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Il corpo oggetto – Intervista a Giuseppe Catozzella

espianti_solo_fronte_fascia_folderdi Jadel Andreetto

Espianti (Transeuropa, pp. 300, € 14,90) è un calcio al basso ventre. Un meccanismo a orologeria potentissimo che fa girare i suoi ingranaggi tra cronaca, reportage, noir, thriller e metafisica aprendo un baratro profondo, un abisso in cui guardare. E come scriveva Nietszche, l’abisso ha cominciato immancabilmente a guardarci a sua volta. Espianti fa questo effetto. Un vuoto pneumatico di consapevolezza che si apre come una piccola crepa nella coscienza pulita di un intero paese di “brava gente”.
Una setta segreta di suicidi, tutti appartenenti all’alta società; un funzionario del ministero degli Esteri e l’omicidio di sua figlia, un fascicolo dei servizi segreti, un amore adolescenziale, il commercio di vite umane, il mistico fiume invisibile indiano e la storia del giovane Livio a fare da collante…
Ispirato a una vicenda reale – un’indagine della magistratura sul traffico di organi dal terzo mondo al nostro paese – il libro di Giuseppe Catozzella a poche settimane dalla pubblicazione è già in ristampa e Roberto Saviano lo ha commentato così: «questa è scrittura che fa aprire gli occhi sulla realtà più oscena. Quella più nascosta. Che nessuno vorrebbe mai vedere.»

Come si è documentato per scrivere Espianti?
In Italia non esiste praticamente niente sul tema del traffico di organi nel nostro Paese. È appunto un tema “fantasma” che, peraltro, mette insieme benissimo quella che io reputo essere la struttura portante del Paese, la collusione tra criminalità organizzata, potere economico e amministratori pubblici. Quindi, dopo un lungo periodo di ricerche, sono faticosamente riuscito a entrare in contatto con un magistrato che sta collaborando alle prime indagini di una Procura italiana sul traffico di organi fino ai nostri ospedali.

Cosa ha scoperto? A che punto sono le indagini?
Ho scoperto quello che il segreto istruttorio ha permesso al magistrato di dirmi. Ovvero che in Italia c’è il sospetto – finché non sarà provato con una sentenza – di traffico di organi umani che arrivano da persone che provengono dai Paesi del cosiddetto Terzo mondo. Le indagini sono ancora sotto segreto istruttorio. Il segreto naturalmente è tassativo e finché non decadrà non si potrà dire nulla. Posso dire però che di certo le indagini sono il motivo per cui il ministro Maroni ha parlato pubblicamente di un coinvolgimento italiano nel fenomeno del traffico di organi.

Perché ha deciso di affrontare questo tema?
La fase delle ricerche è stata molto lunga, fino a entrare in contatto con il magistrato. Ho deciso di scrivere un libro perché credo nel potere della parola e nella necessità della testimonianza. È il modo che abbiamo per cambiare le cose. Il caso di Saviano è da questo punto di vista esemplare. In un Paese “addormentato” è necessario tenere vigile l’attenzione.

Cosa succede tra Italia e India?
Tra Italia e India c’è lo stesso rapporto – riguardo al tema del traffico di organi – che c’è tra Italia e altri Paesi del terzo mondo. Nel corso delle mie ricerche molte volte mi sono imbattuto in addetti ai lavori che tranquillamente parlano di un “buco” nella frontiera italiana all’altezza di Trieste, come spiego anche nel romanzo. Ecco, quello è uno dei canali privilegiati attraverso cui passano esseri umani per i quattro fatti malavitosi che riguardano il traffico di esseri umani: prostituzione, adozioni illegali, schiavitù e traffico d’organi. Recentemente ho scritto un articolo aggiornato all’ultimo congresso mondiale in tal senso che parlava di cifre spaventose. Si tratterebbe di 800 mila individui che ogni anno verrebbero trafugati dai loro Paesi di origine, e destinati al traffico di esseri umani.

Perché ha scelto di raccontare in particolare l’India e non un altro paese del terzo mondo?
L’India è un Paese con 1 miliardo e 300 milioni di abitanti ed è il ricettacolo perfetto per ogni criminalità che operi attraverso il commercio illegale di corpi umani. Nel corso del Kumbha Mela, poi, che è il più grande raduno dell’umanità con 60 milioni di persone ammassate per due mesi in una sola città, a ogni manifestazione decine di migliaia sono i dispersi. La mia scelta nel romanzo del Kumbha Mela come luogo in cui avviene la cattura dei corpi non è solo suggestiva da un punto di vista religioso e folcloristico ma è anche molto molto verosimile.

