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La Chiesa e la bioetica

di Vito Mancuso

Le gerarchie cattoliche sottolineano spesso che i loro interventi sui temi bioetica sono condotti sulla base della ragione e riguardano temi di pertinenza della ragione, legati alla vita di ognuno, non dei soli cristiani. Per questo, aggiungono, tali interventi non costituiscono un`ingerenza negli affari dello stato laico. Scrive per esempio il recente documento Dignitas persone che la sua affermazione a proposito dello statuto dell`embrione è «riconoscibile come vera e conforme alla legge morale naturale dalla stessa ragione» e che quindi, in quanto tale, «dovrebbe essere alla base di ogni ordinamento giuridico». Allo stesso modo molti politici cattolici rimarcano nei loro interventi sulle questioni bioetiche che parlano non in quanto cattolici ma in quanto cittadini. Va quindi preso atto che le posizioni cattoliche sulla bioetica, sia nel metodo sia nel contenuto, si propongono all`insegna della razionalità. Se questo è vero, se si tratta davvero di argomenti di ragione per i quali «mestier non era parturir Maria» (Purgatorio III,39), allora le posizioni della Chiesa gerarchica sulla bioetica sono perfettamente criticabili da ogni credente. L`esercizio della ragione è per definizione laico, non ha a che fare con l`obbedienza della fede e il principio di autorità. Chi ragiona, convince o non convince per la forza delle argomentazioni, non per altro. Per questo vi sono non-credenti che approvano gli argomenti razionali delle gerarchie convinti dalla coerenza del ragionamento, per esempio gli atei devoti.

Ma sempre per questo vi sono credenti che, non convinti dal ragionamento, non approvano tutti gli argomenti razionali delle gerarchie in materia di bioetica. Deve essere chiaro quindi (se davvero la base dell`argomentazione magistrale è la ragione) che la posizione critica di alcuni credenti verso il magistero bioetico è del tutto legittima. Se la gerarchia gradisce la convergenza degli atei devoti in base alla sola ragione, allo stesso modo, sempre in base alla sola ragione, deve accettare (se non proprio gradire) la divergenza di alcuni credenti, peraltro non così pochi e privi di autorevolezza. Sempre che, ovviamente, le gerarchie non pensino che la razionalità valga solo “fuori” dalla Chiesa e non anche al suo interno, dove vale invece solo l`autorità, istituendo una specie di disciplina della doppia verità. E sempre che le medesime gerarchie amino davvero la razionalità e che il richiamarsi ad essa non sia invece un trucco tattico (come io credo non sia). In realtà nessuno può chiedere obbedienza sugli argomenti di ragione perché l`obbedienza viene da sé, come di fronte a un risultato di aritmetica o a una norma morale fondamentale.

Per questo io penso che agli argomenti di ragione occorrerebbe lasciare maggiore duttilità, visto che la ragione, da che mondo è mondo, esercita il dubbio, soppesa i pro e i contro, e per questo vede grigio laddove invece altri (che non amano la calma della ragione ma forme più nervose di autorità) vedono solo bianco o solo nero. Intendo dire che proprio il richiamo alla ragione da parte delle gerarchie cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di vista di fronte alla complessità dell`inizio e della fine della vita alle prese con le possibilità aperte dal progresso scientifico. La cautela è tanto più auspicabile se si prende atto della storia. La Chiesa dei secoli scorsi infatti non è stata in grado di interpretare sapientemente l`evoluzione sociale e politica dell`occidente, finendo per condannare pressoché tutte quelle libertà democratiche che ora, invece, essa stessa riconosce: libertà di stampa, libertà dì coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle democrazie liberali. Allo stesso modo, a mio avviso, le odierne posizioni della gerarchia corrono il rischio di non capire la rivoluzione in atto a livello biologico, respinta con una serie di intransigenti no, pericolosamente simili a quelli pronunciati in epoca preconciliare contro le libertà democratiche. Ora io mi chiedo se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti come lo sono stati i principi della morale sociale. Siamo sicuri che la fecondazione assistita (grazie alla quale sono venuti al mondo fino ad oggi più di 3 milioni di bambini, di cui centomila in ltalia) sia contraria al volere di Dio?

