo un congelamento provvisorio di uno stato di sotto missione.
    è del tutto evidente che i palestinesi preferiscono l’annientamento a questo tipo di pace, all’ammissione della sconfitta.
    credo che il suicidio rientri nei diritti, oltre che dell’individuo, anche dei popoli e provo rispetto.
    così come provo rispetto per l’odio di ambo le parti: smettere di invocare la pace fa parte di questo rispetto.

  21. @ alcor,
    per ricacciare indietro l’ombra di Antonioni che aleggia su di noi, ti “dedico” questo articolo di Saramago:

    José Saramago

    Immaginiamo

    Immaginiamo che negli anni trenta, quando i nazisti iniziarono la caccia agli ebrei, il popolo tedesco fosse sceso in strada con manifestazioni grandiose che sarebbero rimaste nella Storia, chiedendo al loro governo la fine della persecuzione e la promulgazione di leggi che proteggessero tutte e qualsiasi minoranza, fosse stata di ebrei, di comunisti, di zingari o di omosessuali.

    Immaginiamo che, in appoggio a quella azione degna e valorosa, i popoli dell’Europa avessero sfilato per le strade e le piazze delle loro città, unendo le loro voci al coro delle proteste levato a Berlino, a Monaco, a Colonia, a Francoforte. Adesso sappiamo che niente di tutto questo è accaduto né sarebbe potuto accadere. Per indifferenza, apatia, complicità tattica o aperta con Hitler, il popolo tedesco, tranne quache rarissima eccezione, non mosse un passo, non fece un gesto, non disse una parola per salvare quelli che sarebbero diventati carne da campo di concentramento e da forno crematorio, e nel resto d’Europa, per una ragione o per l’altra (ad esempio i fascismi nascenti), un’accettata convivenza con i carnefici nazisti mantenne l’ordine o punì qualsiasi velleità di protesta.

    Oggi è diverso. Abbiamo la libertà di esprimerci, di manifestare e non so quante altre libertà ancora. Possiamo scendere in piazza in migliaia o in milioni che la nostra sicurezza sarà sempre garantita dalle costituzioni che ci guidano, possiamo chiedere la fine delle sofferenze di Gaza o la restituzione al popolo palestinese della sua sovranità e la riparazione dei danni morali e materiali subiti nel corso di sessant’anni, senza altre conseguenze che non siano gli insulti e le provocazioni della propaganda israeliana.

    Le imanifestazioni immaginarie degli anni trenta sarebbero state represse con violenza, in qualche caso con ferocia; le nostre, invece, si giovano almeno dell’indulgenza dei mezzi di comunicazione sociale, dopodiché entreranno in azione i meccanismi dell’oblio. Il nazismo tedesco non avrebbe fatto un passo indietro e tutto sarebbe rimasto identico a ciò che in seguito la Storia ha registrato. Da parte sua, l’esercito israeliano, che nel 1982 il filosofo Yeshayahu Leibowitz ha accusato di avere una mentalità ”ebreo-nazista”, segue fedelmente, obbedendo agli ordini dei governi e dei comandi successivi, le dottrine genocide di chi ha torturato, gasato e bruciato i suoi antenati.

    Si potrebbe perfino dire che per certi aspetti i discepoli hanno superato i maestri. In quanto a noi, continueremo a manifestare.

    cuaderno.josesaramago.org
     

  22. @tashtego
    “palesemente israele non è un ente politico normale”

    non lo è per noi, per l’occidente, perché questo statuto speciale è frutto del nostro complesso di colpa. in cina, in india, in russia e in tutti i grandi paesi emergenti israele non gode di alcuna franchigia morale, è solo un’anomalia tollerata in virtù dei rapporti di forza esistenti (la protezione degli USA). probabilmente quando cambieranno gli equilibri dello scacchiere politico internazionale – e già stanno cambiando molto – gli israeliani saranno costretti a smettere di trattare i palestinesi come gli americani fecero con le tribù dei pellerossa. per fortuna i processi storici sono più complessi e imprevedibili del nostro povero fatalismo.

  23. @Lorenzo G.

    Di tutte le obiezioni che avresti potuto muovere hai scelto la peggiore, perdonami se te lo faccio notare.
    Dici “i suoi leader (di Hamas) avrebbero dovuto consegnarsi per finire in carcere?”
    Se fosse bastato questo per evitare una carneficina, sì, certamente.

    Per un discorso generale, sempre tenendo a latere ragioni storiche o morali, è oggettivamente palese che questo conflitto non può essere affrontato, figuriamoci vinto, dall’autorità palestinese. Israele ha più che palesato di non aver alcun remore nell’affrontare la questione nel modo più disumano possibile.
    È in corso un vero e proprio genocidio, che va oltre i periodi di “guerra calda”.
    Chi ha la responsabilità di governare e gestire l’ANP ha due opzioni:
    1) mantenere lo stato d’assedio, affrontare la carestia e la scarsità d’acqua e vivere nell’eventualità, tutt’altro che remota come dimostrano gli eventi in corso, di un intervento israeliano manu militare lasciando massacrare il popolo palestinese
    2) oppure, sedersi a un tavolo, ammettere la sconfitta, riconoscere l’esistenza di uno stato israeliano, discutere i confini avendo bene in mente che ci sarà da fare larghe concessioni.

    L’ANP ha perso. Tenere in atto questo massacro è un delitto compiuto in due. Israele è l’esecutore materiale, pagherà agli occhi della storia ma non subirà alcuna penalità nell’immediato. Hamas, che ora governa l’ANP, permette ad Israele di avere una scusa per continuare.

    Ripeto, non sto entrando nel merito di alcunché. Valuto solo la situazione materiale esistente e gli attuali rapporti di forza.

    Lasciar massacrare il proprio popolo è pura follia.

  24. @galbiati

    ho capito, temo però che la contraddizione resti, al di là del tentativo di risolverla razionalmente.

    @macondo
    apprezzo la dedica di saramago, ma continuo a credere che tu non abbia capito me.

    @garufi
    sarebbe un gran giorno, è vero, ma purtroppo non è decidibile individualmente.

    Anche se riandare al passato è diventato ozioso e me ne rendo conto, ed è anche difficile decidere quando esattamente farlo cominciare, vi ricordo la dichiarazione Balfour, nel 1917, cioè il permesso degli inglesi, il compenso inglese.
    Senza pensare a quale fosse la memoria e la mitologia delle varie diaspore, tutto nella storia di Israele è al tempo stesso mitologico e artificioso, e qualcuno non se n’era mai andato di lì, la base peggiore per poter sperare in un paese normale.
    Se dopo la dichiarazione Balfour c’è stato l’aliah, il ritorno, in un luogo dove come dice tash c’era già un altro popolo, che magari non si concepiva come popolo, ma era indubitabilmente là, con i suoi villaggi, le sue case e i suoi campi, la vedo dura a evocare la normalità.

    In tutto questo tragico casino la politica mediorientale (parlo di allora, @macondo, degli inizi del secolo) e il colonialismo morente hanno un ruolo che è impossibile cancellare, come è impossibile cancellare i suoi ricaschi, che si depositano nei discorsi, oltre che nella memoria, anche senza pensare, come dicevo nel mio primo commento, a quello che è successo dopo, con il nazismo.
    Qui ci vorrebbe un altro che tagli il famoso nodo, visto che non si può sbrogliare, ma chi può farlo? l’ONU? la più imbelle e impotente delle organizzazioni internazionali?
    Sarà Obama, con tutti i casini interni che ha? Ho i miei dubbi. Forse, se chiude la partita delle guerre in Irak e molla le mani dal petrolio, ma può farlo?
    Io spero di sì, come tutti, se non altro perché in questa crisi economica micidiale il paese lo appoggerà se toglierà risorse all’esercito per metterle a sostegno dell’economia. Se gli Stati Uniti tirano i remi in barca, che tanto sembrano sull’orlo del loro declino imperiale, forse si potrà trovare una soluzione anche in medio oriente.
    O forse l’Iran deciderà di far definitivamente fuori Israele contando sulla impunità e la mancanza di risorse dei suoi difensori storici.
    Per ora resta il massacro di Gaza.
    E però anche la pressione dell’opinione pubblica internazionale, che non può essere tacitata tanto facilmente.

    (PS. @mascitelli, sono una lei, non un lui.)

  25. @tashtego
    “è del tutto evidente che i palestinesi preferiscono l’annientamento a questo tipo di pace, all’ammissione della sconfitta.
    credo che il suicidio rientri nei diritti, oltre che dell’individuo, anche dei popoli”

    Ho delle forti riserve sulle tue affermazioni.

    Distinguiamo innanzitutto le reazioni individuali dettate dalle condizioni reali dalle scelte di governo.
    Probabilmente io stesso mi scaglierei anche a mani nude contro un tank che appena raso al suolo la casa dove abitavo e/o ucciso uno o più dei miei familiari. Rientra a pieno titolo nei miei diritti individuali, diritto alla rabbia, diritto alla follia, diritto al suicidio, diritto alla dignità, diritto al riscatto, quello che vuoi.

    Ma dire che “è del tutto evidente che i palestinesi” (i palestinesi tutti, nessuno escluso? i palestinesi in maggioranza? i palestinesi di Ghaza? i palestinesi profughi? i palestinesi chi?) preferiscano esser massacrati piuttosto che altro mi pare una forzatura del tutto demagogica e non sostenibile in alcun modo.

    Non è il caso di impelagarsi in discorsi sui “diritti dei popoli”, ma forse occorre ragionare un secondo su chi abbia il diritto di scegliere in nome del popolo a quale diritto appellarsi, specie parlando di “diritto al suicidio”.