Lei è laureato in filosofia teoretica, come ha influito la sua formazione sulla stesura di Espianti?
La mia formazione filosofica ha molto influito nella stesura del romanzo poiché ho tentato di “reinterpretare” la crisi che l’Occidente e l’Italia stanno vivendo in questi anni da un punto di vista strutturale. In questo senso la tradizione induista prima e buddista poi – alla luce delle quali leggo il razionalismo occidentale, che ne ha causato il nichilismo e l’abbrutimento materialista che oggi tutti stiamo vivendo in termini di crisi economica – hanno molto influito sulla mia formazione. Esse inverano infatti tutto il percorso del pensiero occidentale, a mio modo di vedere. La questione che percorre tutto il romanzo della Terza Via altro non è che la suggestione del superamento tutto occidentale della contrapposizione tra materialismo da una parte e spiritualismo dall’altra, con la decisa vittoria del materialismo (capitalistico) che ora sta inesorabilmente mostrando i vuoti di senso da cui è stato generato. Questa stessa separazione tra spirito e materia tutta tipica dell’occidente è la stessa causa del più aberrante dei crimini che il mondo occidentale ha prodotto – considerando il corpo come oggetto, appunto: il traffico di organi umani.

Perché ha preferito il registro narrativo a quello saggistico?
Il registro narrativo è l’unico che mi è congeniale, e poi ovviamente può arrivare a più persone. Nel mio romanzo si mischia però con alcune parti di filosofia occidentale e orientale e con tratti che ricordano la cronaca giudiziaria. È dunque un ibrido, come peraltro è già stato più volte definito. Credo che questa sorta di natura composta sia qualcosa da cui sarà difficile tornare indietro, se lo scopo rimane quello di voler dire la realtà dei nostri giorni. Credo non sia solo una forma in fieri, ma una forma essa stessa.

Come si trova con un editore come Transeuropa?
Transeuropa è una piccola casa editrice. Molto diversa da Mondadori, per esempio, per cui io lavoro come consulente freelance da molti anni. Ha i vantaggi e gli svantaggi delle piccole dimensioni. Rapporti molto più “umani”, molta attenzione al singolo titolo. Ma anche meno presa sull’immaginario collettivo, meno presa sui giornali, insomma meno visibilità. Certo dentro Transeuropa si fa un buon lavoro. E credo che Giulio Milani sia davvero un buon editore e anche un buon editor.

Quali sono le sue ispirazioni letterarie?
Leggo molto i classici, credo che per molte cose siano molto più cristallini e lucidi. Poi mi piace la letteratura di critica. Poi Hoellequebecq, Wallace, McCarthy, Zanzotto, McInerney.
Cosa pensa del dibattito in corso sul “new italian epic”? “Espianti” potrebbe essere un cosiddetto “oggetto narrativo non identificato”?

Espianti è certamente un oggetto narrativo non identificato – anche se mantiene un primato narrativo importante, appunto. Molto sinceramente credo che l’etichetta del NIE sia piuttosto grossolana, applichi maglie troppo larghe, anche se ricalca certamente ciò che dicevo prima sulla forma in fieri che si cristallizza in forma assoluta. E credo che questa questione della forma sia applicabile in generale alla realtà di oggi. Ancora in generale trovo che la critica in Italia manchi da troppo tempo di un punto di vista più profondo, come dire “filosofico”, nel senso di ben strutturato e coerente e coraggioso, anche (credo che vengano più privilegiate le appartenenze, invece, un certo signoraggio). In mancanza di un punto di vista forte non può che soffrire un po’ di rabdomanzia, per così dire. Trovo che il NIE sia uno spunto interessante. Da trattare come spunto per approfondire.

(Da Panorama.it)

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47 Commenti

  1. mi incuriosisce molto questo romanzo, anche se la tematica è molto forte. sembra uno squarcio nel putrido, nel buio fuori dai riflettori. la scelta è coraggiosa, come pure la scelta di parlarne.
    mi interessava il discorso sulla critica: senza fare “di tutt’erbe…”, Catozzella mi trova d’accordo, c’è poco coraggio e a volte la prevalenza di ounti di vista ideologici/commerciali laddove si dovrebbe sempre cercare di parlare di letteratura, di narrativa. in questo senso per me il NIE ha mosso le acque e fissati alcuni paletti importanti. si può concordare o meno con l’impostazione, le scelte dei canoni, ma io lo trovo ben più di uno spunto.

  2. il libro l’ho letto dopo la prima recensione apparsa qui e l’ho trovato diverso da quello che immaginavo. Lo pensavo più saggistico e invece ho trovato felice la scelta di lasciarlo romanzo, di lascioargli un taglio che nutre il nostro mondo più reale e prezioso. Trovo che le sole inchieste siano delle volte anche controproducenti per poter continuare a vivere e immaginare un mondo. Io delle volte mi sento schioacciata da dati reali tanto numerosi quanto paralizzanti e trovo ci manchi delle volte la possibilità di averli altrettanto reali ma in una forma che lasci lo spazio di creare del mondo, di pensarlo e quindi agirlo diverso. Sento molto il bisogno di ricreare giardini dove far giocare e crescere i bambini e dare a loro e a noi vita umana possibile senza negare le parti peggiori della realtà, ma creando anche la necessità e la bellezza e la gioia di essere diversi. Complimenti a Giuseppe Catozzella.

