La legge delle altalene

di Paolo Nori
[I brani sono presi dal blog dell’autore]

Esprit de l’escalier
martedì 3 marzo 2009
Stanotte, prima di addormentarmi (ammesso che poi mi addormenti ma credo di sì), adesso, tre minuti fa, ho pensato a una cosa che avrei potuto dire per radio oggi pomeriggio, in diretta dal ridotto del Teatro Regio di Parma quando mi hanno chiesto cosa pensavo della letteratura russa del novecento, se era vero che era un po’ schiacciata, nella nostra percezione, dall’ottocento. Avrei potuto dire, come ho detto, che era vero, ma prima avrei potuto dire anche Intanto grazie per avermi invitato, che io vivo a Bologna ma sono di Parma, e il mio commercialista ce l’ho a Parma, e ho approfittato di questo viaggio per portare al commercialista tutte le spese del duemilaeotto, che era una cosa che eran due mesi che pensavo che la dovevo fare adesso l’ho fatta son molto contento.

Parma
martedì 17 febbraio 2009
Poi mi scrive Mattia Filippini una cosa che metto qua sotto:
Da quando abito a Bologna, verso ora di cena, mi capita di vedere spesso il tg regionale e di solito le notizie più originali sono quelle che riguardano la città di Parma e i parmigiani in generale. Per esempio, qualche anno fa avevano parlato di uno che si chiamava Giuseppe Incatasciato, palleggiava col pallone, una roba incredibile da vedere, tacco coscia testa, tum tum tum, come una goccia sulla pietra. Era il figlio di un ex-trapezista del circo Orfei, arrivato dalla provincia di Siracusa, s’era messo davanti ai cancelli del Parma calcio a chiedere di fargli un provino, che lui non s’era mai allenato ma sapeva di valere di più di tutti i giocatori professionisti messi assieme, che lui aveva le articolazioni speciali. Aveva scritto tutte le sue richieste su dei cartelli, lui palleggiava in silenzio da giorni, dormiva nell’aiuola davanti al cancello della società.
Oppure c’era un altro servizio bellissimo su un museo di Parma; non parlava di una mostra, ma di una poiana messa dentro questo museo infestato dai piccioni e se li mangiava. Lanciava il suo urletto da rapace e poi si tuffava in picchiata sopra gli ignari piccioni, una roba incredibile da vedere, come li squartava col becco.
Poi, l’altro ieri, c’era un gruppo di parmigiani che aveva fatto una petizione da mandare al ministro della cultura Bondi con l’esplicita richiesta di far passare in radio almeno tre ore di liscio al giorno, che a loro avviso il liscio da anni ormai subisce un processo di ghettizzazione musicale inarrestabile che non gli fa bene per niente.

Ne travaillez jamais
giovedì 12 febbraio 2009
Nella biblioteca Sala borsa di Bologna, nel bagno degli uomini, qualcuno ha scritto sulla porta la traduzione di una frase che era, se non sbaglio, una specie di manifesto dei situazionisti. Non lavorate mai, c’è scritto con un pennarello nero, e di fianco un cerchio attraversato da una freccia piegata che dev’essere il simbolo dell’autonomia. E sotto qualcun altro ha scritto, sempre con un pennarello nero: E chi ci ha mai pensato.

Anticiclone (sulla razza)
giovedì 29 gennaio 2009
Galton fa una scoperta importante nel campo della meteorologia, scopre l’anticiclone, che è una parola bellissima, ma forse lì c’entra la mia educazione, forse lì c’entra il fatto che a Parma, quand’ero giovane, nel posto dove andavo io, che era un piazzale con un bar, dove ho passato non so quanti pomeriggi, innumerevoli, quando uno si ubriacava dicevamo che aveva preso un ciclone. Ho preso un ciclone, ieri. C’erano anche degli altri modi, di dirlo, la ciotola, ho preso una ciotola, la scimmia, Ciavevo una scimmia, ma ciclone per me resta il più suggestivo, con tutti i suoi derivati, Inciclonarsi, Inciclonata, e anticiclone, nella mia testa, suona come derivato di quel ciclone lì e indica una sobrietà irremovibile e cieca.

Non funziona
sabato 24 gennaio 2009
Šklovskij, anche se è un critico, appartenente alla corrente chiamata Formalisti russi, che i critici, e i formalisti russi, non so, io, delle volte, se penso ai critici in generale e ai formalisti russi in particolare mi vengono in mente delle immagini, come un ventilatore con il filo della corrente staccato, oppure un orologio fermo, su un muro scrostato, o delle veneziane, verdi, semichiuse, impolverate, o degli scartafacci, lì, sopra un tavolo, con dello spago intorno, o delle librerie, ma di quelle tristi, con le grate fatte di quella retina che usano anche per i pollai, come se i libri non fossero libri ma galline in prigione, non lo so come mai, mi vengono in mente queste cose, non lo so, è un’idea che si vede che ho dentro la mia testa quando penso ai critici e ai formalisti russi, e un po’ mi piace, devo anche dire, il disastro, le cose messe lì, in un angolo, le cose che non funzionano, a me della Russia, della Russia sovietica, per esempio, quando ci son stato, il cartello che più spesso si trovava in giro, appeso ai telefoni, ai distributori di acqua gassata, sulle porte dei bagni, era Ne rabotaet, Non funziona, e un po’ faceva venire il nervoso un po’ era bellissimo, in un certo senso.
Solo che poi, i formalisti russi, in generale, e anche Šklovskij, in particolare, a leggerli, ci son delle idee, lì dentro, che io secondo me, non solo funzionano, ma io, da quando le ho lette, io secondo me non me le dimentico fintanto che scampo.

