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Il cuore rivelatore: Piero Bargellini

di Rinaldo Censi

Renverser les expériences et exposer une plaque ou un papier chloruré, ioduré et dans une solution d’un sel d’argent pour obtenir l’effet in statu nascendi.

(August Strindberg, Extrait de notes scientifiques et philosophiques, 1896)

Non ho mai visto un’ape morire. Ho dovuto aspettare la seconda parte di Morte all’orecchio di Van Gogh (1968) per accorgermi dello strazio concentrato in un battito d’ali. Come se un grido impossibile trovasse la sua forma di emersione nel movimento convulso di questo imenottero moribondo, nella vibrazione incontrollata di due sottili membrane diafane. Ma a chi può interessare la morte di un’ape? E se in questa via crucis per entomologi si nascondesse qualcosa di profondo, e insieme sfuggente? La morte di un’ape può forse tracciare i bordi di un universo a noi precluso, rendendo evidente – nella sua violenza – un aspetto cruciale della nostra vita. Noi siamo i detentori di un sapere sfuggente, i gradi di realtà sono molteplici. Proprio per questo di un’ape possiamo comprendere solo in parte l’agonia. Sarebbero necessari gli ultrasuoni per cogliere il suo lamento, la cui frequenza resta a noi sconosciuta. Ed è possibile che il nostro olfatto sia così poco sviluppato da non riconoscere la scia di morte che ha lasciato sulle foglie?

Rivedendo la sequenza, vedendola emergere, sono certo che Piero Bargellini si sia posto alcune di queste domande. Come se avesse compreso che la morte di un’ape, l’immagine impressionata su pellicola 8 millimetri, potesse catturare solo in parte l’enigma di una realtà filmata.

C’è in Piero Bargellini qualcosa che mi fa pensare a August Strindberg. Strindberg alle prese con celestografie, fotografie di spettri solari, rinchiuso tra soluzioni chimiche e formule da alchimista. Ecco allora come Bargellini riassume ad Adriano Aprà (Cinema & Film n. 7/8, 1969) i procedimenti tecnici del suo Trasferimento di modulazione (1969):

«Tecnica di sviluppo – momento creativo di Trasferimento di modulazione. Lunghezza complessiva: m. 90, così suddivisi: rullo a) m. 60 di pellicola invertibile pancromatica; rullo b) m. 30 di pellicola invertibile ortocromatica.

Trattamento rullo a): I° sviluppo: rivelatore Ferrania R36; tempo 3′ a 24°; gamma=0,3; bagno di arresto: 2′ a 20°.
II° sviluppo (con spirali a contatto, cioè emulsione contro emulsione): rivelatore Ferrania a toni nero blu; tempo 60′ a 20°; gamma=8.
Proiezione di luce attinica con riduzione totale del rosso, guidata puntiforme con albedo di fattore 0,8 su ogni singolo fotogramma.
Inversione: tempo 2′ a 20°. Bagno di arresto.
III° sviluppo: rivelatore per toni nero puri; tempo 6′ a 20°: gamma=0,2.
Inversione: tempo 11′ a 15°.
II esposizione: tempo 3′, lampada W 500 (solo sul lato dell’emulsione).
I° sviluppo rivelatore Ferrania R 36; tempo 2′ a 20°; fissaggio: tempo: 1′ a 12°.
Trattamento del rullo b): I° sviluppo: rivelatore Ferrania R 36; tempo 6′ a 20°.
Solarizzazione parziale con lampada verde chiara da 15 W a m. 4 dalla pellicola; tempo: 4′.
I° sviluppo: rivelatore Ferrania R 36; tempo 3′ a 20°. Bagno di arresto. Fissaggio: 2′ a 20°.
Inversione: tempo 19′ a 22°; in luce riflessa mediante lente di Fresnel filtrata attraverso lastra rossa polarizzata con fattore di assorbimento 6; qualità della luce: 70% infrarossa, 30% ultravioletta; potenza W 1500.
Latensificazione a due fasi: 1) lavaggio: 8′ a 18°; 2) indurimento: 5′ a 20°; 3) lavaggio: 5′ a 20°; 4) intensificazione: 10′ a 20°; 5) lavaggio: 8′ a 12°.»

(Scelgo dunque questo campo di osservazione, per parlare di un cineasta che – scandalosamente – resta ai più ancora sconosciuto. Direi di più: dimenticato. Non c’è spazio per polemiche o lamentele, ma resta il dato nudo e crudo: Piero Bargellini è la cartina di tornasole di una rimozione che si è prodotta nella cultura e nella istituzione cinematografica italiana. C’è di che riflettere.)

Traferimento di modulazione è davvero un film unico. Straordinario. È la rielaborazione di materiale filmico recuperato, in uno stato pietoso, usurato, logoro. Stracci d’emulsione. Si tratta di una sequenza porno amatoriale filmata negli anni ’50. Pellicola rigata, giuntata male, in decadimento. Bargellini la altera chimicamente, la sottopone a bagni di luce, bagni di arresto. Il film si trasforma sotto ai nostri occhi in una parata di spettri.