  3. Il tema è terrificante quanto attuale e merita ogni possibile approfondimento. Pur rispettando le inchieste in corso e il logico segretoe tenendo presente che la normativa italiana sui trapianti (e relativi organi) è tra le più severe oggi esistenti anche il solo sospetto dell’esistenza di una “grey zone” dove possa prosperare un commercio del genere è significativo.

  4. Ringrazio moltissimo Lucia per quello che scrive.
    Per Sergio: certo, il discorso sul NIE, com’è naturale, meriterebbe tutt’altro approfondimento, non possibile nello spazio ristretto di un’intervista per una rivista.
    Ad Angelo Benuzzi vorrei dire che purtroppo il sospetto dell’esistenza di una “grey zone” è molto ben fondato.

    Giuseppe

  5. più il tema è scottante e criminale e allarmante e spietato e ripugnante e più il Grande Ripieno si intrattiene volentieri, perché si annoia di sé e di tutto ciò che lo riguarda senza sospettare o magari invece sapendolo, intuendolo, benissimo, che la vera melma non è la camorra o la mafia dei trapianti o gli strozzini, ma il Grande Ripieno ipse, con la sua inerzia, la lotta silenziosa e terribile per la prevalenza negli ambiti apparentemente “legali” che gli competono, la sopraffazione, l’odio, il razzismo, il disprezzo, eccetera: lo si intrattenga parlandogli di altro, allora, di pedofili e assassini e stupratori e mafiosi e criminali della magliana: si venderanno delle copie, almeno.

  6. :- )))))))))) Grande Ripieno è una definizione geniale! Tu sapessi quanto ci sguazza in queste pubblicazioni il Grande Ripieno!

    Che pubblicazioni autenticamente post.postqualsiasi cosa! E nessuno mai c’ha lo spazio per approfondire il NIEnte!

  7. A tashtego: se avessi letto il libro prima di commentare così incautamente ti saresti reso conto che il punto di vista è molto più coerente di quello che tu accenni in due battute. Non è solo che il grande ri-pieno (come tu lo vuoi chiamare) si riempie per mancanza di sensi e significati (e cosa dovrebbe fare, del resto? Non c’è altro da fare, è l’unico modo in cui una cosa possa avere l’esistenza, fuori dalla tua ideologia che vorrebbe un puro-pieno): questo è un punto di vista che parte dal post, dal mediatico, e vi è già preso dentro. Più coerentemente si deve dire (e solo dire, perché tutto questo non è che un gioco del linguaggio, dei significati, appunto) che è il grande ripieno che dà per sottrazione l’idea del vuoto (di senso) e che del resto il vuoto non può esistere se non riempiendosi. Dato questo, il punto non è mediatico. Il punto è reale. Il punto è nell’aberrazione del riempimento del vuoto esistenziale. Se a te non interessa ciò che accadrebbe (finché non ci sono sentenze) in alcuni nostri ospedali, non è affare mio. Nel libro, peraltro, vado oltre la dialettica del pieno e vuoto, e la leggo secondo suggestioni più orientali che in mezzo ci mettono (fanno vivere) un terzo.

  8. Attorno agli ultimi taboo ( quelle proibizioni che ci mantenevano lontani e al riparo dal male-l’espianto violento ha le caratteristiche del cannibalismo) la civiltà dello spettacolo – la cima alla genovese- si implementa in maniera manifesta.

  9. @catozzella
    non intendo sminuire affatto la gravità del tema che tratti nel libro.
    ne disprezzare il lavoro, tuo e di altri, di scrivere et denunciare e mostrare e dimostrare allo stesso tempo.
    voglio solo indicare quella che mi appare come una sorta di condanna contemporanea dello scrittore che ha solo due possibili modalità di esito del suo lavoro: intrattenere oppure essere ignorato.
    se il crimine prende le masse e ha successo e vende è perché, al di là della sacro-santa e spesso molto coraggiosa (il coraggio fa parte dello spettacolo a dispetto delle intenzioni del coraggioso) denuncia, intrattiene.
    un tempo questo lo si sapeva bene, si capiva che non c’è verso e non c’è via d’uscita: oggi si indulge nell’illusione di spostare davvero qualcosa.
    può darsi ci si riesca, forse saviano l’ha fatto, ma ha spostato la massa di sterco più leggera.
    l’altra, il suo pubblico, tutti noi, resta dov’è e com’è.
    saluti a jadel e a sergio.

  10. @sergio
    in effigie al tuo blog scrivi:
    “Voglio una letteratura non consolatoria bensì perturbante.”
    a parte quel bensì, che è molto bello, la sintesi di ciò che cerco di dire è che ammesso che tu ci riesca, potrai perturbare i pochi, ma i molti non si lasciano perturbare: nel senso che il perturbamento fa parte dell’intrattenimento, anzi E’ l’intrattenimento.