Siamo sicuri che l`uso del preservativo (grazie al quale ci si protegge dalle malattie infettive e si evitano aborti) sia contrario al volere di Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale senza prolungate dipendenze da macchinari, compresi sondini nasogastrici, sia contrario al volere di Dio? E per fare due esempi concreti legati a precise persone: siamo sicuri che si sia interpretato bene il volere di Dio negando i funerali religiosi a Piergiorgio Welby perché rifiutatosi di continuare a vivere dopo anni legato a una macchina? E siamo sicuri che si sia interpretato il volere di Dio chiamando “boia” e “assassino” il signor Englaro, salvo poi aggiungere, non so con quale dignità, di pregare per lui? Mi chiedo se tra cento anni (e spero anche prima) i papi difenderanno il principio di autodeterminazione del singolo sulla propria vita biologica, così come oggi difendono il principio di autodeterminazione del singolo sulla propria vita di fede (la quale peraltro per la dottrina cattolica è sempre stata più importante della vita biologica). Se si riconosce alla persona la libertà di autodeterminarsi nel rapporto con Dio, come fa la Chiesa cattolica a partire dal Vaticano II, quale altro ambito si sottrae legittimamente al principio di autodeterminazione?

Non ci possono essere dubbi a mio avviso che questo principio vada esteso anche al rapporto del singolo con la sua biologia. I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione definendola “relativismo cristiano” dovrebbero estendere l’accusa al Vaticano II il quale afferma che «l`uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà» (Gaudium et spes 17). La realtà è che non è possibile nessuna adesione alla verità se non passando per la libertà. È del tutto chiaro per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa, ma all’adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare adesione umana se non libera. Dalla libertà che decide non è possibile esimersi, e questo non è relativismo, ma è il cuore del giudizio morale.

pubblicato su “La Repubblica”, 9.3.2009

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13 Commenti

  1. Anni fa, ascoltavo “Zapping” di Aldo Forbice, su RadioUno la sera, e fra i tanti ospiti chiamati a discutere le telefonate degli ascoltatori, rimanevo abbagliato dall’assolutismo del giornalista (e senatore di FI) Livio Caputo. Quando leggo Mancuso in materia di teologia, mi appare la medesima luce: quella di un neon tendente al blu, che sembra freddo ma in realta’ emette tutta l’energia possibile all’umano. Ancora non abbiamo gli strumenti (ne’ le teorie) per dirimere cio’ che qui viene richiamata come scienza, per cui tutte le implicazioni politiche, sociali e ideologiche non possono che basarsi su violente dinamiche di potere. Un Radicale per ogni Porporato sarebbe una equa proporzione, probabilmente anche piu’ efficace di un pur combattivo accademico.

  2. Come spesso accade, i ragionamenti di Mancuso intersecano il sofisma. Qui tratta la ragione pratica (l’etica per intenderci) come se fosse ragion pura e viceversa. Nelle decisioni morali non è mai pura questione di dedurre conseguenze da principi universali. C’è l’elemento circostanziale che va ulteriormente inteso, per emettere il giudizio. A meno che sul principio teorico venga posto il suggello della rivelazione, quando si dichiara la vita umana sacra senza se e senza ma, e la si sottrae in linea di principio alla manipolazione tecnica. E’ questo che fa la gerarchia ecclesiastica, checcè Mancuso ne dica, usando la sua autorità di depositaria della Rivelazione più che un semplice richiamo alla ragione naturale (che del resto per un filosofo non realista non ha senso). Può sembrare una scorciatoia, ma è invece umiltà di fronte al mistero e timore rispetto all’onnipotenza dell’agire tecnico e del mercato. Certo, questo non può impegnaere i non cristiani, a meno che non si accorgano anch’essi che questa umiltà è saggia e questi timori più che giustificati, e decidano laicamente di proteggere con la legge ciò che una società civile non ammette più di proteggere con un sacramento.

  3. “Nelle decisioni morali non è mai pura questione di dedurre conseguenze da principi universali. C’è l’elemento circostanziale che va ulteriormente inteso, per emettere il giudizio. A meno che sul principio teorico venga posto il suggello della rivelazione, quando si dichiara la vita umana sacra senza se e senza ma, e la si sottrae in linea di principio alla manipolazione tecnica. E’ questo che fa la gerarchia ecclesiastica […]”.

    Quasi, quasi preferisco Valter Binaghi a Mancuso. Almeno lui tenta di chiarire di che cosa si tratta.