Horror
domenica 25 gennaio 2009
Adesso, è normale, io ho studiato letteratura russa, mi succede spesso, che le cose che penso, e che vedo, mi fan venire in mente dei russi, anche se, mi rendo conto, in parte succede anche a me, la Russia, e i russi, sono un posto e della gente che fanno un po’ paura. Io conosco della gente che mi dicono Sì, i romanzi russi, va bene, però, ci sono quei nomi, così lunghi.
Non leggono i romanzi russi perché ci sono dei nomi lunghi, che è una cosa, a pensarci, che succede davvero, dentro i romanzi russi c’è un giro di nomi, cognomi, patronimici, soprannomi, vezzeggiativi, dispregiativi, gradi, che uno a un certo momento se non stai attento non capisci chi è il personaggio che sta parlando, deve andare indietro pagine e pagine, si fa una fatica, delle volte, a leggere i romanzi russi, che veramente poi uno quando li vede prende paura e in un certo senso, mi viene in mente adesso, la letteratura russa potrebbe essere anche una specie di sottogenere della letteratura horror; i romanzi russi, anche quelli che parlan d’amore, per dire, o della rivoluzione, o dei nichilisti, o di Napoleone, o del tradimento, hanno un qualcosa che li si potrebbero mettere tutti negli scaffali della letteratura horror, nelle librerie occidentali.

Comincio
giovedì 22 gennaio 2009
Si sente? Si sente se parlo così? Anche là in fondo? Bene.
Io tutte le volte che devo dire qualcosa, anche che devo leggere, in pubblico, comincio sempre così, dico Si sente?
Per rompere il ghiaccio.
Non è che mi interessi tanto, sapere se si sente, cioè, mi interessa, se non si sentisse sarebbe inutile che parlassi per quaranta minuti, ma quello che mi interessa di più, è rompere il ghiaccio. Per me, in queste occasioni, dire Si sente? equivale in un certo senso a prendere uno e dirgli Ascolta, hai quaranta minuti che ti devo dire una cosa?
E se la gente risponde, come avete fatto voi, che si sente, vuol dire che ce li avete, i quaranta minuti.
Un piccolo, non so come dire, scivolo, per cominciare.
Uno scivolo che ti porta, velocemente, in medias res, come si dice con un’espressione latina, dentro la vicenda, nel nostro caso dentro il discorso, un piccolo scivolo che ti fa saltare l’inizio, che l’inizio, di solito, è la cosa più complicata, più complicata ancora che della fine.
Che finire, quando hai cominciato, finisci per forza, cominciare, invece, delle volte stai lì un sacco a pensarci, comincio o non comincio, comincio o non comincio?

Enantiosemie
venerdì 16 gennaio 2009
Mi scrive Paolo Albani:
Caro Paolo, non vorrei sembrarti pedante ma in termini linguistici il fenomeno delle parole che significano due cose opposte si chiama enantiosemia, strano fenomeno di una parola che possiede significati opposti, un ossimoro condensato in un solo vocabolo, come la parola «STORIA» che può voler dire egualmente «resoconto vero di fatti reali» e «bugia», ed è perciò una parola bifida che coabita con il suo contrario, che racchiude in sé un «sosia perverso», un doppio negativo. Naturalmente, qui lo dico e qui lo nego. Ciao

Raddoppiamenti che dimezzano
venerdì 16 gennaio 2009
Scrive Massimo Tallone:
È un bel tema, quello delle parole che dicono la cosa e il suo opposto, proprio un bel tema. C’è anche una bella variante, quella per così dire del ‘raddoppiamento che dimezza’. Esempio: se dico che una cosa è ‘così’ fornisco un livello di precisione alto, ma se dico che è ‘così così’ non raddoppio la precisione, ma la dimezzo. Poi c’è ‘forse’, che indica un livello di incertezza, ma se dico ‘forse forse’ non raddoppio l’incertezza, perché ‘forse forse’ vuol dire ‘quasi sicuro’. Poi c’è anche una ‘certa età’, che è indefinita e non proprio ‘certa’.

Oggi invece
mercoledì 14 gennaio 2009
Oggi invece, alla scuola materna, una compagna di mia figlia mi ha detto Ti abbiam visto sul giornale. E mia figlia ha detto Sì, è vero, cantavi.