  11. @ tashtego: ecco questo è molto meno noiso. Da qui si può partire.
    “Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve provocarle. Un libro deve essere un pericolo” scriveva il buon vecchio Cioran.
    Ora, che i molti non si lascino ferire o perturbare è un dato di fatto, la domanda è davvero ci interessa? Quella dello scrittore è una missione salvifica per caso, la sua figura è simile a quella del Bohisattva?
    Dovrebbe esserlo? È un detentore di Verità?
    Tempo fa scrissi qualcosa sul NIE e alla nota 37…
    http://kaizenology.wordpress.com/2008/12/10/in-margine-a-un-testo-esplicito-extended-version-kzj/

  12. @tashtego, grazie per il tuo commento.
    io (ma mica è obbligatorio essere d’accordo) non amo il pessimismo, come mi sembra il tuo. le cose si può provare a cambiarle buttandocisi dentro, senza stare alla finestra a guardarle. l’intrattenimento non è il diavolo, e lo scrittore non è il messia. solo che c’è intrattenimento e intrattenimento e scrittore e scrittore.
    parliamo di delitti, fatti ripugnanti et similia: io distinguerei i salotti televisivi infiniti su Erba, Garlasco, Cogne, Perugia e qualsivoglia altro delitto, in cui mi sembra almeno che prevalga il voyeurismo pruriginoso del chi ha fatto cosa, e che sono quanto di più consolatorio esista (i salotti, i dibattiti con le biciclette insanguinate e pigiami sporchi, o quel che era, non mi ricordo). li distinguerei da libri come questo, come Gomorra, come Perdas de Fogu e tanti altri. consola ciò che ti lascia stravaccato sul divano, rassicurato che tutto va bene, compreso nel tuo bozzolo etnico che niente e nessuno può turbare. gli stessi che ti consolano in quel modo, però, guarda caso, ti mettono la paura dei rumeni, dei rom, degli immigrati, o consolidano l’appartenenza alla tua superiore razza bianca (letto WM1 sul film “300”?: http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/allegoria_e_guerra_in_300.htm). sei forte e tranquillo qua dentro: il diverso lo devi distruggere. esiste questo intrattenimento: leggittimo, ma va compreso, analizzato e scardinato. le cose si provano a cambiare se ti ci butti dentro con le tue forze con i tuoi mezzi, con quello che puoi.
    perturbare per me è una dichiarazione di responsabilità: ammesso che ci riesca (e che non faccia come quel muratore che disegnava case bellissime e poi le faceva con muri storti), significa (certo comunque fare intrattenimento, raccontare storie lo è) ma cercare di spalancare porte, aprire pensieri liberi, instillare dubbi contro le certezze aberranti del nostro tempo (i rom sono cattivi, la crisi non c’è, i cieli sono azzurri e zumpappà…per esempio), far capire che la paura che ci stanno buttando addosso in realtà è il rifiuto della complessità, di un mondo multietnico, multiculturale, multiforme. quello che dai dietro i vetri dell’X5 si fa fatica a vedere, come si fa fatica a capire che prima l’esercito, poi le ronde, poi la polizia senza benzina, poi li presidenzialismo…e poi?
    lo scrittore è Pasolini che dice “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.” poi magari scrive male e non prende. pazienza, però c’ha provato. poi magari ne perturba pochi: però saviano ne ha presi tanti, e se non l’avesse fatto, sarebbero ancora meno.
    “sempre in guardia, sempre resistenti.”

  13. Il libro di giuseppe merita una lettura, la parentela stilistica con Saviano è meno forte di quello che si puo’ credere. Comunque, con o senza Grande Ripieni, “esordi” mi sembra testimoniare di una letteratura che sta affrontando con serenita’ i limiti della letteratura come pratica sociale, insomma, i limiti dello stare da soli a casa a scrivere. Non è un progetto nuovo ma viene rilanciato e forse andra’ lontano, dipende da noi.

  14. Le condizioni in cui operano gli intellettuali oggi, sono molto diverse da quelle in cui operava Pasolini ed altri del suo tempo.
    Credevo di essermi spiegato.
    Ho la massima stima per i libri come questo, come quello di Saviano e di altri.
    Ma non mi faccio illusioni: tutto viene assorbito dalla porosità intrattenitiva delle democrazie mediatiche a pensiero unico, come la nostra, soprattutto ciò che rientra nella categoria del «criminale».
    Non è pessimismo, direi, ma occorre guardare con più attenzione i giorni che viviamo, altrimenti si rischia di credersi in un luogo mentre in realtà si è da un’altra parte.
    C’è un difetto di massa nella capacità di percezione della così detta «realtà», un difetto che è di tutti, anche nostro: si tratta in realtà della contrapposizione di narrazioni diverse e opposte, non di percezioni dirette.
    Eccetera.
    Anche l’esperienza più estrema, anche la dimostrazione più chiara evidente e plateale di un aspetto della «realtà», finisce nella trappola mentale dell’irrealtà dove lo stordimento di massa tende a relegare tutto ciò che potenzialmente turba.
    Doppio eccetera.

