In quella terra quasi di nessuno. Omaggio a G. A. Borgese

di Massimo Rizzante

E Borgese resta in quella terra quasi di nessuno.
Leonardo Sciascia

Quasi tutto è iniziato quando il 22 aprile del 2000 ho letto una lettera inviata al direttore di un giornale italiano firmata dalla famiglia Borgese (la moglie Elisabeth Mann, la figlia Dominica e la nipote Giovanna), nella quale si constatava con stupore che in un libro dello storico tedesco Helmut Goetz, intitolato Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, e recensito pochi giorni prima sullo stesso giornale, il «nome di Borgese» non figurava «tra i professori che rifiutarono di firmare il giuramento di fedeltà al regime fascista».
Sono andato a rileggermi l’articolo. In realtà, oltre al libro di Goetz, la giornalista segnalava l’uscita di un altro volume sullo stesso argomento di Giorgio Boatti dal titolo Preferirei di no. Entrambi gli storici erano concordi sui numeri: nel 1931 su oltre milleduecento accademici italiani soltanto dodici avevano opposto il loro rifiuto al regime. E precisamente: Francesco e Edoardo Ruffini, Fabio Luzzatto, Giorgio Levi Della Vida, Gaetano De Sanctis, Ernesto Buonaiuti, Vito Volterra, Bartolo (o Bortolo) Nigrisoli, Marco (o Mario) Carrara, Lionello Venturi, Giorgio Errera, Piero Martinetti. In effetti, il nome di Giuseppe Antonio Borgese, allora professore di Estetica all’Università di Milano non c’era, e neppure quello di Errico Presutti, professore di Diritto amministrativo e costituzionale a Napoli, che, secondo un firmatario di un’altra lettera al direttore pubblicata accanto a quella della famiglia Borgese, si era anch’egli rifiutato di prestare giuramento.
«L’eroica minoranza» che disse di no al fascismo non era formata da «pericolosi sovversivi», scriveva la giornalista. Erano persone di diversa estrazione sociale: figli di alto-borghesi e di tabaccai. C’erano cattolici, anticlericali, socialisti, liberali, monarchici, ebrei. Certo, nel 1925, molti avevano sottofirmato la Risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani redatta da Benedetto Croce (fra questi Borgese non c’era) e uscita il 1 maggio sul quotidiano «Il Mondo» in opposizione al Manifesto degli intellettuali del fascismo scritto da Giovanni Gentile e pubblicato qualche settimana prima sulla stampa nazionale.
Non erano tuttavia degli attivisti politici. Anzi, nessuno di loro aveva preso consegne né da Togliatti, che con il suo tipico ‘doppiogiochismo’ pensava che i professori rimanendo in cattedra avrebbero svolto un compito molto utile al partito, né da Croce, che incoraggiava i professori a continuare il loro insegnamento «secondo l’idea di libertà», né dalla Chiesa che per l’occasione aveva escogitato uno dei suoi innumerevoli capolavori di dissimulazione, ordinando ai suoi fedeli «di giurare, ma con riserva interiore».
L’argomento del presunto mancato giuramento di Borgese ha cominciato a quel punto a incuriosirmi. Ben presto, dopo alcune ricerche – sul finire degli anni Novanta erano usciti diversi saggi sull’argomento – mi sono reso conto che il ‘caso’ Borgese, come si diceva allora, non esisteva. O meglio: esisteva ed esiste l’oblio dell’opera di Borgese, oblio a cui gli intellettuali italiani rispondevano alla fine del XX secolo con un’interpretazione esclusivamente politica delle scelte e delle esitazioni dell’autore siciliano.
Ecco in sintesi i fatti. Borgese, che già da una decina d’anni si era ritirato dalla vita politica, coglie l’occasione nel luglio del 1931, dopo alcuni chiari segnali di essere persona non grata ai giovani del GUF e alle autorità accademiche fascistizzate, di trascorrere un periodo come visiting professor (e, allo stesso tempo, come corrispondente estero per il «Corriere della Sera») negli Stati Uniti. Quando l’8 ottobre dello stesso anno viene emanata la disposizione che impone ai docenti universitari l’obbligo di giuramento al regime, egli è altrove. Seguono un paio d’anni di incertezza esistenziale, professionale e politica. Ma già il 18 agosto del 1933 egli invia da Boston una lunga lettera a Mussolini (il 17 ottobre del 1934 ne invierà un’altra) dove, oltre a rivendicare il suo operato all’epoca della «questione adriatica» (dopo la prima guerra mondiale Borgese, con Salvemini e Bissolati, fu ritenuto uno dei massimi responsabili delle tesi ‘disfattiste’ e ‘rinunciatarie’ che vedevano schierati da una parte coloro che sostenevano