    Hamas non raccoglie consensi dicendo che porterà il popolo alla sconfitta e alla carneficina, Hamas raccoglie consensi dicendo che sconfiggerà Israele e che riconquisterà le terre perdute. Obiettivi ben al di là della realtà.
    Non credo che vincerebbe le elezioni se si presentasse dicendo: “presto non resterà neanche un singolo palestinese vivo a Ghaza, ma non ci saremmo arresti ai sionisti”.

  26. per lorenzo

    Marco bega non fa altro che ripetere l’ultima parola d’ordine della propaganda israeliana: Il popolo palestinese deve rendersi conto che è un popolo sconfitto, lo hanno ripetuto fino alla noia, mentre ne mmzzavano i bambini, olmert e la livni in questi giorni, lo ripetevano minacciosi mentre giocavano a Tu vo’ fa’ l’americano a Hiroshima e Nagasaki.
    Non so se l’ultima campagna pubblicitaria funzionerà. Io non credo. Prima di tutto in 60 anni israele dovrebbe averlo imparato che i popoli del medioriente non si arrendono mai e poi a me sembra, almeno in base ai parametri di un modesto cervello evoluto del terzo millennio, che il vero perdente moralmente, eticamente, e come immagine nel mondo, oggi sia proprio la dirigenza israeliana … poi nella classifica degli stati carogna … certo hanno fatto guadagnare al loro paese il primo posto, ma non so se c’è da andarne orgogliosi.
    geo

  27. @Georgia, ti ringrazio per avermi fatto notare di esser rimasto vittima della propaganda israeliana. Non so spiegarmi come questo sia potuto accadere, ma deve essere sicuramente così.

    Un popolo, in quanto tale, non può essere né sconfitto né vittorioso.
    Sostengo (e mi pare evidente) che l’ANP ha perso. La differenza c’è ed è tutt’altro che sottile.
    Difficilmente comunque un popolo ha dei benefici da una guerra, sia che il suo stato l’abbia vinta sia che l’abbia persa, ma questo è un altro discorso.

    Il giudizio che ciascuno di noi (e mi pare d’aver espresso il mio nei miei precedenti) sulla politica israeliana cambia poco o punto la realtà dei fatti.

  28. io sinceramente non capisco come si possa parlare di vincitori e perdenti, sarebbe come dire che a genova nel 2001 hanno vinto i poliziotti-macellai e perso i ragazzi che manifestavano e che dormivano alla diaz.
    Io a gaza non ho visto alcuna guerra (in cui si possa vincere o perdere), non ho visto combattimenti, strategie, generali, giornalisti di guerra. Non ho visto nulla di tutto questo. Ho solo visto una feroce operazione punitiva di pOlizia etnica, con conseguente centimazione, Una operazione di polizia dello stato occupante sull’occupato. Va beh che il mondo è capovolto ma parlare di guerra a me sembra da folli. Infatti i video dei soldati israeliani che si ritirano, per la pausa pranzo, dai territori sotto la loro giurisdizione inneggiando sorridenti, come se tornassero da una vittoriosa guerra di liberazione, sarebbero patetici e ridicoli se dietro non ci fosse quella terribile esibizione di macelleria da squartatori in mondovisione.
    Ma chi ha perso? chi ha vinto in questi terribili giorni che non dimenticheremo. Solo la specie umana ha perso e alla grande.
    geo

  29. Marco Bega: “Hamas non raccoglie consensi dicendo che porterà il popolo alla sconfitta e alla carneficina, Hamas raccoglie consensi dicendo che sconfiggerà Israele e che riconquisterà le terre perdute.”
    Solo una piccola precisazione: non so adesso come raccoglierà consensi Hamas, ma i palestinesi che conosco mi suggeriscono però che ha vinto le ultime elezioni in virtù del suo essere rete di protezione e solidarietà sociale, cioè la cosa che, in una tonnara, rassomiglia di più a uno “stato sociale”. A differenza del fatah degli ultimi anni.

  30. nessuno è scemo in quella zona, tutti sanno che israele esiste come stato legittimo e che prima o poi andrà riconosciuta (di fatto è già più che riconosciuta), lo sapeva arafat che infatti al momento buono l’ha riconosciuta, lo sa hamas e soprattutto lo sanno tutti i palestinesi che hanno votato hamas, fra cui (votanti) non c’erano solo orrendi fondamentalisti islamisti, ma moltissimi moderati e anche cristiani.
    Arafat aveva fatto un sacco di cose, fra cui un areoporto, delle scuole ecc. ecc., ma israele, alla prima occasione, gli bombardò tutto e gli concegelo i soldi nelle banche, persino le restituzioni dell’equivalente della nostra iva (che ricordiamocelo le banche nei territori sono israeliane perchè i palstinesi non hanno diritto di avere una banca) è proprio in questo deserto di macerie che hamas incomincia a creare la sua rete di solidarietà, in cambio della quale chiede il rispetto della religione musulmana, l’uso del velo ecc. è un meccanismo che esiste ovunque, dove non esista una rete di protezione sociale, per un motivo o per l’altro. E’ un mecanismo sperimentato in algeria, e anche in egitto. Dove lo stato è assente arrivano i movimenti politico-religiosi.
    Bastava fare la pace perchè questo meccanismo non diventasse unica assistenza nei territori.
    In quanto al riconoscimento di israele è l’ultima carta rimasta ai palestinesi, è chiaro che se la giocheranno solo in cambio dei territori, quelli rimasti delle terre dove vivevano nel passato. Naturalmente israele, mentre finanzia gli insediamenti nelle terre rimaste ai palestinesi, gioca su questo fatto e si presenta al mondo come vittima circondata da miliardi di arabi che la vogliono buttare a mare … figuriamcoi con 250 e passa testate nucleari … e il controllo di tutto il mare circostante dove i palestinesi possono pescarci al massimo le arselle a riva.
    Ma la propaganda, fino a che non viene smontata, funziona alla grande.
    Talmente alla grande che in italia l’informazione in questi giorni era diventata più realista del re, con grande vergogna per chi credeva di avere una libertà d’informazione degna degli stati democratici europei.
    geo

  31. @Marco
    Scrivi:
    “Chi ha la responsabilità di governare e gestire l’ANP ha due opzioni:
    1) mantenere lo stato d’assedio, affrontare la carestia e la scarsità d’acqua e vivere nell’eventualità, tutt’altro che remota come dimostrano gli eventi in corso, di un intervento israeliano manu militare lasciando massacrare il popolo palestinese
    2) oppure, sedersi a un tavolo, ammettere la sconfitta, riconoscere l’esistenza di uno stato israeliano, discutere i confini avendo bene in mente che ci sarà da fare larghe concessioni.”

    Ora, la 1) non è una opzione, è qualcosa che i palestinesi possono solo subire.
    La 2) invece, è qualcosa che non è possibile fare perché finora il governo di Hamas è stato boicottato da Israele, USA, ONU, UE, quindi non dipende da Hamas scegliere di sedersi davanti a un tavolo, ma da altri.

    Ecco perché non capisco la tua critica che rischia, obiettivamente, di fare il gioco della propaganda israeliana: dare la colpa ad Hamas della mattanza avvenuta a Gaza, è quello che dice
    @georgiamada,
    giustamente.
    E questo è sbagliato, da ogni punto di vista, a partire da quello penale, che attribuisce i crimini a chi li compie.

    E anche sulla sconfitta di Hamas, direi proprio che non è stato sconfitto da nessun punto di vista, e questo lo dicono tutti gli analisti, anche quelli filoisraeliani, infatti forse solo ora si prenderà in considerazione l’idea di trattare con Hamas. E probabilmente Israele tenterà di fare quello che ha già fatto con Fatah: disunire il movimento, renderlo avulso dalle richieste del popolo.

    Detto questo,

  32. “…tutti sanno che israele esiste come stato legittimo…”, scrive Georgia.
    sì, ma solo se si ammette la legittimità della forza.
    e direi che tra i popoli non è riconoscibile altro tipo di legittimità.
    in linea di massima questo è il nomos fondamentale della terra.
    ma è esattamente questo tipo di legittimità che i palestinesi, ad oltranza, non riconoscono: è questo il loro “suicidio”.
    il disconoscimento della sconfitta porta altra sconfitta, consente al tuo avversario non solo la vittoria, ma il tuo annientamento.
    ripeto: israele ha bisogno di terrorismo per alimentare politicamente l’espansione ed ha bisogno di aspansione per alimentare il terrorismo, come accade in questi giorni.
    l’incapacità di ammettersi come perdenti dei palestinesi è grasso che cola per la strategia di israele.
    e per il sionismo e il razzismo, che certamente non sono israele, ma le consentono di esistere sin dall’inizio.
    molti di noi sanno che nel giudizio delle vicende tra popoli non vale la misura dell’etica privata o civile, né quella della normale politica, vale altro.
    tuttavia lo si dimentica volentieri e si scambia per “povero fatalismo” quello che è soltanto un diverso piano del giudizio delle vicende in corso.

  33. Premettendo che sono filoisraeliano nella stessa misura in cui sono Brett Pitt, sto cercando soltanto di essere il più possibile obiettivo.

    @Lorenzo,
    realisticamente e al di là delle varie propagande, Hamas non si pone nella condizione tale di essere interlocutore di Israele e men che meno ha mai chiesto di trattare. Hai mai letto lo statuto di Hamas?