  15. “Stupire – ma mai sbaragliare- il borghese” mi pare inevitabile. Non pretenderei di fare qualcosa oggi che “funzioni” già subito. Questo tecnicismo ci fotte. Metto a dimora un rametto insignificante,che nemmeno si nota, domani sarà, se saprò averne cura, “albero”. Questa non è la buona novella, ma io per me mi ostino a pensare le cose distese nel tempo.Per non ricascare nella cultura come luogo di svago.

  16. @da
    mi spingo oltre la noia, nell’iper-noia.
    arrivo a riesumare vecchie formulazioni come questa: tutto ciò che non uccide (praticamente niente) il sistema, lo nutre.
    sui tempi lunghi non succede niente, tutto peggiora.
    in questo sì, sono pessimista.

  17. A tashtego: la tua posizione mi pare davvero incomprensibilmente ideologica. Dal sistema non si esce, il sistema sei tu. La cosa è come decidi di starci, nel sistema, dato che non si esiste che in esso. E questa è la scelta. Non succede niente e tutto peggiora, se non si fa niente.
    Non si parla di sovvertimenti, di innalzamenti a dio, si parla di piccoli passi, piccole lotte, si parla di dignità e di legalità. Si parla, per lo meno, dell’urgenza di cercare di contribuire a cambiare il nostro marcissimo Paese, per quanto ci sia dato. Anche con la letteratura. Senza perdersi in tante chiacchiere.

    A Jacopo: cosa intendi con “una letteratura che sta affrontando con serenita’ i limiti della letteratura come pratica sociale, insomma, i limiti dello stare da soli a casa a scrivere”?

    Concordo in linea generale con il discorso di Sergio.

  18. non se ne esce
    da una parte il pessimismo di tash che non è sguardo sul mondo ma è il mondo, è la storia
    dall’altra l’aspirazione ad una realtà più giusta, più umana, piccoli passi, piccole lotte, piccole pezze
    a tamponare voragini.
    non se ne esce
    ma se concordo con questo pensiero “tutto ciò che non uccide il sistema, lo nutre” allora devo anche attrezzarmi a dar testimonianza di questo sentire.
    come?
    se faccio parte del sistema, se io stessa sono sistema, ho solo due alternative: uccidere il sistema stesso, eliminarmi in poche parole, o pensare in modo radicale.
    ma pensare in modo radicale porta necessariamente al fallimento.
    pensare per piccoli passi, pensare a piccole “riforme” porta al marcissimo mondo che catozzella vuole contribuire a cambiare.
    io tenterei la prima di strada.
    non chiedetemi ovviamente cosa significhi pensare radicale perchè ognuno di noi dovrebbe sapere delle proprie paure.
    un bacio a tutti
    la funambola

  19. Intendo dire qualcosa di piuttosto banale e per ora vago.
    La letteratura è spesso apparsa una costruzione di finzione (fictio) che non andava misurata con la realtà dei fatti. Un testo come il tuo o quello di Saviano (ma ce ne sono poi altri, Tuena, Ultimo parallelo, ad esempio) mette in questione la letteratura perché da la possibilità di una confutazione o di una conferma estranea al mondo della letteratura pur utilizzando tecniche letterarie: personaggi, storie di fantasia, etc…
    Ad esempio, se il traffica d’organi non esistesse il tuo racconto crollerebbe su stesso. Esagero forse, ma è per farmi capire.

    La pratica sociale della letteratura allora cambia, perché diventa davvero complementare al buon giornalismo, alle inchieste della magistratura, etc. L’idea non è nuova ma…

    Sono idee confuse frutto di una lettura ancora in corso del libro di Carlo Ginzbug “Rapporti di forza” incentrato sull’idea che la retorica (nel senso di De Man, Derrida…) non è estranea al concetto di prova.