l’autodeterminazione dei popoli e dall’altra i nazionalisti alla D’Annunzio che blateravano di «vittoria mutilata»), chiarisce la sua posizione ideologica fondata sulla dottrina mazziniana, ripresa a suo modo di vedere da Wilson, che sarà alla base del suo pensiero politico universalistico degli anni Trenta e Quaranta. Inoltre, sul giuramento è esplicito: «Il giuramento implicherebbe ormai l’adesione a un ordine, più ancora che politico, filosofico e religioso […] Giurare fu strettamente proibito dal Cristo (Matth. V, 33-37). Giurare con animo reticente o equivoco, o comunque spergiuro, fu considerato delitto gravissimo, secondo solo al parricidio, da tutta l’antichità pagana».
Da parte di Mussolini e del governo fascista un silenzio interessato. Borgese, che fino a quel momento non era stato considerato un antifascista, non doveva agli occhi del regime diventare improvvisamente un martire dell’antifascismo. Si dovevano poi mantenere buone relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti ed evitare qualsiasi ripercussione internazionale. Non avendo alcuna risposta, Borgese, quando nell’ottobre del 1934 sta per scadere il suo mandato all’estero, invia da Northampton al rettore dell’Università di Milano una succinta quanto esplicita dichiarazione: «Prego la S. V. di voler prendere nota che io non ho prestato, né mi propongo di prestare il giuramento fascista prescritto ai professori universitari – gradisca il cordiale ossequio di G. A. Borgese».
Dov’è il ‘caso’? Dov’è il crimine? Di che cosa è colpevole Borgese? Di essere stato altrove quando un manipolo di persone della sua stessa stoffa, per nulla «sovversive», per nulla politicizzate, si rifiutavano di aderire al regime? O di non aver immediatamente e con eroismo fatto pervenire alle autorità il suo diniego? Perché l’attenzione dei critici non si è rivolta invece ai suoi ideali mazziniani che l’ancoravano all’Italia fin dai tempi della sua rilettura di De Sanctis? O al mito che egli, esule deluso della propria patria, andava erigendo sulle pagine lette e commentate della Divina Commedia? O ancora al fatto, quanto mai concreto, di un uomo di cinquant’anni che, trovandosi in un altro paese, alle prese con un’altra lingua e con altri costumi, aveva dovuto riflettere su alcune tappe della sua vita prima di formulare in piena coscienza la sua decisione senza ritorno?
Borgese a me sembra uno dei tanti casi istruiti da quella diabolica macchina processuale che proprio verso la fine del XX secolo in Italia e in Europa ha cominciato a funzionare, accumulando accuse su accuse nei confronti di molte personalità del passato.
La lista è infinita: Nietzsche, antidemocratico e anticristiano; Heidegger, in odor di nazismo; Henry Miller pornografo e antisemita; Brecht, accusato di plagiare gli amici e le sue amanti; Faulkner, razzista e antifemminista; Thomas Mann, sospettato di essersi infatuato per un certo periodo delle teorie naziste; Ezra Pound, apostata mussoliniano; Max Frisch, antisemita e nazionalista; Céline, antisemita con manifeste fissazioni eugenetiche; Freud, despota e colpevole di aver voluto infliggere all’intera umanità la sua ferita narcisistica; Cioran, fascista della prima ora; Eluard, cantore degli ideali sovietici; Malaparte, mazziniano, nazionalista, fascista, e poi comunista, Kundera, giovane comunista e al contempo delatore anticomunista…
La regola d’oro dei pubblici accusatori di questo enorme processo consiste nel criminalizzare la vita degli autori al fine di non permettere che le loro opere vengano lette e giudicate in modo autonomo. La criminalizzazione, naturalmente, è fatta a fin di bene, ovvero è condotta per farla finita una volta per tutte con i pregiudizi del passato. Coloro che la compiono, infatti, non si sentono parte in causa. Sono arroccati nel presente. E dall’alto della loro presunta morale possono far piazza pulita di un’epoca storica. La memoria rivendica i suoi diritti sulla biografia degli autori, con tutto il loro carico di contraddizioni, irrazionalità, ambiguità ed errori, ma allo stesso tempo lascia ai lettori del futuro una «terra quasi di nessuno», una terra devastata, la terra delle opere d’arte e del pensiero che hanno subito la criminalizzazione dei loro autori.
Così, nel momento del bilancio secolare, molti critici italiani hanno preferito criminalizzare i silenzi dell’esule Borgese nei confronti del regime fascista piuttosto che leggere le sue opere.