    Se poi lo facesse anche con l’ambiguità di quel “sottrarre in linea di principio alla manipolazione tecnica”, ancora meglio.

    Da un’altra, infatti, è falso, perché questa “manipolazione” è proibita per l’embrione, ma è imposta alle persone in stato vegetativo.

    Dall’altra, poiché la norma che “la vita sia sacra senza se e senza ma” è posta “sotto il suggello della rivelazione”, logicamente si dovrebbe intendere che anche “pensare la vita” sia manipolazione tecnica.
    In contrasto con quanto affermato prima,.

    Risulta quindi che “ragion pratica” e “ragion pura” siano soltanto un nodo scorsoio per incauti dialettici che ancora si attardano a voler comunicare con chi nega sia una che l’altra.
    Per proporre, poi, che, con l'”umiltà saggia” davanti a “timori più che giustificati”, i laici si decidano a sostituire Costituzione e legislazione civile con il ben più più efficace Sillabo.

    Il che dimostra che tutti quelli che credono nella “rivelazione” si mettono, per saggezza o per paura, fuori della comunità dei pensanti, degli umani pensanti.

  4. Al contrario Blue Soldier. Io qui volevo solo chiarire qual è lo specifico del linguaggio ecclesiasico, che va al di là della dicotomia tra privato e pubblico ed è a suo modo “istituzionale”. proprio per questo non potrà mai coincidere con quello della Legge Civile, se non per accidente. Chi pretende che i due linguaggi coincidano è un teocratico alla maniera di De Maistre. Chi vorrebbe introdurre una dialettica puramente razionalistica nel linguaggio ecclesiale è un hegeliano come Mancuso (non un teologo cattolico, uno che la chiesa la vuole mondanizzare). Io rifiuto entrambe le posizioni, sia chiaro. Voglio che la Chiesa resti quella che è, preterndendo di custodire la Rivelazione, e che lo stato sia l’istituzione di una volontà generale, all’interno della quale tutte le voci possano esprimersi per persuadere, comprese quella di Ratzinger e Soldato Blu. Anche Mancuso? Si, ma prima deve smettere di fingere e di tenere il piede in due scarpe. Il suo prossimo libro sarà con Augias: uno che come programma ha la cancellazione della trascendenza e la totale “culturalizzazione” del cristianesimo. Vada con lui e la smetta di ammantarsi dell’autorevolezza di una tradizione teologica che non gli appartiene.

  5. All’interno della Chiesa, Vito Mancuso si trova in una posizione scomoda e ambigua.
    Per quel che ho sentito in varie puntate de L’infedele, e per quel che ho letto di o su di lui, si direbbe un teologo progressista, forse una sorta di neomodernista che vuole una controversa ma interessante riforma dottrinale del cattolicesimo sia in senso teologico – rischiando la scomunica e l’apostasia – sia in senso sociale (questa è la parte che ci tocca più da vicino perchè è la più progressista, anche se Mancuso è stato sponsor di Ferrara per la crociata contro l’aborto) – mentre scarse sono le sue richieste di modifica in senso istituzionale: quelle meno gradite alle gerarchie vaticane.
    In questo articolo escono fuori alcune contraddizioni teoriche delle sue posizioni, che comunque nel complesso si rivelano molto progressiste nei loro risvolti pratici, anche se non in tutti i campi.

    “Le gerarchie cattoliche sottolineano spesso che i loro interventi sui temi bioetica sono condotti sulla base della ragione e riguardano temi di pertinenza della ragione, legati alla vita di ognuno, non dei soli cristiani. Per questo, aggiungono, tali interventi non costituiscono un`ingerenza negli affari dello stato laico. Scrive per esempio il recente documento Dignitas persone che la sua affermazione a proposito dello statuto dell`embrione è «riconoscibile come vera e conforme alla legge morale naturale dalla stessa ragione» e che quindi, in quanto tale, «dovrebbe essere alla base di ogni ordinamento giuridico».”
    —Ecco la base dell’integralismo cattolico e della sua mancanza di laicità: la pretesa di parlare a nome della ragione universale, quando invece parla a nome di una dottrina che non mette d’accordo neanche tutti i cristiani. In questo modo, la Chiesa vorrebbe dettar legge in uno stato laico.