  20. @funambola & catozzella
    Mi limito a introdurre elementi di riflessione in un discorso su una situazione, l’attuale, che se fosse come viene prospettata, risulterebbe modificabile molto più di quanto non mi appaia e di quanto nei fatti non sia.
    L’ideologia (quale?) direi che non c’entra: magari c’entrasse.
    Uno degli elementi principali del pensiero unico di cui tutti facciamo parte è l’avversione all’«ideologia», come se esistesse qualcosa di pensabile al di fuori di qualsivoglia sistema ideologico.
    Mi rendo conto che la mia percezione della storia del mio paese e dell’occidente che mi ha generato e in cui vivo è diversa da quella di Catozzella, di cui, ripeto, apprezzo il lavoro, limitandomi a riflettere sulla sua capacità di incidenza REALE.
    Sono nato nel 1945, ho partecipato alle lotte politiche, sociali, civili, culturali del decennio Sessantotto-Settantotto, e prima di queste ho vissuto i cambiamenti degli anni Sessanta: posso affermare, sulla base di ciò che ho esperito, che oggi il Paese è molto peggio, sotto ogni punto di vista, di come era, metti, nella prima metà dei Sessanta.
    Per quanto ci siamo sforzati non ce l’abbiamo fatta, ci siamo arrivati vicini e siamo ricaduti giù pesantemente: causa o conseguenza di questa ricaduta (appurarlo è il nodo della questione) è l’estinzione della sinistra, anche e soprattutto di quella preziosamente «ideologica» che credeva nella possibilità di costruire un mondo migliore mobilitando quelli che stavano peggio.
    E non, come credono alcuni, qui e altrove, titillando le smanie di intrattenimento con «l’altro da sé» criminale dell’unica torpida classe sociale superstite: le cose nello spazio mediatico vengono dette a chiare lettere e ad alta voce, mi pare: è cambiato qualcosa in meglio negli ultimi anni?
    Naturalmente siate padroni di evitare di pensarci per bene.
    Quanto a me, ho già dato: andate avanti voi.

  21. Perché chiudere la porta in faccia al nostro futuro? Nostro, a prescindere dal recinto generazionale di ciascuno. Se c’è una forza vitale fatta di rabbia, di dignità, di voglia di cambiamento, di ribellione, di scelte e comportamenti quotidiani non acquiescenti, allora il pertugio da cui uscire si trova, perchè esiste. E alla radiografia dell’esistente che, pur realistica e fondata, porta all’immobilità del pessimismo, va contrapposta l’utopia già in atto da qualche parte, qui e altrove. Gli strumenti di ricerca li abbiamo, si tratta di guardarci intorno, fuori e dentro i confini nazionali. Per quel che mi riguarda, io in questo sistema ci vivo, non potrebbe essere diversamente, ma non consegno ad esso la mia vita.

  22. Concordo pienamente con tashtego e la funambola, prendendo atto, naturalmente, e rispettando il lavoro di catozella.

    “tutto ciò che non uccide il sistema, lo nutre” .

    “pensare in modo radicale porta necessariamente al fallimento.”

    Nessuno, oggi, è in grado di rispondere alla domanda: che fare?

    Né siamo in grado di fare previsioni sul lungo periodo.
    Sappiamo soltanto che, nel lungo periodo, non sono le buone intenzioni che cambiano la storia.

    Gramsci dice: ottimismo della volontà e pessimismo dell’intelligenza.

    Keynes dice: sul lungo periodo saremo tutti morti.

    Esistono in natura individualità che, quando le condizioni ambientali non sono favorevoli, cristallizzano il proprio corpo, aspettando tempi migliori.

    Purtroppo i nostri corpi non possono farlo, ma possiamo rendere cristallino il nostro atteggiamento di rifiuto.

  23. Ho passato la vita nel rifiuto.
    Ho vissuto nel mio Paese con l’idea costante, ora per un motivo, ora per un altro, che fosse un paese sbagliato, profondamente e in radice.
    Un tempo si poteva dare la colpa ai democristiani, ai catto-comunisti, ai socialisti, ai comunisti, ai capitalisti, ai fascisti, al padronato, al sindacato, ai social-democratici, ai servizi, ai terroristi, agli americani, ai russi, ai preti, alla chiesa, alle corporazioni, alla gioventù brusciata, ai negri, ai frosci, agli ebrei e cetera.
    Oggi tutta questa roba non la puoi incolpare, un po’ perché è scomparsa un po’ perché si è reso evidente che conta poco: qui e oggi, quello che vediamo, le persone che governano, le cose che leggiamo, le leggi che si approvano, Sono Interamente Frutto Della Volontà Popolare.
    Qualcuno dice della Nolontà.
    Può darsi, ma questa è la realtà e io sono stufo anche di rifiutarla: semplicemente & appena possibile, cercherò di sconnettermi del tutto.
    Il concetto di «missione dello scrittore» in un paese che non legge, anzi semi analfabeta di ritorno, risulta pure un po’ comico.

  24. credo che sia importante assumersi delle responsabilità e darci dentro.
    se è tutto inutile, se la scelta è tra nutrire il sistema (perchè ogni cosa che faccio lo fa) e ucciderlo, se scelgo la due, cosa mi resta?
    non riesco ad arrivarci a cosa si dovrebbe fare.
    se la sinistra si è estinta non è solo colpa degli “altri”: ci sono responsbailità ed errori, che spesso (secondo me ovvio) stanno in questo perenne atteggiamento del voler stare “fuori” dal sistema.
    il fatto che non sia cambaito qualcosa in meglio negli utlimi anni è innegabile: dai tempi di pasolini, un disegno (Cefis, Gelli, Berlusconi) è venuto avanti con forza e si sta realizzando.
    è tutto inutile?
    ok, andiamo al mare, allora.