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27 Commenti

  1. Non so se quella terra sia quasi di nessuno, come dice Scascia, ma in tanti sappiamo di “Golia” di Borgese e ne andiamo fieri.
    E rimango in Sicilia per osservare una coincidenza: Gentile (siciliano anch’egli), dimenticato alla stessa stregua di Borgese, mentre su tutti trionfa Pirandello (senza però che di lui si ricordi la lettera d’amore a Mussolini dopo l’uccisione di Matteotti, ma neanche i “Giganti della Montagna”, l’opera del ripensamento sul regime).
    Siamo antifisti ma fino ad un certo punto e sempre con moderazione, senza mai potare a termine un ragionamento che imporrebbe alle generazioni che hanno vissuto il fascismo di dirla tutta e di schierarsi oggi con maggiore chiarezza.

  2. Tutta la mia gratitudine e la mia stima a Max Rizzante che ha sollevato questo problema.

    Che non è un problema “accademico”, ma un problema che riguarda
    la vita civile e politica del nostro paese.
    L’azione dei “pubblici accusatori” infatti, anche se non ha impedito
    la lettura di tutti gli autori ostracizzati – forse perché questi “pubblici accusatori” non erano detentori del potere che avrebbe permesso loro di farlo – ne ha reso certamente difficile la fruizione, specialmente ai giovani che, nella loro ingenuità hanno sempre considerato i “maestri” persone dedite all’onestà.

    Un’unica cosa che riguarda questo argomento: quando Pavese ebbe l’improntitudine di pubblicare, nella “Collana viola” della Casa editrice Einaudi, alcuni autori come Jung, Eliade, Fobenius, Kerényi ecc., il codirettore di collana Ernesto De Martino, che faceva da tramite col PCI, impose che ogni testo venisse preceduto da una “presentazione” scritta da accademici “impegnati” e che mettesse in guardia i lettori dal prendere sul serio lo stesso testo che veniva presentato.

    Insomma una sorta di “Indice”. Una messa in berlina di opere oggi considerate fondamentali, per difendere le masse popolari dal “pensiero
    distorto”.

  3. “La memoria rivendica i suoi diritti sulla biografia degli autori, con tutto il loro carico di contraddizioni, irrazionalità, ambiguità ed errori”, questa frase voglio sottolineare, in questo post, come sempre, assai chiaro e illuminante.

  4. Molta carne al fuoco: alcuni dovrebbero essere depennati, poiché fuori dal meccanismo dell’accusa e dentro la buonapace della storia, ossia in ordine: Nietzsche, antidemocratico e anticristiano; Heidegger, in odor di nazismo; Ezra Pound, apostata mussoliniano; Céline, antisemita con manifeste fissazioni eugenetiche; Cioran, fascista della prima ora; Eluard, cantore degli ideali sovietici; Malaparte, mazziniano, nazionalista, fascista, e poi comunista. Kundera, giovane comunista e al contempo delatore anticomunista è affar di Rizzante. Su Borgese avrei da dire, ma interpellando prima gli eredi, quindi temo non in tempo utile per questo post.