    “Allo stesso modo molti politici cattolici rimarcano nei loro interventi sulle questioni bioetiche che parlano non in quanto cattolici ma in quanto cittadini. Va quindi preso atto che le posizioni cattoliche sulla bioetica, sia nel metodo sia nel contenuto, si propongono all`insegna della razionalità. Se questo è vero, se si tratta davvero di argomenti di ragione per i quali «mestier non era parturir Maria» (Purgatorio III,39), allora le posizioni della Chiesa gerarchica sulla bioetica sono perfettamente criticabili da ogni credente. L`esercizio della ragione è per definizione laico, non ha a che fare con l`obbedienza della fede e il principio di autorità. Chi ragiona, convince o non convince per la forza delle argomentazioni, non per altro. Per questo vi sono non-credenti che approvano gli argomenti razionali delle gerarchie convinti dalla coerenza del ragionamento, per esempio gli atei devoti.”
    —Qui Mancuso si dimostra un teologo figlio del suo tempo: un tempo di integralismo religioso. Dimentica, come tutti ormai, cattolici e atei, che la Chiesa e i suoi pronunciamenti sono sempre criticabili dai suoi fedeli, in qualunque materia tranne quando vengono posti sotto il sigillo dell’infallibilità. Sia chiaro, è la Chiesa stessa, a partire da CEI e Vaticano, che da anni chiede obbedienza da branco a ogni nota che produce, è proprio questo uno dei segni dell’integralismo cattolico: ma perché Mancuso non si distanzia da questo atteggiamento?

    “Ma sempre per questo vi sono credenti che, non convinti dal ragionamento, non approvano tutti gli argomenti razionali delle gerarchie in materia di bioetica. Deve essere chiaro quindi (se davvero la base dell`argomentazione magistrale è la ragione) che la posizione critica di alcuni credenti verso il magistero bioetico è del tutto legittima.”
    —Sarebbe legittima in ogni caso! A meno che si vogliano negare le verità di fede, i dogmi! La ragione non c’entra nulla!

    “Se la gerarchia gradisce la convergenza degli atei devoti in base alla sola ragione, allo stesso modo, sempre in base alla sola ragione, deve accettare (se non proprio gradire) la divergenza di alcuni credenti, peraltro non così pochi e privi di autorevolezza. Sempre che, ovviamente, le gerarchie non pensino che la razionalità valga solo “fuori” dalla Chiesa e non anche al suo interno, dove vale invece solo l`autorità, istituendo una specie di disciplina della doppia verità. E sempre che le medesime gerarchie amino davvero la razionalità e che il richiamarsi ad essa non sia invece un trucco tattico (come io credo non sia).
    —Essendo errati i presupposti, questo discorso ormai diventa posticcio. Inoltre, per discutere di ragione e razionalità, occorrerebbe definire questi termini e le basi su cui poggiano. La Chiesa non lo fa perchè non è possibile definire in modo razionale – appunto – e universale la sua presunta “morale naturale”, che essa vorrebbe far diventare universale non aspettando la conversione delle coscienze, ma con la coercizione della giurisdizione statale.

    “In realtà nessuno può chiedere obbedienza sugli argomenti di ragione perché l`obbedienza viene da sé, come di fronte a un risultato di aritmetica o a una norma morale fondamentale.”
    —In realtà nessuno può parlare a nome della ragione senza accettare contraddittorio, discussione. Chi chiede obbedienza, non parla a nome della ragione.

    “Per questo io penso che agli argomenti di ragione occorrerebbe lasciare maggiore duttilità, visto che la ragione, da che mondo è mondo, esercita il dubbio, soppesa i pro e i contro, e per questo vede grigio laddove invece altri (che non amano la calma della ragione ma forme più nervose di autorità) vedono solo bianco o solo nero. Intendo dire che proprio il richiamo alla ragione da parte delle gerarchie cattoliche dovrebbe indurre a una maggiore relatività del proprio punto di vista di fronte alla complessità dell`inizio e della fine della vita alle prese con le possibilità aperte dal progresso scientifico.”
    —Ci vorrebbe sì più relativismo del proprio punto di vista, ma non perchè si tratta di discorsi dettati dalla ragione: ci vorrebbe sempre più relativismo ogni qual volta si parla di etica per il semplice fatto che le verità della fede cattolica non sono posizioni etiche su aborto eutanasia ecc., tanto è vero che le varie chiese cristiane sono divise in campo etico!