  25. L’adesione al potere, l’idea di poterlo esercitare, ha distrutto il popolo, che risultava tale perchè lo subiva e non aveva capacità di esercitarlo in maniera organizzata e sistematica. Forse bisogna non ingegnarci per la conquista del comando, quanto per disimpararne l’esercizio, in vista del suo sempre utopico annullamento. E prepararci a subirlo come già oggi avviene, ma senza la velleità di combatterlo sullo stesso piano. So bene che “essere votati alla sconfitta inaridisce”, parlo per quelli che verranno.

  26. @ Sergio. Ci siamo già urtati su certe cose, e incontrati su altre. Su 300 tocca scontrarsi. 300, il graphic novel è un capolavoro. Il film è innocuo, divertente, caciarone nulla di più, nulla di meno. L’ho già detto altrove non concordo per nulla con wm1 e con la sua analisi.

  27. Sul resto. Scrivere – e pubblicare -non serve a nulla se non a vomitare, espellere, cagare, urlare, sussurrare, liberarsi di un peso, di un fardello.

  28. scrivere è un atto di narcisismo che non fa male a nessuno, e se lo faccio come si deve, fa bene al lettore. a volte può servire a qualcosa. rinunciare non serve quasi mai a nulla. nichilismo o anarchia non sono mai riusciti a concludere granchè, a mio modesto parere.
    @J 300 è pericoloso come Cip&Ciop, però te lo fa venir duro perchè ti senti maschio. basta che capisci perchè (e su di te non ho dubbi).

  29. A tashtego: mi dispiace per te, e per la tua visione delle cose. Il fallimento politico della tua generazione non è necessitato, è anzi causa della situazione italiana attuale, sono le stesse persone, è la stessa struttura generalmente “collusa/familistica/favoristica” che regge il paese. Per “ideologico” non intendevo legato a questo o quel sistema di pensiero, ma totalizzante, assoluto, ingenuo. La “missione dello scrittore” non esiste, esistono singoli atti. La differenza è in chi li fa. La differenza la fa l’azione. La scelta. Qui da noi le cose sono messe male. Ho vissuto a lungo all’estero, viaggio molto, lo vedo. Se non ti interessa, non ti tocca, pace. Ma guarda che le cose si cambiano.

    A soldato blu: aspetta, aspetta, che gli altri intanto fanno per te.

    La gente non legge anche perché spesso chi scrive sta su un altro pianeta.

    A Jadel: se la scrittura fosse solo quello non servirebbe davvero a nulla, da troppo superata da altri mezzi di rappresentazione. Molto più bello ed efficace guardare la tv, per esempio, le hidden cameras. Ognuno sa vomitare ed è fin troppo abiutato a vedere vomito ovunque. Il vomito scritto è solo più palloso.

  30. A Jacopo: sono d’accordo con quello che dici. Per me questo discorso si può ricollegare a una sorta di stato d'”emergenza” delle istituzioni.

    A Sergio: “credo che sia importante assumersi delle responsabilità e darci dentro”. Concordo.
    Credo che la questione della responsabilità personale sia centrale. E’ ovviamente strettamente legata a quella della legalità. Che poi altro non è che il rispetto dell’altro cittadino e dello Stato. Questa è la responsabilità. Trovo che in Italia si sia molto lontani da modelli di legalità più evoluti. La mia lettura, nel romanzo, della razionalità ego-centrica occidentale alla luce delle sapienze orientali che dissolvono invece l’io va in questa stessa direzione: quella della responsabilità individuale come soggetti incarnati nel mondo, e quindi anche nella società.

  31. @ giuseppe catozzella

    se tu avessi tempo, forse potresti spiegare a che cosa hai voluto rispondere con “aspetta, aspetta, che gli altri intanto fanno per te”.

    Chi sono “gli altri”?
    E che cosa farebbero per me?
    Lottano per una società migliore?
    Scrivendo libri?

    Che cosa puoi aver letto in “cristallino rifiuto”?
    Guarda che è Tash che si è “stancato” di rifiutare.
    Evidentemente anche il rifiutare comporta perdita di energia,
    cioè lavoro “cristallino”.

    E tanto per chiarirci, quello che dici sul “fallimento politico” della generazione di Tash e mia, te lo potevi risparmiare, perché sintetizzare in poche righe così tante assurdità è raro anche per uno scrittore.

    E poiché l’invenzione del gioco è tua, ti sei chiesto prima di spararla, se, mentre aspettavi a nascere, altri intanto facevano qualcosa per te?

    Perché “qualcosa” sicuramente è stato fatto a tuo vantaggio, e tu non c’eri.

    Mentre a te spetta l’onere della prova sul fatto che se qualcuno mai abbia fatto qualcosa a mio vantaggio, io non sia stato assieme a lui.

  32. non ho problemi ad ammettere il “fallimento politico” della mia generazione: è un fallimento netto, preciso, ineluttabile.
    con catozzella forse è inutile inter-loquire oltre: è troppo impegnato a difendere il suo lavoro per pensare: certo lui “ha viaggiato” un sacco e dunque sa che in fondo, signora mia, è solo una “questione di rispetto dell’altro e dello Stato”: e meno male che qualcuno – molto meno ingenuo di me – le canta chiare, finalmente.
    salute a tutte le generazioni presenti.