  5. Sono perplesso. Considerare l’opera di un autore alla luce di etichette o sineddochi che sostituiscono il tutto alla parte è da miopi. Un riduttivismo ridicolo. Ma, per contro, tacere, in nome della grandezza letteraria di un autore, di alcuni episodi della sua vita, non mi pare corretto. Il tutto andrebbe contestualizzato, non assolutizzato. Quando ho letto Pound, ad esempio, mi sono appassionato ai suoi Cantos, e non li ho letti alla luce della sua un po’ bislacca teoria dell’usura (che peraltro qui e là aggalla), né delle sue rubriche (ritengo deliranti) tenute alla radio fascista. Ma non per questo tali aspetti vanno taciuti o rimossi. Insomma, lo scrittore uomo può anche non essere perfetto, e commettere errori, o avere colpe. E nel contempo l’uomo scrittore può scrivere capolavori. E’ la vecchia storia, almeno in parte, del Balzac monarchico ma profondo indagatore della società del suo tempo che piaceva al Moro. L’ideologia pertiene all’uomo, ma nella scrittura giocano altre forze e altre lucidità che vanno oltre.

  6. A me ha sempre colpito quel dato impressionante: 12 su 1200, cioè esattamente l’1%. Ecco, credo che in situazioni veramente difficili, sotto dittature e quando le proprie scelte di coerenza si pagano care, il 99% delle persone (l’hombre invertebrado di cui parlava Ortega y Gasset) china il capo e tace. Questo valga come monito per gli intrepidi delle paciose democrazie e per gli eunuchi che sbandierano il loro voto di castità. Non si sottolineerà mai abbastanza l’ovvietà che l’ideologia dell’autore non si riflette automaticamente sull’opera, e che la vera letteratura reazionaria non è quella fatta da scrittori che votano a destra, ma quella che compiace il lettore, lo blandisce, lo conferma nei suoi pregiudizi. E’ la teoria della cospirazione che prospera ad agosto sotto gli ombrelloni, il gialletto che presidia le classifiche e non si vede l’ora di finire (quasi fosse un complimento), la storia d’amore melensa e consolatoria che allieta una seratina di pioggia col gatto sulle ginocchia e il camino acceso. Quasi sempre opere di autori che votano a sinistra, firmano gli appelli “giusti” e rilasciano interviste vibrate su tutti i maggiori temi di “scottante attualità”.

  7. Caro Massimo,
    interessante la questione che poni e nella fattispecie di Borgese direi che le tue considerazioni sono assolutamente appropriate. Ma per il resto bisogna ricordare che ci sono casi differenti e che ognuno merita una riflessione a parte ( non un giudizio perchè per quello ci sono i tribunali, ma una riflessione per comprendere la nostra lettura di ogni autore). Per citare esempi da te fatti, a occhio e croce mi sembra che l’attuale caso Kundera segua una modalità scandalistico ricattatoria secondo una tecnica molto diffusa nei paesi dell’ex patto di Varsavia e non solo ( pensiamo al caso Grass), nel caso di Céline mi sembra che non ci sia nulla da dire: non si può parlare di accuse o calunnie,l’antisemitismo e il collaborazionismo sono dati di fatto, annunciati anche nella sua opera. Il che non toglie che Cèline sia un grande scrittore ( purtroppo la realtà è sempre più complicata delle nostre categorie). Certo questo pone domande serie sull’opera dello scrittore e anche suelle nostre preferenze letterarie, una domanda dolorosa per chi ami la letteratura o la filosofia e di questa inquietudine non trovo traccia nelle polemiche giornalistiche che normalmente generano questi casi. Caro Massimo, direi che queste discussioni e queste interrogazioni andrebbero fatte esclusivamente tra i fedeli d’amore perchè in giro ci sono troppe persone nemiche di gentil natura che involgariscono drammi per noi seri.

  8. *queste interrogazioni andrebbero fatte esclusivamente tra i fedeli d’amore*

    non capisco: un post per parenti stretti in cui si snobbano gli eredi di borgese?!