    “La cautela è tanto più auspicabile se si prende atto della storia. La Chiesa dei secoli scorsi infatti non è stata in grado di interpretare sapientemente l`evoluzione sociale e politica dell`occidente, finendo per condannare pressoché tutte quelle libertà democratiche che ora, invece, essa stessa riconosce: libertà di stampa, libertà dì coscienza, libertà religiosa e in genere i diritti delle democrazie liberali. Allo stesso modo, a mio avviso, le odierne posizioni della gerarchia corrono il rischio di non capire la rivoluzione in atto a livello biologico, respinta con una serie di intransigenti no, pericolosamente simili a quelli pronunciati in epoca preconciliare contro le libertà democratiche. Ora io mi chiedo se tra cento anni i principi bioetici affermati oggi con granitica sicurezza dalla Chiesa saranno i medesimi, o se invece finiranno per essere rivisti come lo sono stati i principi della morale sociale. Siamo sicuri che la fecondazione assistita (grazie alla quale sono venuti al mondo fino ad oggi più di 3 milioni di bambini, di cui centomila in ltalia) sia contraria al volere di Dio?”
    —No, non siamo sicuri. Non siamo sicuri di nulla, a livello etico, se scendiamo nel caso specifico: possiamo solo parlare in termini generali, e anche su quei termini ci vorrebbe tolleranza, relativismo e soprattutto la volontà di lasciare alle coscienze la conversione in cui la Chiesa spera. Invece si cerca l’imposizione per legge della presunta razionalità del pensiero delle gerarchie cattoliche.

    “Siamo sicuri che l`uso del preservativo (grazie al quale ci si protegge dalle malattie infettive e si evitano aborti) sia contrario al volere di Dio? Siamo sicuri che il voler morire in modo naturale senza prolungate dipendenze da macchinari, compresi sondini nasogastrici, sia contrario al volere di Dio? E per fare due esempi concreti legati a precise persone: siamo sicuri che si sia interpretato bene il volere di Dio negando i funerali religiosi a Piergiorgio Welby perché rifiutatosi di continuare a vivere dopo anni legato a una macchina? E siamo sicuri che si sia interpretato il volere di Dio chiamando “boia” e “assassino” il signor Englaro, salvo poi aggiungere, non so con quale dignità, di pregare per lui? Mi chiedo se tra cento anni (e spero anche prima) i papi difenderanno il principio di autodeterminazione del singolo sulla propria vita biologica, così come oggi difendono il principio di autodeterminazione del singolo sulla propria vita di fede (la quale peraltro per la dottrina cattolica è sempre stata più importante della vita biologica). Se si riconosce alla persona la libertà di autodeterminarsi nel rapporto con Dio, come fa la Chiesa cattolica a partire dal Vaticano II, quale altro ambito si sottrae legittimamente al principio di autodeterminazione?”
    —E siamo sicuri, Mancuso, che la vita dell’embrione valga di più di quella della madre? O è giusto che una donna possa abortire – a maggior ragione se già madre – quando portare a termine la gravidanza implicherebbe un rischio per la sua vita?

    Non ci possono essere dubbi a mio avviso che questo principio vada esteso anche al rapporto del singolo con la sua biologia. I cattolici intransigenti che oggi parlano della libertà di autodeterminazione definendola “relativismo cristiano” dovrebbero estendere l’accusa al Vaticano II il quale afferma che «l`uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà» (Gaudium et spes 17). La realtà è che non è possibile nessuna adesione alla verità se non passando per la libertà. È del tutto chiaro per ogni credente che la libertà non è fine a se stessa, ma all’adesione al bene e al vero; ma è altrettanto chiaro che non si può dare adesione umana se non libera. Dalla libertà che decide non è possibile esimersi, e questo non è relativismo, ma è il cuore del giudizio morale.
    —Occorre riconoscere che le posizioni finali, pratiche, concrete di Mancuso su molti temi etici sono condivisibili e auspicabili, per la Chiesa cattolica – nonostante i presupposti teorici iniziali contestabili – e per tutti gli italiani, vessati dal clericalismo di media e politici.
    E questo alla fine è quello che conta.
    Peccato ci siano pochi che la pensino come Mancuso, tra i cattolici, questo è il dramma.

  6. Binaghi scrive:

    Come spesso accade, i ragionamenti di Mancuso intersecano il sofisma.
    —Ma in verità Mancuso si pone sul piano che scelgono le gerarchie cattoliche, sono loro a fare sofismi.