  33. A Soldato blu: il mio era sì un intento un po’ provocatorio, ma non polemico. Mi riferivo al tuo “aspettando tempi migliori”.
    “Gli altri” sarebbero quelli che fanno e disfano senza che nessuno fiati, senza che nessuno parli, nessuno testimoni, nessuno indaghi, nessuno si faccia carico della responsabilità della denuncia. Per esempio per quanto riguarda il fenomeno di cui mi sono occupato, collaborando con un magistrato e cercando di parlarne. Che è solo uno dei settori in cui la nostra criminalità opera nell’omertà. Gli altri sarebbero quelli che mentre si parla di quisquilie fanno fatti malavitosi al buio.
    Non ho alcun dubbio che tanto di buono è stato fatto a vantaggio delle ultime generazioni: come potrei sostenere il contrario, e perché mai, poi? Si stava parlando di ciò che non va come forse dovrebbe.

  34. Scrive Catozzella: “Il fallimento politico della tua generazione non è necessitato, è anzi causa della situazione italiana attuale, sono le stesse persone, è la stessa struttura generalmente “collusa/familistica/favoristica” che regge il paese.”

    se con “tua generazione” (che è anche la mia) si intendono quelli nati nel dopoguerra, vorrei ricordare che ci sono enormi disomogeneità tra loro, nelle posizioni politiche e culturali, negli esiti, nelle scelte, nella provenienza sociale e nel potere che avevano, quando lo avevano e se lo hanno avuto.

    poi vorrei ricordare che è difficile che “una generazione” possa in quanto generazione modificare qualcosa, o vogliamo tornare alla storia raccontata attraverso le sue figure emblematiche e i suoi gruppi dirigenti e non attraverso la complessità?

    Immagino che Catozzella sappia di non essere l’unico ad aver cercato, denunciato, scritto, negli ultimi 60 anni, per non parlare di prima, e quando dice “In un Paese “addormentato” è necessario tenere vigile l’attenzione.” immagino che sappia, anzi, sono certa che lo sa, che tener vigile l’attenzione è stato quello che una parte del paese ha sempre fatto, indipendentemente dall’anno di nascita.
    Denunciare è importante, anzi, necessario, bastasse, il mondo sarebbe migliore.

    Non è che io voglia difendere una generazione, me ne infischio altamente, soprattutto perché non so cosa vuol dire se non nella semplificazione, ma dubito che sintesi così facili (mi riferisco al solo commento) servano a qualcosa e capisco bene la stanchezza di chi ha sempre avuto certe posizioni e ha visto le cose muoversi in una direzione diversa.

    Quanto al grande ripieno di tash, come posso dargli torto quando le stesse signore che leggono Gomorra deliziosamente scandalizzate escono di casa e comprano le borse taroccate senza chiedersi da dove vengono, per fare solo un miserabile esempio? Il momento della lettura è schizofrenicamente separato da quello della presa di coscienza etica e sociale. Si consuma Gomorra come si consuma Il grande fratello, in bella alternanza.

    Detto questo, ben venga il libro di Catozzella e molti altri sui molti orrori del nostro tempo per tenere le menti allertate e pronte, ma da soli i libri fanno poco, se il terreno non è pronto, e le generazioni subiscono molto più di quanto non possano fare.

  35. @tash
    parlare di generazioni è suggestivo, ma illusorio.
    Il mondo non si muove per scaglioni, o battaglioni, avanti uno e fuori l’altro, Cuccia, per dire, è nato nei primi anni del secolo ed è morto nel 2000.

  36. ciao alcor concordo e non aggiungo altro se non il fatto che io anche non avendo oltrettutto letto gomorra ho acquistato una volta una borsa taroccata.
    venia venia venia
    un bacio
    la funambola

  37. Sono ovviamente d’accordo con Alcor. Il discorso (genericissimo) sulle generazioni non l’ho certo introdotto io, e del resto non mi interessa qui minimamente approfondirlo. Ho percorso quella strada per tentare di stare dietro al discorso di tashtego e soldato blu.

    Poi, a tashtego: non ho niente da difendere, né da mostrare. Ho solo detto che mi dispiace per come vedi le cose e ho cercato di spiegarti (poiché mi pareva ci fosse un fraintendimento) cosa avevo inteso per “ideologico”, il resto ce l’hai aggiunto tu, mi pare.

  38. “si consuma Gomorra come si consuma il Grande Fratello”…allora siamo definitivamente senza speranza.
    deponiamo le armi, chiudiamo i pc, spegniamo i forum e ritiriamoci in campagne che è il tempo delle fragole. anzi prima gli asparagi. ma tanto è tutto uguale.

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marco rovelli
marco rovelli
Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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