  9. Mi pare che l’articolo eluda proprio ciò che vorrebbe dimostrare.

    All’inizio si legge:
    “esisteva ed esiste l’oblio dell’opera di Borgese, oblio a cui gli intellettuali italiani rispondevano alla fine del XX secolo con un’interpretazione esclusivamente politica delle scelte e delle esitazioni dell’autore siciliano.”
    Cosa significa?
    Se ci si riferisce alla scelta di non firmare il giuramento universitario, come la interpretano gli storici di fine XX secolo? E, soprattutto, come è possibile non darle una interpretazione politica, se la faccenda è tutta politica?

    Rizzante, FORSE, vuol dire che per quegli intellettuali Borgese “esitava” nel prendere posizione verso il fascismo, e quindi ha aspettato a scegliere se firmare o no. Se è così, quegli intellettuali avevano ragione: è infatti Rizzante stesso che scrive: “Quando l’8 ottobre dello stesso anno viene emanata la disposizione che impone ai docenti universitari l’obbligo di giuramento al regime, egli è altrove. Seguono un paio d’anni di incertezza esistenziale, professionale e politica.” Incertezza politica, ergo esitazione sulle scelte politiche.

    Poi Rizzante prosegue:
    “Dov’è il ‘caso’? Dov’è il crimine? Di che cosa è colpevole Borgese? Di essere stato altrove quando un manipolo di persone della sua stessa stoffa, per nulla «sovversive», per nulla politicizzate, si rifiutavano di aderire al regime? O di non aver immediatamente e con eroismo fatto pervenire alle autorità il suo diniego?”
    Vorrei saperlo anch’io, Rizzante, dov’è il caso.
    Ma soprattutto, di cosa parla il suo articolo, del giudizio dei critici di fine XX secolo su Borgese? Allora sarebbe bene che ci informasse su questo giudizio. Perchè altrimenti non si capisce la questione. Sembra quasi lei voglia dire che nel libro del tedesco Helmut Goetz, intitolato Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, manchi il nome di Borgese per colpa del giudizio a lui affibbiatogli dai critici, secondo il quale, suppongo – poichè lei non lo esplicita – Borgese sarebbe stato un antifascista meno convinto rispetto agli altri firmatari.

    Poi Rizzante prosegue:
    “Perché l’attenzione dei critici non si è rivolta invece ai suoi ideali mazziniani che l’ancoravano all’Italia fin dai tempi della sua rilettura di De Sanctis? O al mito che egli, esule deluso della propria patria, andava erigendo sulle pagine lette e commentate della Divina Commedia? O ancora al fatto, quanto mai concreto, di un uomo di cinquant’anni che, trovandosi in un altro paese, alle prese con un’altra lingua e con altri costumi, aveva dovuto riflettere su alcune tappe della sua vita prima di formulare in piena coscienza la sua decisione senza ritorno?”
    Credo per la verità che sull’ultimo punto si possano avere idee diverse. Due anni di incertezze autorizzano a pensare a una persona che in effetti ha esistato nella sua scelta in relazione all’adesione al fascismo. Anche se poi la decisione è stata netta. Resta ancora il problema: sono così perfidi questi fantomatici critici verso Borgese?

    Curiosità: si può fare un qualche parallelo con Alvaro?

    Rizzante prosegue:
    “Borgese a me sembra uno dei tanti casi istruiti da quella diabolica macchina processuale che proprio verso la fine del XX secolo in Italia e in Europa ha cominciato a funzionare, accumulando accuse su accuse nei confronti di molte personalità del passato.”
    Peccato che questa macchina processuale accusatoria verso Borgese abbia portato ad accuse che ancora non sappiamo, a parte l’esitazione – che c’è stata, almeno per due anni.
    Peccato anche che come ha fatto notare Mascitelli le accuse ad alcuni dei grandi scrittori citati siano fondate. E non solo per Celine, direi che Nietzsche non si possa considerare un alfiere del pensiero democratico, Mann era stato decisamente nazionalista (non so se filonazista) da giovane e a favore della prima guerra mondiale, Malaparte è stato fascista – gli altri non so. Mi sembrano dati di fatto, non etichette.