    Qui tratta la ragione pratica (l’etica per intenderci) come se fosse ragion pura e viceversa. Nelle decisioni morali non è mai pura questione di dedurre conseguenze da principi universali.
    —Dillo alla Chiesa, non a Mancuso.

    C’è l’elemento circostanziale che va ulteriormente inteso, per emettere il giudizio.
    —Appunto: Mancuso circostanzia, con le sua domande finali, la Chiesa no.

    A meno che sul principio teorico venga posto il suggello della rivelazione, quando si dichiara la vita umana sacra senza se e senza ma
    —allora si deve circostanziare o no?

    , e la si sottrae in linea di principio alla manipolazione tecnica.
    E’ questo che fa la gerarchia ecclesiastica, checcè Mancuso ne dica, usando la sua autorità di depositaria della Rivelazione più che un semplice richiamo alla ragione naturale (che del resto per un filosofo non realista non ha senso).
    —no, non è questo che fa, a meno che tu sia del tutto ignorante di quel che dice e scrive Ratzinger da anni: si va ben oltre, si parla di neoilluminismo, si vuole la fede come massima razionalità.
    Se la Chiesa facesse come dici tu, lascerebbe alla singola coscienza di ogni cristiano accettare le sue conclusioni, e non chiederebbe allo stato laico di conformarsi ai suoi giudizi etici. Fa questo la Chiesa? Ha fatto, dichiarato questo quando lo stato stava legiferando – o non stava legiferando- sui casi Welby, Englaro ecc.? No, la Chiesa sprona lo stato a legiferare secondo le sue direttive morali, che spaccia per direttive partorite in nome di una ragione universale, non in nome della Rivelazione – con la quale, nelle CIRCOSTANZe specifiche, le scelte etiche non possono quasi mai aver molto a che fare.
    Solo che se tu non riconosci la realtà dei fatti, questo è nullo.
    E infatti tu parli di cose che non esistono in modo da difendere la Chiesa – di cui tenti di nascondere le scelte politiche – e attaccare Mancuso.

    Può sembrare una scorciatoia, ma è invece umiltà di fronte al mistero e timore rispetto all’onnipotenza dell’agire tecnico e del mercato. Certo, questo non può impegnaere i non cristiani, a meno che non si accorgano anch’essi che questa umiltà è saggia e questi timori più che giustificati, e decidano laicamente di proteggere con la legge ciò che una società civile non ammette più di proteggere con un sacramento.
    —Questo è discorso puramente teorico, fatto apposta perchè mancano pezze d’appoggio reali che lo giustifichino.

  7. Questo è parlar fra sordi, Galbiati. Io non chiedo alla gente di riconoscersi nelle posizioni della Chiesa, ma di capire la specificità di queste posizioni che non è una dialettica della ragione naturale (come vorrebbe Mancuso, che astutamente dà per acquisito quello che LUI vorrebbe introdurre nella Chiesa) ma la difesa di una Rivelazione soprannaturale. Distinguendo accuratamente, e lasciando alla Chiesa una possibilità di esprimersi puramente persuasiva nella società civile, credo di essere più laico di te e di lui, che pretendendo di mettere le due dimensioni sullo stesso piano, fate solo confusione.

  8. Di fronte a questo ragionar sottile che risponde a un altro ragionar sottile in temi etici per contrasto divento estremamente rozza e d’impulso mi viene da dire alle gerarchie ecclesiastiche, tacete, o parlate forte e fino in fondo contro la guerra prima di riaprir bocca.
    E sempre rozzamente vorrei dire che l’autorevolezza etica uno se la deve meritare. Se la meritano, le gerarchie ecclesiastiche? E questo papa soprattutto, questo professore interessato a spaccare il cavillo in quattro per giustificare i suoi equilibrismi, se la merita?
    Non dovrebbero essere gli uomini buoni e caritatevoli a indicare il bene?

    Ma certamente il mio è un discorso da ogni punto di vista rozzo e rudimentale, e il peggio è che lo so.

  9. Infatti, Bingaghi, mi fa piacere ti sia accorto di quanto siano rozze le tue risposte, e senza appiglio con la realtà, ripeto ancora, per quel che riguarda l’agire della Chiesa, ma è in tuo potere di cambiare stile.

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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