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Canti dell’offesa

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di Fabio Franzin

(Non è più l’umano che pensa il mondo.
Oggi è l’inumano che ci pensa (…) per infiltrazione diretta
di un pensiero virale, contaminatore e virtuale, inumano).
JEAN BAUDRILLARD

Povere statue. Mai state scolpite
mai state toccate da arte o scalpello
scaricate dalla stiva sull’asfalto

bollente dell’estate stese e per le
storte pose degli arti derise. Statue
del gelo nell’algore che ci avvolge.

Impresse nel display di qualche
telefonino quale esotica immagine
di viaggio da mostrare ai mostri amici

le angurie fresche a fette nei tavoli
il ghiaccio nei cocktail a cubetti
quel ghiaccio triturato dai sorrisi.

*(Il 14 luglio 2007, nell’area di servizio Bazzera, a Mestre, da un camion tedesco che trasportava angurie, furono estratti i corpi congelati di tre clandestini iracheni. I giornali raccontarono le risa divertite dei turisti di passaggio, le foto ricordo fatte coi telefonini).


***

È guerra ormai è guerra senza armi
la guerra sgangherata dei pezzenti
con le bollette in mano i denti laschi

la carie che ha intaccato i sentimenti.
Guerra senza esercito e bandiera senza
elmetto né trincea e che di certo non ha

neppure il suo nemico perché il volto
del nemico è celato nel tracollo della
cifra nel codice d’accesso al bancomat.

Guerra in cui ognuno è solo nella lotta
con la sua sporta il ciuffo di sedano che
sbuca il latte che si spande fra la calca

solo col suo cent a grattare la schedina
con la ricetta nella tasca del giaccone
solo ad una voce registrata che ripete

prema il tasto tre invece se desidera
parlare con un nostro operatore.
Solo
a combattere se stesso il suo destino.

***

La voce. Allora. Dall’apice in calando:
un urlo a scemare solo in soffio in fiato
necessario ormai a chiunque per il peso

l’urto della croce. Muto dunque il dissenso
che avvelena i nostri giorni la povertà
che cresce che ritorna il velo dell’incuria

sulle cose. Silenzio ad impastarsi denso
col rancore percorrere le aorte propagarsi
nelle viscere e annidare gelo sasso tumore.

La voce allora che si allea alla bestemmia
con la bestia che fuoriesce dall’umano
la voce che ferisce perché ferita per averle

maledette tutte le preghiere la voce che
conosce il proprio limite e sa la sordità
a cui anela l’assurda verità del suo invocare.

***

È che non è neanche più questione
di come o di cosa uno si accontenti
la miseria è sempre iena e la dignità

il moncone che nessuno può esporre
al mondo ormai senza vergogna. La
matassa, il reticolato irto e grigio là

calcato sopra le ansie e le preghiere
di mia madre: Testanera è una bella
pubblicità che promette di ricoprire

a lungo la ricrescita. “Sì, mi balla
la dentiera, altro che parrucchiera”
dice, “mi fanno male le gengive”,

è solo il male a far rima con sociale,
oggi, per chi si ostini a continuare
a vivere oltre l’età contributiva.

***

Le scaglie ocra del guscio di un uovo
e le bucce di un mandarino, sparse in
quel centrino rosso steso fra le fitte

e verdi stecche di una panchina – come
in un’ara, installazione minimale, sacra
rappresentazione ad assemblare codici

e colori del Natale: fra abete e presepe,
i doni dei re Magi, l’umile mangiatoia –
alle due del pomeriggio di quest’ultima

domenica d’avvento così bionda di luce
lungo il viale delle ville. La statuina c’è:
seduta accanto, e mi saluta con la mano

mentre passo, nell’altra una fetta di pan
carré; gli stivaletti beige col pelo chiaro
e la cerniera che spuntano sotto le balze

nere del montone certificano il viaggio
affrontato per la fame. E’ festa anche
per lei, oggi, c’è un bel tepore nell’aria

italiana, la neve degli Urali è lontana
ormai, ma l’Europa è una piovra che
sposta i pastorelli nella sua scacchiera

desolata, fra scorie e ciminiere, nessun
salvatore annunciato; la cometa ferma
sopra la grotta del centro commerciale.