    Infine:
    “La regola d’oro dei pubblici accusatori di questo enorme processo consiste nel criminalizzare la vita degli autori al fine di non permettere che le loro opere vengano lette e giudicate in modo autonomo. La criminalizzazione, naturalmente, è fatta a fin di bene, ovvero è condotta per farla finita una volta per tutte con i pregiudizi del passato. Coloro che la compiono, infatti, non si sentono parte in causa.”

    Rizzante, ci può portare qualche esempio di queste accuse così criminali e perfide e volte a non far leggere le opere di Borgese?
    Perchè sa, essere così arrabbiati con le accuse di certi critici le fa onore, almeno dal mio punto di vista, ma se non dice le accuse e gli autori, a me, da lettore, spiace perchè il suo pezzo non fornisce dati importanti per capire il suo sdegno e, viste le mie curiosità e tendenza a voler capire chiaramente, non posso che chiederle delle citazioni, e una domanda…: Rubè è da anni nella mia lista dei libri da leggere: ne vale la pena?

  10. @qp: Non capisco cosa c’entrano gli eredi. Non credo occorra interpellarli per dire quel che si pensa (io li ho interpellati diverse volte durante i miei studi su Borgese, ma soprattutto per chiedere l’ autorizzazione a ripubblicare alcune sue opere)
    @Lorenzo Galbiati: mi piace il modo in cui fa le pulci al mio testo. Ma la cosa importante per me in questa sede è che il cosiddetto “caso” Borgese, quando è sorto, verso la fine degli anni Novanta, è diventato tale solo, ripeto solo, a causa delle sue esitazioni politiche. Volevo semplicemente dire che la riduzione politica, ideologica di un’autore è sempre all’opera, nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle e ancor oggi: eserciti di ragni tessono le loro tele di giudizi politici sulla vita di un autore fino a rendere la sua opera un’inutile appendice. E c’è qualcosa di ancor più generale: il diktat morale della memoria, imposto dovunque dai media, tende a criminilizzare il passato. Del resto, è del tutto naturale. I media trattano il passato storico come se fosse il loro regno, ossia l’attualità, e nell’attualità mediatica un fatto per esistere deve trasformarsi in un fatto di cronaca nera, trasformarsi in un fatto delittuoso: tutto ciò che non è criminale tende, nell’attualità, a non esistere. Così, spesso, ciò che resta è la biografia criminalizzata degli autori.
    Infine, leggere “Rubè”, penso sia ancora utile. Ma ancor di più cogliere il presente che è incastonato in ogni passato.

  11. io il complotto contro borgese non lo vedo. ammetto però che non leggo novella 2000. il migliore, nel 1998, dava borgese tra i rifiutanti del 31, come anche quotava il filonazismo di pavese nel 43. c’è il libro in rete, basta digitare *dionisotti ricordi scuola*.
    digitando *borgese romanzo rube* si trova addirittura un ampio florilegio (personalmente mi ha colpito la metafora della filossera, su cui chiedo un pronunciamento a alcor, regina della profilassi)

  12. db, ma è un luminoso caso di telepatia, sono venuta qui seguendo te e sperando in una tua felice boutade e tu mi nomini regina, sia pure di una pratica igienica, ho portato a casa la giornata

  13. Io capisco il suo intento, Rizzante, ma resta il fatto che lei dà per scontato che i lettori conoscano le critiche fatte a Borgese alla fine del XX secolo, e che le interpretino esattamente come lei, ossia che la “riduzione politica, ideologica di un’autore è sempre all’opera, nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle e ancor oggi: eserciti di ragni tessono le loro tele di giudizi politici sulla vita di un autore fino a rendere la sua opera un’inutile appendice.”
    E’ un’ accusa grave, senza appello ed estesa peraltro a molti altri scrittori, quelli da lei citati, che sarebbero vittime di una “diabolica macchina processuale che proprio verso la fine del XX secolo in Italia e in Europa ha cominciato a funzionare”.
    E tutto questo senza fare nomi dei critici costituenti la diabolica macchina, senza mettere citazioni, senza dare l’indirizzo di fonti o di link di internet.
    Si rischia di costruire una nebulosa ipotesi del complotto che ha fini imperscrutabili, e che è in se stessa imperscrutabile, dato che non se ne vedono i contorni (e neanche il centro), essendo proclamata con un’operazione all’insegna del facciamo di tutta l’erba un fascio.
    Un buon modo per dire tutto e niente, per prendersela con tutti e con nessuno.

