L’iniziativa Yasuní-ITT

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di Roberto Bugliani

Con il decreto esecutivo del 5 febbraio scorso, il presidente ecuadoriano Rafael Correa Delgado ha deciso il rinvio “a tempo indeterminato” della scadenza del “Modello Yasuní-ITT” (scadenza peraltro già in precedenza prorogata al giugno 2009), con il quale l’Ecuador si impegnerebbe a lasciare nel sottosuolo del Parco Nazionale Yasuní (situato nel campo petrolifero Ishpingo-Tambococha-Tiputini, da cui l’acronimo ITT) gli oltre 900 milioni di barili di greggio lì individuati, in cambio di un contributo economico da parte della comunità internazionale valutato in 350 milioni di dollari annuali per un arco di tempo di 10 anni, che il governo ecuadoriano utilizzerebbe per progetti di riforestazione e per sostenere il suo welfare state. Il Parco Nazionale Yasuní si trova nell’oriente amazzonico a 320 chilomentri ad est di Quito, ed è un territorio ad altissima biodiversità dove vivono popoli indigeni in isolamento volontario, dichiarato dall’ONU riserva mondiale della biosfera.

In accordo con l’articolo 14 della nuova Costituzione redatta tra la fine del 2007 e i primi mesi del 2008 dall’Assemblea Costituente voluta da Correa (uno dei partecipanti della “rivoluzione cittadina” del 2005 che destituì il colonnello Gutiérrez) e approvata con l’81,72% dei voti nel referendum popolare dell’aprile 2008, articolo che stabilisce “il diritto della popolazione a vivere in un ambiente sano ed ecologicamente equilibrato”, questa iniziativa apre a una prospettiva del tutto inedita la politica di difesa ambientale dell’Ecuador, e propone un modello decisamente innovativo a livello mondiale.

La notizia in sé positiva del rinvio a tempo indeterminato del piano di estrazione del greggio dal Parco Yasuní è venuta a ridosso del rifiuto della compagnia petrolifera statunitense Chevron-Texaco di sottomettersi alla perizia di valutazione dei gravissimi danni arrecati all’ambiente e alla salute delle comunità indigene e dei coloni amazzonici dal 1964 al 1992 (anni in cui la compagnia petrolifera operò o, per meglio dire, spadroneggiò sul territorio ecuadoriano, prima di venire assorbita dalla Chevron), contro la quale si è costituita l’Assemblea dei danneggiati della Texaco, che chiede un risarcimento per il bonifico delle vaste aree inquinate di 27mila milioni di dollari.

Ma la proroga del governo Correa ha sollevato vari dubbi e riserve sulla sua effettiva “buona volontà” da parte delle associazioni ecologiste del paese, tra cui l’attivissima organizzazione “Amazzonia per la vita”, che da oltre un anno sta promuovendo la campagna d’informazione e di mobilitazione “Yasuní dipende da te” in seno alla società civile. La sua portavoce Esperanza Martínez è piuttosto critica sull’operato del governo Correa, che, cambiando il progetto iniziale che prevedeva libere donazioni della comunità internazionale a sostegno dell’iniziativa, lo ha vincolato alla vendita ai paesi del Primo Mondo di bonus del debito del carbonio (la tassa ecologica per i gas producenti l’effetto serra, o ETS nella sigla inglese) di Certificati di Garanzia Yasuní (CGY) da immettere sul mercato tedesco di Leipzig dove i paesi europei comprano i bonus per compensare la loro impossibilità di ridurre l’inquinamento ambientale, al fine di evitare le emissioni nell’atmosfera dell’ordine di 410 milioni di tonnellate di CO2, che si produrrebbero a seguito dell’estrazione del petrolio dall’area ITT. Inoltre, aggiungono le associazioni ecologiste, se il governo ecuadoriano ha dato nuovo impulso all’Iniziativa Yasuní è perché le quotazioni del greggio a livello internazionale sono crollate drasticamente a causa della crisi economica mondiale, e allo stato attuale risulta più redditizio inserire il progetto all’interno del mercato della vendita dei buoni ecologici (i cui principi sono fortemente criticati dagli ambientalisti), dal quale si potrebbero ricavare 11.600 milioni di dollari in 10 anni, anziché estrarre il petrolio dal sottosuolo amazzonico, che porterebbe a realizzare la stessa cifra nel giro però di 30 anni. Quello del governo ecuadoriano, dice Martínez, è un “doppio discorso”, in quanto nello stesso tempo ha conferito alla brasiliana Petrobras la licenza ambientale per sfruttare il Blocco petrolifero 31, ubicato sempre all’interno dell’area amazzonica, confinante con il Yasuní, che le organizzazioni ecologiste vogliono includere nell’Iniziativa ITT.

Comunque, una battaglia, la prima, è stata vinta, in quanto con il decreto del 5 febbraio vengono annullate le pretese della compagnia statale Petroecuador di iniziare la licitazione per affidare a imprese petrolifere straniere le esplorazioni del campo ITT in vista dell’estrazione del petrolio. E lo stesso Correa, parlando a fine gennaio al Foro Sociale Mondiale di Belém, ha ribadito la sua intenzione di seguitare a sostenere il Modello Yasuní ITT.

Attualmente, dopo la donazione fatta dal governo spagnolo di 200.000 dollari, il governo tedesco ha stanziato 300.000 euro per finanziare lo studio di fattibilità in termini tecnici, ambientali e legali del progetto. E Roque Sevilla, il delegato governativo a capo dell’Iniziativa Yasuní, ha dichiarato che l’inizio della campagna di sensibilizzazione internazionale sul progetto è prevista tra marzo e aprile. Per il momento, insomma, questa singolare sfida, questa scommessa a favore dell’ambiente e della vita, aspetta chi la raccoglierà. Che non può essere che il c.d. Primo Mondo.

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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