    L’art. 7 riporta:
    […]Il Profeta – le benedizioni e la salvezza di Allah siano su di Lui – dichiarò: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: ‘O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei”.

    mentre l’art. 11 dice testualmente: ” Il Movimento di Resistenza Islamico crede che la terra di Palestina sia un bene inalienabile (waqf), terra islamica affidata alle generazioni dell’islam fino al giorno della resurrezione. Non è accettabile rinunciare ad alcuna parte di essa. Nessuno Stato arabo, né tutti gli Stati arabi nel loro insieme, nessun re o presidente, né tutti i re e presidenti messi insieme, nessuna organizzazione, né tutte le organizzazioni palestinesi o arabe unite hanno il diritto di disporre o di cedere anche un singolo pezzo di essa, perché la Palestina è terra islamica affidata alle generazioni dell’islam sino al giorno del giudizio. Chi, dopo tutto, potrebbe arrogarsi il diritto di agire per conto di tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio? Questa è la regola nella legge islamica (shari’a), e la stessa regola si applica a ogni terra che i musulmani abbiano conquistato con la forza, perché al tempo della conquista i musulmani la hanno consacrata per tutte le generazioni dell’islam fino al giorno del giudizio.”

    tashtego ha colto nel segno: Hamas è funzionale ad Israele nella stessa misura in cui Israele è funzionale ad Hamas. Hamas era in netto calo di consensi fino al mese scorso: iniziata l’aggressione Hamas è tornato ad essere più forte di prima, paradossalmente se si votasse oggi raccoglierebbe più voti di quanti ne ha presi alle scorse elezioni.

    Tu sai che non ho particolare simpatia per nessun movimento fondamentalista religioso (e mi stupisco di quanta indulgenza goda Hamas da parte di laici e progressisti italiani ed europei).
    Hamas riesce ad essere anche peggio di tutti gli altri movimenti fondamentalisti.
    Ha trasformato un legittimatissimo conflitto territoriale in un non riducibile conflitto religioso, riuscendo a cancellare l’unico movimento laico (addirittura di matrice marxista!) esistente nel mondo islamico e fornendo di fatto scusanti e attenuanti alla politica israeliana, sempre più vicina ad una drammatica “soluzione finale”.

    Comunque, mi tocca rifare il puntiglioso:
    sostengo che l’ANP ha perso, non Hamas. C’è differenza anche qui. Hamas ne uscirà perfino rafforzato, ben presto però avrà ben poco da governare.

    @Upupa
    è vero, la strategia di Hamas è stata quella.

  34. Detto questo,

    (continuo dopo il disguido tecnico – m’è partito il pulsante e mi si è imballato il pc)

    dico a
    @Marco e a @tashtego,
    che scrive:
    “…tutti sanno che israele esiste come stato legittimo…”, scrive Georgia.
    sì, ma solo se si ammette la legittimità della forza.
    e direi che tra i popoli non è riconoscibile altro tipo di legittimità.
    in linea di massima questo è il nomos fondamentale della terra.
    ma è esattamente questo tipo di legittimità che i palestinesi, ad oltranza, non riconoscono: è questo il loro “suicidio”.

    Che alterntiva hanno i palestinesi?
    Che alternativa hanno mai avuto, nella storia?

    Sembra quasi, tash, che tu dica: vengono distrutti perchè si oppongono a Israele. E cosa cambierebbe se se ne stessero lì a guardare? La stessa cosa. Israele è nato con una pulizia etnica perchè doveva diventare lo stato “ebraico”. I palestinesi erano lì, non è che abbiano fatto granchè per essere espulsi: sono stati espulsi per il solo fatto di vivere in Palestina.
    Quindi, perchè dici che scelgono il suicidio?
    Anche quando i palestinesi trattavano, con Rabin e poi con Barak, Israele intanto costruiva colonie, annetteva territorio e ammassava i palestinesi in zone sempre più concentrate.
    Impediva loro di vivere, come ricorda
    @Georgia
    a proposito di quello che hanno fatto ad Arafat, favorendo così l’ascesa di Hamas.
    I tre obiettivi di Israele:
    – cancellare dall’agenda di pace il diritto di ritorno dei profughi
    – “ripulire” Gerusalemme est
    – annettere territorio
    sono stati perseguiti sia in tempi di “trattative” sia in tempi di intifada… sempre.

    Non è che il terrorismo palestinese sia necessario a Israele per fare quello che fa. Se anche non ci fosse, continuerebbe a farlo nel silenzio mediatico mondiale: quando mai abbiamo visto un servizio giornalistico descrivere e condannare la costruzione di colonie in Cisgiordania? Mai, credo. Ma dei coloni sgomberati da Gaza… (in cambio di altre e più numerose colonie previste in Cisgiordania…).

    Quindi, non vedo alternative all’annientamento di cui parli e, di conseguenza, non vedo alcuna volontà suicida palestinese.
    Israele sta vincendo a prescindere.

    Però.
    Però dobbiamo intenderci sul come sta vincendo. Se pensiamo al possesso della terra, ok, sta vincendo. Ma questo possesso era l’unica cosa fondamentale nel 1948, insieme alla clausola dell’ebraicità dello stato. Ora non basta più aver la terra, ora che la Shoah è lontana, gli ebrei israeliani sognano una normalizzazione della loro vita, sopportano sempre meno il minimo affronto tanto che per uno dei nostri (cioè loro) 100 e più degli altri (i nemici di turno, palestinesi, libanesi di recente) e possibilmente che i sopravvissuti rimangano in mutande – è la follia morale che pervade molti israeliani. E quindi la guerra in Libano è stata persa perchè son morti circa 100 israeliani, troppi, mentre a Gaza si sono fermati in tempo per non perdere del tutto – e parlo di perdere e vincere in termini strettamente politico-militari

    Israele vuole cioè essere una fortezza inattaccabile e vorrebbe ottenere questo a “suon di botte”. Ma questo la sta traformando in un grande ghetto con tanto di muro, circondato da nemici e con nemici anche all’interno: i non-ebrei, la cui percentuale demografica deve essere mantenuta intorno al 20% perchè sennò l’ebraicità dello stato è a rischio.

    Questa prospettiva, da un punto di vista umano, è una vittoria?
    E soprattutto, può essere mantenuta a lungo termine?
    Io ne dubito, credo che la lotta interna per l’ebraicità dello stato unita alla lotta esterna per disarmare ogni nemico e non avere mai più attentati alla lunga rischi di far collassare lo stato di Israele, senza contare che già ora provoca disturbi sociopatici di massa.

    E quindi, tornando ad Hamas – e a Marco, che mi cita il suo statuto, che a suo tempo avevo letto-: cosa potrebbe fare?
    Hamas innanzi tutto è stata sempre disposta a trattare, da quando è stata eletta al governo. Il suo statuto è vecchio di 20 anni e negli statuti si fa propaganda. Gli arabi, specie quando praticamente non possono fare molto, si lasciano spesso andare a roboanti proclami di propaganda. Come a dire: più la situazione è disperata, più l’occupante, nei fatti, ti sta distruggendo, più è facile che la reazione sia quella di sperare di distruggere l’occupante: o noi o loro. Quindi, i proclami di distruzione sono contestuali alla condizione in cui la distruzione sta avvenendo su chi la invoca per il nemico. Certo, non è un atto intelligente né etico invocarla. Ma a ogni modo, nel momento in cui si raggiunge il potere e si chiede di trattare, come Hamas chiede da anni, dicendosi disposti a riconoscere implicitamente Israele nei confini del 1967, tirare in ballo lo statuto è un buon modo per impedire il dialogo.
    E non si può neanche pretendere che un popolo occupato, la cui leadership democraticamente eletta non viene riconosciuta a livello internazionale e anzi viene isolata, incarcerata, uccisa, riconosca lo stato occupante. Il riconoscimento di Israele necessariamente deve essere richiesto DOPO che ci si è accordati su quali siano i confini dello stato israeliano e del presunto stato palestinese. Ma ora come ora, come ho scritto nell’articolo, mi pare che pensare a uno stato palestinese sia pura illusione, visti i cantoni che Israele ha creato in Cisgiordania.

    Quindi, tornando e ultimando, che fare?
    Marco, come sai io sono per la noviolenza. A me fanno incazzare enormente i proclami inneggianti alla vittoria di Hamas, sia perchè considero i costi dopo i quali è stata ottenuta, sia perchè la considero una vittoria politica che ben poco ha a che fare con la possibilità di una vita dignitosa. Ma soprattutto, mi fanno molto incazzare perché ritengo che mai come in Palestina ci sia la possibilità di ribaltare il corso della storia usando la nonviolenza. Se Hamas, una volta sotto i riflettori dei media internazionali, anzichè pensare di andare avanti a bombardare avesse dichiarato una tregua a tempo indeterminato, magari unita a un digiuno, rivolgendosi non tanto a Israele quanto ai suoi complici, gli USA e soprattutto l’ONU e noi europei, spiegando perchè aveva lanciato i razzi, denunciando la catastrofe umanitaria che aveva provocato l’embargo israeliano sostenuto dal mondo intero, chiedendo a noi – facendoci così sentire correi del crimine di Israele – di fare qualcosa, allora la nostra cattiva coscienza sarebbe stata ribaltata come un calzino e ora forse ci sentiremmo in colpa anzichè sentirci come quelli che stan facendo una buona azione offrendo forze dell’ordine per controllare i valichi di Gaza.
    E si scriverebbe poi, forse, una nuova storia.