Makarenko
mercoledì 14 gennaio 2009
Rivedere le bozze di un libro complicato, e lungo, come le Anime morte, è un po’ come andare in fabbrica, e io in questi giorni faccio così.
Al mattino mi alzo, mi lavo, mi metto la tuta, e vado in fabbrica, come quando lavoravo alla Star, in via Budellungo.
Viene in mente la pedagogia di Makarenko: al mattino a scuola, al pomeriggio in fabbrica. Le Anime son un po’ tutte e due le cose insieme.

Di tutte le poesie
giovedì 8 gennaio 2009
Poi, dopo, per dire, di tutte le poesie di Chlebnikov che ho letto, quella che, forse, mi è tornata in mente più spesso, da quando l’ho letta, è questa qua:

La legge delle altalene prescrive
Che si abbiano scarpe ora larghe, ora strette.
Che sia ora notte, ora giorno.
E che signori della terra siano ora il rinoceronte, ora l’uomo.

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15 Commenti

  1. paolo nori se non ci fosse bisognerebbe immaginarselo. e per immaginarlo si dovrebbe fare uno di quei giri lungo Po con la bicicletta e passare interi pomeriggi nei bar della profonda Emilia tra riflessioni sull’esistenza e nomignoli come “sgagnabrod” e “sganbilan”. poi nori non è solo un emiliano nello sguardo oltre che nell’ironia, è anche uno strano animale che rigira le parole e le capovolge e te le restituisce nuove.

  2. Sempre ganzo, il paolonori, anche se – a furia di paolonoreggiare (1) – a volte rischia il birignao…

    (1) Cfr. Montale:
    “Paolonoreggiare pallido e assorto//
    presso un rovente muro d’orto.

  3. se fare il birignao significa avere stile e essere riconoscibili alle prime righe. se fare il birignao vuol dire avere un modo unico di raccontare anche le cose piccole. allora viva il birignao..

  4. Non conoscevo Paolo Nori, ma con i mezzi che dimostra di possedere, non ci sarebbe nulla di strano se volesse proporre la sua candidatura a una qualche, più organica, magnificenza letteraria.

    Conosco invece, e bene, il suo corrispondente Paolo, con cui ho condiviso una lunga militanza politica in PO, per seguire, sempre assieme, dopo, orme diverse, lasciate dai grandi Chlebnikov e Ripellino ed approdare, infine, all’Oulipo, dalla cui esperienza verranno gli “ossimori nascosti” – da lui inventati – che furoreggieranno a lungo sui “Venerdì di Repubblica” sotto la regia sorniona di Gian Paolo Dossena.

    Fu anche il primo, il corrispondente Paolo, che pubblicò qualcosa di mio in rivista. Si trattava di una mia sintesi sull’esperienza di quegli anni, in un TèCHNE dell”88:

    u lesse
    u disse

    o disse a?

  5. e infatti non è un caso che sotto alle altalente ci siano sempre delle pozzanghere.

  6. Che meraviglia: cominciare un discorso, portare le fatture al commercialista, il bagno degli uomini della sala Borsa… si spalancano orizzonti interi.
    La parola bagno, per dire, adesso che paolonoreggiando me l’ha restituita nuova, quasi quasi mi vien voglia di recarmici, così penso con agio a questi brani tanto pregnanti.
    Ha ragione Angelini, va là.

    Birignao a tutti
    P.

  7. Penso che ci sia anche un altro modo, a mio parere distorto, di guardare le cose, e che si possa equiparare, benché con qualche forzatura – non riuscendo a trovare la parola giusta – a un certo tipo di fondamentalismo.

    E’ lo sguardo miope di chi ritiene nella mente soltanto individualità prestigiose, chessò in un campo la quercia, nella savana il leone, in mare lo squalo o la balena. Una mentalità anti natura incapace di zumare sulle grandi meraviglie del piccolo, del marginale, dell’atipico ecc., senza le quali non si darebbe alcuna bellezza, anzi nessuna possibilità di vita nemmeno per le grandi cose.

    Mi pare, adesso, di aver trovato una parola possibile: è la mentalità “emblematica”, una sorta di spiritualismo frastornato, che vorrebbe, ogni cosa espressa, additante valori pregiati, strumento di elevazione.

    Ma addove?

    Vado in bagno, ne ho bisogno, devo lavarmi, sciacquarmi di dosso queste suggestioni provocate, che saltano tutte le cose per togliere loro vita.

  8. A me piace un sacco lo stile di Paolo Nori, mi dà come una forma di assuefazione, inizio a leggere e non riesco a smettere, quei verbi senza vocale finale, “son”, “abbiam”, “parlan”, non lo conosco personalmente ma lo sento un amico, non so perché –

  9. @ soldatoblu per le grandi meraviglie dell’atipico e del marginale davvero grazie :-)

    @ ferraris
    come diceva peter handke: “è molto bello raccontare ma non chiedetemi di raccontare una storia.” a significare che è la scrittura a far la differenza, non quello che si narra.
    facile fare ironia sui temi trattati.
    è dentro la scrittura e nello sguardo sulle cose che sta la differenza. paolo nori è uno che fa la differenza perché suona come nessun altro…

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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