Cosa nasconde dunque questa minuziosa annotazione di un procedimento tra provette da piccolo chimico? Cosa definisce questa parata di acidi, pellicole, tempi di esposizione, rivelatori, soluzioni gelatinose, lampade a diverso voltaggio in un laboratorio casalingo? Non si tratta solo di un procedimento sperimentale, ma di un atto creativo, una ricetta che è una sequenza in grado di rendere visibile qualcosa che sfugge all’occhio umano. Si tratta di captare fenomeni dissimulati: rendere alla vista dei corpi sconosciuti. Immagini latenti:

«L’immagine latente è un’immagine che c’è ma non si vede. Viene prima dell’immagine negativa, nel momento stesso in cui impressioni la pellicola, la esponi alla luce. È quello il primo volto del fotogramma». […] «Nel 1970 ho fatto una scoperta chimicamente non controllabile. Lavoravo a Ricordo del futuro. A quell’epoca stavo nella casa di campagna di Paolo Brunatto, una casa parlante in cui vedevamo tutti una serie di immagini. (…) All’origine del fenomeno c’è probabilmente una specie di spostamento molecolare dovuto a delle vibrazioni, al potere di visualizzazione di cui eravamo dotati in quel momento. Vedevamo un livello di realtà che ordinariamente ci sfugge». (Piero Bargellini in quella che è una delle più belle interviste mai fatte sul cinema, curata da Enzo Ungari sulle pagine di Gong – nn. 6, 7-8, 1975, p. 109-110).

Immagini latenti, aloni, spostamenti molecolari? Bargellini è stato davvero l’ultimo dei romantici (l’aveva già intuito, en passant, Marco Melani). Questo prontuario alchemico, non designa solo l’approdo a un paradiso artificiale. Queste catene sperimentali servono a materializzare un ragionamento (i corpi sono a volte invisibili, la realtà è molteplice, le anime sono erranti). Ci sono energie intorno ai corpi, tutto un immaginario fatto di fluidi e tensioni nervose che ci circonda: corpi che vagabondano nell’etere, che possono essere fissati sull’emulsione. È l’idea di una fisica romantica, di un surnaturalismo in cui le anime vagabondano nel mondo. Qualche manipolazione della luce, dei colori, qualche accorgimento chimico può renderle visibili.

Film di Piero Bargellini: gradazioni della messa a fuoco, found footage, qualità e potenzialità dell’immagine. Graffi sulla pellicola simili a geroglifici, esposizione del suo corpo, scorrimento delle perforazioni (sarebbe necessario parlare di come Bargellini accosta le immagini e i suoni, della sua maestria nel montaggio). Film musicali, film fatti di frammenti, film senza soggetto: l’abolizione della centralità e della gerarchia dei generi declina qui un’altra idea romantica: la bellezza emerge dalla composizione, dall’accostamento dei materiali, dalla luce, dai colori.

Per quanto mi riguarda, i contenuti dei film svaniscono con e nel tempo: resta l’enigma della loro forma.

Sarebbe necessario che io parlassi di quella veste bianca che ondeggia, mossa dal vento, e che mi fa pensare alla trasparenza di una medusa filmata da un operatore Lumière in Vogliate gradire questo semplice bouquet di parentesi appena sbocciate 1) (1966), oppure dei fiocchi di polline sospesi nell’aria in Morte all’orecchio di Van Gogh (1968) così simili a neve, delle nuvole e dell’arcobaleno in Stricnina (1969-73), dell’alone intorno al ritratto di una donna intenta a fumare (Nelda, 1969), dei primi piani spettrali in Trasferimento di modulazione, o dei Piani sequenza per una bambina (1965-69): di come questa bimba cresca, affacciata al suo balcone, divenga adolescente, cambi abbigliamento e affini i suoi gesti. Di come la piccola macchina 8 millimetri si tramuti qui in un cuore rivelatore capace di captare i più sottili moti dell’anima, ogni sottile variazione. Ecco: un cuore rivelatore. Qualcosa che batte, tesse una trama nel caricatore, qualcosa come una vertigine dilatata che nasce da un bagno di luce.

I film di Piero Bargellini mi fanno pensare all’instabilità strutturale della figura umana. È la messa a fuoco variabile dell’obiettivo a definire qui gradazioni della materia? No, non è solo questo: i corpi si disfano e ricostituiscono in un flusso di sali d’argento, perché è il tempo di esposizione a definire la loro coalescenza, la loro tenuta. Bagno di luce? Noi siamo luce e aria solidificata, forme provvisorie la cui durata è un resto di vita pellicolare.

Il testo fa parte della sezione “Piero Bargellini: (as)salto al cielo” comparsa all’interno del Catalogo generale del 24° Torino Film Festival, 2006 (pp. 291-93), ultimo della direzione D’Agnolo Vallan- Turigliatto, che a Piero Bargellini ha dedicato una retrospettiva completa (curata da Fulvio “Luis” Baglivi)

[Altri film di Bargellini presenti su UBU]

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NOTE
  1. (

4 Commenti

  1. “Di come la piccola macchina 8 millimetri si tramuti qui in un cuore rivelatore capace di captare i più sottili moti dell’anima, ogni sottile variazione. Ecco: un cuore rivelatore. Qualcosa che batte, tesse una trama nel caricatore, qualcosa come una vertigine dilatata che nasce da un bagno di luce.”
    di come NON si scrive un pezzo critico, per dire.

  2. era un personaggio di cui si sentiva spesso il nome, anche se non ricordo di aver visto nessuno dei suoi film: il punto non è piero bargellini, è la scrittura che dovrebbe invogliarci a ri-visitarlo, a cercarne le opere, insomma il medaglione, come dici tu.
    ma sono ben cosciente che il mio anti-metaforismo è solo un problema mio e che dovrei evitare di manifestarlo.
    ma certe volte non mi trattengo.
    me ne scuso con la redazione.
    one.

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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