  35. Solo questo, velocemente, come nota a margine della questione demografica (si cita dall’editoriale di Limes, La potenza di Israele, 2005):

    Antitesi: Israele ha solo guadagnato tempo. Arabi e islamici non accetteranno mai l’«entità sionista». L’odio per gli ebrei resta moneta corrente nelle società mediorientali. I jihadisti hanno sequestrato la causa palestinese. I regimi di polizia che nella regione si sentono stretti nella tenaglia del radicalismo islamico e della democratizzazione sponsorizzata dagli Stati Uniti non possono accedere a una vera pace con lo Stato ebraico, pena il loro rovesciamento. E se davvero si votasse liberamente, in molti paesi arabi trionferebbero gli arcinemici dell’Occidente e di Israele. In ogni caso, Bush non è eterno, né può schiacciarsi sempre su Sharon. Infine, la demografia resta l’arma atomica dei palestinesi: entro il 2020 nello spazio fra Mediterraneo e Giordano (Israele più Territori occupati) vi sarà una chiara maggioranza araba. L’antico dibattito che affaticò il movimento sionista fin dalle origini, se il futuro Stato dovesse essere ebraico o di ebrei(Judenstaat), verrebbe risolto a favore degli arabi. Fine di Israele e battesimo dell’«Israstina» a suo tempo auspicata da Gheddafi, secondo la formula «due popoli in uno Stato»

    Vi sono lettori della discussione in grado di approfondire lo scenario delineato?

  36. copioincollo:

    Israele”, secondo l’autorevole editorialista del “Corriere della Sera”, Paolo Mieli, che invoca un maggiore appoggio da parte dei gay italiani verso questo stato, “è l’unico Paese in tutto il Medio Oriente che non ha leggi contro la sodomia né prevede norme tipo ‘offese contro la religione’ o ‘condotta immorale’ usate di solito per perseguitare i gay, le lesbiche e le persone transessuali”. Inoltre, Israele “accoglie i gay palestinesi che fuggono dalla persecuzione omofoba nei territori occupati” (12/5/2003, http://www.gaynews.it/view.php?ID=24674 ).

  37. copioincollo 2:

    Alcuni mesi fa Hassam (nome di protezione), 19 anni, fu trovato dal fratello maggiore in un giardino nei pressi di Gaza, mentre baciava un altro ragazzo. Tornato a casa, fu violentemente picchiato da tutta la famiglia e minacciato di morte. Due giorni dopo fu prelevato dalla polizia e sbattuto in prigione. I suoi carcerieri lo chiusero in una angusta stanza piena di liquami, e il ragazzo fu torturato con colli di bottiglie di vetro.
    Hassam riuscì a fuggire ed entrare come clandestino in Israele, dove l’omosessualità non è un reato.

  38. @Lorenzo scrivi:
    “in Palestina ci sia la possibilità di ribaltare il corso della storia usando la nonviolenza. Se Hamas, una volta sotto i riflettori dei media internazionali, anzichè pensare di andare avanti a bombardare avesse dichiarato una tregua a tempo indeterminato, magari unita a un digiuno, rivolgendosi non tanto a Israele quanto ai suoi complici, gli USA e soprattutto l’ONU e noi europei, spiegando perchè aveva lanciato i razzi, denunciando la catastrofe umanitaria che aveva provocato l’embargo israeliano sostenuto dal mondo intero, chiedendo a noi – facendoci così sentire correi del crimine di Israele – di fare qualcosa, allora la nostra cattiva coscienza sarebbe stata ribaltata come un calzino e ora forse ci sentiremmo in colpa anzichè sentirci come quelli che stan facendo una buona azione offrendo forze dell’ordine per controllare i valichi di Gaza. E si scriverebbe poi, forse, una nuova storia.”

    Forse sarò stato eccessivamente sintetico o più semplicemente poco efficace nel linguaggio, ma quello che tu descrivi, se non mi sbaglio, tecnicamente si chiama resa.

    Quindi concordiamo che l’unica via d’uscita dal conflitto è una via non-violenta.

    Di sicuro non concordiamo nel giudizio di Hamas. Di certo non m’aspetto che sia Hamas a far uso della non-violenza.
    Sostieni a più riprese che Hamas vuole trattare. Ma che cosa significa trattare? Ogni volta che gli esponenti di Hamas hanno dichiarato di voler trattare, hanno posto condizioni irreali. Il ritorno ai confini del ’48 o del ’67, che può sembrare cosa buona e giusta, è pura propaganda: Israele ha conquistato militarmente i territori che ora occupa, non è disposta a cederli per nessun motivo al mondo. Questa è la realtà. Come è altrettanto reale che se non si accetta questo presupposto Israele potrebbe continuare ad annettere nuovi territori, fino alla scomparsa della striscia, volenti o nolenti.
    È l’odioso e odiato muro che sta impedendo l’avanzata di Israele, rendiamoci conto di questo.
    Quando il proprio “potere contrattuale” è zero, mi pare poco saggio trattare al rialzo. Mi pare criminale del tutto poi se il prezzo da pagare è la vita dei propri concittadini…

    Accenni nel tuo intervento anche al periodo in cui “i palestinesi trattavano”.
    Il fallimento dei trattati di Oslo ha due padri: la destra israeliana da un lato e proprio Hamas – allora minoritaria – dall’altro.

    Quindi torniamo alla domanda di prima: che cosa significa per Hamas trattare?

    Fai un altro cenno interessante nel tuo intervento: la stabilità interna ed esterna di Israele. Ci sarebbe da scriverne pagine intere, cosa che comunque non sarei in grado di fare.
    Israele dovrà lavorare molto per giungere ad una parvenza di stabilità, dovrà cambiare radicalmente le proprie strategie e imparare a sua volta a concedere, pazientando e aspettando, prima di poter raccogliere qualche frutto, se mai verrà.
    Ma questo è un lavoro duro, faticoso e con pochi risultati nell’immediato.
    Purtroppo pare che le politiche israeliane prediligano la risoluzione militare dei conflitti e questo non stabilizzerà mai, ammesso sia possibile, lo stato di Israele.

    Sia la guerra sia la pace, comunque, si fanno in due.

  39. Galbiati scrive:
    “I palestinesi erano lì, non è che abbiano fatto granchè per essere espulsi: sono stati espulsi per il solo fatto di vivere in Palestina.
    Quindi, perchè dici che scelgono il suicidio?”
    a mio modo di vedere dovrebbero prendere atto, come hanno fatto tutti i popoli ragionevoli, di avere perso, cioè di essere loro gli sconfitti.
    chi è sconfitto deve arrendersi, altrimenti viene annientato, schiacciato, distrutto.
    chi è sconfitto deve gestire al meglio la propria sconfitta, invece di aiutare il nemico nella giustificazione della sua distruzione, come sta facendo hamas e come hanno fatto le altre formazioni prima di hamas.
    IL TERRORISMO SERVE A ISRAELE PER ANNETTERSI TUTTA LA PALESTINA perché questa è la sua strategia.
    solo deponendo completamente ogni arma i palestinesi posso sperare in tempi migliori.
    in questo modo, invece, si suicidano.

    (aggiungo che queste sono solo le valutazioni di uno che lì non c’è mai stato…)

  40. La cattiva coscienza occidentale ha ragioni così lontane che molti potrebbero considerarle storicizzate, quindi inutili da investigare.
    Quando i crociati arrivarono in terra santa si scandalizzarono della convivenza pacifica di ebrei, cristiani e musulmani, e vi posero subito rimedio.
    Nella storia dei rapporti tra l’occidente, dall’epoca carolingia ad oggi, e l’oriente, sia esso islamico, hindu o cinese o animista, o zoroastriano, si può osservare che dovunque sia arrivato l’illuminato spirito occidentale questa tolleranza è venuta meno.
    Oggi, chiedendoci come uscire dalle nostre contraddizioni, sembra che ci troviamo davanti ad una realtà iniziata 60 anni fa, senza renderci conto che stiamo osservando conseguenze di un pensiero che l’occidente ha generato da secoli.
    Il nazionalismo ha causato tutti, proprio tutti i grandi massacri moderni, le guerre del nazionalismo hanno avuto come bersaglio primario la popolazione civile e come conseguenza prima l’intolleranza etnica e religiosa.
    Mi rendo conto che noi che viviamo in limiti garantiti e non nella periferia, non nella trincea della guerra che ci permette di essere democratici, non abbiamo dubbi sulla scelta, per esempio, di uno stato laico e moderno come la turchia attuale, rispetto alla tirannia dell’impero ottomano, come non ci chiediamo neppure se l’opzione del libero mercato sia preferibile al monopolio degli imperi del passato.
    Certamente noi viviamo meglio, abbiamo (ancora) la possibilità di essere critici con i nostri governanti e ci vantiamo del fatto che omosessuali, negri ed ebrei non vengono più perseguitati, persino le donne nei nostri paesi hanno libertà pari agli uomini, o almeno sono loro garantite dalle leggi, ma su cosa si poggia questo che oggi, guardando il mondo, è un privilegio di cui gode forse il 20% della popolazione mondiale?
    Io non so porla che come domanda a me stesso e a qualche amico, ma non riesco a non pensare che le più grandi comunità ebraiche dell’ultimo millennio erano in paesi islamici, che la convivenza religiosa ed etnica, pur sotto talloni pesanti, pur in contesti di scarsa libertà, era una realtà.
    E mi chiedo anche cosa si è opposto al naturale progresso di civiltà oppressive verso un’apertura maggiore, cosa di cui si possono vedere storicamente le tracce, causando ad un certo punto il collasso di un equilibrio, scomodo ma reale.
    Israele sta applicando i principi su cui sono nati tutti gli stati moderni, lo fa dopo gli altri e deve farlo in fretta approfittando di quelle condizioni che oggi gli sono favorevoli, ma i mezzi sono gli stessi, tutti gli stati moderni sono stati fascisti alla loro nascita.
    Quello che forse non vede, ma non ci credo, è che la moneta dell’olocausto sta assottigliandosi ogni giorno di più a forza di sfregarla, di contarsela in tasca e di farla risuonare agli europei “civili” in cambio di una contenuta indignazione e una sostanziale impunità.
    Credo che il Kafka che c’è, come un virus, nella sua fondazione lo renda consapevole che anche quel credito diventerà presto un derivato e la bolla scoppierà lasciandolo solo, è lo stato di Israele che dovrebbe riconoscere la sconfitta e trattare, fare compromessi, levantinamente cedere per ottenere.