***

Cosa mai ne capivamo noi di borsa
economia, materia pensavamo fosse
solo per altri, magnati o premi nobel

cifre e diagrammi che non sapevamo
interpretare, che sembravano le Alpi
sulla carta, quotazioni come altitudine

di passo di pianoro. Che al massimo
per noi era fare la cresta sulla spesa
qualche euro che restava nelle tasche

il segno più. Ma col mutuo abbiamo
provato quelle vette capovolte negli
abissi le punte farsi aculei nella carne

(così fa la faina quando striscia
silenziosa nei pollai e uccide fa razzia
per cibarsi poi soltanto delle creste)

Nell’immagine: Cold Front di Walter Martin and Paloma Muñoz

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22 Commenti

  1. “…la miseria è sempre iena e la dignità

    il moncone che nessuno può esporre
    al mondo ormai senza vergogna. …”

    senza parole, questi versi urlano da soli.

    grazie, un post da meditare.

  2. @gianluca g.
    a titolo di pura cortesia, senza fini di lucro, posso chiederti di dirmi, a parole tue, il significato dell’esergo di baudrillard, visto che non lo comprendo?

  3. il ventaglio aperto dal baudrillardiano “pensiero virale, contaminatore e virtuale, inumano” è così ampio che va dal pensiero unico a quello di facebook (pardon per l’intromissione)

  4. @tashtego: a parole molto mie ti potrei dire che in questo momento la nostra discussione avviene virtualmente e che la rete in-umana, ci mette in contatto senza che i nostri corpi si sfiorino. senza vedere e senza vederci. tu leggerai il mio pensiero e il mio scritto entrerà nei tuoi occhi (visto che il monitor ‘è luce’ ) e viceversa, senza accorgercerci, come un virus e la colpa è il post che contamina, la virtualità che ci risucchia. ciò che pensiamo di scrivere lo decide la macchina inumana. su facebook hai un numero prestabilito di caratteri per ‘pensare’.
    in definitiva è come l’esperimento mentale che faccio in continuazione: i personaggi elettrici (i nickname e gli avatar, bimodale, leo bloom, …, mi dicono quello che devo fare).
    un’ultima cosa, questa frase mi piace perché mi ricorda giuseppe genna e anche il ‘mio’ concetto di s-oggetto: il soggetto umano e l’oggetto inumano diventano una cosa sola: non più interazione tra soggetto e oggetto, come diceva il baudrillard, ma interassenza di s-oggetti.
    io e te siamo interassenti, presenti ma invisibili. un giorno ci potremmo vedere ma saremmo intangibili l’uno all’altro. ritorna il virus che non vedi che come la macchina ha bisogno dell’umano ma lo annienta.
    ti rendi conto? quello che leggiamo al computer è umano che an-nega l’umano. per parlare da uomo a uomo, abbiamo bisogno del non-uomo.
    p.s.
    per questo spesso preferisco scrivere a mano e suonare il pianoforte invece di scrivere al computer.
    :)

  5. Caro Fabio, grazie. Ci siamo tutti in questa offesa in atto. Ci siamo dentro fino in fondo. Persino chi ne ironizza o spocchiosamente pensa di salvarsi col sarcasmo, o chi, altri citando. E intanto, scambiamo la realtà per virtuale e viceversa. Mentre imperversa la bufera e precipitiamo tutti, “col mutuo e le vette capovolte”. Un anno glaciale che si apre con un’altra guerra infame , di offesa in offesa, con tutti quei bambini ammazzati a Gaza. E magari sembra un videogioco per i nostri figli, per i nostri nipotini. E portiamo nomi da vittime, e pure da assassini. Lo so che vado oltre, ma so che tu, amico, puoi capire questo dolore, e so che non ti lascerai ingannare neppure dalle parate elettorali, dalle dirette televisive sull’Obama mondiale. Perché pure lui continuerà a farle le guerre, come chi lo ha preceduto. Né farà nulla contro la pena di morte negli Usa. E pure quella è un’altra offesa, e non ha fine….Leggo questi tuoi versi in lingua, e, che sorpresa! Anzi, no, ne ero certo. Tu l’offesa puoi scriverla in lingua come nel tuo dialetto veneto, perché le parole le conosci, e ti vengono da un sentire autentico. Ha ragione Luigi Socci,che saluto, nel dire che sono versi di eccellente fattura, sottoscrivo. Ma qui, ora, prima della critica, è bene sottolineare quello che ci dici. L’offesa di cui scrivi ci riguarda da vicino….