  14. @galbiati: se vuole le porto tutte le prove di questo mondo, ma prima le faccio due domande: la riduzione politica e ideologica degli autori e delle opere lei la vede o no? La criminalizzazione del passato lei la vede o no?

  15. Rizzante, io non mi occupo di critica letteraria, non sono un addetto ai lavori, credo si capisca dai miei commenti, dal momento che le ho chiesto di fornirci delle informazioni in più e ho ammesso di non sapere cosa dicono i critici sulle esitazioni di Borgese.
    Quindi non so dire se vedo la riduzione politica e ideologica degli autori da lei citati né la criminalizzazione del loro passato.
    Ho letto ben poco di critica letteraria specializzata. Posso dire che sfogliando giornali, riviste, internet, leggendo libri e loro saggi introduttivi, cercando anche di informarmi ogni volta che leggo un libro (ne leggo molti) sulla vita dell’autore e sul giudizio critico della sua opera, io non posso dire di aver visto quel che lei dice.
    L’unica cosa che si avvicina è il caso Gunther Grass, le rivelazioni sulla sua prima giovinezza.
    Per il resto, posso dire semmai in riferimento a Mann che non ho mai letto una svalutazione della sua opera per i suoi furori giovanili nazionalisti, e per Nietzsche ho letto dei pezzi di saggi su di lui (libri veri e propri) che vogliono portare a una sua rivalutazione da sinistra che -per quel che ne so – mi sembra si basi su una precisa scelta interpretativa benevola di una serie di cose che ha scritto, con complementare rimozione di altre.

    Quindi, se vuole, mi dica lei dove posso trovare la riduzione ideologica e la criminalizzazione del passato degli autori da lei citati.

  16. *La vigna dei suoi sentimenti gli appariva devastata dalla filossera*.
    alcor non s’è ancora pronunciata, e in più dicendo “igiene” dà a presumere di aver confuso la filossera con la candida: ma dico, dove siamo?!

  17. @galbiati: alcune fonti per Borgese: S. Gerbi “G. A. Borgese politico”, in Belfagor, 52, 1, 1997, pp. 43-69 ed anche S, Gerbi, “Tempi di malafede”, Einaudi, Torino 1999; la questione del rapporto tra Borgese e il fascismo viene analizzata in modo lucido da F. Mezzetti in “Borgese e il fascismo”, Sellerio, Palermo 1978 (dove c’è un’importante prefazione di Piovene) e da G. Grifoni “Borgese antifascista: ancora nuovi inediti”, in Intersezioni, 19, 2, 1999, pp. 283-301; il critico letterario italiano che per primo ha sollevato il velo dell’oblio dall’opera critica e letteraria di Borgese dopo decenni è M. Onofri nel suo “Il caso Borgese”, in A. Colasanti (a cura), “La nuova critica letteraria nell’Italia contemporanea”, Guaraldi, Rimini, 1996, pp. 48-66. Il solo paladino di Borgese, tra gli scrittori, è stato Sciascia. Lo scritto più esemplare lo può trovare come “Nota” a G. A. Borgese, “Le belle”, Sellerio, Palermo, 1983.
    Per il problema che pongo in generale, le consiglio la lettura di un breve capitoletto, “Che resterà di te, Bertolt?”, che appartiene all’ultimo libro di Milan Kundera, in uscita il 1 aprile da Adelphi.

  18. ringrazio, anche a nome di baldrati in tutt’altri post affaccendato.
    NB. il punto chiave, lo snodo tra piovene e sciascia è interlandi.
    la regina dei preservativi non s’è pronunciata. che dio la preservi.

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