  41. La terra non appartiene a nessuno. appartiene a chi ha intelligenza e sa trasformarla in prosperità. Qui la differenza tra israeliani e palestinesi è palese. la reazione israeliana è stata eccessiva, ma i palestinesi se la sono cercata. Il risentimento è la cosa peggiore nella vita e i palestinesi dovrebbero fare autocritica.

  42. Certo è che leggere quei due articoli, articolo 7 e articolo 13 la dice lunga sull’emancipazione culturale di una parte dei palestinesi.
    Le democrazie occidentali saranno fatte di falsa moneta, ma è sempre meglio del delirio

  43. ultimo scrive:
    “La terra non appartiene a nessuno. appartiene a chi ha intelligenza e sa trasformarla in prosperità.”

    Per la serie “abbiamo fatto fiorire il deserto” di memoria propagandistica sionista. Infatti nei parchi nazionali del JNF israeliani si cerca di far credere che prima non c’era niente e che gli alberi e tutto il resto son opera di Israele. Peccato che molti di quei parchi son nati sopra villaggi palestinesi distrutti, e che le piante messe da Israele sono quelle dell’Europa continentale, spesso conifere: le poche piante mediterranee rimaste son quelle di eredità palestinese che si son salvate dalla furia distruttrice israeliana.

    E poi:
    “Qui la differenza tra israeliani e palestinesi è palese. la reazione israeliana è stata eccessiva, ma i palestinesi se la sono cercata. Il risentimento è la cosa peggiore nella vita e i palestinesi dovrebbero fare autocritica.”

    A parte la mancanza di connessione logica con la questione sullo sfruttamento della terra, se c’è del risentimento prima di dire che è una brutta cosa occorre capire se è motivato. Che poi i palestinsei “se la sono cercata”, questo evidentemente fa il paio con la loro presunta incapacità di dar pregio alla terra.

    Invece

    angelus novus
    scrive:
    “Le democrazie occidentali saranno fatte di falsa moneta, ma è sempre meglio del delirio”

    che mi sembra un buon viatico per arrivare al concetto della presunta superiorità culturale dell’Occidente.

  44. @tashtego
    “a mio modo di vedere dovrebbero prendere atto, come hanno fatto tutti i popoli ragionevoli, di avere perso, cioè di essere loro gli sconfitti.
    chi è sconfitto deve arrendersi, altrimenti viene annientato, schiacciato, distrutto.
    chi è sconfitto deve gestire al meglio la propria sconfitta”

    per curiosità: quali sono stati, storicamente, questi popoli colonizzati e in gran parte espulsi dalla loro terra che si sono dimostrati così ragionevoli da arrendersi e da averne beneficio?

  45. #la “follia morale” con cui la leadership israeliana ha compiuto questo crimine#
    che cazzate: i palestinesi ammazzano e torturano e mettono in prigione gli omosessuali, questa non è follia morale?
    ammazzare la propria figlia che sposa i costumi occidentali? non è follia morale?

  46. @angelus novus
    Un attimo: quei due articoli fanno parte dello statuto di Hamas, un partito, non appartengono al patrimonio culturale comune palestinese. Hamas ha vinto le ultime elezioni, ma era assolutamente minoritario fino alla metà degli anni ’90.

    Il rifiorire dei fondamentalismi nel mondo islamico è un fenomeno molto ampio, una delle concause sono certamente i conflitti arabo-israeliani, ma non possiamo permetterci di banalizzare la questione palestinese nella dicotomia democratici (israele) vs antidemocratici (palestinesi). Non possiamo permettercelo se vogliamo _provare_ a capire qualcosa.

    @ultimo
    Il principio che affermi è deleterio.
    Un domani gli svedesi potrebbero invadere la Sicilia invocandolo.

    Comunque, sarebbe interessante sapere, ad esempio, che in gran parte del mondo arabo, e in particolar modo proprio in Palestina, vigeva il principio “la terra non appartiene a nessuno”. Si considerava di proprietà il frutto del lavoro della terra, non la terra in sé. Così, ad esempio, in Palestina si ereditavano di padre in figlio gli ulivi, ma non la proprietà terriera. Questo concetto, così inafferrabile per l’Europa colonialista, ha permesso ad inizio secolo di considerare terra di nessuno la Palestina e di conseguenza di vendere terre “di nessuno” ai coloni ebrei.

    Non so cosa intendi per trasformare la terra in prosperità. A inizio secolo, considerando le condizioni ambientali, la Palestina era da considerare terra prosperosa.

    Così come, ad esempio, negli anni ’70 il Libano era soprannominato “la Svizzera del medio oriente”.

    Spero che tu ti sia espresso male… altrimenti, prova a metter su una milizia, il Congo non aspetta altro che qualcuno che lo sappia trasformare in prosperità. C’è solo qualche milione di selvaggi da eliminare.

  47. Non ci vuole molto da occidentali a sentirsi meglio di Hamas, leggendo quei due articoli, è assolutamente naturale e ovvio. Nascondersi dietro le ideologie per cui siamo tutti eguali è sbagliato. C’è chi pensa e agisce meglio di altri. Il modo di pensare e agire di Hamas è già nei suoi articoli e nelle sue azioni. Israele è certamente un paese civile che reagisce in preda al panico (subito).
    Il risentimento palestinese mi sembra immotivato, lo ha paralizzato nella sua incapacità di evolversi culturalmente, socialmente. E’ fatto solo di odio e privo di autocritica, non serve a niente odiare, serve solo a farsi del male.
    La prosperità che produce bene, ricchezza, civiltà ben venga ovunque.
    Israele ha fatto fiorire ben altro che deserto. Un popolo massacrato in ogni luogo della terra che ha saputo produrre intelligenza, ricchezza dalle macerie.
    Il mondo arabo purtroppo ha subìto un’involuzione, la grande civiltà che era è stata sostituita dalle barbarie.

  48. Per quello che io so gli ebrei hanno vissuto un esilio che precede la cacciata dei palestinesi dai luoghi che possedevano ancora dopo la guerra.
    La differenza – quella che ha contato e di cui non si può fare una colpa agli ebrei – è che gli ebrei furono molto abili diplomaticamente, mentre i palestinesi intransigenti. Un altro atteggiamento avrebbe contribuito a una convivenza pacifica e cooperazione reciproca.
    Ora ci si trova in una situazione che imporrebbe ai paesi arabi di isolare Hamas e sviluppare un clima di dialogo e nuovi accordi. Se il mondo arabo mostrasse compatezza in questo, Israele certamente avrebbe interesse a trattare e a cedere parte dei territori occupati. Fermo restando il fanatismo arabo-palestinese, mi sembra impossibile.
    Che vogliamo fare? dire allo Stato di Israele di sgombrare? Una reazione di forza non fa che alimentare una reazione ancora più violenta. Credo che dovrebbero essere i palestinesi ad avere il coraggio di un radicale cambiamento di atteggiamento nei confronti di Israele. Solo questo potrebbe persuadere Israele a riprendere le trattative per i territori.

  49. @galbiati
    nello sfinimento di questa discussione senza capo né coda, ribadisco:
    al di là dei numerosi esempi storici che si possono produrre circa i benefici dell’accettazione delle sconfitta, mi preme soprattutto un punto: ogni reazione dei palestinesi fornisce ad israele il motivo e la giustificazione per impadronirsi di un po’ di terra, ogni attacco terroristico è un regalo per israele: è un processo che funziona come un motore a scoppio: compressione, scoppio, scarico, aspirazione.
    è l’energia che nutre la sopraffazione ebraica.
    si osservino, in proposito le mappe di questo sito:
    http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.jerusalem-holy-land.org/mappa%2520invasione%2520israeliana.jpg&imgrefurl=http://www.jerusalem-holy-land.org/FERMARE%2520ISRAELE,per%2520il%2520suo%2520bene%2520e%2520di%2520tutti.htm&usg=__4ZBj-Io0wGNbrF587IOEPjG0QJ0=&h=320&w=480&sz=49&hl=it&start=10&um=1&tbnid=ljJQxkijklkdDM:&tbnh=86&tbnw=129&prev=/images%3Fq%3Dmappe%2Bdi%2Bisraele%26um%3D1%26hl%3Dit%26rls%3DGGLR,GGLR:2006-40,GGLR:it%26sa%3DN

  50. Comunque, sarebbe interessante sapere, ad esempio, che in gran parte del mondo arabo, e in particolar modo proprio in Palestina, vigeva il principio “la terra non appartiene a nessuno”. Si considerava di proprietà il frutto del lavoro della terra, non la terra in sé. Così, ad esempio, in Palestina si ereditavano di padre in figlio gli ulivi, ma non la proprietà terriera. Questo concetto, così inafferrabile per l’Europa colonialista, ha permesso ad inizio secolo di considerare terra di nessuno la Palestina e di conseguenza di vendere terre “di nessuno” ai coloni ebrei.