  6. Caro Manuel, ti ringrazio per il “passaggio” e per il tuo graditissimo commento, così come ringrazio Socci, Natàlia e Andrea. Questi canti nascono dall’indignazione sofferta a questo tempo, che, sempre più sento tempo di offesa: offesa verso la devozione a un ideale di onestà, offesa verso i deboli, i poveri, gi indifesi. E’ guerra anche lavorare onestamente , spesso in condizioni di assenza delle più elementari norme di sicurezza e non poter vivere del tuo sudato stipendio, dover attendere mesi per una visita non potendo pagarsi uno specialista che ha fatto il giuramento di Ippocrate e intanto sta con un piede all’usl e con tutto il resto in ambulatori luccicanti; è offesa la social card, la politica, la televisione, è offesa l’affaire Kakà e tutte le altre balle che i media montano per distrarre il popolo. E’ offesa anche il popolo, ormai, purtroppo.

  7. Sono d’accordo. La mia adesione a quello che scrivi è totale. Spero che gli amici di NAZIONE INDIANA possano al più presto leggere i tuoi versi neodialettali di “Fabrica”, la raccolta ancora inedita che tu mi hai permesso di poter leggere e che uscirà entro l’anno. Magari, è un invito che rivolgo a una sempre attenta FRANCESCA MATTEONI, pronta a cogliere con grande sensibilità letteraria quello che si ‘muove’ in poesia. I versi di ‘Fabrica’ trattano proprio di questa offesa in atto, offesa che riguarda te in prima persona, ma pure una umanità di cui si sa o si fa sapere molto poco… sembrava che gli operai fossero spariti in un paese dove tutti si mostravano ricchi fatti e rifatti… e invece la tua denuncia ci riporta a una realtà taciuta e sottaciuta di sfruttamento, di precariato, di sopruso e violenza psicologica. Grazie Fabio per la tua scrittura di esperienza e di denuncia, sarà un libro importante, uno dei più forti per una generazione (la nostra, nata negli anni ‘sessanta) a cui nessuno ha dato molto peso, e che molti hanno etichettato come ‘priva di forza’, di vitalità, di contenuti. Un forte abbraccio.tuo manuel.

  8. Non avevo mai letto niente di Fabio Franzin. Ne sono rimasta impressionata e mi sono doppiamente sorpresa leggendo ad alta voce…
    Anche le parole del suo commento m’impressionano.
    (… offesa verso la devozione a un ideale di onestà, offesa verso i deboli, i poveri, gi indifesi. “E’ guerra anche lavorare onestamente , spesso in condizioni di assenza delle più elementari norme di sicurezza e non poter vivere del tuo sudato stipendio”…).
    Lo so che magari è inopportuno, ma è più forte di me: sogno questi Canti distribuiti alla cassa dei centri commerciali, nelle sale d’aspetto delle Asl, con l’allegato pubblicitario dei giornali o meglio ancora in uno spazio fra le pagine della Cronaca…

  9. Ciao Fabio, sono felice di rileggerti di nuovo qui, e con qualcosa di veramente forte. Secondo me questo è il tuo “settore” più produttivo; c’è forza, indignazione mai urlata, c’è la descrizione commentata del mondo contemporaneo nelle sue distorsioni. Quando la poesia serve, dice davvero, fa.

  10. @ f.k. : molto bella la formula ‘indignazione mai urlata’, e davvero corrisponde alla scrittura di Franzin. Mai urlata e mai esibita, e anche prive di certe ‘zeppe’ ideologiche. Estranea al blà-blà del poetese e del politichese. Penso che dovresti leggere ‘Fabrica’ al più presto. ciao ciao

  11. Cari Manuel e Franz, scusatemi ma arrivo solo ora per ringraziarvi el vostro calore, forse un po’ troppo esagerato anche: io mi considero e continuo a sentirmi solo un umile artigiano dell’idioma, e i vostri cari complimenti mi mettono in soggezione. Grazie, e davvero di cuore, siete due persone magnifiche e ormai egli amici molto cari. Ringrazio anche la portinaia dell’Accademia della crusca (che bel link!) per il suo “sogno” che mi onora e mi fa altrettanto intimidire. Grazie anche a te, col cuore.
    Ma vorrei aggiungere due parole su questi mei canti, sul loro perché:
    non ho mai pensato, sono umile, sì, ma non ingenuo, che una poesia (o una canzone, o un film, ecc…) possa cambiare il mondo, ma so, con altrettanta certezza che l’indifferenza può far regredire una civiltà ai tempi della caverna e della clava. Così è stato nella storia, anche la più recente, e quello che fa male è l’accorgersi quanto poco basti, un po’ a tutti, per dimenticarsela (come se non fossimo stati un popolo di emigranti, per esempio…). La poesia, quella cosiddetta “civile”, per me è uno dei modi anche per dire: no, non va bene, per non far parte di un coro allegramente stonato, per non cantare inni al menefreghismo.