    Non sapevo questa non-proprietà della terra, insomma un po come per l’assenza di copyrigth dei primi programmi informatici … poi, per ottenere la stessa libertà (ma senza pericoli) fu inventato il copyleft (ma ormai il guaio era stato fatto) :-)
    Però sulla vendita tieni presente che solo circa il 2% fu veramente venduto il resto è propaganda ;-)

  51. poi tieni presente che anche in inghilterra, in molti casi, non possiedi la terra dove viene edificata la casa (e neppure la casa possiedi) la prendi in concessione per periodi lunghissimi, a volte 100, 200 anni ma poi la terra (e la casa) torna allo stato, ma non è che per questo ti buttano fuori per vendere la tua casa, che so agli esquimesi, è sempe il propietario che ha sempre diritto a comprare (a scadenza) …

  52. Sul possesso della terra, ovunque ci si informi – si veda wikipedia -, risulta che gli ebrei arrivati in Palestina hanno sì comprato un po’ di terra, ma nel 1948 la loro proprietà terriera non superava il 7%. E’ anche per questo che la risoluzione ONU che affidava allo stato ebraico il 56% della terra palestinese era a netto favore degli ebrei.

  53. Per quanto riguarda la proprietà della terra fino al mandato britannico, conviene leggere il “Rapporto sull’immigrazione, lo sviluppo e la composizione delle terre” del 1930 commissionato dal governo inglese, in particolare il capitolo 4.
    Una copia è disponibile qui: http://domino.un.org/unispal.nsf/9a798adbf322aff38525617b006d88d7/e3ed8720f8707c9385256d19004f057c!OpenDocument

    La questione divenne ancora più spinosa dopo la nascita dello stato di Israele, un buon sunto è questo: http://isole.ecn.org/asilopolitico/sito/palestina/bollettino/confisca.htm

    Conoscere la storia di questo conflitto è indispensabile, ma non ripetiamo l’errore che israeliani e palestinesi commettono da 60 anni, ossia l’eterno rinfacciarsi dei torti subiti.

  54. Marco, in sintesi, tu cosa hai dedotto da questi due documenti?
    Perché io non ci ho capito molto e se tu sei arrivato a delle conclusioni certe ci fai risparmiare un’ora di decifrazione.

  55. Leggere Gerusalemme di Karen Armstrong per toglie molte illusioni sulle ragioni di una sola parte. E’ equilibrato, documentato alle fonti e non ideologico

  56. No, @Lorenzo, magari avessi delle conclusioni certe :)

    Siccome ho accennato alla questione della non proprietà della terra, non vorrei che si fraintendesse.
    Il rapporto del 1930 è un’ottima “fotografia” della situazione palestinese in quel momento storico, spiegato dettagliatamente, scritto per europei e sicuramente non di parte.

    Il secondo, sicuramente di parte, è però un elenco delle varie leggi che hanno di fatto limitato il “diritto alla proprietà” da parte dei palestinesi.

    Vedi, ero intervenuto cercando di analizzare la situazione “qui e ora”.
    Non a prescindere dalla storia (che sarebbe da stolti) ma evitando di trasformare un caso internazionale terribilmente attuale in una disquisizione tra storici e pseudostorici (non è un insulto ai partecipanti, è che a complicare anche la vicenda storica c’è il fatto che entrambe le parti facciano disinvoltamente ricorso al mito e alla religione… chi ha più diritto al Monte del Tempio? chi al Muro del Pianto? e perchè?)

    Purtroppo l’argomento è caldo, e vuoi per l’emotività, vuoi per la cattiva informazione e la propaganda, siamo tutti portati a discuterne “da tifosi”.
    Non avrei voluto portare l’acqua al mulino di nessuna delle due parti.

    Ora, sinceramente, la discussione perde interesse per me.

    Per decidere da che parte stare, non ho bisogno di ragionare molto: sto dalla parte degli oppressi.
    Ma per cercare di capire in che modo far cessare l’oppressione devo ragionare, e molto, e freddamente.

    Purtroppo, anche se non lo accetti, il bivio è quello:
    – si può continuare a rifiutare ogni compromesso, e prepararsi alla distruzione
    – Primum vivere, deinde philosophari: cessare immediatamente ciò che ostacola ogni rapporto diplomatico e appoggio in particolare con l’Europa (quindi terrorismo, fondamentalismo etc) cercando quindi di crearsi un minimo potere contrattuale, sedere con Israele, concedere, cessare le ostilità. (e, possibilmente, NON approfittare del conseguente periodo di pace e sviluppo per riarmarsi e ricominciare in futuro le ostilità).

    Potrei ricominciare a motivare queste mie conclusioni, ma mi pare che si preferisca decidere chi dei due sia il più cattivo, e allora mi dileguo.

  57. En passant segnalo per chi se lo fosse perso che il nostro premier, appartenente a una coalizione apparentemente ultrafiloisraeliana, si è distinto, sabato scorso a Nuoro, per aver raccontato a un folto pubblico l’ennesima mestissima barzelletta sugli ebrei nei campi di concentramento, cosa che secondo me spiega bene dove realmente alberga l’antisemitismo oltre a dare la misura esatta dell’abisso morale in cui è sprofondato questo paese.

  58. Lo avevo letto, e ho letto anche la barzelletta, veramente orrida, però filoisraeliano lo è, NON solo apparentemente, o perlomeno è flofascisti israeliani … non essere poi antisemita quello è un altro discorso, mica si può dimenticare in un attimo tutta la non-cultura dove ti sei formato e in cui sei stato allevato;-)
    geo

  59. Capisco il discorso di Sergio, ma personalmente scommetto che la barzelletta sugli ebrei (che non ho letto) non abbia nulla a che fare con l’antisemitismo, così come non aveva nulla a che fare con il razzismo la battuta sull’Obama abbronzato. Certo, c’è un residuo razzista in quelle battute, lo sappiamo bene, ma è un residuo svuotato di contenuto: una volta contava davvero aver di fronte un ebreo in quanto ebreo e un nero in quanto nero, ma oggi non conta più quasi nulla per la maggior parte delle persone l’identità in sé.
    Sono insomma momenti di sbracatezza inopportuni quelli del Berlusca, sicuramente: sarebbe meglio evitarli, ma secondo me non c’entrano molto con il razzismo che comunque effettivamente fa parte del centrodestra, ma questo lo si vede per es. dalla battaglia della Lega contro Tettamanzi o comunque contro la costruzione di moschee, non dalle battute di Berlusconi.

  60. chi riduce a barzelletta una tragedia immane come la shoa è il degno erede degli autori delle vignette con le caricature dei tratti somatici degli ebrei che circolavano durante la repubblica di weimar. il suo è un antisemitismo macchiettistico, all’apparenza innocuo e goliardico, ma affonda le proprie radici nello stesso terreno di coltura e dimostra di aver introiettato i medesimi pregiudizi.

  61. Sergio, per me la barzelletta, come la satira, si può fare su ogni cosa, molto semplicemente – il che non vuol dire che non possa essere inopportuna. E del resto, con il tempo tutto diventa consentito. A me fa molta più paura far diventare reato il negare (che poi concretamente potrebbe essere più un ridimensionare) un fatto storico tragico piuttosto che scherzarci sopra, a prescindere dal fatto storico. Fa molta più paura anche chi scrive cose come queste, che per me sono veramente razziste:

    «L’antisemitismo è riesploso, propongo di abrogare le commemorazioni»
    La scrittrice Cynthia Ozick: «L’Europa
    non è degna del Giorno della Memoria»
    «Alcune settimane fa pensavo di essere ripiombata nel 1933. Mi sbagliavo: è una nuova Notte dei Cristalli»
    DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

    Cynthia Ozick
    NEW YORK – «Concordo pienamente con la decisione spagnola di annullare la commemorazione pubblica delle vittime dell’Olocausto. Ovviamente per motivi ben diversi dai loro. E anzi invito i governi europei ad abrogare il Giorno della Memoria perché non ne sono degni e perché, ancora una volta, mostrano d’essere dalla parte di chi commise la Shoah». È tremula e piena d’angoscia la voce di Cynthia Ozick, la scrittrice statunitense autrice di capolavori della letteratura ebraica moderna quali Lo scialle, Il Rabbino pagano e Il Messia di Stoccolma. «Sono profondamente disperata — spiega —. Alcune settimane fa pensavo d’essere ripiombata nel 1933. Mi sbagliavo: è di nuovo il 1938: una nuova Kristallnacht (la Notte dei Cristalli ndr)». Ecc.
    Articolo sul Corriere

    Ovviamente poi l’autrice dichiara che Israele si è solo difeso e che Hamas lanciava razzi dal tetto degli ospedali…

    Comunque io nel Giorno della memoria parlerei sì della Shoah, ma non mi fermerei lì, direi anche come è stata ed è usata strumentalmente dal 1947 a oggi per giustificare la pulizia etnica della Palestina, e magari citerei questo articolo.

  62. la barzelletta di berlusconi è vergognosa soprattutto se si pensa che chi l’ha raccontata è il capo del governo. Ma siamo pazzi? se a raccontare una simile barzelletta fosse stato un altro presidente del consiglio europeo avrebbe già dovuto dare le dimissioni.
    geo

  63. Trovo discutibili molte affermazioni nell’articolo iniziale di Lorenzo Galbiati a partire dall’arbitraria connessione stabilita tra l’uccisione di Bernadotte nel 1948 e l’esplusione di Richard Falk già sottolineata da in alcuni commenti. Per il momento vorrei consigliare di valutare con cautela le affermazioni di Michel Chossudovsky.

    Michel Chossudovsky è professore all’Università di Ottawa, ma molte delle sue opinioni sono francamenete discutibili. Ricordo sue analisi sulle guerre jugoslave, secondo le quali la dissoluzione della Jugoslavia era stata istigata dagli Stati Uniti (amministrazione Cllinton) in chiave anti Unione Europea, che andava indebolita economicamente per non diventare una antagonsita seria degli USA, e per garantire agli Stati Uniti il controllo del corridoio 8, ove installare un oleodotto dal Mar Nero al Mare Adriatico. Si tratta nel mitico oleodotto AMBO, i cui lavori sono stati rinviati più volte e che a fine 2008 non erano ancora iniziati.

    Ha quindi sostenuto che Al-Qaeda è manovrata dalla CIA attraverso i Servizi Segreti Pakistani e che gli attentati dell’11 settembre 2001 furono di fatto provocati dalla cricca neocon per portare gli USA alla guerra. Infine sempre i servizi pakistani, ancora manovrati dalla CIA, avrebbero organizzato gli attacchi terroristici a Mumbay di fine novembre 2008 per riaccendere la rabbia occidentale e indiana contro l’Islam e per inasprire a favore degli USA il rapporto tra India e Pakistan (strategia americana del divide et impera).

  64. L’articolo di Cremonesi per il Corsera, ormai uno strumento di propaganda israeliana, che ha citato sebastian76 mi è parso subito inattendibile ieri, quando l’ho letto, anche per la fonte: un medico anonimo di un ospedale – bastano gli articoli di Arrigoni, che lavora in un altro ospedale a smentirlo.
    Poi ho trovato questo:

    Il Jerusalem Post e l’esercito israeliano smentiscono il Corriere della Sera: i morti a Gaza sono il doppio
    di Gennaro Carotenuto, venerdì 23 gennaio 2009, 12:40
    Archiviato in: Disinformazione, Guerre infinite

    Smentita la campagna riduzionista su Gaza messa in atto dal Corriere della Sera che, più realista del Re, con Lorenzo Cremonesi, voleva dimezzare i morti. Lo puntualizzano, riferendosi proprio al reportage italiano, niente meno che l’esercito israeliano e il Jerusalem Post. Faccio notare quanto agghiacciante sia anche così la conta dei morti e il fatto che calcolare 750 militanti di Hamas come obbiettivo legittimo sia aberrante.

    Roma, 22 gen. (Apcom) – L’esercito israeliano ha dichiarato oggi che le vittime palestinesi dell’offensiva “Piombo Fuso” su Gaza sono circa 1.300, di cui molte sono uomini armati affiliati a gruppi radicali. Lo riporta il Jerusalem Post facendo riferimento al reportage dell’inviato a Gaza Lorenzo Cremonesi pubblicato sul Corriere della Sera di oggi, secondo cui il numero delle vittime complessive non supera la soglia di 600.

    L’ufficio della Difesa israeliana responsabile per il coordinamento e l’amministrazione su Gaza ha già compilato una lista con i nomi di circa 900 vittime palestinesi uccise durante le tre settimane di offensiva; 750 di queste sarebbero militanti di Hamas.

    Secondo la Difesa dello stato ebraico circa i tre quarti delle vittime sarebbero state legate al movimento islamico che controlla Gaza o ad altre formazioni militanti come la Jihad Islamica. Almeno 500 degli uccisi sarebbero stati uomini armati di Hamas.

    Nel suo reportage, Cremonesi ha inoltre spiegato che in base agli ospedali visitati nella Striscia di Gaza, il numero dei feriti sarebbe ben inferiore ai 5.000 riferiti da Hamas, e riportati dalle Nazioni Unite e dalla Croce Rossa

    —-

    Direi che, se aspettiamo ancora un po’, vedremo che i 1300 morti quasi tutti miliziani si riveleranno quasi tutti civili – ma forse no, per l’IDF, che vede miliziani sparare anche dalle scuole ONU rimarranno sempre solo miliziani, almeno i morti uccisi dai 5 anni insù.

  65. Il Manifesto 22/1/2009

    di Simcha Leventhal

    ISRAELE/GAZA
    Io artigliere ho usato fosforo bianco

    Ho servito come artigliere nella divisione M109 dell’esercito israeliano
    dal 2000 al 2003 e sono stato addestrato a utilizzare le armi che
    Israele sta usando a Gaza. So per certo che le morti di civili
    palestinesi non sono una sfortunata disgrazia ma una conseguenza
    calcolata. Le bombe che l’esercito israeliano ha usato a Gaza uccidono
    chiunque si trovi in un raggio di 50 metri dall’esplosione e feriscono
    con ogni probabilità chiunque si trovi a 200 metri. Consapevoli
    dell’impatto di queste armi, le gerarchie militari impediscono il loro
    uso, anche in combattimento, a meno di 350 metri di distanza dai propri
    soldati (250 metri, se questi soldati si trovano in veicoli corazzati).
    Testimonianze e fotografie da Gaza non lasciano spazio a dubbi:
    l’esercito israeliano ha usato in questa operazione bombe al fosforo
    bianco, che facevano parte dell’arsenale quando anche io servivo
    nell’esercito. Il diritto internazionale proibisce il loro uso in aree
    urbane densamente popolate a causa delle violente bruciature che
    provocano: la bomba esplode alcune decine di metri prima di toccare il
    suolo, in modo da aumentarne gli effetti, e manda 116 schegge infiammate
    di fosforo in un’area di più di 250 metri. Durante il nostro
    addestramento, i comandanti ci hanno detto di non chiamare queste armi
    «fosforo bianco», ma «fumo esplosivo» perché il diritto internazionale
    ne vietava l’uso.
    Dall’inizio dell’incursione, ho guardato le notizie con rabbia e
    sgomento. Sono sconvolto dal fatto che soldati del mio paese sparino
    artiglieria pesante su una città densamente popolata, e che usino
    munizioni al fosforo bianco. Forse i nostri grandi scrittori non sanno
    come funzionano queste armi, ma sicuramente lo sanno le nostre gerarchie
    militari. 1300 palestinesi sono morti dall’inizio dell’attacco e più di
    5000 sono rimasti feriti. Secondo le stime più ottimiste, più della metà
    dei palestinesi uccisi erano civili presi tra il fuoco incrociato, e
    centinaia di loro erano bambini. I nostri dirigenti, consapevoli delle
    conseguenze della strategia di guerra da loro adottata, sostengono
    cinicamente che ognuna di quelle morti è stata un disgraziato incidente.
    Voglio essere chiaro: non c’è stato alcun incidente. Coloro che decidono
    di usare artiglieria pesante e fosforo bianco in una delle aree urbane
    più densamente popolate del mondo sanno perfettamente, come anche io
    sapevo, che molte persone innocenti sono destinate a morire. Poiché
    conoscevano in anticipo i prevedibili risultati della loro strategia di
    guerra, le morti civili a Gaza di questo mese non possono essere
    definite onestamente un disgraziato incidente.
    Questo mese, ho assistito all’ulteriore erosione della statura morale
    del mio esercito e della mia società. Una condotta morale richiede che
    non solo si annunci la propria volontà di non colpire i civili, ma che
    si adotti una strategia di combattimento conseguente. Usare artiglieria
    pesante e fosforo bianco in un’area urbana densamente popolata e
    sostenere poi che i civili sono stati uccisi per errore è oltraggioso e
    immorale.

    L’autore è un veterano dei corpi di artiglieria dell’esercito israeliano
    e membro fondatore di Breaking the Silence

  66. riguardo a cremonesi (il cui articolo, ormai smentito dalla stessa israele, come quasi tutte le cose inattendibili taroccate o similbufale, sta girando in rete a velocità vertiginosa:) volevo segnalarvi questo suo audio in diretta da gaza, dove, dopo essersi preso una paura blù e aver riportato a casa pelle e pile blù, è stato costretto ad ammettere (con tutti i distingui di prammatica di un giornalista embedded) che sì, israele spara per colpire deliberatamente i civili, tutti i civili e anche in assenza di combattimenti o di qualcuno che spari loro addosso:-)

  67. tra l’altro è interessante (a meno che non ci siano cose a me sconosciute) che cremonesi come ultima giustificazione parli di contratto d’ingaggio per i soldati israeliani (come se si fosse in iraq). Ma i soldati israeliani, almeno nella favola che ci raccontano tutti i giorni, mica vengono ingaggiati come dei qualsiasi mercenari

  68. @domenico pinto
    Puoi riscrivere? Ho avuto problemi con la posta elettronica.

    @georgia
    Nell’audio Cremonesi parla di regole di ingaggio, cioè le disposizioni operative per le truppe sul terreno (http://it.wikipedia.org/wiki/Regole_di_ingaggio). Ingaggio in questo contesto non ha nulla a che fare con combattenti a pagamento, anche se è comprensibile l’equivoco.

    Circa l’inizio della guerra di Gaza, basta leggere le dichiarazioni degli esponenti di Hamas che affermano esplicitamente di aver atteso la fine della tregua per riaprire le ostilità.

    http://www.alarabiya.net/articles/2008/12/13/61945.html
    http://english.aljazeera.net/news/middleeast/2008/12/2008121414433365449.html

    Sia Al Arabiya che Al Jazeera (difficilmente classificabili come organismi di informazione sioniste) ricordano sporadiche violazioni della tregua avvenute in novembre a opera di entrambe le parti, ma né le dichiarazioni di Hamas né le analisi dei giornalisti le associano alla decisione di non rinnovare la tregua.