  12. Caro Fabio, i tuoi canti sono davvero molto belli (li ho trascritti e rilanciati sul mio blog ieri – http://www.acapofitto.splinder.com-, assieme a un testo di Viola Amarelli) e mi associo a quanto commentato da Fk e dalla Portinaia dell’ Accademia della Crusca (complimenti per l’autoironia!). Si, io quei canti li farei leggere nelle sale d’attesa evocate, addirittura li farei “annunciare” con tono straniato dagli altoparlanti dei centri commerciali e supermercati…vuoi vedere che noi, popolo di zombi, non si abbia un lume di “resipiscente attenzione”?
    @ fabio Puoi mandarmi il tuo contatto e mail a questo indirizzo saldan@libero.it Mi occupo di attivitò culturali per conto del Comune ove lavoro, nel casertano, e – miracolo- forse in bilancio mi approvano una inziativa per il rilancio della poesia detta ad alta voce. Nel caso, mi piacerebbe invitarti. Grazie

    Saldan

  13. Fabio Franzin,
    pochi discorsi: tu le Canti proprio e bene, altro che timidezza. Il mio problema è, ora, semmai, come diffonderti… E vabbè! Lo farò nel mio piccolo che è proprio piccolo piccolo piccolo.

    *

    Per i lettori che – come me – non conoscevano Fabio Franzin, qui una sua citazione:
    ho partecipato, come spettatore, alla festa per i 70anni di Andrea Zanzotto; una persona del pubblico gli chiese se avesse raggiunto il suo scopo originario, attraverso la sua opera poetica, e Zanzotto diede una risposta che si è incisa in me: “se anche un solo mio verso fosse riuscito ad evocare qualcosa di sé, ad aprire una piccola finestra nell’animo anche di un solo mio lettore, so che avrei raggiunto il mio scopo”.

    https://www.nazioneindiana.com/2007/11/29/la-smania-degli-idioti/#comments

    Qui una sua intervista:

    http://eternosplendore.blogspot.com/2007/08/pubblico-qui-lintervista-integrale-al.html

    *

    Salvatore D’Angelo,
    mercì. Cosa vuoi, l’ironia è uno dei miei psico-non-farmaci. Per usarla prima devo avere l’auto-prescrizione…

  14. Caro Luigi Socci, il libro di cui parla Manuel è una mia raccolta-poema in dialetto veneto che si intitola appunto “Fabrica”, e uscirà nella collana Macadamia per “Atelier”, l’aprile p.v. Cari Salvatore e “Portinaia” (mi piacerebbe poterti chiamare per nome), vi ringrazio immensamente per i complimeti e il calore. Siete voi che rendete viva quella risposta di Zanzotto, che date un senso a quella fatica che è, sempre, scrivere, pensare, avvitare i pensieri con le parole. Grazie, graze davvero, di cuore

  15. Fabio,
    hai ragione. Anzi scusami se non dico il mio nome. Puoi chiamarmi, se lo preferisci, con la mia iniziale: P. Come poesia o… Paradosso…
    Ciao e molte grazie a te.

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francesca matteoni
francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Sono nata nel 1975. Curo laboratori di tarocchi intuitivi e poesia e racconto fiabe. Fra i miei libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Acquabuia (Aragno 2014). Ho pubblicato un romanzo, Tutti gli altri (Tunué, 2014). Come ricercatrice in storia ho pubblicato questi libri: Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014) e, con il professor Owen Davies, Executing Magic in the Modern Era: Criminal Bodies and the Gallows in Popular Medicine (Palgrave, 2017). I miei ultimi libri sono il saggio Dal Matto al Mondo. Viaggio poetico nei tarocchi (effequ, 2019), il testo di poesia Libro di Hor con immagini di Ginevra Ballati (Vydia, 2019), e un mio saggio nel libro La scommessa psichedelica (Quodlibet 2020) a cura di Federico di Vita. Il mio ripostiglio si trova qui: http://orso-polare.blogspot.com/
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