    Finita la tregue, Hamas ha quindi ripreso il lancio di missili, confidando anche sul fatto che Israele non avrebbe attaccato Gaza dopo l’esperienza disastrosa dell campagna libanese del 2006. Ovviamente Israele non aspettava che l’occasione per colpire duramente Hamas, avendo preparato dei piani militari che correggiavano gli errori tattici della guerra del 2006, e ha reagito. I motivi della reazione vanno oltre al pericolo attuale creato da missilotti di Hamas (comunque nessuna nazione al mondo accetterebbe di avere una parte dei suoi cittadini costantemente sotto tiro) e tengono conto di una grave minaccia già a medio termine. Infatti la crescente gittata dei missili, che sono già arrivati a 30 chilometri da Tel Aviv, potrebbe minacciare a breve le parti più densamente popolate di Israele.

    Mi esimo dall’affrontare le opinioni di Chossudovsky, non perché produca tesi inattaccabili, ma per averlo visto troppe volte esibirsi in analisi del tutto campate in aria.

    E’ infine senz’altro interessante l’esercizio di psicopatologia della società israeliana, le cui turbe morali derivano dalla rimozione del peccato di origine della esplusione dei palestinesi, ma non ho sufficiente competenza in materia per accettarlo o per metterlo in discussione.

    Passando a Cremonesi, il suo è un punto di vista di uno dei pochi giornalisti che è stato a Gaza nel periodo della guerra e che continua a starci. Racconta quello che ha visto e sentito e i criteri in base ai quali ha fatto le sue stime. L’articolo del Jerusalem Post riporta altre fonti e altri numeri (http://www.jpost.com/servlet/Satellite?apage=1&cid=1232292939271&pagename=JPost%2FJPArticle%2FShowFull) e quindi le sue stime si sono rivelate errate, Comunque molti suoi articoli non sono teneri con l’esercito israeliano e mi pare fuori luogo definirlo portavoce della propaganda sionista. Non sono però contestati altre parti dell’articolo di Cremonesi, cioè l’uso spregiudicato della popolazione civile fatto da Hamas e la sua ferocia nei confronti degli aderenti delle altre fazioni palestinesi.

    Cremonesi ha ripreso la vicenda citata da georgia in un articolo di oggi, appena apparso sul sito del Corriere
    http://www.corriere.it/esteri/09_gennaio_24/gaza_numero_vittime_palestinesi_cremonesi_8e425f4c-ea2d-11dd-a42c-00144f02aabc.shtml
    dove ribadisce alcuni punti essenziali:
    – l’effetto della propaganda sulla conta sul numero e sulla natura dei caduti
    – l’uso della popolazione da parte di Hamas
    – la violenta e in ceti casi criminale pressione dell’esercito israeliano sulla popolazione civile per convincerla che la presenza delle armi di Hamas è una minaccia per gli abitanti di Gaza quanto per quelli del sud di Israele.

  69. sebastian76,
    quello che si capisce per certo leggendo i due articoli di Cremonesi, è che rimescola le carte in gioco, o al massimo si contraddice senza avvedersene (non so cosa sia peggio).
    Nel primo articolo scrive:
    “«I morti potrebbero essere non più di 500 o 600. Per lo più ragazzi tra i 17 e 23 anni reclutati tra le fila di Hamas che li ha mandati letteralmente al massacro», ci dice un medico dell’ospedale Shifah che non vuole assolutamente essere citato, è a rischio la sua vita. Un dato però confermato anche dai giornalisti locali…”
    Nel secondo articolo scrive:
    ” Fu a Gaza che un medico (non simpatetico con Hamas) mi disse che «molto probabilmente» il numero reale dei morti poteva essere più basso «forse la metà» dei quasi 1.300 riportati dal ministero della Sanità locale… Un altro ancora riportò che numerosi morti erano giovani uomini di età compresa tra i 17 e 23 anni. Alcuni medici francesi dissero che comunque la maggioranza delle vittime, morti e feriti, erano bambini, donne anziani, spesso con ferite gravissime…
    4) Questi dati sono riferiti comunque per lo più a civili.”

    La contraddizione è lampante, SE VOGLIAMO ESSERE OBIETTIVI, tra il primo e il secondo articolo:
    -primo: 600 morti, soprattutto miliziani tra i 17 e 23 anni
    -secondo: i 600 morti è un dato riferito a civili, tra cui molti tra i 17 e i 23 anni.
    Che facciamo? Giochiamo a nascondino?

    Infine, Cremonesi parla nel primo articolo di gente usata da Hamas come scudi, ora nel secondo non smentisce ma compensa in modo inequivocabile:

    “5) Tutto ciò non toglie la gravità degli effetti dei bombardamenti israeliani a Gaza. L’impressione che ebbi sin dal primo giorno fu che Israele non mirasse tanto a colpire militarmente Hamas, quanto piuttosto intendesse punire la popolazione civile. Il messaggio era chiaro: «Gente di Gaza guai a voi se lasciate che Hamas operi dalle vostre terre e spari su Israele! Non importa che voi siate consenzienti o meno. La nostra repressione sarà terribile». Non ho problema a sostenere che i bombardamenti israeliani rasentano il crimine di guerra. I soldati avevano il mandato per sparare impunemente sui civili. Ne feci personalmente le spese il 16 gennaio. Quando con il mio traduttore e autista di Khan Yunis provai a spostarmi a Gaza. La nostra vettura rimase sotto il fuoco di una pattuglia israeliana per quasi due ore all’incrocio di Netzarim. Più volte mi è successo di essere stato soggetto di spari o azioni ostili da parte di militari in Iraq, Afghanistan, Cisgiordania, Giordania, Libano. Ma sempre, dopo pochi minuti, una volta evidente che non ero un nemico, l’attacco è stato terminato. A Gaza invece i soldati hanno continuato a sparare, anche quando, in coordinamento con i portavoce militari israeliani provammo a scappare verso Khan Yunis. Alla fine fu solo l’ennesimo intervento dei portavoce militari a porre fine all’azione. Noi ci siamo salvati grazie a loro. Ma cosa sarebbe successo se, invece di essere un giornalista straniero in contatto con le autorità di Gerusalemme, fossi stato un padre palestinese con la sua famiglia? ”

    Di nuovo, SE VOGLIAMO ESSERE OBIETTIVI, due cose sono certe:
    – che Israele voleva colpire civili e l’ha fatto, e questo secondo le informazioni dell’ONU, della Croce Rossa, delle altre associazioni presenti sul posto, e dei giornalisti.
    -che Israele nega questi suoi atti, anche quando sono stati perseguiti bombardando scuole dell’ONU, ospedali, moschee, mercati, campi profughi, palazzi in cui alcune famiglie si erano concentrate su richiesta dello stesso Israele.
    Di conseguenza, quello che dice Israele circa l’uso di scudi umani da parte di Hamas è solo propaganda.
    Che poi in alcuni casi Hamas abbia sparato razzi da case o campi abitati da civili, questo è possibile, ma il crimine dell’uccisione dei civili è stato voluto da Israele, che l’ha messo in pratica sistematicamente, sia quando poteva in qualche modo giustificarsi con la presunta presenza di Hamas, sia quando non poteva giustificarsi in alcun modo, come nei casi riportati sopra, in particolare quelli riferibili a ospedali e scuole ONU.

    Questo, SE VOGLIAMO ESSERE OBIETTIVI. E, di conseguenza, se vogliamo essere coerenti, dovremmo come minimo chiedere di processare per crimini di guerra Israele, che a tutt’oggi nega ancora i suoi misfatti.

  70. @Lorenzo

    La mia opinione, che non pretende essere obiettiva, è che Israele consideri Hamas e non la popolazione di Gaza come il nemico. Il motivo, come ho già scritto, è che missili di gittata via via crescente in mano a una organizzazione che ha come programma la distruzione violenta dello stato ebraico e che ha alle spalle l’Iran, altro nemico dischiarato, sono una minaccia gravissima per Israele. Quindi nel periodo della tregua dello scorso anno, Hamas si è preparata importando missili più potenti e Israele preparando l’offensiva di Gaza. Hamas non si attendeva questo attacco massiccio e ha avuto come unica scelta quella di reagire mimetizzandosi in mezzo alla popolazione civile. Ad esempio che i bunker dove si sono nascosti (e pare lo siano ancora) esponenti politici e militari in alto grado di Hamas siano sotto l’ospedale più grande della Striscia, non è stato mai smentito. Cremonesi non smentisce, come giustamente osservi, come Hamas abbia scientemente inviato i lanciatori di razzi tra la popolazione e osserva che IDF ha martellato duramente chi si trovava nei pressi delle postazioni di Hamas. La volontarietà degli attacchi alle scuole ONU e agli altri obiettivi da te citati come rifugio di civili e non perché vicine a unità di Hamas è per te un dato di fatto oggettivamente provato, per me non so. IDF ha annunciato inchieste per questi fatti, a ciascuno valutarne la credibilità.

    Intanto Olmert e Barak hanno appena dichiarato che il governo darà supporto legale a soldati o ufficiali che abbiano operato a Gaza e che siano posti sotto inchiesta sia all’interno di Israele e sia dall’estero. Tra le iniziative estere ci potrebbe anche essere la messa sotto accusa di esponenti israeliani come criminali di guerra da te auspicate (ONU?, Corte Penale Internazionale dell’Aia?), ma al momento non vedo avvisaglie.

    E la Livni, candidata premier di Kadima alle prossime elezioni, ha detto che
    1) se Hamas si riarmasse o riprendesse il lancio di razzi, Isreale reagirebbe con una nuova incursione a Gaza
    2) se eletta premier, smantellerà le colonie (tutte?) in Cisgiordania
    3) se eletta premier, lavorerà con l’amministrazione Obama e con i moderati palestinesi per uan soluzione di pace basata su due stati
    Chissà se racconta balle e, se le racconta, chissà quale sono le balle

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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